Ago 30, 2021 | Chiara Lubich
La pandemia è ancora in corso, mentre le crisi economiche e sociali generate da essa si aggravano; la situazione ambientale del pianeta appare drammatica ed i conflitti in alcune aree del mondo non sembrano attenuarsi. Che fare? Per Chiara Lubich il rimedio è uno solo: la fraternità universale. Fare dell’umanità una sola famiglia. Iniziando dalle piccole, concrete, quotidiane azioni di ciascuno. Di fronte alle molteplici difficoltà di rapporti fra mentalità così opposte, fra popoli così diversi, culture così lontane fra loro, religioni con la presenza di estremisti che le distorcono, uno solo è il rimedio: la fraternità universale, fare dell’umanità una sola famiglia con Dio Padre e tutti gli uomini fratelli. E questo come? Chi è meglio abilitato a ciò? Non c’è dubbio: uno che ha saputo morire per il proprio ideale, ma poi risorgere e dare a tutti questa possibilità, è Gesù. Dobbiamo puntare a riportarlo sulla terra attraverso di noi, essere noi altro Cristo, altro Amore incarnato, Santità, Perfezione, com’è Lui. È questa l’ora di tendere decisamente alla perfezione. Ma in che consiste la perfezione? Ho riletto recentemente, in un lavoro sulla vita spirituale, parole meravigliose di Padri e santi della Chiesa, di grosso calibro. Le conosciamo, forse, ma non sarà inutile in questo momento ricordarle. Per tutte queste persone eminenti della Chiesa la perfezione consiste nel non fermarsi mai nella propria crescita, perché chi non va avanti, va indietro. E, giacché il nostro è un cammino dell’amore, la perfezione sta nel crescere sempre nella carità. Amare, dunque, amare sempre meglio. Sempre meglio. Come? Fissando lo sguardo sul nostro perfetto modello: […] Dio Amore. […] San Francesco di Sales dice: «Chi non guadagna, perde; per questa scala chi non ascende, discende; chi non vince, rimane sconfitto»*. È impressionante questa radicalità che l’amore esige. Ma tutto in Dio è radicale. […] Difficile? Facile? Provare e vedere. Ogni attimo darsi alla volontà di Dio, all’altro, al fratello che dobbiamo amare, al lavoro, allo studio, alla preghiera, al riposo, all’attività che dobbiamo compiere. E ciò sempre meglio: ché altrimenti si va indietro. Un aiuto per comportarsi così è ripetere ad ogni azione, anche la più semplice e banale: «Questa è la più bella cosa che posso fare in questo momento». […] In questo modo ci alleniamo anche noi per l’impresa che ci attende tipicamente nostra: la fratellanza universale.
Chiara Lubich
Da “Conversazioni in collegamento telefonico” Citta Nuova ed. pag. 620 – Castel Gandolfo, 27 settembre 2001 * Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio, III, 1, Città Nuova, Roma 2011, p. 222. (altro…)
Ago 23, 2021 | Chiara Lubich
Chiara Lubich ci ricorda che siamo tutti chiamati al dialogo. E se viviamo momenti della giornata da soli, possiamo fare ogni cosa in funzione dei fratelli e delle sorelle, come veri “apostoli del dialogo” …ogni qual volta abbiamo da fare con uno o più fratelli o sorelle, direttamente o indirettamente: per telefono o per scritto, o in quanto ad esso e a loro è finalizzato il lavoro che facciamo, le preghiere che eleviamo, ci sentiamo tutti in perpetuo dialogo, chiamati al dialogo. Come? Aprendoci ad esso – al fratello, alla sorella -, ascoltando con l’animo vuoto cosa il fratello vuole, cosa dice, cosa lo preoccupa, cosa desidera. E, quando ciò è avvenuto, subentrare noi col dare quanto è desiderato, e quanto è opportuno. E se ho momenti ed ore dove devo dedicarmi a me stessa (per mangiare, riposare, vestirmi, ecc.), fare ogni cosa in funzione dei fratelli, delle sorelle, tenendo sempre presenti coloro che mi attendono. In tal modo e solo in tal modo, con un continuo vivere la “spiritualità dell’unità” o “di comunione”, posso concorrere efficacemente a fare della mia Chiesa “una casa ed una scuola di comunione”; a far progredire, con i fedeli delle altre Chiese o Comunità ecclesiali, l’unità della Chiesa; col realizzare, con persone d’altre religioni e culture, spazi sempre più vasti di fraternità universale. […] Sentiamoci allora tutti “apostoli del dialogo” e viviamo da tali. Un dialogo a 360 gradi, certamente, ma partendo col piede giusto: amando ogni fratello che incontriamo con la misura del dono della vita
