Movimento dei Focolari
Assunzione: la vittoria sulla morte

Assunzione: la vittoria sulla morte

20160815-01«Dopo la morte di Gesù, dopo la comparsa dello Spirito Santo, Maria scompare nel nascon­dimento: lontana. Ha compiuto la sua missione e rientra in quello che è il suo elemento: il silenzio, il servizio. Risolve, rifugiandosi in Dio, il problema della vecchiezza come nuova infanzia dello spirito. Inse­gna a morire. Questa operazione, che provoca paura, in Maria madre diventa una risalita all’origine, mediante un inesausto perdersi in Dio: vita che non finisce. E quel perdersi nell’Eterno fu la morte di Maria. Essa avvenne il giorno che gli apostoli potevano far da sé. Ma non fu una morte quale noi l’intendiamo e la subiamo: bensì qualcosa di dolce e di rapido che i teologi adombrano con espressioni varie: pausa, tra­passo, transito, sonno, morte vivifica. Quel corpo vergine avrebbe ricevuto una contaminazione dal processo di decomposizione, mentre, avendo patito con Cristo, non poteva non assurgere subito alla gloria con Cristo. Così quel che per Cristo era stato la resurrezione, fu per Maria l’assunzione: duplice vittoria — del corpo e dello spirito — sulla morte. Nei nostri tempi si è presentato lo spettro terrificante di una disintegrazione fisica per milioni di esseri umani e forse per l’intera umanità, sotto la minaccia dell’atomica o per l’inquinamento ecologico. Non c’è altro scampo a tale destino che sottrarsene mediante una riproduzione della vittoria di Gesù e Maria: divenendo anche noi spiritualmente Gesù e Maria, agenti di vita; ciò che si fa inserendo la nullità umana nell’onnipotenza divina. Se, messi insieme, vivendo del Vangelo, siamo Cristo mistico; se, fatti Maria, diamo Gesù alla società, la guerra non ha senso e la bomba atomica diviene arnese da museo. C’è la pace: il cuore solo e l’anima sola della comunità raccolta attorno a Maria; e suo frutto è l’unità. L’unità dei viventi. Risalendo da questa palude sanguinolenta, che è la terra, al cielo di Maria, la tutta bella, la stella del mare, si comprende meglio il senso della sua assunzione, che fu il suggello supremo al suo privilegio unico di Vergine Madre di Dio. Un fatto che dovrebbe commuovere anche i materialisti, poiché rappresenta l’esaltazione del corpo fisico per opera del Supremo Spirito. In lei si celebra la materia redenta e si esalta l’universo materiale, trasfigurato in tempio dell’Altissimo. Basta meditare un momento, con intelletto d’amore, sulla posizione di Maria che sale da terra in cielo attraverso il cosmo, per cogliere la sua entità e funzione. Ella è il capolavoro della creazione. In lei Dio ha voluto mostrare tutta la sua onnipotenza: la sua infinita originalità. Ammirabili sono stelle ed atomi, nella loro struttura; e carichi di bellezza mai esaurita sono cieli e mari, uomini e angeli… Ma ella è più bella: raduna e fonde tutte le loro meraviglie, sì che la natura tutta quanta appare un piedistallo ai suoi piedi. Maria: umile, perché nessuna altezza esteriore paresse elevarla; silenziosa, perché nessuna voce umana, paresse definirla; povera, perché nessun ornamento della terra paresse  decorarla. Essa parla con la sola parola di Dio, essa è ricca della sola sapienza di Dio, essa è grande della sola grandezza di Dio. E così, identificata col Signore, Maria è l’espressione umana della grandezza, della mente e dell’amo­re della Trinità. La regina — ancella e signora — della dimora di Dio, che apre le porte e ammette i figli, adoperandosi a raccoglierli tutti nella reggia del Padre, per la gloria del Figlio, nel circuito dello Spirito Santo. Per dare ai mortali un’idea di Dio che, infinito, sovrasta e subissa l’intelligenza dell’uomo, quasi per mediare la potenza, la sapienza e l’amore della Trinità ineffabile, a cui mai l’umanità si sarebbe ap­pressata, il Creatore ha creato Maria, nel cui seno il Verbo s’è fatto carne, nella cui persona Dio si fa accessibile e il divino amore diventa di casa. Maria tra noi porta Dio in mezzo a noi. È porta del cielo; è assunta nella dimora di Dio, per accogliere i figli nella casa del Padre. Per questo essi la invocano, anche centinaia di volte al giorno, perché preghi per loro adesso e nell’ora della morte».   Tratto da: Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, Roma 2012 (1967), pp. 157 – 163 (altro…)

Giordani: quale dignità per il lavoro?

