
Roma – Veglia di preghiera: le famiglie illuminano il Sinodo

Dalle ore 17.00 alle 18.00 testimonianze dei rappresentanti di movimenti ecclesiali, tra cui Maria Voce del Movimento dei Focolari
Dalle ore 17.00 alle 18.00 testimonianze dei rappresentanti di movimenti ecclesiali, tra cui Maria Voce del Movimento dei Focolari
«Un giorno stavamo chiudendo, quando alle 16.30 si presenta una mamma con un bimbo di circa 8 mesi, per un prelievo di sangue». Aline M. è infermiera e biologa nella clinica universitaria di Kinshasa. Nel Congo/RDC l’indice di natalità è elevatissimo, come anche quelli di mortalità e di mortalità infantile in particolare. La speranza di vita alla nascita e l’età media della popolazione sono molto basse. «I miei colleghi avevano già chiuso i quaderni della registrazione e volevano andarsene. Ma mi tornavano in mente le parole del Vangelo, che invitano ad amare il prossimo come se stessi: “Devo pur accogliere questa mamma”, pensavo. Ho fatto lo stesso il prelievo al piccolo e, mentre sto chiudendo, la mamma mi dice con voce ferma: “Che Dio vi benedica, signora!”».
Riesco appena a convincere una collega della banca del sangue a rendersi ancora disponibile per questa emergenza, quando si presenta un’altra situazione grave. Erano già le 17.00. Una mamma in lacrime, senza poter pagare un’assistenza medica, col suo bambino di 4 anni in braccio, affetto da grave anemia. La mia collega, decisa, mi dice che non è più possibile accettare qualcuno. “Altrimenti perderò il lavoro”, esclama. Ero toccata da questa sofferenza. Prendo un foglio attestando per iscritto che mi facevo carico del costo della trasfusione di sangue per questo piccolo. La mia collega allora ha accettato e fatto subito la trasfusione al bambino, salvandogli così la vita. La mamma del bambino mi dice: “Dio le restituirà i soldi. Di questo sono certa!”
Tornata a casa mi sono chiesta: “Come mai, proprio alla chiusura del servizio, incontro due mamme con i bimbi così sofferenti? Leggo la Parola di Vita, una frase del Vangelo, e vi trovo conforto. La settimana seguente ricevo dal mio servizio sanitario un invito. Fra tutti i colleghi sono stata scelta per fare una formazione professionale di 3 giorni. Il contributo finanziario donatomi per la partecipazione è di 150 US$! Ecco la risposta di Dio. Per aver pagato 25 US$ per la trasfusione del sangue ho ricevuto due benedizioni e questa somma che mi permette ora di pagare anche le rette scolastiche per i miei figli». A. M. – Kinshasa, Congo/RDC (altro…)
“Start Now!” ovvero: inizia qui e adesso. A fare cosa? A costruire relazioni autentiche, a generare fiducia. Un invito che “pesa oro” direbbe qualcuno, quello che il Gen Verde ha messo a titolo del concerto-workshop, portato sul palco del Tágas Tér Festival, il 25 settembre scorso a Szeged (Ungheria) e che ha visto protagonisti, in otto workshop assieme alle artiste, anche 120 ragazzi di due scuole superiori, tra cui quelli di un istituto professionale frequentato da studenti con alle spalle anche background famigliari difficili. “Tágas Tér che letteralmente significa spazio aperto” – spiega uno degli organizzatori – “è di fatto un grande appuntamento ecumenico che mostra la rete delle centinaia di attività del mondo della solidarietà cittadina. Szeged è a 15 Km dalla frontiera con la Serbia e presente allo spettacolo c’era dunque la gente che assiste e vive quotidianamente il passaggio delle migliaia di migranti, con il mare di domande e dolore che questo porta con sé.