Chiara Lubich
Da “Conversazioni in collegamento telefonico” Citta Nuova ed. pag. 667, – 2004 (altro…)
Ago 16, 2021 | Chiara Lubich
Chiara Lubich ci ricorda che il regno di Dio appartiene a chi assomiglia ad un bambino. Perché il bambino si abbandona fiducioso al padre e alla madre: crede al loro amore. Così il cristiano autentico, come il bambino, crede all’amore di Dio, si getta in braccio al Padre celeste. Gesù sconcerta sempre con il suo modo di fare e di parlare. Si discosta dalla mentalità comune che vedeva i bambini insignificanti dal punto di vista sociale. Gli apostoli non li vogliono attorno a lui, nel mondo degli “adulti”: non farebbero che disturbare. Anche i sommi sacerdoti e gli scribi, “vedendo i fanciulli che acclamavano nel tempio “Osanna al figlio di David”, si sdegnarono” e chiesero a Gesù di riportarli all’ordine. Gesù invece ha tutto un altro atteggiamento davanti ai bambini: li chiama, li stringe a sé, stende le mani su di loro, li benedice, li pone addirittura come modello ai suoi discepoli: “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. In un altro passo del Vangelo Gesù dice che se non ci convertiamo e non diventiamo come i bambini non entreremo nel regno dei cieli. Perché il regno di Dio appartiene a chi assomiglia ad un bambino? Perché il bambino si abbandona fiducioso al padre e alla madre: crede al loro amore. Quando è nelle loro braccia si sente sicuro, non ha paura di niente. Anche quando attorno a sé avverte che c’è un pericolo, gli basta stringersi ancora più forte al papà o alla mamma, e subito si sente protetto. A volte lo stesso papà sembra porlo in posizioni difficili, per rendere più emozionante un salto, ad esempio. Anche allora il bambino si lancia fiducioso. È così che Gesù vuole il discepolo del regno dei cieli. Il cristiano autentico, come il bambino, crede all’amore di Dio, si getta in braccio al Padre celeste, pone in lui una fiducia illimitata; niente gli fa più paura perché non si sente mai solo. Anche nelle prove crede all’amore di Dio, crede che tutto quello che succede è per il suo bene. Ha una preoccupazione? La confida al Padre e con la fiducia del bambino è sicuro che egli risolverà tutto. Come un bambino si abbandona completamente a lui, senza fare calcoli. I bambini dipendono in tutto dai genitori, per il cibo, il vestito, la casa, le cure, l’istruzione” Anche noi, “bambini evangelici”, dipendiamo in tutto dal Padre: ci nutre come nutre gli uccelli del cielo, ci veste come veste i gigli del campo, sa ciò di cui abbiamo bisogno, prima ancora che glielo chiediamo, e ce lo dona. Lo stesso regno di Dio non lo si conquista, lo si accoglie in dono dalle mani del Padre. Ancora, il bambino non fa il male perché non lo conosce. […] Il “bambino evangelico” mette tutto nella misericordia di Dio e, dimentico del passato, inizia ogni giorno una vita nuova, disponibile ai suggerimenti dello Spirito, sempre creativo. Il bambino non sa imparare a parlare da solo, ha bisogno di chi gli insegni. Il discepolo di Gesù non segue i propri ragionamenti, ma impara tutto dalla Parola di Dio fino a parlare e a vivere secondo il Vangelo. Il bambino è portato ad imitare il proprio padre. Se gli si chiede cosa farà da grande spesso dice il mestiere del padre. Così il “bambino evangelico”: imita il Padre celeste, che è l’Amore, ed ama come lui ama: ama tutti perché il Padre “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”; ama per primo perché lui ci ha amato quando eravamo ancora peccatori; ama gratuitamente, senza interesse perché così fa il Padre celeste… È per questo che Gesù ama circondarsi dei bambini e li addita come modello. […]
