Apr 18, 2019 | Spiritualità
Cosa dice all’uomo e alla donna del nostro tempo il mistero di un Dio che muore in croce? In questo estremo sacrificio Dio prende su di sé tutte le nostre colpe e ci chiede il coraggio di riviverlo per amare il mondo. Da uno scritto di Pasquale Foresi. “Come può aver sofferto Gesù una certa separazione, un certo abbandono da parte del Padre, se egli era il Figlio di Dio, lui stesso Dio? Cerchiamo di penetrare, almeno un po’, cosa può essere avvenuto nel momento della passione, quando Gesù soffrì l’abbandono da parte del Padre. Gesù ha sperimentato in sé la lontananza da Dio. Ed egli è potuto giungere a tanto perché, proprio in quanto uomo, era unito a tutta l’umanità. Lì, sulla croce, noi tutti, uno a uno, eravamo presenti in Gesù, per il misterioso disegno di Dio che lo aveva voluto ricapitolare dell’intera umanità. Lì, in lui, erano assommati tutti i nostri dolori, tutte le nostre colpe, che aveva preso su di sé e fatte sue, per poi rivolgersi al Padre dicendo: “Nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46) In quel momento davvero tutto era compiuto, le nostre colpe erano rimesse. Dunque, se anche noi, in quanto cristiani, siamo chiamati a vivere Cristo, dobbiamo vivere quello che egli ha vissuto. E Cristo ha vissuto in modo del tutto particolare la redenzione del genere umano. Rivivere perciò in noi Gesù crocifisso e abbandonato significherà uniformarsi ai sentimenti di Gesù; anzi, molto di più: sarà lasciar rivivere in noi quel dolore-amore da lui vissuto sulla croce, per partecipare anche noi al compimento della sua passione e condividere con lui la sua gloria”.
Pasquale Foresi
(Pasquale Foresi, Dio ci chiama, Città Nuova, 1974, pag. 58-61)
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Apr 17, 2019 | Centro internazionale
https://vimeo.com/330952141 (altro…)
Apr 17, 2019 | Spiritualità
Una riflessione sulla giornata di oggi, Giovedì Santo, tratta da un’omelia di Klaus Hemmerle (1929–1994), filosofo, teologo e vescovo preparata proprio per questa solennità nel 1993. Se i discepoli vedono in Gesù il grande e potente Dio lassù, non lo trovano. Devono inchinarsi in basso fino in fondo, guardare nella polvere; lì c’è Gesù che lava i piedi ai suoi. Donazione, umiliazione, servizio, prendere sul serio le banalità delle esigenze umane, diventare piccoli, rinunciare, la durezza dell’esaurirsi, essere modesti, essere nascosti: tutto ciò che non ha a che fare con lo splendore divino è lo splendore del Dio vero, è il contenuto più intimo del nostro adorare Dio, è Eucaristia.
