Apr 28, 2019 | Testimonianze di Vita
In ogni situazione, anche nelle più complesse e tragiche, c’è qualcosa che dobbiamo e possiamo fare per contribuire al “bene comune”. Chiudere l’azienda? Eravamo sul punto di dover chiudere l’azienda, in quanto la forte crisi economica che attraversava il nostro Paese sembrava non offrirci altra via d’uscita. Considerando però che sei famiglie dei nostri dipendenti avevano come unica fonte di guadagno il lavoro presso di noi, insieme i nostri figli abbiamo chiesto aiuto a Dio e ci siamo lanciati a cercare altre strade per risolvere la difficile situazione, anche se ciò voleva dire rischiare. Nonostante avesse poche speranze, Raul è andato nel più grande negozio della città per proporre la vendita delle nostre mattonelle. Con sua grande sorpresa i gestori del negozio non solo le hanno ordinate, ma gli hanno chiesto di lavorare con noi in esclusiva. Il lavoro è aumentato e abbiamo dovuto assumere altre persone. Questa vicenda ha rafforzato il legame in famiglia e nell’azienda. (R. F. – Brasile) Profughi Due settimane prima di Pasqua sono arrivati nella mia caserma 180 profughi da Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan, per lo più giovani cristiani fra cui anche bambini. Fermati alla frontiera dell’Egitto senza documenti validi, erano ridotti in stato di detenzione. Sconvolto dalle condizioni subumane in cui erano costretti a vivere, mangiando solo un pezzo di pane al giorno con un po’ di riso ogni tanto – e malgrado ciò essendo in Quaresima digiunavano! – ho sentito che Gesù mi interpellava ad amarlo concretamente in quei fratelli. Ho coinvolto i miei amici in città nella raccolta di soldi, medicine, cibo e nella preparazione di una vera festa di Pasqua per loro. In breve abbiamo preparato un pranzo con carne, frutta e verdure: tutte cose che non mangiavano da tempo. Mio padre mi ha aiutato con la sua auto a trasportare quanto avevamo preparato. Non so descrivere la loro gioia. Una Pasqua che difficilmente potrò dimenticare. (M. A. – Egitto) Spazzatura Ogni volta che incontravo la nostra vicina di casa finivamo per litigare, perché spesso lei ci faceva trovare la spazzatura ammucchiata davanti alla nostra porta di casa. Questo è andato avanti per anni, finché la testimonianza di alcuni amici cristiani mi ha convinto che dovevo amare per prima. Un giorno si è ripetuta la solita scena e subito ho pensato che quella era la mia occasione. Sono uscita con la scopa e ho raccolto la spazzatura. Lei era lì, aspettando la mia reazione. Questa volta l’ho guardata, le ho sorriso e le ho chiesto come stava. Sorpresa, mi ha risposto a sua volta con gentilezza. Da allora, ogni volta che pulisce davanti a casa sua lo fa anche davanti alla mia e siamo diventate amiche. (R.C.- Colombia)
a cura di Chiara Favotti
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Apr 27, 2019 | Focolari nel Mondo
A Roma (Italia) la quarta edizione Aver cura della terra e dell’uomo, individuando percorsi e obiettivi comuni. È con questo intento che associazioni, professionisti, e istituzioni civili ed ecclesiali si ritrovano in questi giorni (25-29 aprile 2019) a Villa Borghese (Roma-Italia), per la quarta edizione del “Villaggio per la Terra”. Promosso da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari, l’evento vuole essere un contributo alla realizzazione dei 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile fissati dall’Agenda ONU per il 2030, e all’attuazione dei principi espressi da Papa Francesco nella “Laudato si”. Antonia Testa, co-responsabile del Movimento dei Focolari di Roma, racconta come nasce l’amicizia fra il Movimento e Earth Day Italia: “Ci siamo conosciuti a novembre 2015 in occasione della marcia per la ‘Laudato si’ che il Vicariato di Roma aveva chiesto a Earth Day di organizzare. Poi, sapendo che desideravamo portare nel cuore di Roma la Mariapoli, l’incontro annuale dei Focolari – secondo il desiderio della fondatrice del Movimento Chiara Lubich – Earth Day ci ha offerto di ospitarci negli spazi dove da anni loro celebrano la Giornata Mondiale della Terra. E’ stato un incontro provvidenziale: loro, un’ impresa di promozione sociale, tesa a fare opinione sui temi ambientali, e noi, un popolo impegnato con passione sui fronti più diversi e con il desiderio di mostrare quanto di bene e bello Roma può dare”. Il Papa ha visitato “Il Villaggio” nel 2016, incoraggiando i presenti a continuare nell’impegno di “trasformare il deserto in foresta”. Non si riferiva solo all’ambiente fisico, ma anche ai luoghi umani dove manca la vita… “Il Papa ci parlò di amicizia sociale. Vide davanti a sé questo popolo – fatto anche di immigrati, imam, ex detenuti, giovani dipendenti dall’azzardo – una foresta disordinata ma piena di vita. La frase “trasformare i deserti in foresta” è diventata la nostra missione”.