Chiara Lubich
Parola di Vita. ottobre 2003 In Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, Opere di Chiara Lubich, Città Nuova, 2017, pag. 702 (altro…)
Ago 9, 2021 | Chiara Lubich
Chiara Lubich ci invita a guardare a Gesù come ad uno specchio, come invita Santa Chiara nelle lettere ad alcune sue consorelle. uno specchio, che, nella sua umanità, riflette la divinità. Oggi possiamo chiederci: siamo noi, in qualche modo, specchio di Gesù? Lo siamo per gli altri? Nelle lettere ad Agnese di Praga*, che fanno parte di vari scritti in cui dice la sua esigenza di fedeltà radicale al Vangelo, (Santa) Chiara invita le sorelle a guardare a Gesù come ad uno specchio: uno specchio, che, nella sua umanità, riflette la divinità. “Colloca i tuoi occhi – scrive – davanti allo specchio dell’eternità, (Gesù) (…); e trasformati interamente (…) nella immagine della divinità di Lui.” (FF 2888) […] Santa Chiara sollecita dunque Agnese a guardare allo Sposo, ma anche ad imitarlo rifacendo le stesse scelte, gli stessi atti, gli stessi gesti. […] Ma oggi possiamo chiederci: siamo noi, in qualche modo, specchio di Gesù? Lo siamo per gli altri? A questo proposito vorrei ricordare un nostro sogno dei primi tempi. Dicevamo: “Se per ipotesi assurda tutti i Vangeli della terra venissero distrutti, noi desidereremmo vivere in maniera tale che gli uomini, considerando la nostra condotta, vedendo, in certo modo, in noi Gesù, potessero, riscrivere il Vangelo: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ (Mt 19,19), ‘Date e vi sarà dato’ (Lc 6,38), ‘Non giudicate…’ (Mt 7,1), ‘Amate i vostri nemici…’ (Mt 5,44), ‘Amatevi a vicenda’ (cf Gv 15,12), ‘Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20).”
Chiara Lubich
Berna (Ch), 11 agosto 2002, intervento di Chiara Lubich alla festa di santa Chiara * Religiosa dell’ordine di Santa Chiara (altro…)
Ago 2, 2021 | Chiara Lubich
Chiara Lubich cita San Francesco e la sua “perfetta gioia” e ci invita a provare, davanti ad un dolore di una rinuncia, un distacco, una prova o una malattia, la pienezza del significato: “Sei tu Signore l’unico mio bene”. Un giorno san Francesco, veramente innamorato del suo Signore, in viaggio verso Assisi, d’inverno, scalzo, mezzo assiderato dal freddo, spiegò a frate Leone dov’era “la perfetta gioia, la perfetta letizia”. Non stava tanto nel fare miracoli e risuscitare morti; non nel profetare e nel parlare tutte le lingue; ma nell’essere pronti a ricevere le ingiurie dei fratelli del convento a cui erano diretti conservando la carità, “perché sopra tutte le grazie e i doni dello Spirito Santo – diceva – vi è quello di vincere sé medesimi e volentieri; per lo amore di Cristo, sostenere pene, ingiurie e disagi”. Era lì, per lui, la «perfetta letizia». Proviamo anche noi. Quando ci accorgiamo che il dolore (d’una rinuncia, d’un distacco, d’una prova, d’una malattia) si avvicina, ripetiamo con san Francesco: “Qui è perfetta letizia”, che è come dire, con pienezza di significato: “Sei Tu, Signore, l’unico mio bene”. Un pensiero forte, vero? e implacabile. Ma è con azioni come queste che nella vita si può progredire, anzi volare; si può lasciare una scia luminosa e trascinare molti.
Chiara Lubich
Perfetta letizia, Collegamento CH – Castel Gandolfo, 17 dicembre 1998 (altro…)