Chiara Lubich sottolinea che se vogliamo essere fedeli al carisma dell’unità, dobbiamo spalancare le porte del cuore a Gesù Abbandonato. Crescere nell’unità su tutti i fronti. Unità: parola chiave per tutti noi, parola sintesi di tutta la nostra spiritualità, conditio sine qua non per mantenere la vita che c’è ed incrementarla. […] L’unità, infatti, non si può concepire senza il dolore, senza il morire. Perché l’unità è un dono, ma è anche frutto del nostro autentico agire cristiano e non c’è espressione vera di vita cristiana senza la croce. Dobbiamo averlo sempre presente. […] Dobbiamo ricordarci sempre che abbiamo dato la vita ad uno solo: a Gesù Abbandonato. Non dobbiamo e non possiamo, quindi, barattarlo né tradirlo mai. Egli ci insegna l’immenso valore del patire proprio in vista dell’unità: è proprio per la sua croce, per il suo abbandono che ha riunito gli uomini a Dio e fra loro. Sta lì, quindi, a dirci che l’unità costa, anche se con Lui, facendo come Lui, si raggiunge. E allora, se vogliamo essere fedeli al carisma dell’unità, che lo Spirito ci ha dato, spalanchiamo ancora una volta le porte del cuore a Gesù Abbandonato e diamogli il posto migliore. […] per sottolineare un aspetto concreto di questo amore, amiamolo nelle difficoltà che comporta proprio l’unità fra noi […]. E ciò significa essere sempre pronti a vederci nuovi; vuol dire avere pazienza; sopportare; saper sorvolare; significa dare fiducia; sperare sempre; credere sempre. Soprattutto: non giudicare. Il giudizio verso gli altri, specie verso i responsabili, è terribile, è il varco attraverso il quale entra il demonio della disunità; con esso ogni bene dell’anima lentamente si dissolve, la vocazione stessa può vacillare. Curiamo dunque quest’amore per gli altri pieno di sfumature dolorose: sono l’aspetto concreto del nostro essere pronti a morire l’uno per l’altro; sono i piccoli o grandi ostacoli da superare con l’amore a Gesù Abbandonato perché l’unità sia sempre piena.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 25 ottobre 1990)Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 412.(altro…)
Politico, scrittore e giornalista, fu tra i primi focolarini sposati. Il 3 luglio 2021 la sua città natale gli intitolerà una scala mobile in centro e ricorderà il suo impegno civile e politico in un incontro presso il teatro cittadino. Un’anima spalancata sul mondo e profondamente legata alla sua terra di origine per la quale si è impegnato costantemente e coraggiosamente promuovendone lo sviluppo sociale e culturale. Spartaco Lucarini è stato un giornalista e scrittore, politico e uomo di cultura. Tra i primi focolarini sposati, ha diretto per vari anni la rivista Città Nuova dei Focolari collaborando con il centro internazionale del Movimento vicino a Roma. Qui si era trasferito con la famiglia dalla sua città di origine, Cortona in Toscana dove era nato il 6 maggio del 1924. In questa località, gioiello d’arte, ancora oggi tanti lo ricordano, soprattutto per il suo impegno in campo sociale, politico e civile. Spartaco aveva dato vita, tra l’altro, all’Azienda di Soggiorno e Turismo facendo conoscere la sua città non solo in Italia – attraverso un premio giornalistico e vari eventi – ma anche all’estero. Fin da giovane si era occupato dei problemi del territorio, tra i quali principalmente la disoccupazione e le precarie condizioni di lavoro. “Nonostante i suoi impegni di lavoro professionale ha sempre seguito con grande partecipazione e affetto le vicende di Cortona – conferma Walter Checcarelli, presidente dell’Associazione Cortona Cristiana al giornale locale “L’Etruria.it” – All’inizio degli anni sessanta ha intuito le grandi potenzialità dell’antiquariato e ha fondato la Mostra del mobile antico che, nel corso del tempo, è diventata una delle più importanti a livello nazionale. Ha dato il suo contributo come Consigliere Comunale, diventando capogruppo della Democrazia cristiana con uno stile di apertura e di dialogo, inconsueti per quegli anni di forte contrapposizione