Lug 19, 2018 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Ai piedi di due piccole montagne, nel cuore dell’Argentina, La Falda è una cittadina della provincia di Córdoba, situata su un dolce pendio montagnoso, parte di un rinomato circuito turistico nella Valle di Punilla. È qui che abitava, fino a quattro anni fa, la famiglia Bongiovanni: Esteban e Victoria, insieme ai loro due figli. Poi, inaspettata, una svolta e il trasferimento a San Marcos Sierras, poco più a nord. È la risposta, generosa, alla richiesta di andare a vivere all’Hogar Sierra Dorada, una casa di accoglienza per minorenni che sulle loro giovani spalle portano già troppi e gravi problemi. Storie di maltrattamenti, violenza, abbandono, sottoalimentazione. Attualmente il centro ospita 28 ragazzi. «Prima di arrivare a l’Hogar, avevamo una pessima idea delle case di accoglienza per minori, come quelle che si vedono nei film, dove i ragazzi e i bambini vengono picchiati o maltrattati. Invece abbiamo trovato una realtà molto diversa, come una grande famiglia. Ci sforziamo di migliorare la loro situazione e di svuotare dal di dentro la violenza e le condizioni in cui hanno vissuto, in modo che capiscano che la cosa normale, alla loro età, è vivere in pace, giocare e studiare». L’obiettivo della Casa, fondata quasi vent’anni fa da Julio e Patricia Laciar e sostenuta da una fondazione senza scopo di lucro che opera, con vero spirito cristiano, nella provincia di Córdoba , è quello di migliorare le loro condizioni di vita e di aiutarli a reintrodursi nel proprio contesto famigliare o in famiglie adottive. All’inizio Julio e Patricia Laciar non avevano nulla, tranne il desiderio di voler migliorare la situazione di tanti ragazzi. Poco a poco, grazie alla solidarietà di tante persone, questa realtà è cresciuta: oggi la Fondazione Sierra Dorada gestisce quattro Case-Laboratori: San Marcos Sierras (dove vivono Victoria e Esteban), Embalse de Río Tercero, Rumipal e Salsipuedes, oltre a vari programmi di accompagnamento familiare, borse di studio per volontari e numerose altre attività.
Seduti a un tavolo nella sala da pranzo esterna, Victoria e Esteban spiegano: «Tante persone dimostrano una grande solidarietà, specie quando cominciano a coltivare un rapporto con i ragazzi. Ci sono giovani stranieri che intraprendono stage di assistenza sociale, ma anche studenti universitari argentini. Il nostro lavoro inizia con l’accoglienza. Dal momento del loro arrivo, cerchiamo di contenerli, di dare loro amore, come una mamma e un papà. Con l’aiuto di uno staff di psicologi, cerchiamo di dare un ordine alla loro vita. A cominciare dall’uso dello spazzolino per i denti, a lavarsi ogni giorno, a mettersi vestiti puliti, fino ad educarli a essere responsabili dei loro compiti e a scuola». Con un grande sorriso, Victoria sceglie una delle decine di storie che potrebbe raccontare. «Qualche settimana fa siamo andati tutti in un hotel, dove eravamo stati invitati per il fine settimana. Non avevo rifatto il mio letto, pensando: siamo in un hotel. Poi però mi sono accorta che i ragazzi avevano lasciato tutte le loro stanze in perfetto ordine, anche i bagni erano impeccabili. Allora sono tornata di corsa nella mia stanza per rifarmi il letto, perché mi ero resa conto che solo io non l’avevo fatto». «Cerchiamo di vivere bene questa vocazione al servizio. Ma, certamente, non è sempre necessario lasciare tutto, la propria città e la propria casa, e andare a vivere in una casa per bambini. Si può farlo ovunque, con chi ci sta accanto. A partire dalle cose più piccole, come cedere il posto ad una persona anziana sull’autobus, o guidare la macchina senza aggressività. È dai piccoli gesti che cominciano e si diffondono le buone azioni». E conclude Esteban: «Abbiamo capito che Dio non ci abbandonerà mai se facciamo le cose bene, senza aspettarci nulla in cambio, con umiltà e fiducia. E la realtà è che così facendo … funziona». Fonte: United World Project (altro…)
Lug 3, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Parlare di Spiga Dorata significa narrare la storia di un grande desiderio di spendersi per i più poveri, convertito in una meravigliosa follia imprenditoriale. Un progetto che nel tempo ha generato tanto e raggiunto numeri importanti, sfidando ostacoli e minacce di un luogo spesso ostile come quello della periferia metropolitana del Brasile. L’iniziativa fa da apripista al progetto EdC che Chiara Lubich lancia proprio da San Paolo nel 1991, poiché i primi tentativi di vendita in strada della panetteria risalgono al 1988, e da subito incarnano visione, valori e coraggio di questo nuovo approccio rivoluzionario nel fare economia. «Era un periodo di forte crisi – racconta Adriana Valle, italiana in Brasile da 38 anni e responsabile dell’attività –, risorse economiche limitate, inflazione e disoccupazione pesanti. In questo scenario un gruppo di ragazze, unendo singole competenze, tenta una piccola produzione di prodotti da forno, con cestino alla mano nei marciapiedi fuori dall’attuale Mariapoli Ginetta, nei pressi di Vargem Grande Paulista». Dopo un paio di vendite improvvisate, la produzione si interrompe, ma con sorpresa varie auto di passaggio continuano a chiedere delle “ragazze del pane e del sorriso”. Si decide, allora, di proseguire l’attività dando accoglienza e lavoro a mamme e giovani, permettendo loro di formarsi e sostenersi. Non ci sono ancora nette idee imprenditoriali, tuttavia i clienti aumentano, la cordialità dietro al bancone attira. Nel ’94, l’attività viene spostata dalla strada ad un piccolo spazio chiuso, mentre prende forma il Polo Industriale EdC nelle vicinanze della cittadella. Si crea un secondo punto vendita dall’altra parte della strada, nei pressi di una favela: l’obiettivo è dare la possibilità alle persone che vi risiedono di acquistare il pane senza pericolo di attraversare una strada ad alta velocità.