Klaus Hemmerle
(Klaus Hemmerle, Gottes Zeit-unsere Zeit, München, 2018, p. 65 – traduzione a cura della redazione)
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Apr 16, 2019 | Centro internazionale
Il 16 aprile scorso una delegazione trentina ha visitato il Centro internazionale dei Focolari in vista delle celebrazioni dei cento anni dalla nascita della fondatrice. “Non siamo qui per celebrare Chiara Lubich, per fare di lei un monumento o per consegnarla alla storia, non ce n’è bisogno. Siamo qui per riviverne il messaggio, per raccoglierne l’eredità e per confrontarci oggi con il suo carisma”. Alessandro Andreatta, sindaco di Trento ha spiegato così la motivazione della visita di una delegazione trentina che il 16 aprile scorso si è recata a Rocca di Papa (Roma) al Centro internazionale del Movimento dei Focolari, in occasione delle prossime celebrazioni del centenario della nascita di Chiara previste per il 2020. Presenti anche il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, il presidente della comunità di Primiero Roberto Pradel, il direttore della Fondazione Museo storico di Trento, Giuseppe Ferrandi e Maurizio Gentilini (archivista e storico al CNR), autore di una biografia della Lubich in uscita nel 2020. Ad accoglierli c’erano la presidente Maria Voce, il copresidente Jesús Morán e una rappresentanza dei 60 membri del Consiglio Generale dei Focolari. Sono intervenuti anche alcuni sindaci dei comuni dei Castelli Romani dove Chiara ha vissuto e operato per oltre cinquant’anni. Scopo della visita è il rafforzamento del vincolo di amicizia e collaborazione fra Trento e la comunità trentina e il Movimento dei Focolari, promotori, insieme, di numerose iniziative nell’anno del centenario, in città e nella valle del Primiero, oltre che in molte città nel mondo. Le celebrazioni avranno inizio il 7 dicembre 2019 con l’inaugurazione della mostra multimediale “Chiara Lubich Città Mondo” promossa dal Centro Chiara Lubich e dalla Fondazione Museo Storico del Trentino. “Vorremmo che molti conoscessero Chiara, il suo pensiero – ha spiegato Alba Sgariglia, corresponsabile del Centro – come pure la sua spiritualità, la sua opera, la sua figura di promotrice instancabile di una cultura dell’unità e della fraternità tra i popoli.”. Giuseppe Ferrandi ha raccontato la sfida culturale e le complessità affrontate nel percorso di realizzazione della mostra: “Si tratta di prendere lo straordinario patrimonio di vita e di pensiero di Chiara Lubich e trasformarlo in un format comunicativo con lo stile essenziale ed immersivo che i nostri spazi espositivi consentono. Come recita il titolo della mostra, la categoria “città” è centrale nel pensiero della Lubich; per lei la città è un polo dialettico che può relazionarsi con il mondo. Ci offre quindi la possibilità di non restare chiusi nel locale ma di aprirci”. La mostra avrà anche un distaccamento nella valle del Primiero che, a partire dagli anni ’40, ha ospitato dapprima la Lubich con un piccolo gruppo, poi migliaia di persone da tutto il mondo che vi si recavano per fare esperienza di uno stile di vita incentrato sulla fraternità. Successivamente la mostra verrà riproposta in nove capitali extraeuropee e si annuncia molto differenziata a seconda della cultura del luogo, in una visione che si allarga sul mondo. Nel corso dell’anno, oltre all’afflusso a Trento di visitatori da tutto il globo, sono in programma anche una serie di convegni nazionali e internazionali che si svolgeranno sia a Trento che nei vari centri dei Focolari sparsi nei cinque continenti. Il presidente della Provincia autonoma di Trento si è fatto portavoce dell’orgoglio di “essere qui, oggi, per rappresentare questa unità d’intenti. Il Trentino è una terra di mezzo, di confine: Chiara Lubich ha saputo assumere le caratteristiche di questo territorio ed esportarle. Quando nel giugno 2001, la Lubich parlava a Trento di fraternità nell’orizzonte della città, rispettava tutti i soggetti che componevano la comunità e li sapeva ascoltare. In questo modo si riesce ad interpretare al meglio gli interessi e i bisogni delle persone”. A conclusione della mattinata, anche Maria Voce ha sottolineato il valore dell’azione di Chiara Lubich per la città: “Si trovava nella valle del Primiero quando ha compreso da Dio che doveva tornare a Trento e nelle città del mondo che ha incontrato lungo la sua vita – molte delle quali le hanno conferito la cittadinanza onoraria – ha trovato ovunque quel fascino che veniva dalla scoperta dei dolori e dei problemi, assumendoli e portandovi germi di vita e di amore”.