In che modo “Il Villaggio per la Terra” vuole essere una risposta alla sollecitazione del Papa? “’Il Villaggio’ vuole essere un modello, un luogo dove ognuno si sente parte di una comunità, e dove si può sperimentare che relazioni fraterne – che sono la radice dell’ecologia integrale – sono possibili, che la parte che ciascuno può fare non è piccola se condivisa, che l’impegno per raggiungere le mete della sostenibilità nello sviluppo economico è ben riposto”. L’offerta dei contenuti muove dalla “Laudato si’ “e dall’Agenda ONU 2030. Come mai la scelta di dedicare particolare attenzione all’Amazzonia? “L’Amazzonia è simbolo della biodiversità ambientale ma anche etnico – culturale. Sulla scia del Sinodo dei Vescovi, che affronterà il tema in autunno, ‘Il Villaggio’ vuole accendere un faro su questi aspetti e porre attenzione all’impegno della Chiesa in Amazzonia. Al Villaggio sono presenti i Francescani Cappuccini, che hanno una Missione in Amazzonia da oltre 100 anni, Survival International, che celebra i 50 anni di attività in favore dei popoli indigeni, e il Cortile dei Gentili del Pontificio Consiglio per la Cultura”. Raggiungere l’uomo nei più vari ambienti di vita è un’altra via di evangelizzazione..
“Come non ricordare le parole di Chiara Lubich: ‘perdersi nella folla per informarla del divino’. Nel ‘Villaggio’ infatti ti trovi circondato da 200 associazioni e decine di relatori, sportivi, artisti e persone di passaggio. Hai un solo strumento, il tuo cuore, e l’impegno condiviso è quello di voler bene a ciascuno. Spesso vediamo davvero deserti trasformarsi in foreste e non possiamo non riconoscere l’intervento di Dio. I rapporti personali maturano e si seminano le perle del Vangelo: amore vissuto, impegno sociale, attenzione ai fragili, reciprocità. Tra i luoghi ideali da raggiungere c’è l’universo dei giovani, che in tema di tutela dell’ambiente vogliono essere protagonisti. Quali spazi hanno nel Villaggio per la Terra? “Il 29 aprile al ‘Villaggio” ci sono i ragazzi con le loro scuole e universitari che, tramite il ‘service learning’ aiutano ad approfondire i 17 obiettivi dell’Agenda ONU. Un servizio volontario avviato lo scorso anno con l’Università Cattolica del Sacro Cuore,e che quest’anno coinvolge studenti delle università pontificie e giovani arrivati da altre nazioni tramite la Fondazione Scholas Occurrentes.
