Nov 2, 2017 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Una storia appassionante la sua. Inizia quando i genitori, giovanissimi, attraversano a nuoto il fiume Mekong, lasciandosi alle spalle il regime del loro Paese, il Laos, per raggiungere la Thailandia. Da qui, dopo immani vicissitudini, approdano in Italia accolti da una famiglia a loro sconosciuta che risiede a Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari. Ed è proprio nella casa di Raffaella e Roberto Cardinali che Sengsoury (“raggio di sole” in laotiano) e la sorella gemella Sourinia vengono al mondo, il 12 settembre 1979. Fin da piccola Senny manifesta una spiccata attrattiva per lo spirito evangelico di unità e di amore che anima la cittadella di Loppiano e a nove anni chiede il battesimo prendendo il nome di Francesca. Impegnata con entusiasmo nel Movimento Gen, da adolescente è in prima linea, con Sourinia, nella preparazione del Supercongresso 1997. A 23 anni il coronamento di un sogno: trascorrere un intero anno alla Mariapolis Lia, la cittadella argentina dei Focolari cui convergono giovani di ogni parte del mondo. Un’esperienza che la porterà ad una scelta ancor più radicale di Dio e ad un amore sempre più concreto e raffinato verso le persone che incontra. Sengsoury ama comporre poesie e testi di canzoni che insieme alla sorella canta con la sua bella voce accompagnandosi con la chitarra. È iscritta ad una scuola per estetiste a Firenze. Chi la conosce parla di lei come di una ragazza che affascina per la sua particolare sensibilità, la naturale eleganza, gli occhi pieni di luce. Ma anche di una persona che per la sua determinazione a seguire Gesù, lascia spiazzati. È fidanzata con Marco e insieme fanno progetti per il futuro. Nel 2004, a 25 anni, una grave e fulminante malattia autoimmunitaria le cambia l’esistenza. Quattro anni più tardi detta ad un’amica una lettera a Chiara Lubich nella quale descrive la sua situazione: «Ho una rara malattia che mi ha portata a difficoltà motorie, nell’uso della parola e a forti dolori – a volte lancinanti – alle ossa e ai muscoli. In questi anni, grazie al sostegno dei miei ‘nonni’ Raffaella e Roberto, a quello dei giovani del focolare e di tanti del Movimento, ho cercato di trasformare i momenti di dolore in “gocce” d’amore per Gesù: le lunghe degenze in ospedale, le cure, i controlli. Nel periodo di Natale sono stata accolta in una struttura vicino a Firenze per la riabilitazione. Ma una broncopolmonite alimentare mi ha costretta ad un nuovo ricovero in ospedale. Ho tanto sofferto, non solo fisicamente. Mi chiedevo perché proprio io in questa situazione. Sono la più giovane del reparto, devo essere alimentata tramite sondino, tenere la maschera dell’ossigeno. Ho visto infrangersi tanti sogni: il matrimonio, il lavoro, il desiderio di viaggiare, suonare la chitarra, cantare. A volte sento Gesù lontano; mi rivolgo a Maria, ma anche lei non è vicina a me. Ma sempre mi arriva la risposta: da una riflessione, uno scritto spirituale, una parola dettami da chi mi viene a trovare. E mi torna la pace e con essa la forza di dire “per Te Gesù” in ogni situazione, come passare la notte in bianco per i forti dolori. Non voglio mollare. Chiedo a Gesù di aiutarmi a farcela e a realizzare il disegno che Dio ha su di me. Vorrei tanto farmi santa!».