Stefania Tanesini
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Apr 15, 2019 | Focolari nel Mondo
I continui e lunghi black-out in tutto il Paese paralizzano i servizi di base e le attività commerciali rendendo difficilissima la vita della popolazione. Un dramma umanitario che crea anche profonde fratture sociali. Rosa e Óscar Contreras, famiglia della comunità dei Focolari, raccontano come sia possibile non farsi trascinare dalla disperazione e continuare, con fede e coraggio, ad essere tessitori di fraternità. “La situazione continua a peggiorare. – racconta Rosa – Qualche settimana fa, dopo 105 ore senza servizio elettrico, la nostra città era distrutta, soprattutto in ambito commerciale e finanziario. A rendere tutto più complicato è l’assenza o la presenza non costante di servizi pubblici come l’erogazione di acqua, la raccolta dei rifiuti, la telefonia e internet. E, poi, il fatto che i black-out nazionali continuino…” “Sentiamo comunque che, anche in questo momento, la vita deve continuare – spiega Oscar. – Siamo riusciti a riaprire la nostra azienda, che realizza articoli in legno e in acrilico, e riprendere alcune attività. È sempre una sfida rimanere in piedi e operativi nonostante la riduzione delle vendite. Enorme è lo sforzo per poter rispettare gli impegni nei confronti dei fornitori e dei dipendenti, senza che questo rappresenti un rischio di fallimento. Con creatività e disponibilità a cambiare costantemente strategia, abbiamo reagito alla iper-inflazione ed alle complesse politiche fiscali. Per questo abbiamo attuato un cambiamento totale nelle strutture salariali dei dipendenti, trovando nuovi modi per migliorare il loro reddito, incoraggiare una maggiore motivazione al lavoro ed ottenere risultati migliori.
E intanto, anche gli imprevisti non mancano. Fino a qualche tempo fa eravamo in grado di viaggiare per andare a trovare le persone ed essere loro vicini, ma, in questo momento, la nostra auto è stata danneggiata e ripararla è costoso, i tempi lungi dipendono anche dalla mancanza di elettricità. Intanto i nostri risparmi stanno finendo, anche se la Provvidenza di Dio non ci abbandona e recentemente siamo riusciti a comprare alcune cose necessarie per mantenerci in questo periodo”. “E ci siamo accorti di una quantità inimmaginabile di opportunità per vivere radicalmente il Vangelo – continua Rosa- Quotidianamente nei vicini e nei parenti troviamo tanta disperazione e mille necessità che costringono ad essere attenti, ogni momento, a condividere quel poco che abbiamo. Ogni volta ci chiediamo che cosa Maria, Giuseppe e Gesù farebbero al nostro posto. Abbiamo visto con gioia che un buon gruppo di vicini, invece di rimanere chiusi in casa propria, ha cominciato a fare amicizia, frutto, ci sembra, di molte iniziative che abbiamo realizzato in silenzio per aiutare e generare queste relazioni”. “La realtà, però, è che siamo esausti fisicamente, mentalmente ed emotivamente – confida Oscar – ma, pur essendo così, abbiamo la certezza che lo Spirito Santo ci aiuti e, attraverso di noi, sia Lui a poter dare agli altri la gioia e la speranza che cerchiamo di trasmettere. Una settimana fa, anche se eravamo senza servizio elettrico, abbiamo pensato di incontrare un gruppo di giovani e ragazzi del Movimento per condividere esperienze, riflessioni e guardare un film insieme. Tutti hanno raccontato che questi giorni difficili sono tuttavia favorevoli per generare molta comunione nelle loro famiglie: grazie all’assenza di telefoni cellulari, tv, scuola, lavoro e altri impegni, nascono dialoghi profondi nelle famiglie e si affrontano questioni delle quali non si parla mai. Molti hanno potuto pregare insieme e condividere con i vicini ciò che avevano. Interessante è constatare che c’è in tutti un’attenzione diversa quando si acquista qualcosa, perché lo si fa non solo in funzione della propria famiglia, ma valutando quanto possa essere utile anche ad altri”.