ideologica. Personalmente ricordo le sue vacanze insieme alla numerosa famiglia durante il periodo pasquale, la sua presenza e la sua preghiera il venerdì santo sono rimasti impressi in maniera indelebile nella mia mente e nel mio cuore”. E proprio in segno di riconoscenza per il suo impegno politico come Consigliere Comunale, ma anche quale riconoscimento del suo contributo come costruttore della cultura sociale del territorio, il 2 marzo 2021 il Consiglio Comunale d Cortona, all’unanimità, ha deciso di intitolargli le scale mobili che dal parcheggio dello Spirito Santo conducono in piazza Garibaldi. La cerimonia di intitolazione si terrà il 3 luglio 2021 durante il Festival di Musica Sacra alle ore 10.30 (ora italiana). A seguire un incontro presso il Teatro Signorelli di Cortona ricorderà questa figura poliedrica ed il suo contributo nel panorama politico e culturale del ‘900. L’idea di omaggiare Spartaco era nata già lo scorso anno e doveva essere inserita negli eventi in occasione del Centenario della nascita di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari (1920-2020). Poi la situazione sanitaria mondiale ha costretto a posticipare l’evento dedicato a Lucarini. Fu proprio la Lubich a chiedere a Spartaco, alla moglie Iolanda (per tutti Lalla) Castellani e ai 5 figli della coppia, di trasferirsi da Cortona a Roma per lavorare presso la sede internazionale dei Focolari. Lucarini ha contribuito anche allo sviluppo dei Movimenti “Famiglie Nuove” e Umanità Nuova” dei Focolari. Rimasto sempre legato alla Toscana, oltre che aver contribuito alla nascita della locale comunità del Movimento, offrì un importante apporto anche per lo sviluppo della cittadella di Loppiano (Incisa e Figline in Valdarno-Italia), in particolare per la nascita cooperativa agricola e della scuola internazionale per famiglie che ancora oggi hanno sede nella cittadella. Nell’aprile del 1974 gli venne diagnosticata una gravissima malattia che ne causerà la morte a soli 51 anni. Anche negli ultimi tempi, Spartaco, pur malato, tornò a Cortona. “Appariva sempre sereno – ricordava la moglie Lalla –, ma non era più quello di prima”[1]. “Mi sono trovato completamente cambiato – scriveva Spartaco – io sono un tipo molto attivo, ho un temperamento molto dinamico per cui ho sempre cercato di dare tutto me stesso; ho capito ora che non conta tanto quello che fai, conta anche non far niente. Ho scoperto il valore di “vivere dentro” più che fuori, perché vivendo dentro in stretto rapporto con Dio tu puoi arrivare alle persone più lontane, a tutti, mentre vivendo proiettato fuori puoi arrivare solo ai più vicini, a quelli che ti circondano. Credo di aver proprio visto l’essenziale. In questo secolo Maria crea un’Opera per aiutare la Chiesa, e vuole davvero far presto, vuole realizzare l’unità non solo fra noi cattolici, non solo delle Chiese, ma anche fra tutti gli uomini. Un programma al di là di qualsiasi programma umano”[2].
Lorenzo Russo
[1] Alfredo Zirondoli, Coraggio! Inchiesta su Spartaco Lucarini, Citta Nuova, 2000, p. 102. [2] Alfredo Zirondoli, Coraggio! Inchiesta su Spartaco Lucarini, Citta Nuova, 2000, p. 96-97. (altro…)
Numerose le esperienze sul “prendersi cura” da parte dei bambini dei Focolari, i gen4. Oltre a mettersi in gioco per aiutare chi è nel bisogno, chiedono agli adulti di prendersi cura di tutti i bambini nel mondo che sono in difficoltà. Le esperienze concrete dei gen4, i bambini del Movimento dei Focolari, provengono da tutto il mondo: in ogni continente si gareggia per amare il prossimo, prendendosi cura di chi è più nel bisogno. Presentiamo qui alcune delle loro testimonianze iniziando dall’India. Qui alcuni gen4 hanno deciso di prendersi cura dei poveri che vivono in strada, preparando loro un piatto caldo per la cena. Una di loro racconta: “Io e mia mamma mettevamo nelle tazze i noodles caldi, una pasta tipica di alcuni Paesi asiatici; mio fratello e mio papà li distribuivano ai poveri. Sono molti i bambini poveri che vivono in strada! Ora, ogni venerdì, ripetiamo