La comunità del Movimento si attiva in mille modi: dal sostegno economico e morale ai suoi genitori, all’alternarsi accanto a lei anche con momenti di festa e di condivisione; mentre dal suo letto Sengsoury diffonde un amore unico. Ad un gen confida: “C’è solo il presente!” e con un filo di voce si mette a cantare rivolta a Gesù “O’ sole mio”. È sempre più determinata ad offrirgli ogni sofferenza e di trasformarla – come ama dire – in “pepite d’oro”. Il 16 settembre 2008 entra in terapia intensiva. Nei giorni che precedono la sua dipartita, il 24 settembre, diventa più che mai quel “raggio di sole” che sconfigge ogni tenebra ripetendo tanti “sì” a Gesù. Chi le sta vicino li percepisce da un cenno degli occhi o una stretta di mano. Per loro, per il personale del reparto e per tutti i giovani del Movimento, anche lontani, che l’accompagnano con la preghiera, Sengsoury è – come indica il suo nome – un vero “raggio di sole”, un esempio luminoso, autentica testimone del Vangelo fatto vita. (altro…)
Ott 26, 2017 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
È attualmente una delle più grandi banche rurali delle Filippine. Ma quando Francis Ganzon (67 anni), ne aveva preso la guida, nel 1989, aveva una sola filiale. Da allora, l’Istituto si dedica al sostegno e al potenziamento delle piccole e medie imprese (PMI), mediante l’offerta di servizi finanziari di qualità, “con una forza lavoro unita a Dio”, come si legge nel sito della Banca, alla voce “mission”. Dopo la laurea in Legge, Ganzon si dedica al salvataggio di un Istituto, la Ibaan Rural Bank, Inc. (IRB), coinvolto in casi di frode.«Ho promosso uno stile di lavoro diverso, puntando sul rispetto delle leggi, sulla professionalità e sulla centralità delle persone, e promuovendo nuove pratiche in linea con i valori cristiani». Ganzon fa proprio lo spirito dell’Economia di Comunione, la rete internazionale di imprenditori impegnati a mettere in pratica la Dottrina sociale della Chiesa. «In seguito, abbiamo creato la fondazione Ibaan Rural Bank, con l’obiettivo di estendere i programmi di microcredito anche a studenti meritevoli ma in difficoltà economiche, attraverso delle borse di studio. La crisi finanziaria asiatica del 1997 ha colpito anche la nostra banca, ma non abbiamo chiuso grazie alla fiducia dei nostri clienti. Nello stesso anno, la Banca ha celebrato i 40 anni di vita e l’abbiamo rinominata Bangko Kabayan, con un ulteriore sforzo per fornire a persone bisognose di un aiuto la possibilità di accedere a microcrediti per elevare il proprio tenore di vita».
«Molti clienti – continua Ganzon – non disponevano di garanzie collaterali, ma per noi erano persone comunque degne. Questo ha creato un rapporto di fiducia reciproca: la banca si fidava delle persone, concedendo dei prestiti, e i clienti si fidavano della banca. In questo modo la Bangko Kabayan ha avuto un forte impatto sociale, migliorando la vita di molte persone e di tante piccole imprese. In seguito, è diventata il fornitore di credito preferito dalle PMI nella nostra regione, aprendo 23 filiali nelle province di Batangas, Quezon e Laguna». Nel prossimo futuro, la Bangko Kabayan sarà impegnata a costruire un portafoglio equilibrato di prestiti e tesoreria e a investire ulteriormente nelle nuove tecnologie, in particolare nella Internet banking. Bangko Kabayan ha ricevuto finora diversi riconoscimenti. Nel 2007, ha ricevuto il miglior Capital Build-up nei PremiLandbank ed è stata inclusa tra i migliori cento istituti, a livello mondiale, per il microcredito. Dal 2008 al 2011 e ancora nel 2013 e nel 2015, è stata nominata, nella regione dove ha sede, partner della Banca Terra delle Filippine. Ha ricevuto inoltre l’accesso Microenterprise al premio MF EAGLE dei servizi bancari dal 2003 al 2007 e ancora nel 2010 e nel 2011. «La determinazione e l’integrità saranno sempre ricompensati» conclude Ganzon. «Attendo con ansia il giorno in cui le transazioni bancarie potranno essere fatte con una stretta di mano invece che sulla carta». (altro…)
Ott 23, 2017 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ritorno «Papà è morto quando avevo 14 anni. La mamma, molto più giovane di lui, faceva soffrire tanto noi figli: usciva con gli amici, beveva… finché ci ha abbandonati, per unirsi a una persona che si divideva tra lei e un’altra famiglia. Quando i miei fratelli si sono sposati, mi sono trovata a vivere da sola e attribuivo la colpa di tutte le mie sofferenze a mia madre. Non riuscivo a perdonarla. Eppure mi dicevo cristiana. Quando ho focalizzato che lei non poteva darmi quello che a sua volta non aveva ricevuto, mi è stato chiaro che toccava a me, che avevo ricevuto la grazia del Vangelo, prendere l’iniziativa. È stato un processo lento. Ho cominciato a farle telefonate ogni tanto, a visitarla portandole qualche regalino, a pregare per lei. Se prima mi sentivo vittima delle circostanze, ora scoprivo che la vera felicità è amare senza aspettare niente in cambio. Anche col suo compagno il rapporto si è fatto man mano più sereno e cerco di non condannarlo. Ora