a cura di Anna Lisa Innocenti
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Apr 13, 2019 | Collegamento
Dalle voci degli abitanti di Gerusalemme un punto di vista che scorge semi di speranza nella città più contesa al mondo oltre ciò che la cronaca ci consegna quotidianamente. https://vimeo.com/319177846 (altro…)
Apr 11, 2019 | Dialogo Interreligioso
Roberto Catalano del Centro per il Dialogo Interreligioso dei Focolari ci offre una lettura del contesto, del percorso storico e geo-politico che ha accompagnato la stesura del documento sulla Fratellanza umana per la pace e la convivenza comune, co-firmato da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar, Ahamad al-Tayyib ad Abu Dhabi, il 4 febbraio scorso. La fraternità universale è ancora un obiettivo primario per l’umanità? Quale valore ha in questo tempo dominato da bolle digitali, confini personali e collettivi sempre più stagliati, nuovi protezionismi economici e via dicendo? La dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar riporta la fraternità al centro dello scacchiere geopolitico e anche mediatico: il tono chiaro e concreto del documento-dichiarazione ripropone la fraternità come obiettivo per l’intera famiglia umana e non solo per le due religioni cristiana e musulmana. Roberto Catalano ci spiega contesto e percorsi di questa che è una tappa fondativa del dialogo per la pace mondiale. Qual è il valore della dichiarazione firmata da Papa Francesco e dall’Imam al-Tayyib ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso? Il documento sulla fratellanza rappresenta una pietra miliare e propone un testo che resterà paradigma di riferimento. Impossibile non riconoscerne la valenza profondamente innovativa. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una ‘prima assoluta’ di Papa Bergoglio. Mai prima nella storia della Chiesa era avvenuto che un papa sottoscrivesse un documento comune con un leader di un’altra religione. La firma è avvenuta in un contesto preciso, caratterizzato da abbracci, discorsi, cammini mano nella mano dei leaders della Chiesa Cattolica e di al-Azhar. Il testo condiviso interpella non solo addetti ai lavori e leader religiosi, ma tutti i credenti e gli abitanti del mondo.
Gli Emirati Arabi sono un po’ uno spaccato di questo mondo globalizzato: la penisola arabica è il cuore dell’Islam, ma conta anche una crescente presenza di lavoratori provenienti da altri Paesi e culture… Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti e luogo della firma del documento è l’ultima propaggine della penisola arabica. Tutti questi stati hanno un significato importante sia sullo scacchiere dell’economia che su quello della geopolitica. In pochi decenni il possesso del petrolio ha permesso un progresso da capogiro anche grazie ad una manodopera proveniente da Paesi come le Filippine, l’India, il Pakistan, il Bangladesh. La penisola arabica è il cuore dell’Islam, ma presenta un vero mosaico musulmano. Dominante è la presenza del Regno Saudita, immagine dell’Islam sunnita che s’identifica con il wahabismo, che, anche livello internazionale, appoggia il salafismo. A fronte di tutto questo, sta un fenomeno nuovo di comunità cristiana. Infatti, mentre le Chiese cristiane tradizionali e apostoliche del Medio Oriente vivono momenti drammatici che spesso costringono i cristiani a fuggire, la zona degli Emirati si sta popolando di una nuova cristianità,un vero spaccato della cristianità odierna. La maggioranza dei cattolici sono filippini e indiani, ma anche del Medio Oriente.Siamo nel periodo della globalizzazione e la Chiesa negli Emirati ne è una delle espressioni più caratteristiche. Anche nel recente viaggio di Papa Francesco in Marocco si sono ricordati gli 800 anni dell’incontro fra Francesco d’Assisi ed il Sultano Malik al-Kamil. Questo papa sembra aver intrapreso una sorta di “pellegrinaggio di pace”… Proprio così. Anche Abu Dhabi si inserisce in questo anniversario, come segno del desiderio di essere «fratello che cerca la pace con i fratelli» per «essere strumenti di pace». La Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate afferma che nel «corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani» e quindi, il Concilio ha provveduto ad esortare «tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». A Ratisbona nel 2006 una citazione di Benedetto XVI causò un doloroso e complesso contenzioso con il mondo musulmano. Molti avvertirono la frase citata da Ratzinger come un’offesa nei confronti del Corano, anche se si riferiva al rapporto fra fede e ragione e tra religione e violenza. Si aprì una stagione piuttosto burrascosa, all’interno della quale l’università di al-Azhar interruppe i contatti con il Vaticano. Negli anni successivi, con grande pazienza diplomatica, si sono riannodati i rapporti, ispirandosi alla Evangelii Gaudium, che, dopo aver definito il dialogo interreligioso come un «dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (EG 250), aveva affermato la rilevanza del rapporto fra cristiani e musulmani. Finalmente, nel maggio del 2016 l’Imam al-Tayiib è in Vaticano. Significativo il suo commento a caldo: «Riprendiamo il cammino di dialogo e auspichiamo che sia migliore di quanto era prima». La risposta al gesto di accoglienza di Francesco non si è fatta attendere. Nel 2017, l’imam ha accolto papa Francesco al Cairo, invitandolo ad una Conferenza Internazionale per la Pace. In quell’occasione, il Papa, dopo aver affermato con forza, «solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome», ha suggerito tre orientamenti che, «possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni». Progressivamente è nata una profonda intesa spirituale fra i due leaders religiosi.