questa azione.” In Grecia, invece, i bambini dei Focolari hanno deciso di fare compagnia agli anziani rimasti isolati nella casa di riposo a causa del Covid-19. Hanno coinvolto anche i loro amici, raccogliendo disegni con i quali hanno realizzato un cartellone molto apprezzato da tutti. Passiamo ora alla Corea, dove una gen4 ha deciso di donare i capelli ai bambini che hanno il cancro. Dopo aver coinvolto una sua amichetta, insieme hanno cominciato a farsi crescere i capelli per poterli donare, felici di aiutare chi sta vivendo una malattia. Dal Burundi, poi, arriva la notizia che molti gen4 hanno raccolto del cibo e lo hanno portato in un orfanatrofio. Questi bambini, che non possiedono molto nemmeno loro, erano tutti felici di portare dei doni ai loro coetanei! In Australia, alcuni adulti hanno distribuito del cibo a senzatetto e studenti in difficoltà economiche. I gen4 hanno voluto dare il loro contributo preparando cartoline con cui accompagnare i pacchi che venivano distribuiti. In Sud America, in Brasile, da circa due anni i gen4 della Mariapoli Ginetta hanno raccolto scatole di latte e di succo, collaborando con una ONG che ha un progetto chiamato “Brasile senza crepe”. Con questi contenitori si rivestono le crepe nei muri delle case, isolandole e impedendo l’entrata d’insetti e vengono create coperte termiche per i senzatetto. Ancora una notizia, dall’Irlanda: le gen 4 e i gen4 hanno partecipato, coinvolgendo la comunità locale, ad un’iniziativa lanciata dalle Poste irlandesi: hanno spedito cartoline e piccoli pacchetti come regalo per gli anziani soli. Infine andiamo in Portogallo: João, 7 anni, dopo aver visto un telegiornale che mostrava immagini di guerra, si è chiesto: “Noi gen4, cosa possiamo fare?”. Ha voluto telefonare all’animatrice del gruppo dei gen4. Da lì a poco è nata l’idea di sensibilizzare il mondo politico: João e sua sorella hanno scritto insieme una dichiarazione dei bambini ai politici, agli insegnanti e a tutte le autorità civili e religiose. Si legge nella dichiarazione: “Le nostre leggi parlano dei diritti dei bambini, ma dovrebbero essere più esplicite nell’imporre il dovere della cura. (…) Sappiamo che non è facile (…), ma se cambierete la vita ad un solo bambino valeva già la pena mandarvi questa dichiarazione! Se vi prenderete cura di noi, noi ci prenderemo cura del mondo!” Una delegazione di gen4 ha portato la Dichiarazione vicino al luogo in cui si svolgeva il Social Summit della Commissione Europea, a Porto. La stessa sera, la notizia è stata trasmessa in un telegiornale. La dichiarazione dei gen4, tradotta in varie lingue, si sta diffondendo in vari Paesi del mondo.
La volontà di Dio è la voce di Dio che continuamente ci parla e ci invita; è il modo di Dio di esprimerci il suo amore, amore che chiede una risposta perché egli possa compiere nella nostra vita le sue meraviglie. La verità che non passa Dopo 4 anni in India e 25 di vita senza risparmio al servizio del prossimo, con le “batterie” completamente scariche, sono rientrato in Italia per cercare di recuperare una salute che temevo irrimediabilmente compromessa. Nei lunghi mesi di inattività, di solitudine (pur circondato dall’amore dei compagni di comunità), fuori della vita così dinamica e ricca di rapporti che il mio temperamento estroverso ha sempre respirato, è avvenuto – a livello interiore, esistenziale – qualcosa di molto importante e difficile da esprimere a parole: un ritorno alla mia scelta originaria, la comprensione di una verità fondamentale. E cioè: tutto è dono, di tutto occorre ringraziare Dio, ma pronti a perdere, perché non è la verità; la verità che non passa è un’altra, ed è il proprio rapporto con Lui, l’unico ideale di sempre: Dio e basta. Contrariamente a quanto temevo, riacquistai poi la salute. Incominciò così un nuovo periodo, nella ritrovata gioia di lavorare al Suo servizio. Custodendo però nel profondo del cuore la nuova unione con Dio, nata da quella prova. (Silvio – Italia)Ero stata infermiera Colpita dal fatto che tanti