Le due attività vanno avanti sotto il nome – dato dalla stessa Chiara Lubich – di Spiga Dorata I e II, dal grano maturo che emana luce sotto il sole. Il desiderio è quello di offrire uno sguardo fraterno, luce, armonia; un ambiente in cui ci si senta accolti e sollevati. Mentre l’attività procede, c’è chi demolisce a priori l’idea di impresa basandosi solo sui numeri limitati degli inizi (“con mezzo sacco di farina non si va da nessuna parte”); e chi, invece, ci crede e prende parte allo sviluppo del progetto. Come due imprenditori che, stupiti dal grande lavoro portato avanti, seppur nello spazio limitato delle strutture, contribuiscono finanziariamente. Danno così la possibilità di evitare i licenziamenti e di ristrutturare le istallazioni, offrendo un luogo più degno per i clienti e ampliando l’offerta con altri prodotti di qualità.
Numerose le storie vissute tra quei banconi: chi torna da lontano per provare quell’energia positiva che trova dietro al caffè, e chi, in un sorriso, ritrova la voglia di ricominciare. Nemmeno le difficoltà mancano. In quell’ambiente di periferia i locali subiscono diversi assalti. In uno degli ultimi, davanti alla pistola puntata con la pretesa dell’incasso, Adriana trova il coraggio di dialogare con i rapinatori. Dimostra sincera preoccupazione per il loro destino, una volta fuori dal locale. Il gesto di rispetto ed empatia è così efficace che fa togliere la maschera e disarma quei ragazzi. Dopo quell’episodio, di assalti non ce ne sono più stati. I locali, oggi, hanno un organico di 20 lavoratori fissi e 15 giovani che si alternano, impastano 10 sacchi di farina al giorno e servono da 1200 a 1500 clienti. Nei weekend offrono, a chi ha più potere d’acquisto, una varietà di pani speciali, piatti semipronti, pasticceria per le feste, gelato artigianale, garantendo sempre prezzi accessibili per i clienti quotidiani più poveri. Oltre a creare posti di lavoro e sprigionare autentico amore, la missione generativa di Spiga Dorata sta anche nel creare contatti di vicinanza tra diverse categorie sociali: il povero si sente parte della famiglia, il benestante torna, contribuisce e ringrazia per la possibilità non di donare, ma di ricevere! Fonte: EdC online (di Francesca Giglio) (altro…)
Giu 3, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«Il flusso di migranti alla frontiera cresce di ora in ora. La crisi economica, che sta mettendo in ginocchio il Paese, accomuna nel dolore chi rimane e chi decide di fuggire». Dalle parole di Silvano Roggero, venezuelano figlio di italiani, si percepisce il dramma vissuto da un intero popolo. Da tre anni si trova nel focolare di Lima, in Perù. «I Paesi vicini, con la generosità tipica di queste terre, nonostante le enormi difficoltà provocate dall’entrata improvvisa ed inaspettata di centinaia di migliaia di persone, cercano di offrire accoglienza. Sono testimone diretto di uno dei tanti drammi che sta vivendo oggi l’“umanità di periferia”. Proprio ieri mi ha scritto la direttrice di una scuola della penisola di Paraguaná, nel nord del Venezuela. C’è un insolito movimento in segreteria, diversi genitori si stanno presentando per ritirare i figli. Sono costretti a partire!». Un esodo dalle proporzioni bibliche, causato da una crisi economica e sociale gravissima, che sta stravolgendo la stessa fisionomia del Venezuela. L’inflazione è alle stelle e scarseggiano drammaticamente cibo, medicinali e materie prime. «Dallo scorso mese di dicembre anche Ofelia e Armando, della comunità dei focolari di Valencia (la terza città del Venezuela), sono arrivati a Lima. Prima gestivano un asilo infantile. Con Ofelia coltiviamo un sogno: trovare un locale in cui offrire una prima accoglienza agli sfollati che arrivano a frotte, dopo un viaggio via terra di circa sette giorni. Si parla di circa 300 mila venezuelani arrivati in Perù nell’ultimo anno e mezzo! Con Ofelia – continua Silvano – abbiamo organizzato una cena di accoglienza nel focolare per un piccolo gruppo di venezuelani. Alcuni già conoscevano il movimento, ma c’era anche chi non sapeva niente del nostro gruppo. Gli ospiti sono arrivati da diversi punti della città, lontani anche un’ora o due. Non si orientano ancora molto bene in questa metropoli di quasi dieci milioni di abitanti». Sembra una goccia nel mare, ma il desiderio è quello di accoglierli come fosse Gesù in persona a presentarsi alla porta.