A cura di Stefania Tanesini
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Apr 9, 2019 | Sociale
In Colombia una Fondazione per i bambini costretti a combattere o a lavorare nelle piantagioni di coca “Creare un luogo dove i bambini poveri trovano dignità, possono pensare a realizzare i loro sogni e fare un cammino in cui si formano con una mentalità di giustizia e di pace”. Con questi obiettivi Don Rito Julio Alvarez, sacerdote della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, ha dato vita nel 2006, nel cuore della regione del Catatumbo, nel nord est della Colombia, alla Fondazione Oasi di Amore e Pace.
Sorta in una delle aree più povere della regione, dove don Rito è nato e ha vissuto per vent’anni, la ONG vuole offrire un’opportunità di riscatto ai tanti bambini che nel Paese sono arruolati fra le milizie di guerra o costretti a lavorare nelle piantagioni di coca. Un intento maturato dall’esperienza personale di don Rito, che – si legge sul sito della Fondazione http://www.oasisdeamorypaz.org/ – “da piccolo ha conosciuto la guerriglia, i gruppi rivoluzionari illegali che spesso passavano per il villaggio e cercavano di convincere i più piccoli ad arruolarsi. Alcuni suoi compagni, anche di 11 o 12 anni, hanno ceduto alle lusinghe dei rivoluzionari e sono morti uccisi negli scontri con l’esercito regolare. Anche il suo amico di infanzia è partito con i gruppi armati e a 14 anni è rimasto ucciso. Nemmeno del suo corpo, abbandonato, si è saputo più nulla”. “Negli anni 90 – racconta – i contadini del territorio si sono illusi che piantando la Coca avrebbero cambiato la loro vita, invece questo ha aggravato la situazione. Nel ‘99 entrarono i paramilitari e ci furono grandi massacri”. Divenuto sacerdote nel 2000, dall’Italia don Rito osservava il dolore della sua gente ferita dalla guerra scoppiata per il controllo delle piantagioni di coca, che vedeva contrapporsi paramilitari, gruppi armati filo governativi e guerriglieri. In un territorio di 250.000 abitanti furono circa 13000 i morti in pochi anni. Anche i suoi familiari furono costretti a sfollare e molti suoi amici rimasero uccisi.
Il bisogno di aiutare quelle persone era forte. Con i suoi familiari a Catatumbo decise di mettere in piedi una casa per i bambini-soldato e per quelli che provenivano dalle piantagioni di coca. “Abbiamo iniziato nel 2007 – ricorda – in una piccola baracca dove abbiamo accolto i primi 10 ragazzi. Non avevamo un soldo ma solo tanta buona volontà. Abbiamo sistemato i letti, mia sorella faceva da mamma e si occupava di far da mangiare. Mia mamma mi ha prestato le posate, i piatti, le pentole e le coperte. È iniziata così l’avventura”. Ad oggi la Fondazione ha due sedi, progetti che riguardano l’allevamento di pesci e bestiame e piantagioni di banane e caffè. Sono centinaia i ragazzi accolti: alcuni sono diventati loro stessi formatori e responsabili della ONG. Uno, che fra i parenti aveva un narcotrafficante della zona, è impegnato in politica. “Mi piace molto vedere alla Fondazione quei bambini che ho visto raccogliere le foglie di coca con le mani piagate – è il pensiero commosso di don Rito – qui crescono e vivono in un ambiente di pace, si sentono sicuri e possono pensare a un futuro diverso. Tutto questo mi spinge ad andare avanti senza paura. La fiducia nel Signore mi dà la certezza che questa opera potrà andare avanti”.