Claudia Di Lorenzi
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Apr 27, 2019 | Focolari nel Mondo
Mentre il mondo è ancora attonito e il popolo dello Sri Lanka si stringe per piangere le vittime del terribile attentato di Pasqua, ci arriva il messaggio di Suchith Abeyewickreme, giovane attivista per la pace e co-fondatore di un network interreligioso di giovani. Cosa possiamo fare per il popolo dello Sri Lanka, dopo l’orrore che ha vissuto in seguito agli attentati terroristici di Pasqua? Guardando le immagini di tanto orrore quante volte sperimentiamo quel senso d’impotenza verso la violenza in atto o l’impossibilità di alleviare il dolore di chi piange i propri morti. Eppure una strada c’è: “Dio ci sfida a credere nel Suo amore e ad andare avanti con coraggio sulla via della pace e dell’unità”, come ha scritto la presidente dei Focolari, Maria Voce, a Suchith Abeyewickreme, giovane leader di un network interreligioso cingalese. Il 25 aprile ha scritto un messaggio a tutti i membri dei Focolari nel mondo che pubblichiamo integralmente di seguito: Cari amici del Focolare, Vi parlo dallo Sri Lanka, dove piangiamo le perdite a causa dei recenti attacchi della domenica di Pasqua nella nostra bella isola. Siamo scioccati, rattristati e scossi da questi eventi senza precedenti. La nostra priorità è l’assistenza alle vittime e alle loro famiglie. Sosteniamo gli sforzi gli uni degli altri nelle varie comunità. Dopo gli attacchi molti di noi sono usciti per donare sangue, aiutare le vittime e donare soccorsi e forniture mediche. Siamo ora in procinto di dare insieme il saluto finale a coloro che abbiamo perso. Siamo consapevoli in questa occasione che questi atti di terrorismo mirano a causare distruzione e paura, sospetto e divisione nel le nostre comunità. Stando fianco a fianco noi cingalesi cristiani, buddhisti, indù, musulmani e di altre tradizioni religiose e culturali, diciamo a chi ci impone il terrore che non permetteremo che raggiungano i loro obiettivi. Comprendiamo che in tali attacchi, ciò che segue le distruzioni fisiche e la morte è la paura, il sospetto, l’odio e la divisione. Ci sono state reazioni di odio, ma dobbiamo dire che la maggioranza dei cingalesi ha mostrato empatia e attenzione gli uni per gli altri. Stiamo lavorando sodo per garantire che questi gesti ad opera di pochi estremisti non finiscano per essere utilizzati per discriminare e alienare persone innocenti o intere comunità. Questi eventi si sono verificati quando in Sri Lanka stavamo per commemorare i 10 anni dalla fine del conflitto armato durato 26 anni. Come società abbiamo molte ferite passate da guarire, ma ora siamo di nuovo feriti. Ma il popolo dello Sri Lanka è forte e resistente. Lavoreremo insieme per guarire noi stessi e la nostra società. E’ in questo momento difficile che dobbiamo praticare le virtù della compassione, dell’amore, dell’empatia, della responsabilità e della pace, guidati dai nostri insegnamenti spirituali. Dobbiamo innalzarci al di sopra della divisione per riconoscere la nostra connessione e umanità condivisa. L’appello che vi facciamo non è per fare donazioni. Con il nostro appello chiediamo il vostro tempo e il vostro impegno per rafforzare il lavoro nelle vostre comunità, per costruire ponti al di là delle divisioni, per intensificare le voci moderate e sostenere la non violenza. In tutto il mondo c’è molta polarizzazione, discriminazioni, odio e violenza che offrono un terreno ideale per l’ estremismo violento. Dobbiamo lavorare insieme per essere i leader sensibili, empatici e responsabili di questo mondo, per curare le sue ferite. “L’oscurità non scaccia l’oscurità: solo la Luce può farlo. L’odio non scaccia l’odio: solo l’Amore può farlo”. Grazie per la vostra solidarietà con noi qui in Sri Lanka, in questo momento così difficile. Vi auguro salute, felicità e pace.
Grazie, Suchith Abeyewickreme
Attivista per la pace, Co-fondatore Interfaith Colombo and Interfaith Youth Network Global Council Trustee, United Religions Initiative
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Apr 26, 2019 | Focolari nel Mondo
Nella parte settentrionale e centrale del Mali da tempo ci sono tensioni e scontri. Due le etnie coinvolte: i dogon e i fulani. Il recente massacro di 160 pastori fulani è stato solo uno dei tanti episodi di una violenza che continua. E intanto anche le Nazioni Unite chiedono azioni urgenti verso la pace. Nel Paese è presente una comunità dei Focolari, della quale fa parte anche Padre E.M.S., che abbiamo intervistato.