medici e infermieri rischiano e anche danno la vita, dato che 30 anni prima ero stata un’infermiera (ma poi avevo cambiato lavoro) avevo deciso di iscrivermi in un ospedale come infermiera di riserva. Recentemente mi hanno chiamata a dare il mio aiuto nel reparto di terapia intensiva una volta alla settimana. È una sfida enorme per me (in questi 30 anni molto è cambiato nell’attrezzatura e nelle cure ospedaliere), ma grande è la gioia di essere ancora utile. La più grande ricompensa che avrei potuto ricevere è stata quando i miei figli, che cerco di non trascurare, si sono detti orgogliosi di me. (Martina – Repubblica Ceca)Essenzialità nuova Nell’istituto per anziani dove presto servizio come animatrice, il mio rapporto con gli ospiti era diventato affettivo. Saper indovinare come aiutare un malato di Alzheimer o pazienti con altre patologie degenerative aveva reso il mio servizio una vera rete di rapporti intensi e vivi. Poi è entrato il Covid e uno dopo l’altro si sono ammalati tutti. Per me era uno strazio sentirmi tramite tra il paziente e il parente senza poter far nulla per riempire quel vuoto. Forse aiutando un’anziana molto malata a parlare con i suoi attraverso il cellulare, ho contratto anch’io il virus. Nella mia solitudine ho compreso ancor meglio quella dei miei vecchietti e ho riscoperto il valore della preghiera. Ad ogni notizia della morte di qualcuno, il mio dolore aumentava insieme al senso di impotenza, ma anche intensificavo la preghiera, spesso non da sola ma insieme a chi rimaneva. La pandemia ci ha portati a un’essenzialità nuova, oltre quella causata dalla malattia e dalla vecchiaia. (G.K. – Slovacchia)
A cura di Lorenzo Russo
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VII, n.3, maggio-giugno 2021)(altro…)
Siamo chiamati tutti ad operare in noi questa conversione ricominciando continuamente ad amare tutti, se ci fossimo fermati; dobbiamo sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in amore verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. Ecco di fronte ai miei occhi la pagina stupenda del giudizio finale: Gesù che verrà per giudicarci e ci dirà: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”*. Leggendo quelle parole sono rimasta colpita come fosse la prima volta che le leggevo. Riscoprivo che Gesù, all’esame finale, non mi avrebbe chiesto questa o quell’altra cosa che pure devo fare, ma avrebbe puntato proprio sull’amore al prossimo. Ho cominciato, come una persona che inizia ora la sua salita a Dio, ad amare tutti, tutti quelli con cui avevo a che fare durante la giornata. E, credetelo, mi sono sentita rinata. Ho avvertito che la mia anima ha soprattutto fame di amore, fame di amare; e che qui, nell’amore verso tutti, trova veramente il suo respiro, il suo alimento, la sua vita. Il fatto è che anche prima cercavo di compiere tanti atti d’amore, ma – ora me ne rendevo conto – alcuni erano più che altro espressione d’una spiritualità troppo individuale, che si alimenta di piccole o meno piccole penitenze, che, nonostante la nostra buona volontà, possono essere occasione per noi, chiamati all’amore, di un certo ripiegamento su noi stessi. Adesso, in questa nuova tensione ad amare tutti, potevo cogliere ancora tanti atti d’amore, ma tutti finalizzati ai fratelli, nei quali vedevo e amavo Gesù. E solo qui era per me la pienezza della gioia. Carissimi, siamo chiamati tutti ad operare continuamente in noi questa conversione; dobbiamo tutti sperimentare questa specie di rinascita, questa pienezza di vita. Occorre cercare perciò, il più possibile, di tradurre in carità verso il prossimo tutte le espressioni della nostra esistenza. È nostro dovere accudire alla casa? Non facciamolo solo per motivi umani, ma perché c’è Gesù nei fratelli da amare, vestendoli, sfamandoli, servendoli. Dobbiamo svolgere qualsiasi altro lavoro? C’è Gesù nei singoli e nelle comunità ai quali portare il nostro contributo. Dobbiamo pregare? Preghiamo sempre per la nostra persona come per le altre, usando quel “noi” che Gesù ci