“On the Other Side”: dalla parte dell’altro – All’interno del concerto, molti i brani di “On the Other Side”, l’ultimo lavoro del Gen Verde, uscito meno di un mese fa. Ma qual è “la parte dell’altro”?, sarà venuto spontaneo a molti chiederselo. “È quella di chi mi sta di fronte, di chi la pensa diversamente da me; è quella persona che non stimo, che addirittura rifiuto”, spiega Adriana García, bassista messicana del gruppo. Uno show potente, coinvolgente e allo stesso tempo capace di mettere in discussione posizioni, opinioni e stili di vita come qualcuno ha detto. Perché ciò che emerge dalle musiche e dai testi è la certezza che la strada verso la soluzione a un mondo spaccato e suddiviso da muri, giunge dal saper cogliere la ricchezza insita nella diversità. Tra gli undici brani dell’album c’è la storia del sofferto cammino di un intero popolo nel pezzo “Voz de la Verdad” sul Vescovo salvadoregno Oscar Romero, o la canzone sulla divisione delle due Coree, attualissima e costruita su melodie K-pop, quasi a dire che anche tra i giovani coreani la ferita non ha ancora smesso di sanguinare. “Sono storie che non ci permettono di addormentarci nell’indifferenza – commenta una ragazza – o di dimenticare i nostri fratelli dai quali siamo separati da una frontiera. Abbiamo sentito un forte richiamo, quello di dare persino la vita nella lotta per la giustizia”. “Inutile dire che, forse anche per quello che stiamo vivendo nel nostro Paese con la questione immigrazione, il momento più forte del concerto è stata la canzone “Chi piange per te” – una dolce ninna nanna dedicata ad una bambina sepolta nella tomba azzurra del Canale di Sicilia – ha confidato un’amica che lavora nei media. E il pastore riformato Gábor Czagány, uno degli organizzatori del Festival: “Ciò che mi ha colpito di più sono stati i volti dei ragazzi delle scuole che hanno preso parte ai workshop. C’era gioia, partecipazione, impegno. S’intuiva la portata dell’esperienza fatta: sette giorni che hanno lasciato il segno. Ora tocca a noi fare in modo che tutto questo non vada perso”.
Dai giovani, una speranza di unità – Alessandra Pasquali, attrice e cantante al Gen Verde, ci tiene a puntualizzare che: “Il nostro lavoro non è salire su un palco, cantare, esibirci e ripartire: non possiamo prescindere dalla costruzione di rapporti autentici con le persone, dal ‘fiutare’ cosa vive la gente che viene ad assistere ai nostri concerti, in quali acque navigano i ragazzi con i quali facciamo i workshop”. È per questo che le video-interviste ai giovani partecipanti ai laboratori, proiettate prima dell’inizio del concerto a Szeged erano parte integrante dello spettacolo, perché di fatto lo avevano costruito. Ecco alcune delle voci dei ragazzi: “Il progetto ‘Start Now!’ mi ha aperto gli occhi: mi ha insegnato a non giudicare gli stranieri. E questo richiede lavoro: ci vuole costanza e fiducia”. “Ho imparato come dovremmo prestare attenzione gli uni agli altri”. “Ho capito l’importanza di tenere insieme una comunità e che l’umanità per essere famiglia ha bisogno della collaborazione di ciascuno”. “Sono molto contenta che la mia scuola abbia partecipato al progetto “Start Now!” con l’altra scuola. All’inizio non ci conoscevamo; c’è voluto un po’, ma poi ci siamo guadagnati la fiducia reciproca e ora posso dire che ci muoviamo come un’unica persona, siamo assolutamente contenti”. (altro…)
La partecipazione come metodo, la capacità di dialogare rispettando non solo idee e convinzioni diverse, ma anche le sofferenze dell’altro; una biodiversità che valorizzi le ricchezze culturali, il non accontentarsi della “giustizia del già, ma cercare quella del non ancora”, trasformare l’indignazione in azione collettiva per cambiare il mondo. Questi i valori che sostanziano le decine di azioni e progetti, espressione della vitalità della società civile italiana oggi. Si è conclusa con una pluralità di voci, azioni e stimoli che partono “dal basso”, in Italia e non solo la sesta edizione di LoppianoLab. Oltre 2.000 le presenze che hanno qualificato il confronto e il dialogo tra imprenditori, politici, docenti, cittadini, giovani, comunicatori e amministratori locali: insomma, la società civile nella sua molteplicità di espressione.
