Migliaia di studenti universitari hanno denunciato l’imperante sistema di corruzione nella maggiore università statale del Paese, l’Università Nazionale di Asunción (UNA). Una lunga primavera australe che si è conclusa con le dimissioni a catena delle autorità accademiche e negoziando la riforma di uno statuto concepito nel tempo della dittatura. I giovani universitari hanno sorpreso tutti con la loro serietà ed organizzazione. Durante il mese circa in cui il campus è stato occupato, hanno creato un vero e proprio “Stato alternativo”. Turni di guardia alle porte, controlli a borse e bagagliai affinché non fossero introdotti alcolici, efficienti commissioni per l’alimentazione e servizi essenziali, l’organizzazione di un calendario di lezioni suppletive, con l’aiuto di professori e studenti degli ultimi anni; e ora, con un calendario di esami per non far perdere il semestre a nessuno. Hanno dimostrato, inoltre, l’intelligenza di non farsi strumentalizzare da nessuno. Indicato da molti come figura ispiratrice, Papa Francesco, che aveva incontrato migliaia di giovani nella sua visita al Paraguay. Il suo appello a “fare confusione e poi a organizzarla”, è stato accolto in pieno. Tra gli animatori della rivolta pacifica #UNAnotecalles (“UNA non tacere”), i giovani dei Focolari. La parola ad Alejandra e Cecilia, studentesse di Medicina e Ingegneria, rispettivamente: «Tutto è cominciato con un sit-in di fronte al Rettorato, per dimostrare la nostra indignazione riguardo alle più recenti denunce di corruzione. Ogni giorno si svolgeva una manifestazione pacifica con microfono aperto a studenti, professori e funzionari. Poi si è aggiunta una veglia permanente attorno all’edificio, con sciopero studentesco e l’esigenza delle dimissioni del rettore e dei suoi collaboratori. Il sostegno della cittadinanza, anche attraverso l’invio di alimenti ed altro, ci ha dato la forza per non cedere nella lotta, facendoci capire che era una battaglia di tutti. Dopo 40 giorni abbiamo ottenuto le dimissioni del rettore, di altri 5 funzionari e l’imputazione di altri 38 e poi, le dimissioni di tutti i decani delle facoltà. Per noi è stato fondamentale vivere questa tappa insieme ai gen che studiano alla UNA, e anche con gli altri, che ci facevano sentire il sostegno in vari modi. Certi della promessa di Gesù che se ci uniamo nel Suo nome Lui è con noi, abbiamo cercato che così fosse. Egli ci è stato di luce per difendere i valori evangelici di amore, verità e giustizia, e per superare i momenti difficili che non sono mancati. A volte non era facile contenere la folla che pareva lasciarsi portare dalle emozioni. In quei momenti, quando non era chiaro ciò che fosse più giusto fare, ci cercavamo per capire insieme come comportarci e che scelta promuovere.
Leticia, studentessa di Lavoro Sociale, racconta: «All’inizio mi sentivo un po’ confusa. Non avevo mai vissuto personalmente un’esperienza così, con tanti giovani, gridando slogan, reclamando diritti e occupando l’università. Mi chiedevo perché succedevano queste ingiustizie, e cosa potevo fare io come cristiana. Ho capito che dovevo stare con gli studenti, al servizio, cercando di comprendere le ragioni di tutti, anche di giovani pieni di risentimento; di lavorare con tutti e dare coraggio nei momenti di scoraggiamento». Un suo intervento nel quale invitava gli studenti a “non avere paura” di eventuali repressioni, o di perdere l’anno “perché qui ci giochiamo il tutto per tutto”, è stato diffuso nelle reti sociali. Per José, studente di Fisica, «andare controcorrente era cosa di ogni giorno. Ma si vedeva un grande amore concreto tra tutti i giovani presenti al campus. Credo che la ribellione che si viveva e si vive è sinonimo di gioventù e, per un cristiano, significa imitare uno dei“ribelli”più grandi della Storia: Gesù di Nazareth. Era ed è il momento di imitarlo, non solo al campus, ma anche negli altri ambiti della vita, per essere una generazione fedele ai Suoi ideali».Essere operatori di pace
Essere operatori di pace
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