ha insegnato nel “Padre nostro”. Siamo chiamati a soffrire? Offriamo il nostro dolore per i fratelli. È volontà di Dio trattare con qualcuno? Sempre ci sia l’intenzione di ascoltare Lui, di consigliare Lui, di istruire Lui, di consolare Lui… in una parola: di amare Lui. Dobbiamo riposare, mangiare, svagarci? Diamo a tutte queste azioni l’intenzione di volere, con questi atti, riprendere le forze per servire meglio il fratello. Facciamo ogni cosa, insomma, in vista del prossimo. Per questo, anzi perché avvenga in noi tale riconversione, teniamo in mente nei prossimi […] giorni l’impegno: “Rinascere con l’amore»”
Chiara Lubich
*Mt 25, 35.(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa 20 marzo 1986)Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 235.(altro…)
Gesù sa bene i bisogni fondamentali delle persone: essere comprese nel proprio intimo e avere, oltre al sostegno alle proprie fatiche, indicazioni chiare sul cammino da percorrere. Non perdiamo l’occasione comportarci con chi incontriamo con l’amore che lui suggerisce nel Vangelo. Con pazienza e tenacia Mio zio, ritenuto “un uomo d’onore”, viveva da anni nel Supramonte, una regione montuosa della Sardegna. Ritornava giù in paese di tanto in tanto e, quando i carabinieri venivano ad arrestarlo, lui era già lontano. Mio padre aveva cercato di tenerci lontani dai guai con la giustizia e con la famiglia dello zio, dalla quale fra l’altro ci dividevano questioni di eredità. Come cristiana, però, io aspettavo l’occasione giusta per far pace con loro. La prima si presentò con l’arrivo in paese di una cugina. Senza badare alla gente che ci osservava, andai a salutarla. Quando lei e suo marito risposero al mio saluto, tirai un respiro di sollievo: il primo passo era fatto. In seguito, saputo del ricovero in ospedale di mio zio, volli andare a trovarlo. Mia madre mi sconsigliò, dicendo che io non avevo zii. Ma per me era un fratello. Andai e lui mi accolse commosso. Col tempo, avvicinai tutti gli altri parenti. L’ultima fu la zia, quella che più ci aveva fatto soffrire: mancavo da 18 anni da lei, e tanti ce ne erano voluti perché con amore paziente e tenace la pace ritornasse fra le nostre famiglie.
(Gavina – Italia)
I bisogni degli altri Mentre sto uscendo in auto, mi accorgo che il vicino di casa sta cercando di pulire dal ghiaccio il parabrezza e gli altri vetri. Vado ad aiutarlo, mettendo da parte la mia fretta. Con un sorriso, lui chiede: “Ma chi te lo fa fare?”. Non ho risposte scontate, ma dentro di me ringrazio Dio di avermi fatto notare le necessità dell’altro prima delle mie faccende. Qualche ora dopo lo stesso vicino mi telefona: “Ero così contento per il tuo gesto che mi son detto: anch’io devo vivere accorgendomi dei bisogni altrui. E non c’è voluto molto: al lavoro, infatti, ho trovato una situazione difficile, risolta poi abbastanza facilmente col mettermi nei panni dell’altro. Grazie!”.
(F.A. – Slovenia)
Adottare un fratellino Siamo studenti di un Istituto tecnico. Da quando la nostra professoressa ci ha portato Città Nuova da leggere in classe, all’inizio certe cose ci parevano un po’ da illusi… Ma l’idea di contribuire a costruire insieme un mondo più unito, in fondo, ci pareva bella. Anche perché, man mano che andavamo avanti nella lettura, ci siamo accorti che non erano parole. Il giornale riportava notizie che non trovavamo in altri, un modo diverso di vedere gli avvenimenti. Tutto sommato, che ci perdevamo a provarci anche noi? Ci abbiamo provato. Ogni mattina, assieme alla professoressa, ci davamo una piccola “massima” da vivere. Per esempio: “Amare tutti” …chi ci aveva mai pensato? Poi ci è capitato di leggere un articolo sulle adozioni a distanza. E allora ci è venuta l’idea di farne una, tutti insieme. Quel piccolo gesto di contribuire ciascuno con una piccola somma mensile ci fa crescere anche come persone. Ormai Nader, anche se vive lontano (è un piccolo libanese), è diventato molto importante: parliamo di lui, delle sue necessità, proprio come di un nostro fratellino.