I media parlano di violenze di origine inter-etnica. Secondo lei è questa la causa degli scontri? La violenza è presente nel nord del Mali dal 2012 e si è attualmente estesa anche al centro del Paese e soprattutto nei paesi abitati dalla popolazione dogon, la regione di Mopti. Conosco bene queste zone. Ci sono gruppi armati, gruppi di terroristi che si sono stabiliti in questa parte del Paese e che sono stati accolti sia dai dogon che dalle comunità fulani. Pian piano i terroristi, che parlano la lingua fulani, hanno iniziato ad attaccare villaggi dogon. E, visto che l’esercito non è presente in questa zona, i villaggi dogon si sono organizzati per la difesa. Con la complicità di alcuni fulani, hanno chiesto loro di lasciare le zone nelle quali si erano insediati. In realtà non è un conflitto tra etnie, ma i terroristi fanno credere che si tratti di una guerra inter-etnica per meglio guadagnare terreno. I massacri degli ultimi giorni hanno spinto la Chiesa cattolica e quelle evangeliche ad inviare un messaggio congiunto di condoglianze alla nazione diffuso in occasione delle funzioni religiose festive. Come è stato accolto questo gesto? Ogni popolo in difficoltà trova consolazione quando le persone sono solidali con le loro difficoltà. I messaggi e le preghiere organizzate, non solo dalla Chiesa cattolica e da quelle evangeliche, ma anche dalla comunità musulmana, sono state un segnale ben accolto da tutti. E questa esprime l’aspirazione di tutti alla pace. La popolazione del Mali desidera la fine delle violenze. Per questo oggi ci sono molti incontri e confronti per cercare di calmare gli animi da una parte e dall’altra e, anzi, unirsi per vincere insieme la violenza. La popolazione sa con certezza che non si tratta di un conflitto tra dogon e fulani, ma di un problema che coinvolge tutto il Paese.
Come sta vivendo questo momento la comunità dei Focolari in Mali? In Mali c’è una bella comunità del Movimento. Siamo presenti in varie Diocesi. E le attività che si realizzano sono coordinate dalla comunità di Bamako. In Mali non ci sono focolari, ma siamo in stretto contatto con i due che si trovano a Bobo-Dioulasso in Burkina Faso. Quello che ci aiuta in questa situazione è, come Chiara Lubich ha scoperto durante il conflitto che anche lei ha vissuto, che Dio è il solo ideale che non passa. Molti gruppi si stanno organizzando e lavorano per il ritorno della pace. Nella mia Diocesi con i membri del Movimento cerchiamo ogni modo per aiutarci a vivere l’amore fraterno tra noi e con tutti attorno a noi. E preghiamo per la pace chiedendo a ciascuno di implorare da Dio questo dono. E crediamo che Lui ascolterà il nostro grido. Ma vorrei invitare tutti a portare il Mali nelle loro preghiere. Mentre ai maliani, siano essi cristiani (cattolici ed evangelici), musulmani o non credenti, dico che occorre impegnarci per mettere il nostro Paese e la fraternità umana al di sopra e al di là delle nostre differenze. Quello che abbiamo in comune è più di quello che ci divide, non dobbiamo dimenticarlo.