Mons. Nunzio Galantino, Segretario Conferenza Episcopale Italiana
Luigi Bobba, sottosegretario Ministero del Lavoro – Luigino Bruni, economista
“La vera generosità è uno scambio dalle conseguenze imprevedibili. È un rischio, perché mescola i nostri bisogni e i nostri desideri con i bisogni e i desideri degli altri.” A. Phillips e B. Taylor, Elogio della gentilezza. «Le imprese e tutte le organizzazioni restano luoghi di vita buona e intera se e fino a quando lasciano vivere virtù non economiche accanto a quelle economico-aziendali. Una coesistenza decisiva ma tutt’altro che semplice, perché chiede ai dirigenti di rinunciare al controllo totale dei comportamenti delle persone, di accettare una componente di imprevedibilità nelle loro azioni, di essere disposti a relativizzare anche l’efficienza, che sta diventando il vero dogma della nuova religione del nostro tempo. La generosità è una di queste virtù non economiche, ma essenziali anche a ogni azienda e istituzione. La radice della generosità si trova nella parola latina genus, generis, un termine che rimanda a stirpe, famiglia, nascita – è questo il primo significato della parola genere. Questa antica etimologia, oggi perduta, ci dice cose importanti sulla generosità. Innanzitutto ci ricorda che la nostra generosità ha molto a che fare con la trasmissione della vita: con la nostra famiglia, con la gente attorno a noi, con l’ambiente nel quale cresciamo e impariamo a vivere. La riceviamo in eredità venendo al mondo. È una dote che ci lasciano i nostri genitori e parenti. La generosità si forma dentro casa. Quella che ci ritroviamo dentro dipende molto dalla generosità dei nostri genitori, da come e quanto si sono amati prima che nascessimo, dalle scelte di vita che hanno fatto e di quelle che fanno mentre noi incominciamo a guardarli. Dalla loro fedeltà, dalla loro ospitalità, dal loro atteggiamento con i poveri, dalla loro disponibilità a “sprecare” tempo per ascoltare e aiutare gli amici, dal loro amore e dalla riconoscenza per i genitori. Questa generosità primaria non è una virtù individuale, ma un dono che entra a far parte della dotazione morale e spirituale di quello che si chiama carattere. È un capitale con cui arriviamo sulla terra, che si è formato prima della nostra nascita e che si alimenta della qualità delle relazioni nei primissimi anni di vita. Dipende anche dalla generosità dei nostri nonni, dei bisnonni, dei vicini di casa, e da quella di molti altri che pur non componendo il mio DNA sono comunque presenti, in modi misteriosi ma realissimi, nella mia generosità (e non generosità). È influenzata dai poeti che hanno nutrito il cuore della mia famiglia. Dalle preghiere della mia gente, dai musicisti che amo e ascolto, dai cantastorie nelle feste di paese, dai discorsi e dalle azioni dei politici, dalle omelie dei predicatori. Dai martiri di tutte le resistenze, da chi ieri ha donato la sua vita per la mia libertà di oggi. Dalle generosità infinite delle donne dei secoli passati (c’è una grande affinità tra donna e generosità), che molte volte hanno messo la fioritura della famiglia a cui hanno dato vita prima della propria – e continuano a farlo. La generosità genera riconoscenza per chi ci ha resi generosi con la sua generosità. Vivere con persone generose ci rende più generosi – proprio come accade con la preghiera, con la musica, con la bellezza …. Coltivare la generosità produce molti più effetti di quelli che riusciamo a vedere e a misurare – e lo stesso accade con la non-generosità nostra e degli altri. Lo stock di generosità di una famiglia, di una comunità, di un popolo è una specie di somma della generosità di ciascuno. Ogni generazione incrementa il valore di questo stock o lo riduce, come sta accadendo oggi in Europa, dove la nostra generazione impoverita di ideali e di passioni grandi sta dilapidando il patrimonio di generosità che ha ereditato. Un Paese che lascia metà dei suoi giovani senza lavoro, non è un paese generoso». (leggi tutto) di Luigino Bruni Pubblicato sul giornale Avvenire il 23/08/2015. (altro…)
Già giovedì appaiono i cartelli:“Welcome, Holy Father” dappertutto. Il tassista guarda il Papa alla TV e non rimane indifferente: “Lei andrà dal Papa domani? Congratulazioni!” “Il Papa attira perché è autentico”, dice un signore nel treno, non cattolico. Ha ragione. Francesco non ha bisogno di attirare attenzione o guadagnare simpatie. E così ha dato una lezione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: dallo sviluppo sostenibile e al cambiamento del clima fino ai profughi: “Non possiamo spaventarci dei numeri… dobbiamo guardare le loro facce e sentire le loro storie”, ha detto a Washington. E all’ONU: “Ogni uomo deve avere accesso effettivo ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata, acqua potabile e libertà religiosa”. Critica nuovamente e fortemente il narcotraffico, lo sfruttamento sessuale delle persone, e il traffico delle armi, come già aveva espressochiaramente al Congresso degli Stati Uniti: mettere da parte le divisioni e le lotte tra i partiti e aiutare i poveri. Gli sta a cuore la sacralità di ogni essere umano e, alla fine del suo lungo discorso, le ovazioni non finiscono. Il Papa se ne va salutando la gente dalla sua auto Fiat che veramente sembra piccolissima in mezzo alle grandi limousine.