faccio da ponte tra i miei fratelli e la mamma, nella certezza che un po’ alla volta anche loro ritorneranno a lei». (Alenne – Brasile) Una tazza di tè «Ero in un bar quando ho notato che una signora anziana stava chiedendo una tazza di tè. Era molto povera e il barista, immaginando che non avrebbe potuto pagare, ha rifiutato di dargliela. In tasca avevo pochi spiccioli, ma sarebbero bastati: così avrebbe fatto Gesù, ho pensato. Allora ho detto al barista: «Dai pure il tè alla signora, pagherò io». Con mia grande sorpresa ha risposto: «Non sarebbe giusto. La tua generosità mi ha fatto capire che è molto più semplice per me, che sono il proprietario del locale, offrirglielo». Bastava iniziare!». (John Paul – Pakistan) Amore centuplicato «Da diversi anni lavoro in un centro per tossicodipendenti, per lo più giovani, che nonostante le loro fragilità e sofferenze, lottano per reinserirsi in una vita normale. Lavoriamo insieme in cucina, ogni giovedì, per preparare il pranzo. Pensavo di essere io utile a loro. Invece sperimento che l’amore donato mi viene restituito centuplicato. Ho capito che se ci sforziamo di accogliere il fratello così com’è, con le sue debolezze e i suoi trascorsi dolorosi, come farebbe Gesù, con l’occhio della misericordia, possiamo sperimentare la speranza in un futuro più sereno». (Graziella – Italia) Il mio limite «Quando parlo in pubblico mi tremano le mani e mi si annebbia la mente. Ho provato ad accettarlo e cercare, invece, di fare qualcosa di concreto per gli altri. Ho cominciato con piccoli gesti: aiutare mia madre nelle faccende di casa, o i miei fratelli a fare i compiti, oppure chiamo mia nonna che vive sola e vado a trovarla portandole qualche fiore o un dolcino. All’università cerco di interessarmi a chi ha meno successo negli esami. Così facendo la mia vita non solo è cambiata ma mi sono quasi dimenticata del mio limite».(J. M. – Germania) (altro…)
Ott 11, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Siamo appena tornati da tre giorni tra i profughi Karen, a Mae Sot, al confine con Myanmar. Un’esperienza molto forte, come tutte le esperienze a contatto col dolore delle persone». A scrivere è Luigi Butori. Da molti anni vive nel sud est asiatico, in uno dei focolari della regione. «Abbiamo caricato il pulmino, più di 30 scatoloni, arrivati dall’Italia, e siamo partiti con Glauco e Num, un gen buddhista. Ormai è consuetudine, ogni 3 o 4 mesi facciamo questo viaggio di circa 500 km». Mae Sot è una città della Thailandia occidentale, in prossimità del confine con il Myanmar. È un importante nodo di collegamento con il paese vicino, luogo di riparo per molti rifugiati e migranti in generale. Questi vivono in pessime condizioni economiche e sociali: “Questa è la nostra gente” scrive Luigi. Chi di loro ha un’occupazione nelle imprese agricole o nelle industrie della zona a volte è vittima anche di sfruttamento, con paghe ‘da fame’. Ma essendo clandestini, non possono accampare diritti sulla sicurezza o su un salario decoroso. Una moltitudine di profughi ha trovato rifugio nei campi allestiti dalle numerose organizzazioni internazionali presenti nell’area di confine, in territorio thailandese. Tra le decine di etnie perseguitate, molti appartengono al popolo Karen. La loro è una storia poco conosciuta: quella di un popolo, semplice e contadino, costretto a fuggire. Questo è uno dei tanti conflitti etnici trascurati però dai media che lo declassano al rango di conflitto “di bassa intensità”.
«Avevamo pianificato questo viaggio da molto tempo assieme a Padre Joachim, un sacerdote birmano che abita a Mae-Sot. Jim, un altro focolarino di Bangkok, ci ha raggiunto la mattina, dopo un viaggio di 10 ore in autobus, di notte, con tanti controlli lungo la strada. Ogni volta, arrivati a Mae Sot, sembra di entrare in un altro mondo, dove i valori cambiano. Al posto del consumismo e delle comodità, avviciniamo gente che non ha nulla, ma è felice del poco che riceve da noi, e che ci arriva da tanti amici, vicini e lontani. Sanno che veniamo solo per amore: “Questo amore che ci portate è per noi la ragione per continuare a vivere e a sperare”, ci hanno detto, più di una volta. Abbiamo mangiato insieme lo stesso cibo che mangiavano loro: e questa è già una testimonianza che parla da sola. Una sera siamo andati in mezzo ai campi, potrei definirlo in mezzo “al nulla”, col nostro pulmino che quasi affondava nel fango, circondati da granoturco. E tutto per prendere una famiglia cattolica e poi ripartire per un altro posto, dove ci attendevano una quarantina di cattolici, per la S. Messa. Era buio, pioveva ed il luogo era pieno di zanzare: eravamo sotto una tettoia di una grossa capanna con una piccola luce. Ho pensato spontaneamente alle belle cattedrali di Roma, dove per cinque anni ho vissuto: ai dipinti, agli organi e alle belle luci. Quella capanna aperta, con tante zanzare, con quella luce molto tenue e con tutti noi seduti per terra, mi, ci è sembrata una basilica romana. Perché Gesù era lì spiritualmente con noi, in mezzo a quella gente che non ha niente».