«Come si può immaginare, di fronte alle loro difficili situazioni non avevamo soluzioni “precostituite”. Nemmeno sapevamo da che parte cominciare, però, quello sì, potevamo offrire un pasto caldo e ascoltarli! Uno di loro era stato derubato: abili borseggiatori gli avevano portato via dallo zainetto il cellulare e tutto quanto aveva per sopravvivere. Un altro non sapeva quali documenti presentare per il permesso di soggiorno. Ofelia, già ben addentro alla pratica, avendo fatto tutta la trafila, ha offerto la sua esperienza. Un altro ancora ha raccontato di aver trovato un lavoretto, a più di due ore di distanza, per 10 euro al giorno (ma c’è chi è disposto a lavorare anche per soli 4 euro). C’era anche chi aveva un “curriculum” troppo eccellente e per questo non era considerato, nella paura che volesse sottrarre il posto di lavoro al responsabile di turno. Ma, quel che più ci ha commosso, è stato condividere le storie, vedere le foto e sentire parlare ognuno della propria famiglia».
«Per tutti, la prima necessità è ora trovare un lavoro, non importa se si dorme per terra, anche senza materassino, o si mangia poco. Il sogno più grande è quello di mandare ogni tanto a casa una ventina di euro. Ci siamo accordati per restare collegati tra noi. In focolare erano arrivati da poco, da una raccolta nella comunità, che chiamiamo “fagotto”, una piccola somma e due giacconi pesanti. Provvidenziali, perché sta per iniziare la stagione fredda. Abbiamo distribuito tutto. Quattro ore dopo, mentre stavamo per alzarci da tavola, è arrivato un nuovo SOS, questa volta proveniente da una persona che vive nelle Isole Canarie. “Undici ragazzi si sono incamminati a piedi dal Venezuela, diretti a Lima. Sono disperati, senza soldi né telefoni, hanno solo quanto indossano. Fra loro il cugino di una mia amica. Potreste aiutarli? Soprattutto per evitare che cadano nelle mani di qualche malfattore o di gruppi organizzati che vogliano approfittare della loro fragilità. Calcoliamo che impiegheranno circa 30 giorni”. Nuovi arrivi, nuove persone busseranno alla porta. Ma hanno tutte lo stesso nome, Gesù. Un ospite d’eccezione. Lo aspettiamo». Chiara Favotti (altro…)
Mag 22, 2018 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Lo scorso 16 maggio si è svolta, presso il Centro Mariapoli Arnold del Movimento dei Focolari a São Leopoldo (nel sud del Brasile) la 18° edizione di “Noite Musical ecumenica”, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vi hanno partecipato sette cori di varie confessioni cristiane di Vale dos Sinos e Porto Alegre. “La Serata musicale – spiega Marines Silva, responsabile del Centro Mariapoli – rappresenta un momento di comunione tra cori di diverse Chiese cristiane, nell’ambito del dialogo ecumenico per il quale lavoriamo ogni giorno”. In un clima fraterno e gioioso, l’evento ha radunato circa 400 persone, appartenenti alle chiese Avventista del 7° giorno, Evangelica luterana, Cattolica, Battista, al JUAD, alle Missionarie di Cristo Risorto e alla Comunità di lode e adorazione Emanuel. Ha partecipato anche la Coral Integracion, scuola di canto per la Terza età. Il tema scelto per questa edizione è stato “La mano di Dio ci unisce e libera” (Es 15, 1-21). Nel corso degli anni, la Serata musicale ecumenica ha riunito oltre 5 mila persone. (altro…)
Mag 20, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Nasce da un sogno, come le altre cittadelle dei Focolari sparse nel mondo. Negli anni ‘50, in Svizzera, dopo aver contemplato dall’alto di una collina la meravigliosa abbazia benedettina di Einsiedeln, Chiara Lubich ebbe l’idea che un giorno anche la spiritualità dell’unità avrebbe espresso qualcosa di simile: «Una piccola città, con tutti gli elementi di una città moderna, case, chiese, scuole, negozi, aziende e servizi. Una convivenza di persone di diverse condizioni, legate dal comandamento di Gesù: “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”». Quelle parole sono diventate realtà dapprima a Loppiano, in Italia, poi in altre 24 piccole città, le “cittadelle” appunto. Tra queste la “Mariapoli Lia”, in mezzo alla “pampa” argentina. Carlos Becaría, uruguaiano, attualmente corresponsabile della cittadella, faceva parte del gruppo dei pionieri: «Non c’era ancora nulla. Ma c’era un’ispirazione profetica. Vittorio Sabbione, tra i primi focolarini, ci disse: “Siete qui perché avete scelto Dio. Non mancheranno i disagi, e allora dovrete pensare a Gesù in croce. Non vi offro niente di già fatto: dovrete costruire tutto voi”. Rimanemmo, perché in quell’utopia ci credevamo».