(I ragazzi della IIIB – Italia)
A cura di Lorenzo Russo
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VII, n.3, maggio-giugno 2021)(altro…)
Gesù invita a riconoscere la vicinanza amorevole di Dio e indica come agire di conseguenza: scoprire nella volontà del Padre la via per raggiungere la piena comunione con Lui.Uragano Le immagini della tv mostravano le località colpite dall’uragano e rimaste isolate, e poiché lì abitavano le nostre famiglie si può immaginare l’ansia di noi seminaristi. Capitava a proposito la Parola di vita del mese: esortava ad aver fede. Uniti, pregammo per i nostri cari e ottenemmo dai nostri formatori il permesso di raggiungerli l’indomani. Ma proprio quella notte anche la capitale fu colpita duramente: strade allagate, ponti crollati, senza elettricità… Il nostro seminario tuttavia era ancora in piedi. Partimmo ugualmente: durante quel viaggio a piedi o con mezzi di fortuna, in zattera o legati a funi per vincere la resistenza dei torrenti, infinite volte fummo costretti a deviare. E finalmente il nostro paese… irriconoscibile! Dove prima era campagna, ora c’era un lago. Dopo aver riabbracciato i nostri cari (avevano perso tutto, ma erano salvi!), ci mettemmo a disposizione del parroco per i primi soccorsi. La nuova Parola proposta per quel mese sembrava indirizzata proprio a noi, per darci coraggio e infonderlo agli altri: “Beati gli afflitti…”
(Melvin – Honduras)
L’ombrello Sapendo che dietro i poveri e gli emarginati è Cristo che chiede di essere amato, cerco di non perdere le occasioni per farlo. Per esempio, nel bar vicino casa avevo notato un povero, soprannominato Penna, bagnato fradicio, perché quel giorno pioveva. Sapendo che aveva avuto la tubercolosi, e superando una certa resistenza a farmi vedere in sua compagnia, l’ho invitato a casa, per cercagli qualcosa di asciutto. I miei sono rimasti stupiti e increduli. “Babbo, servirebbero dei vestiti…”. All’inizio papà non era molto entusiasta, poi però ha procurato un paio di pantaloni, mentre io rimediavo una giacca. Ma la pioggia non accennava a finire… Ed io, tornando alla carica: “Babbo, e se gli dessimo anche un ombrello?”. Anche quello è arrivato. Felice il povero, ma più felice io, perché ci eravamo mossi insieme per aiutarlo. Ma la cosa non è finita lì. Giorni dopo, Penna è tornato per restituirci l’ombrello. Veramente non era quello che gli avevamo dato, era più bello. Era successo che il nostro glielo avevano rubato, e qualcuno gliene aveva regalato un altro. Aveva voluto così ricambiare.
(Francesco – Italia)
L’amore non si piega con parole Poco dopo la nascita, a Mariana era stata diagnosticata una lesione cerebrale. Non avrebbe parlato né camminato. Ma Dio ci chiedeva di amarla così e ci siamo buttati nelle sue braccia di Padre. La bambina ha vissuto con noi solo quattro anni; non abbiamo mai sentito le parole papà e mamma dalla sua bocca, ma nel suo silenzio parlavano gli occhi, di una luce risplendente. Non abbiamo potuto insegnarle a fare i primi passi, ma lei ci ha insegnato a fare i primi passi nell’amore, nella rinuncia a noi stessi per amare. Mariana è stata per tutta la famiglia un dono di Dio che potremmo riassumere in un’unica frase: l’amore non si spiega con le parole.