Da alcuni anni Luigi è l’anello di congiunzione di un gemellaggio che lega i bambini Karen di Mae Sot con quelli di Latina e con gruppi di Lucca (Italia) e Poschiavo (Svizzera). Con i fondi e gli oggetti raccolti si è potuta costruire e avviare una piccola scuola, chiamata “Goccia dopo goccia”. «Noi delle classi quarte abbiamo incontrato Luigi – scrivevano gli alunni della scuola primaria “C. Goldoni” di Latina –. Eravamo felici di rivederlo, ma soprattutto curiosi di avere notizie dei nostri amici Karen e della loro scuola. Lui ci ha portato fotografie e le informazioni di come procedono le cose laggiù. Siamo rimasti sorpresi nel vedere che quello che a noi sembra del tutto normale (un bagno, un ponte di legno) per loro è fondamentale per migliorare la vita quotidiana. Grazie al progetto “Goccia dopo goccia” possiamo costruire un ponte di solidarietà con i nostri amici lontani». (altro…)
Ott 5, 2017 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Dopo essermi laureata in lingue e relazioni internazionali, sono partita per il Libano per proseguire lo studio dell’arabo e immergermi finalmente in quella realtà mediorientale che tanto mi affascinava. Forse è strano iniziare a raccontare un’esperienza partendo dalla fine, dal momento del distacco, ma è proprio in questi momenti che più si capisce la portata dell’esperienza vissuta. Preparando il ritorno in Italia, il mio pensiero è tornato all’inizio e mi sono chiesta come fosse possibile che il mio tanto atteso e amato anno in Medio Oriente fosse già finito. Ho cercato di ricordare la persona che ero undici mesi prima, pensando quasi con incredulità all’inquietudine che mi aveva preso prima della partenza, quando, nonostante sapessi già che il Medio Oriente non è solo quello che si vede in televisione, vedendo le reazioni spesso impaurite delle persone che scoprivano il mio progetto, mi sono chiesta se partire fosse un’idea sensata. Volendo però assicurarmi che i miei dubbi non avessero origine solamente dalla paura, sono partita! Ho ricordato la ragazza che muoveva i primi passi nella caotica Beirut con l’impressione che tutti la guardassero perché straniera. Nel giro di pochissimo tempo, però, le persone mi fermavano per strada chiedendomi informazioni in arabo, scambiandomi per una libanese. Forse era più il mio sguardo prevenuto nei loro confronti che non il contrario! All’inizio emergeva involontariamente la diffidenza nei confronti del nuovo ambiente, che mi impediva di uscire da me stessa e voler bene alle persone che mi passavano accanto: non avevo ancora capito che l’ambiente che mi circondava era semplicemente diverso e non pericoloso.
Mi sono resa conto di quanto il mio sguardo nei confronti del Libano sia cambiato nel corso dell’anno: dapprima coglievo soprattutto le differenze rispetto all’Italia; poi, mi sono velocemente innamorata di questo paese, della sua ricchezza e varietà religiosa, culturale, paesaggistica e storica; di un popolo che, nonostante il recente passato doloroso, è stato in grado di vivere nuovamente, cristiani e musulmani, fianco a fianco; della spontaneità e dell’accoglienza della sua gente e… della sua fantastica cucina! Ho poi faticato a recuperare un po’ di obiettività nel guardare ad un paese che, come tutti gli altri, vive le sue contraddizioni, come grande povertà e ricchezza ostentata che convivono a poca distanza. Col pensiero ho ripercorso il mio anno in Libano, durante il quale molti aspetti della vita che dall’Italia sembrano pericolosi o strani, una sfortuna o un disagio, sono diventati parte della mia quotidianità (per niente infelice, anzi!), fino al momento dei saluti. Quando ho detto ai bambini siriani rifugiati che aiutavo nei compiti che sarei tornata in Italia, mi hanno salutato con un semplice “ciao”, facendomi capire che siamo tutti importanti e nessuno indispensabile. Rendermi conto che probabilmente non saprò mai cosa ne sarà di loro è stato un grande dolore. Ho dovuto salutare gli amici conosciuti, a cui devo così tanto, sperando con tutto il cuore di rivederli, ma senza poterne essere davvero sicura. È stato uno strappo capire che tra noi stava calando di nuovo la distanza, non solo geografica, ma soprattutto burocratica. Lasciarli sapendo che tra me e loro tornavano ad esserci una frontiera e visti con procedure a volte esasperanti è stata una sensazione insopportabile. Avevo intuito fin dall’inizio che sarebbe finita così, ma vivere il momento del distacco è stato davvero difficile. Ma adesso so che questo dolore è il prezzo da pagare per essere “uomo-mondo”, come diciamo noi gen. Ora, dopo aver lasciato pezzi di cuore in giro per il mondo, un mondo unito non è più solo qualcosa che sarebbe bello ci fosse: un mondo senza frontiere diventa un’esigenza. (altro…)