Al Ground Zero lo aspettano per pregare insieme per la pace, 500 rappresentanti di diverse religioni. “Era così significativo per la diversità di questa nazione” ha affermato Sue Kopp, focolarina di New York, che ha potuto partecipare alla cerimonia.“A me sembrava che questo luogo sacro, segnato da così grande sofferenza, si fosse trasformato in un luogo di speranza, dove il sogno di una civiltà dell’amore diventava realtà”. “Il papa – aggiunge Joe Klock, di New Humanity (ONG internazionale accreditata all’ONU) – ha sottolineato l’importanza di costruire l’unità nella diversità, dove la pace e l’amore vero regnano tra le nazioni e i cuori di tutti. Questo ci mostra come c’è bisogno della spiritualità dell’unità che è proprio fatta per il nostro Paese!”.
Anche a New York, il Papa ha visitato alcune opere caritative, tra cui una scuola modello ad Harlem. E poi, al Central Park. 80.000 i fortunati che sono riusciti ad avere i biglietti, aspettando per ore, solo per poterlo vedere. La messa è stata celebrata al Madison Square Garden, dove normalmente riempiono i posti le star di pallacanestro e i cantanti. Le persone hanno aspettato per ore per poter entrare nella sala, ma nessuno si è lamentato. Poi la grande sorpresa: Papa Francesco è arrivato 20 minuti prima del previsto! L’altare, la sedia e l’ambone sono stati realizzati da dei semplici artigiani. È sembrato al Cardinal Timothy Dolan che il Papa avrebbe apprezzato questo di più che pezzi preziosi fatti da un designer. E qui Francesco è diventato il pastore di questa città enorme, riferendosi alla lettura dal libro di Isaia 9,1: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. Parla delle difficoltà delle città multiculturali dove non si vede la luce in mezzo a tanto smog, “Ma Gesù cammina oggi sulle nostre strade”, continua e invita tutti ad uscire verso gli altri, con un cuore di “padre misericordioso che aspetta che i suoi figli e le sue figlie ritornino a casa”. La chiesa è viva nelle città, ha ribadito il Papa, e così i cristiani devono essere testimoni della luce della Buona Novella. L’applauso non finisce più. Come in tutti i Paesi, anche negli Stati Uniti, il Papa ha toccato il cuore di ciascuno. (altro…)
È il distintivo, il segno di riconoscimento, la caratteristica tipica dei cristiani. O almeno dovrebbe esserlo, perché così Gesù ha pensato la sua comunità. Un affascinante scritto dei primi secoli del cristianesimo, la Lettera a Diogneto, prende atto che «i cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere». Sono persone normali, come tutte le altre. Eppure possiedono un segreto che consente loro di incidere profondamente nella società, diventandone come l’anima (cf. cap. 5-6). È un segreto che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli poco prima di morire. Come gli antichi saggi d’Israele, come un padre nei confronti del figlio, anche lui, Maestro di sapienza, ha lasciato come eredità l’arte del saper vivere e del vivere bene. L’aveva appresa direttamente dal Padre: «tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15), ed era il frutto della sua esperienza nel rapporto con Lui. Essa consiste nell’amarsi gli uni gli altri. È questa la sua ultima volontà, il suo testamento, la vita del cielo che ha portato sulla terra, che condivide con noi perché diventi la nostra stessa vita. Vuole che questa sia l’identità dei suoi discepoli, che vengano riconosciuti come tali dall’amore reciproco: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» I discepoli di Gesù sono riconosciuti per il loro reciproco amore? «La storia della Chiesa è una storia di santità» ha scritto Giovanni Paolo II. Essa tuttavia «registra anche non poche vicende che costituiscono una contro-testimonianza nei confronti del cristianesimo» (Incarnationis Mysterium, 11). In nome di Gesù per secoli i cristiani si sono combattuti in guerre interminabili e continuano ad essere divisi tra di loro. Ci sono persone che ancora oggi associano i cristiani con le Crociate, con i tribunali dell’Inquisizione, oppure li vedono i difensori ad oltranza di una morale antiquata, che si oppongono al progresso della scienza. Non era così dei primi cristiani della comunità nascente di