(Alba – Brasile)
A cura di Lorenzo Russo
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VII, n.3, maggio-giugno 2021)(altro…)
Il Bala Shanti Program è un progetto nato per aiutare donne sole, per sostenerle nel garantire ai loro figli le cure necessarie, la formazione scolastica e una condizione di benessere, salute e dignità. Siamo a Coimbatore, regione a sud dell’India. Nel 1991 nasce il Bala Shanti Program un progetto che aiuta e accoglie bambini più vulnerabili e bisognosi, tra i 3 a i 5 anni, e le loro madri, spesso sole. Il programma fa parte di Shanti Ashram che è un centro internazionale per lo sviluppo culturale, sociale e sanitario al servizio dei bisogni della comunità sul territorio, ispirandosi agli ideali e agli insegnamenti di Mahatma Gandhi. “Mia nonna ha dovuto vivere sempre da sola: per questo motivo mia madre ha smesso di studiare quando frequentava le scuole medie e si è dovuta sposare quando aveva 16 anni. Questo è accaduto nel ‘78 ma oggi, dopo più di 40 anni, sento ancora storie simili o uguali a questa”. Queste le parole di Deepa, responsabile del Bala Shanti Program. Spiega infatti che, ancora oggi, i figli delle madri sole sperimentano 3 tipi di difficoltà molto grandi: la povertà, l’abbandono scolastico e l’obbligo ad un matrimonio precoce. Il Bala Shanti Program si propone dunque di aiutare queste donne a crescere i loro figli in una condizione di benessere, salute e dignità. Secondo i report delle Nazioni Unite del 2019-2020, circa il 4.5% delle famiglie in India sono portate avanti da madri sole e si stima che di queste il 38% viva in uno stato di povertà. “Una donna in India in condizioni di vulnerabilità difficilmente spera di vivere da sola: non si tratta di una scelta personale – spiega Deepa – molte di loro si trovano in condizioni di abbandono, insicurezza, sfruttamento”. L’obiettivo finale del Bala Shanti Program dunque è quello di combattere la povertà, la malnutrizione e le malattie che si sviluppano in contesti di grande disagio, costruendo una società di pace. Per fare questo, oltre agli aiuti economici, i bambini e le loro mamme vengono istruiti su temi come l’educazione, la pace, l’alimentazione sana, le norme di igiene e la leadership. Oggi esistono 9 Bala Shanti Kendra – centri di sviluppo per la prima infanzia – che accolgono più di 200 bambini l’anno. Dal ‘91 ad oggi più di 10 mila bambini hanno completato il percorso di studi e durante l’anno della pandemia da Covid-19 si sono forniti aiuti a 15 mila persone, tra bambini e famiglie. Dal ‘98 il progetto ha avviato una collaborazione con AFN Onlus, l’organizzazione no profit legata al Movimento dei Focolari che, attraverso il sostegno a distanza, aiuta a fornire ai bambini borse di studio del Bala Shanti Porgram. Sono tanti coloro che potrebbero testimoniare l’importanza del Bala Shanti Program nella propria vita, come Fathima, 45 anni: fino a pochi anni fa era un madre sola in difficoltà economiche e non sapeva come fare per crescere ed istruire suo figlio, il piccolo Aarish. Da quando il Bala Shanti Program ha iniziato a darle aiuto, la sua vita è cambiata. Aarish ha seguito dei percorsi di formazione, ricevendo una borsa di studio a distanza. “Sono stata aiutata anche attraverso provviste di cibo – spiega – mi hanno messo in contatto con medici competenti e invitato a spettacoli e danze attraverso le quali ho potuto distrarmi e pensare a qualcosa di bello. Per me è stato molto importante.” Adesso Aarish è cresciuto, ha 15 anni, è un volontario presso Shanti Ashram da 3 anni. Anche grazie al suo aiuto il Bala Shanti Program offrirà sempre più sostegno alle donne sole e ai loro figli. Così, rimane accesa la speranza che questa catena di aiuti diventi sempre più robusta e contagiosa.
Ogni giorno di fronte ad ogni azione possiamo scoprire quale volto di Gesù Abbandonato amare attraverso di essa. È questo il suggerimento di Chiara Lubich per compiere bene, perfettamente tutto quanto dobbiamo fare. Amare Gesù Abbandonato. È proprio a questo nome, che tocca così tanti aspetti della nostra vita di singoli e di comunità, che vorrei anche oggi accennare. Più precisamente, vorrei dirvi qualcosa su un modo particolare di amare Gesù Abbandonato, porta, via alla nostra santità. […] Dovunque abbiamo la possibilità meravigliosa di amarlo, di sollevarlo, di consolarlo, di porre rimedio a mali concreti, espressioni di Lui. E ciò è una grande grazia. Per questo lavoro siamo sempre in contatto con Lui, con Gesù Abbandonato, e amandolo possiamo costruire la nostra santificazione. Però c’è modo e modo di amarlo. Si può amarlo tanto, si può amarlo poco. E ciò significa: si può con questo amore contribuire ad una nostra grande santità o ad una piccola. […] I santi hanno cercato e cercano, per la gloria di Dio, quell’amore che dà il massimo rendimento. Scriviamo la nostra storia per donare la nostra esperienza? Facciamolo bene, benissimo, ascoltando con grande attenzione la sua voce dentro di noi che getta luce sul nostro passato e presente, quella luce che piace a chi ascolta e che attira. Prestiamo attenzione a quanto quella voce ci suggerisce e a quello che corregge. Facciamo ogni cosa con impegno, con il massimo impegno. Smettiamo di ritoccare il nostro lavoro solo quando quella voce non ha più nulla da dirci. Non strapazziamo mai l’Opera di Dio. Non facciamo mai opere imperfette. Facciamo dunque tutto bene, tutto benissimo. […] Di fronte a qualsiasi opera che intraprendiamo, cerchiamo di scoprire quale volto di Gesù Abbandonato possiamo amare con essa, e lanciamoci a farla perfetta. Opere, dunque, perfette per amore di Gesù Abbandonato e costruire così la nostra santità, la nostra grande santità.
