Movimento dei Focolari

Chiamati al dialogo

La via d’eccellenza per superare divergenze di qualsiasi tipo e creare comunione ed unità è – come insegna Chiara Lubich – il dialogo. Lo possiamo vivere anche quando dobbiamo dedicarci a noi stessi. Siamo tutti chiamati a rispecchiare in noi la Santissima Trinità, dove le tre divine Persone sono in eterno dialogo, eternamente uno ed eternamente distinte. ln pratica, per tutti noi significa che ogni qual volta abbiamo da fare con uno o più fratelli o sorelle, direttamente o indirettamente – per telefono o per scritto, o in quanto ad esso e a loro è finalizzato il lavoro che facciamo, le preghiere che eleviamo – ci sentiamo tutti in perpetuo dialogo, chiamati al dialogo. Come? Aprendoci ad ogni prossimo, ascoltando con l’animo vuoto cosa egli vuole, cosa dice, cosa lo preoccupa, cosa desidera. E, quando ciò è avvenuto, subentrare noi col dare quanto è desiderato, e quanto è opportuno. E se ho momenti ed ore dove devo dedicare a me stessa (per mangiare, riposare, vestirmi, ecc.), fare ogni cosa in funzione dei fratelli, delle sorelle, tenendo sempre presenti coloro che mi attendono. In tal modo e solo in tal modo, con un continuo vivere la “spiritualità dell’unità” o “di comunione”, posso concorrere efficacemente a fare della mia chiesa “una casa ed una scuola di comunione”; a far progredire, con i fedeli delle altre chiese o comunità ecclesiali, l’unità della Chiesa; col realizzare, con persone d’altre religioni e culture, spazi sempre più vasti di fraternità universale.

Chiara Lubich

Tratto da: Chiara Lubich, Chiamati a rispecchiare la Trinità, in: Città nuova, 5/2004, pag. 7. (altro…)

Dalla cultura della fiducia al primato delle relazioni

Ad un gruppo di focolarini, il 19 settembre scorso Maria Voce ha raccontato quanto le sta a cuore in questo momento. Riportiamo stralci di questo discorso spontaneo.

L’ha definito “un passo nuovo” e lo sta comunicando alle comunità dei Focolari nel mondo. Ciò che ora sta più a cuore alla presidente dei Focolari Maria Voce potrebbe essere riassunto in una parola: “relazioni”. Un nuovo invito che sembra dar compimento ad una parabola iniziata 12 anni fa, nei primissimi giorni del suo insediamento alla presidenza dei Focolari, quando ha invitato tutti a vivere secondo la “cultura della fiducia”, per costruire con impegno relazioni generatrici di una convivenza sociale pacifica e rispettosa delle diversità. Oggi, al termine del suo secondo mandato, a pochi mesi dall’assemblea dei Focolari e in un tempo segnato profondamente da questa lunga crisi pandemica ed economica, Maria Voce torna su uno dei temi chiave della sua presidenza: la centralità delle relazioni, viste nell’ottica del carisma di Chiara Lubich. Un invito, ancora una volta, a lavorare in rete e in comunione con quanti – singoli, comunità e organizzazioni – puntano nella stessa direzione, quella della fraternità. “Mi è risultato tanto forte questo pensiero: che Chiara nel ’43 si trovava di fronte a questo mondo disastrato, dove tutto crollava, e Dio le diceva: non è vero che tutto crolla. C’è una cosa che non crolla: è Dio, Dio solo! E Chiara cos’ha fatto? È andata fuori a dire: c’è Dio, Dio ci ama, questo Dio è al di là della guerra. Questo era quello di cui c’era bisogno in quel momento. Gesù è venuto sulla terra e non è venuto da solo, perché sicuramente dove c’era Gesù, che era il Figlio di Dio, c’era tutta la Trinità. Quindi è venuto Dio Trinità sulla terra per farci la strada, per insegnarci a vivere alla loro maniera. E a fare che cosa? A trasformare il mondo. Ma questo che cosa significa? Significa rapporti, significa relazioni, significa uguaglianza, significa ascolto reciproco, significa l’uno nell’altro, l’uno perdersi per l’altro. Stamattina pensavo a questo e dicevo: lui è venuto sulla terra e cosa ha fatto? Passeggiava per le vie della Galilea, e cosa ha trovato? Un funzionario probabilmente corrotto che riscuoteva le tasse; ha trovato un ragazzo giovane affascinato da queste parole che lui diceva; ha trovato un piccolo imprenditore, Pietro, che aveva la barca. E li ha chiamati, e ha avuto il coraggio di trasformarli nei suoi apostoli, che vuol dire in persone inviate per continuare a portare il suo messaggio fino agli ultimi confini della terra. Poi chi altri ha trovato? Ha trovato gente di tutti i tipi, ha trovato la peccatrice, ha trovato il morto, ha trovato quelli che avevano fame, e che cosa ha fatto? Ha moltiplicato i pani, ha fatto risuscitare i morti, cioè si è occupato dei bisogni degli altri, stando in mezzo agli altri. Poi è arrivato addirittura a trascinare dietro di sé questa folla che lo seguiva. Che cosa vuol dire questo? Lui ha fatto la comunità, cioè ha fatto una comunità capace di ascoltare gli altri, di accorgersi che parlavano un’altra lingua, però di sentirli nella loro lingua. Che cosa vuol dire? Capaci di accogliersi fino in fondo, capaci di comprendersi anche quando uno parla diversamente, capace di accettarsi fino in fondo. Ha trasformato questa gente nella sua fraternità, nella sua comunità, e li ha messi a vivere la solidarietà fra di loro, perché quando avevano fame ha detto: “Dategli voi da mangiare”; quando ha guarito quell’altra che stava male con la febbre, ma poi l’ha messa a servire; la bambina che ha risuscitato l’ha ridata alla famiglia in modo che la famiglia potesse occuparsene. Cioè, non ha distrutto niente di quello che c’era, ma li ha trasformati! E che cosa dobbiamo fare noi? Dobbiamo trasformare il mondo, essendo noi questo Gesù. Dobbiamo portare questi rapporti trinitari. E non c’è altra strada se non scegliere Gesù abbandonato, che vuol dire sapersi perdere l’uno nell’altro, saper fare emergere l’altro. Allora Dio Padre continuerà a creare cose nuove, e lo Spirito Santo continuerà ad illuminarci”.