Anna Lisa Innocenti
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Apr 24, 2019 | Sociale
La valorizzazione delle potenzialità educative della Rete: il lavoro di Daniela Baudino Il fenomeno non è nuovo ma non siamo ancora equipaggiati per affrontarlo. Da anni ormai le nostre relazioni amicali, familiari, professionali e affettive hanno luogo, oltre che negli ambienti di vita comuni, anche sul web. Attraverso i social, nelle chat e nelle community ci relazioniamo con chiunque, conoscenti e sconosciuti. Non una banalità, visto che pur navigando nel web non abbiamo ancora imparato a nuotare efficacemente. Non conosciamo le regole che ci servono per restare a galla, per tenerci alla larga dalle “trappole” che la Rete nasconde e beneficiare delle opportunità che offre. Vale per gli adulti ma soprattutto per i giovani, meno consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, e con sentimenti ed emozioni da gestire, una personalità in costruzione che ha bisogno di guida e orientamenti sicuri. Anche per evitare il rischio, concreto, di abusi e sopraffazioni. Educare all’affettività i giovani significa oggi esplorare anche l’universo delle relazioni digitali, che non sono virtuali ma reali, seppur limitate nel tempo e nello spazio. Indubbiamente internet ha cambiato la natura delle relazioni sociali. Ne abbiamo parlato con Daniela Baudino, esperta di educazione digitale, tutor nel progetto Up2Me per l’educazione all’affettività dei ragazzi, promosso dal Movimento dei Focolari in diversi continenti: “La cosa più evidente è che con l’ambiente digitale siamo diventati tutti ‘vicini di casa’, e quindi è più facile entrare in relazione, anche solo per una volta, con persone con cui forse non saremmo mai entrati in relazione in un altro modo. Questo però significa che spesso le relazioni rischiano di essere consumate più velocemente e quindi di essere più frammentate. C’è il rischio che questo si traduca in superficialità e che questo atteggiamento coinvolga anche relazioni nate al di fuori dell’ambiente digitale”. Quali sono le illusioni che questo ambiente regala? “Anzitutto l’idea che sia la quantità, quindi il numero di amici, i like, a dire quanto valiamo. Poi il credere che mantenere una relazione non richieda fatica, né di mettersi totalmente in gioco. Anche credere che attraverso un social possiamo conoscere e farci un’idea esatta di un’altra persona”.
Come si può vivere in maniera consapevole e positiva questa dimensione relazionale? “Dobbiamo diventare consapevoli di cosa ogni nostra azione digitale comporta, ad esempio in fatto di privacy, reputazione e a livello relazionale, e comprendere che l’ambiente digitale è solo una delle dimensioni relazionali che può potenziare le altre ma non deve sostituirle”. Ai pericoli del web sono esposti in particolare gli adolescenti, vittime di cyberbullismo, revenge porn e dell’adescamento da parte di adulti. Come si declina qui l’educazione ai media dei giovani? “Credo che dobbiamo riproporre i modelli che già conosciamo in altre dimensioni più “reali”, aiutando i ragazzi a comprendere che non tutti quelli che incontriamo vogliono il nostro bene e quindi che esistono anche dei pericoli, e che tutto quello che facciamo nell’ambiente digitale viene scolpito per sempre e quindi bisogna pensare molto bene prima di fare click”. Il sexting è una pratica diffusa fra i giovani e consiste nel farsi video e foto sexy e inviarli a fidanzati o amici. Un gioco che diventa pericoloso se chi li riceve, per vendicarsi o per divertimento, condivide queste immagini su piattaforme pubbliche, mettendo alla berlina il suo amico: è il revenge porn. Fenomeni come questi espongono all’attenzione di malintenzionati, non di rado adulti. Ma perché i ragazzi trascurano questi pericoli e come educarli anzitutto al rispetto della propria persona? Si trascurano i pericoli perché manca la percezione della materialità di questi luoghi e la consapevolezza che le nostre azioni in rete hanno delle conseguenze. Bisogna far capire ai ragazzi che l’interazione ci coinvolge interamente come persone e quindi le conseguenze delle azioni che compiamo sono molto reali e durature. Con loro dobbiamo lavorare molto sul significato delle azioni. Lei è impegnata in attività di educazione ai media, fra cui il progetto Up2Me promosso dal Movimento dei Focolari. Nella sua esperienza, il vivere online ha potenzialità educative o è solo una possibile trappola? Credo che la dimensione digitale sia un terreno fertile in ambito educativo, perché è un luogo d’incontro dove possiamo trovare persone diverse con idee diverse, e questo ci dà l’occasione di crescere nella nostra umanità. Ad esempio sviluppando un approccio critico o la capacità di mettere in discussione il proprio punto di vista, oppure scegliendo le parole giuste per non ferire l’altro che non può sentire la nostra voce. Sono cose che spesso gli adulti non sanno fare e quindi i giovani in questo possono diventare specialisti.