Claudia Di Lorenzi
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Apr 7, 2019 | Cultura
“Il pilastro del nostro lavoro sono i bambini, ai quali da sempre ci dedichiamo con l’obiettivo di farli crescere forti perché sono il futuro”. In occasione di una conferenza promossa in Italia dal Movimento dei Focolari, il 2 marzo scorso, dedicata al tema dell’educazione, Amine Mohammed Sahnouni, giovane sociologo algerino, parla del suo impegno educativo in favore dei giovani: per costruire un mondo migliore è necessario partire da loro.
Amine, hai detto che per ottenere risultati è importante avere una “vision”, degli obiettivi di lungo periodo, e se possibile condividerli con altri. Qual è la tua “vision” in campo educativo? Credo che noi sociologi siamo i medici della società, e come tali dovremmo andare sul campo e affrontare fenomeni sociali di tutti i tipi. In questa prospettiva la mia vision è “fare del mondo un posto migliore”, non solo per noi ma anche per le generazioni future. Tutti possiamo farlo, ma solo se iniziamo a cambiare noi stessi, anche a partire da piccole cose. Se vogliamo costruire una società più giusta, è essenziale dedicarsi alla formazione dei giovani. Quali sono i contenuti, le competenze e i metodi da proporre? I miei genitori mi incoraggiano, mi sostengono e mi guidano sempre. Mi hanno trasmesso il senso di responsabilità fin da quando ero piccolo. Ricordo ancora le parole di mio padre: “Amine, rendici orgogliosi di te”. Diceva sempre di mettere “Allah”, “Dio”, al primo posto in tutto quello che facevo: solo così sarei stato una persona di successo. Così il primo pilastro dell’educazione secondo me è la famiglia. Poi ci sono alcune competenze su cui lavorare: bisogna dare ai bambini più responsabilità, fidarsi di loro e guidarli perché le capacità di leadership si sviluppano fin da piccoli; è necessario dare loro fiducia, sostenerli e usare parole positive, in modo che possano sviluppare la loro autostima, i loro desideri e gli obiettivi; dobbiamo incoraggiare nei bambini il pensiero critico e insegnargli a condividere le loro opinioni di fronte agli altri. Tutte queste competenze si acquisiscono solo lavorando sul campo, anche attraverso programmi di scambio dove si incontrano giovani di paesi diversi, e anche cambiando il metodo di insegnamento tradizionale per rendere l’apprendimento facile e divertente. I leader religiosi, le istituzioni e le ONG chiedono attenzione per l’ambiente, ma le loro iniziative risultano insufficienti. Mentre per la giovane svedese Greta Thunberg, promotrice delle marce giovanili per il clima in tutta Europa, si parla di una nomination per il Nobel per la Pace. Significa che abbiamo bisogno di giovani per risvegliare gli adulti? Ammiro molto il coraggio e la determinazione di questa ragazza, che pur essendo molto giovane ha piena consapevolezza dei problemi ambientali, e questo è molto raro oggi, anche fra gli adulti. Questa grande “combattente” sta inviando un messaggio forte al mondo, ho molto rispetto per lei, dovremmo ispirarci al suo esempio. Credo infatti che le grandi conquiste partono da piccolo cose. Salire in bicicletta e attraversare l’Algeria, dal confine con il Marocco a quello con la Tunisia, può essere un modo per sollecitare l’impegno per l’ambiente. Puoi dirci com’è andata? Siamo un gruppo di amici pieni di passione e motivazione, e con il desiderio di ispirare i giovani. Dal 2012 la nostra filosofia è: se vuoi un cambiamento duraturo, inizia a cambiare te stesso. Con il tempo i nostri obiettivi sono cresciuti