La “Mariapoli Lia” , nella località di O’Higgins (Provincia di Buenos Aires), è intitolata a Lia Brunet (25 dicembre 1917 – 5 febbraio 2005), una delle compagne della prima ora di Chiara Lubich, da lei inviata “pioneristicamente” per portare il carisma dell’unità nel continente latinoamericano. Trentina, come la fondatrice dei Focolari, venne definita una “rivoluzionaria” per la radicalità con cui ha vissuto il Vangelo in un continente segnato da forti problematiche sociali tese a cambiarne il volto. Di certo non immaginava, mentre dava un forte impulso alla nascita e allo sviluppo della cittadella di O’Higgins, che un giorno avrebbe portato il suo nome. “Lia”, come Loppiano in Italia, recentemente visitata dal Papa, e come le altre cittadelle nel mondo, vuole essere il segno tangibile di un sogno che si sta realizzando, quello di una umanità più fraterna, rinnovata dal Vangelo. Oggi ospita circa 220 abitanti stabili, ma ne accoglie ogni anno a centinaia, specie giovani, per periodi più o meno lunghi di formazione. Nei suoi pressi sorge il polo imprenditoriale “Solidaridad”, ispirato al progetto dell’Economia di Comunione.
Oltre 250 persone hanno partecipato alla fine del mese di aprile ai festeggiamenti, che proseguiranno durante l’anno, per il 50° dalla fondazione della “Mariapolis”, alla presenza di autorità ecclesiastiche, rappresentanti di diversi movimenti, chiese cristiane, fedeli ebrei e persone di convinzioni non religiose. «Arrivammo di notte – ricorda Marta Yofre, una delle prime ragazze arrivate dove stava sorgendo la cittadella -. Ebbi una sensazione di impotenza, ma anche una certezza: sarebbe stata Maria a costruirla». Nieves Tapia, fondatrice del Centro Latinoamericano di apprendimento e servizio solidale, ha frequentato negli anni ‘80 la scuola di formazione per i giovani: «Qui ho imparato ad amare la mia patria come quella altrui e ad allargare il cuore a tutta l’America Latina». Adrián Burset, musicista e produttore artistico, è cresciuto nella Mariapoli Lia. «Senza esserne cosciente, ho ricevuto in regalo di vivere come se fosse normale qualcosa che invece è rivoluzionario: l’amore al prossimo». Per Arturo Clariá, psicologo, master Unesco in Cultura della Pace, quanto vissuto nella cittadella venti anni prima è «un marchio che non potrò mai cancellare, la dimostrazione che l’amore trascende la vita».
Il Vescovo di Mercedes–Luján, Mons. Agustín Radrizzani: «Commuove costatare il significato che ha avuto per la nostra patria e per il mondo. Ci unisce la pace universale e l’amore fraterno, illuminato dalla grazia di questo ideale». Mentre Eduardo Leibobich, dell’Organizzazione Ebrea per il dialogo interconfessionale, ricorda le numerose “Giornate della pace” realizzate nella Mariapoli, il pastore metodista Fernando Suárez, del Movimento ecumenico dei Diritti Umani, sottolinea che «la tradizione metodista ha sempre lavorato per l’unità, cercando di realizzare il messaggio di Chiara». Infine Horacio Núñez, della Commissione internazionale del Dialogo tra persone di convinzioni diverse:«Invito a unire le forze, è troppo bello l’ideale di un’umanità libera e uguale, affratellata dal rispetto e dall’amore reciproco». Gustavo Clariá (altro…)