Gerusalemme. Le persone erano ammirate dalla comunione dei beni che vi si viveva, dall’unità che vi regnava, dalla «letizia e semplicità di cuore» che la caratterizzava (cf. At 2,46). «Il popolo li esaltava», leggiamo sempre negli Atti degli Apostoli, con la conseguenza che ogni giorno «andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore» (At 5,13-14). La testimonianza di vita della comunità aveva una forte capacità attrattiva. Perché anche oggi non siamo conosciuti come coloro che si contraddistinguono per l’amore? Che ne abbiamo fatto del comandamento di Gesù? «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» Tradizionalmente il mese di ottobre, in ambito cattolico, è dedicato alla “missione”, alla riflessione sul mandato di Gesù di andare in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo, alla preghiera e al sostegno per quanti si trovano in prima linea. Questa parola di vita può essere un aiuto per tutti a rimettere a fuoco la dimensione fondamentale di ogni annuncio cristiano. Non è imposizione di una fede, non proselitismo, non aiuto interessato ai poveri perché si convertano. Non è neppure primariamente la difesa esigente dei valori morali o la ferma presa di posizione davanti alle ingiustizie e alle guerre, pur essendo atteggiamenti doverosi, che il cristiano non può eludere. Prima di tutto l’annuncio cristiano è una testimonianza di vita che ogni discepolo di Gesù deve offrire personalmente: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri» (Evangelii nuntiandi, 41). Anche chi è ostile alla Chiesa spesso è toccato dall’esempio di quanti dedicano la loro vita agli ammalati, ai poveri e sono pronti a lasciare la patria per andare nei luoghi di frontiera ad offrire aiuto e vicinanza agli ultimi. Ma soprattutto la testimonianza che Gesù richiede è quella di tutta una comunità che mostri la verità del Vangelo. Essa deve far vedere che la vita da lui portata può realmente generare una società nuova, nella quale si vivono rapporti di autentica fraternità, di aiuto e servizio vicendevole, di attenzione corale alle persone più fragili e bisognose. La vita della Chiesa ha conosciuto simili testimonianze, come i villaggi per gli autoctoni costruiti dai Francescani e dai Gesuiti nel Sud America, o i monasteri con i borghi che nascevano attorno. Anche oggi comunità e movimenti ecclesiali danno vita a cittadelle di testimonianza dove si possono vedere i segni di una società nuova, frutto della vita evangelica, dell’amore reciproco. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» Senza estraniarci dai luoghi che abitiamo e dalle persone che frequentiamo, se viviamo tra noi quell’unità per la quale Gesù ha dato la vita, potremo creare un modo di vivere alternativo e seminare attorno a noi germi di speranza e di vita nuova. Una famiglia che rinnova ogni giorno la volontà di vivere con concretezza nell’amore reciproco può diventare un raggio di luce nell’indifferenza reciproca del condominio o del vicinato. Una “cellula d’ambiente”, ossia due o più persone che si accordano per attuare con radicalità le esigenze del Vangelo nel proprio campo di lavoro, nella scuola, nella sede del sindacato, negli uffici amministrativi, in un carcere, potrà spezzare la logica della lotta per il potere e creare un clima di collaborazione e favorire il nascere di una insperata fraternità. Non facevano così i primi cristiani al tempo dell’impero romano? Non è in questo modo che hanno diffuso la novità trasformante del cristianesimo? Siamo noi oggi “i primi cristiani”, chiamati, come loro, a perdonarci, a vederci sempre nuovi, ad aiutarci; in una parola, ad amarci con l’intensità con cui Gesù ha amato, nella certezza che la sua presenza in mezzo a noi ha la forza di coinvolgere anche altri nella logica divina dell’amore. Fabio Ciardi (altro…)