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Loppiano 20 febbraio 1986) Tratto da: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 232. (altro…)
La testimonianza dei volontari della “Casa de los Niños”, di Cochabamba (Bolivia), opera che si ispira alla spiritualità dell’unità, impegnati ad accudire senza sosta i contagiati dal COVID-19 e a portare consolazione ai moribondi. Siamo tornati a percorrere le strade della nostra città con un po’ di incoscienza e molta ingenuità. Questo virus mette paura a tutti. Sprona ad isolarsi gli uni dagli altri. Ma siamo coscienti dell’importanza e della necessità di ciò che ci viene richiesto con somma urgenza. Per questo non ci tiriamo mai indietro. Anche se manteniamo le dovute precauzioni. I test che realizziamo puntualmente ogni settimana continuano a darci risultati negativi. Forse qualcuno stende una mano misericordiosa sulla nostra ingenuità. Qui, è iniziata la stagione fredda e i contagi Covid-19 sono aumentati esponenzialmente. Siamo arrivati a cifre mai raggiunte. Gli ospedali pubblici sono al collasso. Si muore nelle auto, in attesa che si liberi un letto… Anche nelle cliniche private, altamente costose, i ricoveri sono stati sospesi. Non si trova più ossigeno e ci sono lunghe file per le ricariche nei soli due luoghi adibiti a questo servizio a pagamento. Una bombola di 6 m3 dura meno di 5 ore! Le medicine specialistiche sono reperibili solo sul mercato nero: ogni fiala ha un costo che si aggira intorno a 1300 euro! Quest’anno le persone colpite dal virus sono molto più giovani. Andiamo a portare ossigeno e medicine là dove siamo chiamati. Abbiamo i permessi per poter circolare tutti i giorni e a tutte le ore. Il nostro pulmino, molto spazioso, si è trasformato in ambulanza e, spesso e purtroppo, in un carro funebre a costo zero. Il tempo scorre rapidamente per chi si trova in necessità e fatica a respirare, per cui anche noi corriamo e non ci rimane il tempo per pensare a noi stessi. Portiamo ossigeno e medicine, ma, a dire il vero, ci impegniamo soprattutto a portare semi di speranza. Ci capita di conoscere per la prima volta coloro che visitiamo, ma subito si stabilisce una sorta di complicità reciproca che apre varchi alla speranza. E, piano piano, la paura si scioglie e vediamo le persone sorridere serene. Portiamo con noi anche la corona del Rosario. Non è un amuleto magico. No. È la corona di noi che vogliamo affidare le grandi afflizioni e i dolori di questo tempo, di tanti fratelli e sorelle, al cuore della nostra Mamma del cielo. Fa parte della terapia dell’ossigeno: dà aria al cuore di chi soffre! Ci troviamo, ogni sera, per la preghiera comunitaria della nostra cittadella, sul prato all’aperto, davanti alla bella cappella, che accoglie le storie di tanti dei nostri bimbi che sono già volati in cielo. Preghiamo davanti alla statua della “Virgen de Urcupiña”, patrona di Cochabamba, che porta in braccio Suo Figlio. La nostra è una preghiera che sale dritta al cielo e che vuol fissare i nomi di tanti che abbiamo visitato durante il giorno. Chiediamo per ognuno una luce dal cielo, necessaria per illuminare la notte del loro dolore.
I volontari della “Casa de los Niños” – Cochabamba (Bolivia)