e abbiamo deciso di raccogliere la sfida di un nuovo progetto: attraversare l’Algeria da est a ovest in 15 giorni. Un progetto nato per sensibilizzare alla tutela dell’ambiente, promuovere i valori di cittadinanza, educare attraverso lo sport. Io e i miei due amici, Elhadi e Naim, abbiamo realizzato un video sul nostro progetto e in una sola settimana il video si è diffuso così velocemente che la gente ha iniziato a contattarci e offrirci aiuto. Anche durante il viaggio – nell’agosto 2017 – abbiamo ricevuto tanto sostegno e i risultati sono stati incredibili: 2 milioni di follower sui social media e in TV; abbiamo collaborato con più di 15 associazioni, strutture per bambini e club per ciclisti. Abbiamo sentito “Allah”, “Dio”, con noi ogni giorno e gli abbiamo chiesto coraggio, sostegno e forza per portare a termine la missione. E’ stata anche un’esperienza spirituale, abbiamo ricevuto le preghiere di tutti gli algerini e il sostegno delle nostre famiglie. In due sole settimane abbiamo suscitato altre campagne di sensibilizzazione, e dopo il progetto molte persone hanno seguito la nostra strada.
Claudia Di Lorenzi
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Apr 4, 2019 | Focolari nel Mondo
A fine marzo il Coordinamento Emergenze del Movimento dei Focolari si è attivato per aiutare le comunità colpite dall’alluvione in Africa sudorientale, in particolare una missione a Dombe. Ildo Foppa, il responsabile, ci ha mandato un messaggio. “Qui abbiamo quattro case di recupero, una scuola agricola e un centro diurno, che sono stati completamente sommersi dall’acqua. Abbiamo perso tutto: mobili, documenti, animali, trattori. Ora siamo alloggiati nel nostro piccolo ospedale, che si è salvato insieme alla chiesa, alla casa delle suore e al collegio. Ci stiamo prendendo cura di 1.300 persone ospitate in due scuole. I bisogni sono molti. Abbiamo bisogno soprattutto di tende, cibo, coperte, barche semplici per attraversare il fiume. Intorno alla nostra missione molte persone sono morte, soprattutto bambini. Sono molti di più di quanto è stato comunicato. Quando il livello delle acque si è abbassato, sono stati trovati dei corpi appesi agli alberi. Ieri ho trovato per strada un giovane disperato, che non sapeva dove andare, cercando chissà chi. Quando mi ha raccontato la sua storia non sono riuscito a trattenermi, l’ho preso con me e l’ho portato alla missione a vivere con noi: “Le acque sono salite all’improvviso”, mi ha detto. “Ho preso il mio bambino di otto mesi, mia moglie e i miei due fratelli e siamo saliti su un albero. Improvvisamente l’albero è caduto e li ho visti uno per uno trascinati via dall’acqua. Solo io mi sono salvato, perché mi sono aggrappato ad un tronco. Sono rimasto 30 ore nell’acqua, a tre miglia da casa mia”. Il suo nome è Silvestre e ha 22 anni. Storie come questa ne ascoltiamo continuamente. Restiamo qui, decisi ad aiutare questa gente che già prima soffriva molto. Ma qualcosa mi dice che un gran bene ci aspetta. Vi chiediamo di pregare affinché abbiamo salute e forza sufficiente per andare avanti in questa missione che Dio ci ha affidato. Un grande abbraccio!” Ildo Foppa Chi volesse può contribuire con le seguenti modalità: Azione per un Mondo Unito ONLUS (AMU) IBAN: IT58 S050 1803 2000 0001 1204 344 Banca Popolare Etica BIC: CCRTIT2T Emergenza Mozambico Oppure: Azione per Famiglie Nuove ONLUS (AFN) IBAN: IT55 K033 5901 6001 0000 0001 060 presso Banca Prossima Codice SWIFT/BIC: BCITITMX Emergenza Mozambico
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