Claudia Di Lorenzi
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Apr 22, 2019 | Testimonianze di Vita
Un invito chiaro, tratto dalla Parola di vita di aprile 2019, di Gesù che per primo ha lavato i piedi ai discepoli. Un invito che tutti possiamo comprendere e mettere in pratica, in ogni situazione, in ogni contesto sociale e culturale. Il componente mancante Lavoro in un’azienda che produce computer. Da mesi stavo cercando uno specifico componente elettronico che avrebbe ridotto di molto i costi di un prodotto, ma nessun fornitore me l’aveva trovato. Per questo avevo deciso di progettarlo io, e alla successiva riunione settimanale avrei chiesto di posticipare di una settimana la consegna, visto il lungo lavoro necessario. Durante quella riunione, però, un collega che stava passando un difficile momento familiare ci comunicò che non era riuscito a terminare un lavoro che gli era stato affidato. Il direttore generale cominciò a fare la voce grossa con lui, così proposi di terminare io quel lavoro al suo posto. Subito dopo pensai che non avrei più avuto il tempo per terminare il mio progetto e che avrei fatto sempre tardi a casa. Ma tornato nel mio ufficio trovai ad aspettarmi un fornitore che, senza appuntamento, era venuto a portarmi proprio il componente che cercavo. (M. A. – Italia) Nel cortile Nel cortile del condominio dove viviamo giocano molti ragazzi del quartiere. Tra questi c’è anche Robert, un ragazzo problematico, che passa il tempo girovagando per le strade e spesso litiga con gli altri. Abbiamo saputo che i suoi genitori non hanno tempo per lui e che lui stesso è in cura da uno psichiatra. Un giorno, al ripetersi dei litigi, mia moglie e io siamo scesi nel cortile e abbiamo invitato Robert a salire a casa nostra, dove è rimasto fino a sera giocando con i nostri due figli, più piccoli di lui. Nei giorni seguenti, ogni volta che la situazione si faceva difficile, loro lo accompagnavano da noi. In seguito abbiamo saputo che Robert ha raccontato allo psichiatra come passava i pomeriggi. Da quando ha cominciato a frequentare casa nostra il suo comportamento è migliorato, tanto che ha potuto sospendere i farmaci. (D. H. – Usa) L’uovo di Pasqua Nel congedarmi da un amico malato che ero andato a trovare, la moglie mi consegna un uovo di Pasqua per mio figlio Cesare. Tornato a casa, lo trovo che sta giocando con un nipotino che viene spesso da noi a motivo del clima difficile nella sua famiglia. Strizzo l’occhio a mio figlio e l’uovo va nelle mani del cuginetto, che ne è felice. Cesare sta al gioco, poi quando siamo da soli gli spiego che fare un dono ci fa sentire più vicini a Gesù. Nel pomeriggio arriva la nonna con un uovo di Pasqua ancora più grande. Felice, Cesare mi dice: «Papà, perché non diciamo a tutti questo segreto?». (Z. C. – Italia) Una grande famiglia Dopo tanti tentativi un immigrato africano che avevamo accolto in parrocchia era riuscito a far venire dall’Africa anche la moglie e i sei figli, ma mancava loro tutto il necessario. L’alloggio era ancora un cantiere e non c’era la corrente elettrica. Così mi sono offerta di lavare la loro biancheria e altri hanno dato la loro disponibilità per il cibo e altre necessità. Questi fratelli hanno sperimentato la gioia di aver ritrovato la grande famiglia che pensavano di aver perso per sempre lasciando il loro Paese. (F. F.- Belgio)
a cura di Chiara Favotti
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Apr 20, 2019 | Spiritualità
La Risurrezione! Giovanni e Pietro vanno al sepolcro vuoto e trovano le bende a terra ed il sudario in disparte. Maddalena si sofferma e piange e vede due angeli, uno al posto del capo di Gesù, l’altro al posto dei piedi. Parla con loro, poi, voltatasi, vede Gesù. Gli Apostoli non lo hanno visto e fra essi c’era colui che Gesù prediligeva, certo anche per la sua innocenza. Maria, la peccatrice, vede gli angeli e Gesù. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt. 5,8) Chi ha visto di più in quest’occasione? La Maddalena. Le lacrime che fluivano in continuazione dagli occhi, l’attesa fuori del sepolcro, segno d’un amore che tutto crede e vuole; e poi, il colloquio cogli angeli e con colui che credeva l’ortolano, quasi che Gesù fosse una persona di cui lei sola era interessata, avevano purificato quel cuore forse più degli altri: tanto che meritò di vedere esseri celesti e Gesù risorto. Ed ecco qui il significato della Risurrezione. Il riscatto è compiuto. La morte è vinta. Il peccato è subissato dalla misericordia versata in sovrabbondanza dall’albero della croce.