A cura di Stefania Tanesini

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Un modo nuovo di vedere le cose

Non avere preferenze e non aspettarsi una ricompensa: ecco la semplice ma rivoluzionaria ricetta di Chiara Lubich per un amore che può cambiare il mondo – anche oggi. “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 17). (Questa frase) parla […] dell’“uomo nuovo” (cf Ef 4,24) che, mediante il battesimo e l’adesione alla fede, si è stabilito in noi […] con un modo nuovo di vedere le cose, di agire, di amare. […] Com’è fatto questo amore? […] Essendo una partecipazione all’amore stesso, che è in Dio, che è Dio, si differenzia da quello umano in infinite maniere, ma per due aspetti soprattutto è diverso: l’amore umano fa delle distinzioni, è parziale, ama certi fratelli, come ad esempio quelli del proprio sangue, o quelli colti o ricchi o belli o onorati o sani o giovani…; quelli di una certa razza o categoria, e non ama, o almeno non così, gli altri. L’amore divino, invece, ama tutti, è universale. La seconda differenza sta nel fatto che nell’amore umano, in genere, si ama perché si è amati; e anche quando l’amore è bello, si ama nell’altro qualcosa di sé. C’è sempre qualcosa di egoistico nell’amore umano, oppure si attende ad amare quando l’interesse ci porta ad amare. L’amore divino soprannaturale, invece, è gratuito, ama per primo. Se vogliamo quindi lasciar vivere l’“uomo nuovo” in noi, se vogliamo lasciar accesa in noi la fiamma dell’amore soprannaturale, dobbiamo anche noi amare tutti ed amare per primi. Dobbiamo insomma essere come Gesù, altri Gesù. Gesù è morto in croce per tutti: il suo amore è stato universale. E con quella morte ha amato per primo.

Chiara Lubich

  (in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 8 gennaio 1987) Tratto da: “Amare tutti, amare per primi”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 269. Città Nuova Ed., 2019. (altro…)

Amore che si vede

L’amore cristiano non è solo un atteggiamento interiore, ma si dimostra con fatti concreti, con atti che si vedono, a partire da un semplice sorriso. È questo l’invito che lancia Chiara Lubich nel seguente scritto. Ed anche se il sorriso in questo periodo di pandemia forse si nasconde dietro alle mascherine, ci sono mille altri modi di far vedere il nostro amore “Amatevi a vicenda”[1]. È la vocazione di ogni cristiano, ma, potremmo aggiungere, di noi in particolare. Mi hanno fatto pensare in questi giorni le parole che si dicevano dei primi cristiani: “Guarda come si amano e l’un per l’altro sono pronti a morire”[2]. Dunque si vedeva che ognuno era pronto a morire per l’altro. Forse ciò dipendeva dal fatto che, in tempi di persecuzione, non era raro il caso che qualcuno si offrisse di morire per l’altro. Resta tuttavia il fatto che, questa misura d’amarsi fra i cristiani, si vedeva. A noi, in genere, non è chiesto proprio di morire. Tuttavia dobbiamo essere pronti. Ogni nostro atto d’amore reciproco va fatto su questa base. […] Che anche un semplice nostro sorriso, o un gesto, o un atto di amore, o una parola, o un consiglio, o un apprezzamento, o una correzione a suo tempo, rivolti ai fratelli, rivelino la nostra prontezza a morire per loro. Che si veda il nostro amore, non certo per vanità, ma per garantirci l’arma potente della testimonianza. Siamo spesso anche noi, come i primi cristiani, in un mondo senza Dio, scristianizzato. Dobbiamo, dunque, testimoniare Gesù.

Chiara Lubich

(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 11 maggio 1989) Tratto da: “Amore che si vede”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 359. Città Nuova Ed., 2019. [1] Cf. Gv 13,34. [2] Tertulliano, Apologetico, 39,7. (altro…)