Il figlio scomparso «Mio figlio, nell’età critica dell’adolescenza, forse per la cattiva influenza di amici, scomparve senza dare più notizie. La sera andavo fuori a cercarlo tra i barboni. La mia disperazione creò incomprensione con mio marito. Rischiavo di trascurare non solo lui ma gli altri due figli. Un giorno raccontai che andando in giro avevo incontrato tanti giovani soli che per la droga si erano ridotti sulla strada. Gli altri figli si offrirono di accompagnarmi per portare cibo e vestiario. Da allora la vita in famiglia cambiò. Quella tragedia ci aveva aperto gli occhi». (M. J. – Svizzera) In ospedale «L’ammalato grave accanto al mio letto mi confida che non crede; spera di morire al più presto. Lo ascolto a lungo, poi mi viene da dirgli: «Io penso che compito di noi uomini sia di valorizzare la vita in ogni sua tappa, sia che siamo sani (col lavoro e gli altri impegni), sia che siamo ammalati (con le cure, i dolori, le terapie, il rapporto con gli infermieri, i parenti e gli altri ammalati). La morte potrà poi venire, ma noi saremo quello che abbiamo fatto valorizzando la vita che ci è data». L’altro sembra più sereno. A sera accoglie la figlia perfino con un sorriso, lui che è sempre cupo. Forse stanotte riposerà più disteso». (D.B. – Trento, Italia) In carcere «Rosa doveva andare l’indomani a insegnare in un carcere militare fuorimano e non disponeva di auto. Mi sono offerto di farlo io, spostando diversi impegni. Il giorno dopo, durante il tragitto, ho cercato di tranquillizzare l’amica: il tempo in attesa fuori dal carcere l’avrei offerto come preghiera per lei. Così ho fatto, mentre lei era dentro. Dopo un paio d’ore l’ho vista uscire raggiante per il rapporto stabilito con i nuovi alunni; aveva sentito il sostegno della mia preghiera. Adesso si reca in carcere autonomamente, ma le resta forte l’esperienza di condivisione vissuta». (C. D. – Campania, Italia) Il militare della guardia presidenziale «Corneille è studente all’università di Kinshasa. Settimana scorsa stava lì, davanti ad una facoltà, insieme ai suoi amici. Si avvicina un militare della guardia presidenziale. Chiede aiuto per il suo bambino gravemente ammalato. Gli studenti si guardano, le mani in tasca. Anche Corneille mette le mani in tasca. Ci trova: a sinistra il foglio della Parola di Vita, a destra qualche soldino. Ci pensa un momento, poi porge i soldi al militare. Rimasti soli, gli amici dicono: “Sei matto, dare i tuoi soldi proprio a lui!”. Allora Corneille dà loro la Parola di Vita. La leggono, e poi uno dice: “Sei davvero coerente. Mi piace». (C. – Repubblica Democratica del Congo) (altro…)
Susanne Janssen – Direttrice Living City Magazine
LoppianoLab dirette streaming: Venerdì 25 Settembre ore 10,15 -13,00 Convention EdC Loppiano Venerdì 25 Settembre ore 21,00 -22,30 “Nuove idee di società, economia, e politica ripartono dall’uomo”. In dialogo con Mons. Nunzio Galantino, segretario generale CEI, Paolo Pombeni, storico e Vittorio Pelligra, economista. L’appuntamento culturale di LoppianoLab promosso dall’Istituto Universitario Sophia Sabato 26 Settembre ore 9,00 – 13,00 Convention EdC Loppiano Sabato 26 Settembre ore 10,00 – 13,00 Laboratorio: L’impegno per la giustizia sociale nelle nostre Periferie esistenziali: al centro sarà il dramma della povertà nel nostro Paese ma anche nelle diverse aree del pianeta. Si affronteranno anche le tematiche dell’emarginazione e dell’infanzia. Promotore di questo incontro come degli altri due laboratori, dialogo con l’Islam, identità sociale e comunicazione che all’interno della manifestazione fungono da punto di raccordo tra idee, progetti e prassi, è il Gruppo Editoriale Città Nuova, che, sempre il 26 settembre prossimo, presenterà attività e progetti nel corso di un incontro dal titolo “Un anno con Città Nuova”. Sabato 26 Settembre 15,30 – 17,45 Convegno centrale “OLTRE LA PAURA – Cultura del dialogo, cittadinanza attiva, economia civile”. Tanti gli ospiti. LA NOVITA’: INTERVIENI IN DIRETTA AL CONVEGNO Sarà possibile interagire con i relatori, facendo arrivare – sabato pomeriggio in tempo reale – domande tramite SMS, Whatsapp, Facebook, Twitter, E-mail. Ecco qui di seguito i contatti: Facebook: www.facebook.com/loppianolab Twitter:@LoppianoLab E-mail: convegno.loppianolab@loppiano.it Cell. e Whatsapp: 389 3452230 Ufficio stampa LoppianoLab: Elena Cardinali – mob: 347/4554043 – ufficiostampa@cittanuova.it Stefania Tanesini- mob: 338/5658244 – sif@loppiano.it Blog: http://www.loppianolab.blogspot.it Facebook: www.facebook.com/loppianolab – Twitter: @LoppianoLab