Chiara Lubich
(Da: Chiara Lubich, L’essenziale di oggi. Scritti spirituali / 2, Roma 1978, pag 67.)
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Apr 19, 2019 | Spiritualità
Igino Giordani ha dedicato molte pagine a Maria, alla comprensione del suo mistero. Tra di esse questa nella quale invita a guadare a Maria ai piedi della Croce, ad essere come Lei. Sia tuo modello Maria Desolata, la quale, dopo aver dato la vita a Gesù e averlo amato e servito, pur sentendosi distaccata da lui e rigettata dalla massa che non era ancora Chiesa, tuttavia nella fedeltà non oscillò; e nella prova suprema non mancò all’appuntamento sotto la croce. Fu quale lo Spirito Santo l’aveva modellata: cuore nel quale le offese degli uomini s’estinguevano; centro dal quale solo l’amore scaturiva. Tutta donazione. Morta a se stessa, viveva di Dio: non viveva in Lei che Dio. (…) Ti lasciano solo gli uomini, perché tu resti solo con Dio. E allora l’anima tua non è più distratta o sottratta: allora colloquia nel silenzio con l’Eterno. Sta, col Crocifisso, sul piano di Dio.
Igino Giordani
(Igino Giordani, Maria Modello perfetto, Città Nuova, Roma, 1989, 131-133)
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Apr 18, 2019 | Spiritualità
Cosa dice all’uomo e alla donna del nostro tempo il mistero di un Dio che muore in croce? In questo estremo sacrificio Dio prende su di sé tutte le nostre colpe e ci chiede il coraggio di riviverlo per amare il mondo. Da uno scritto di Pasquale Foresi. “Come può aver sofferto Gesù una certa separazione, un certo abbandono da parte del Padre, se egli era il Figlio di Dio, lui stesso Dio? Cerchiamo di penetrare, almeno un po’, cosa può essere avvenuto nel momento della passione, quando Gesù soffrì l’abbandono da parte del Padre. Gesù ha sperimentato in sé la lontananza da Dio. Ed egli è potuto giungere a tanto perché, proprio in quanto uomo, era unito a tutta l’umanità. Lì, sulla croce, noi tutti, uno a uno, eravamo presenti in Gesù, per il misterioso disegno di Dio che lo aveva voluto ricapitolare dell’intera umanità. Lì, in lui, erano assommati tutti i nostri dolori, tutte le nostre colpe, che aveva preso su di sé e fatte sue, per poi rivolgersi al Padre dicendo: “Nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46) In quel momento davvero tutto era compiuto, le nostre colpe erano rimesse. Dunque, se anche noi, in quanto cristiani, siamo chiamati a vivere Cristo, dobbiamo vivere quello che egli ha vissuto. E Cristo ha vissuto in modo del tutto particolare la redenzione del genere umano. Rivivere perciò in noi Gesù crocifisso e abbandonato significherà uniformarsi ai sentimenti di Gesù; anzi, molto di più: sarà lasciar rivivere in noi quel dolore-amore da lui vissuto sulla croce, per partecipare anche noi al compimento della sua passione e condividere con lui la sua gloria”.
Pasquale Foresi
(Pasquale Foresi, Dio ci chiama, Città Nuova, 1974, pag. 58-61)
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Apr 17, 2019 | Centro internazionale
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