Giordani: quale dignità per il lavoro?

20160501-01«Il lavoro fu inflitto all’uomo come castigo; ma anche come redenzione. Mentre ha la finalità immediata dell’acquisto del pane quotidiano concorre anche al fine ultimo dell’ acquisto del Regno eterno. Riguarda perciò tanto l’economia, quanto la teologia; e difatti l’uomo è figlio di Dio, a Dio destinato, anche quando lavora. Se il problema si riducesse a sola economia, il lavoratore vi diverrebbe sola macchina: la dignità sua d’uomo si ridurrebbe a quella d’un utensile. Oggi, di dignità del lavoro si parla tanto che è divenuto un luogo comune. Ma non è detto che la mentalità schiavistica sia estinta, né che manchino imprenditori, magari battezzati, ai quali, perché pagano un salario, non appaia d’essere in diritto d’umiliare chi di quel salario vive, trattandolo con disprezzo e con diffidenza, sia esso un lavoratore intellettuale o sia esso una domestica semianalfabeta. Ma il lavoro non serve soltanto a maturare un salario di danaro. Il lavoro compiuto con un desiderio di redenzione morale, di partecipazione alle sofferenze di Cristo, diventa produzione di santità: entra nell’economia delle cose eterne, da cui deriva una dignità che fa dei costruttori di macchine, degli agricoltori, degli studenti, dei professionisti, degl’impiegati, delle massaie, altrettanti costruttori del Cristo integrale. «Ogni buon operaio – ha scritto sant’ Ambrogio – è una mano di Cristo». E cioè, Cristo lavora nella società con le mani dei suoi operai. Chi ben opera, in altri termini, edifica in terra una costruzione celeste: è l’artefice umano di un’architettura divina. E questo innalza a dignità sconfinata chi fa e ciò che fa, se lo fa nello spirito e sotto la legge di Cristo. Così si vede che il divino opera nella società per mezzo dell’uomo, associato a partecipare al prodigio vivo dell’Incarnazione, la quale, se fu il miracolo dell’umanizzazione del figlio di Dio, importa con sé anche il miracolo d’ogni giorno d’una divinizzazione di tutti i figli dell’uomo e perciò figli di Dio: un movimento che dalla terra va incontro a Cristo che viene dal cielo. Così la vita sulle strade tormentate del pianeta è, sì, tutta umana, ma anche, se vissuta nello spirito della Redenzione, tutta inserita nel divino: tutta divina. Questa dignità non è limitata alle sole opere dello spirito, ma investe l’intera persona umana, corpo e spirito, in tutto quello che fa. II mestiere, la professione, l’ufficio….: queste cose melanconiche e talora tragiche e spesso noiose si trasfigurano, di colpo, in Valori insospettati, in elementi del nostro destino: diventano i mezzi della nostra redenzione. Il lavoro era il nostro castigo; e, per l’umanità di Cristo, si fa nostro riscatto. È il nostro contributo alla Redenzione. Si scala il cielo coi materiali della terra. Nulla si perde: né una giornata mal pagata, né una parola detta, né un bicchier d’acqua donato per Cristo. Di queste semplici cose si edifica, dai più, il Regno di Dio. Ché i più non vanno in missione, né si chiudono in eremi, né scrivono trattati di teologia: ma tutti lavorano, tutti servono. Ora servendo gli uomini, se si agisce nello spirito di Cristo, si serve Dio. Il quale non ci si presenta ancora nella sua luce, che fulminerebbe lo nostra vista, ma in quella sua effigie, che sono gli uomini, sua rappresentanza e fattura». Igino Giordani, La società cristiana, Città Nuova, Roma (1942) 2010, pp. 72-82 (altro…)

Sotto la croce, Maria

Sotto la croce, Maria

Ave Cerquetti Crocifissione Lienz 1975

Ave Cerquetti, ‘Crocifissione’ – Lienz (Austria) 1975

«Il mistero tragico della morte in croce, quando anche cielo e terra inorriditi si oscurarono e tremaro­no, si rovesciò sulle povere donne ai piedi del patibolo. Il Padre aveva abbandonato il Figlio; il Figlio ave­va abbandonato la Madre: tutto crollava nell’orrore e nella tenebra: non stava in piedi che quella donna, e a lei era stata affidata l’umanità abbandonata. Il nostro destino fu nelle mani di lei come nel lontano tranquillo giorno che disse il primo fiat. Quando il Padre rivolse lo sguardo su quella collina orrifica, che era divenuta il perno sanguinante dell’universo, vide l’umanità aggrappata a quella donna, sotto il sacrificio cruento dell’uomo-Dio. — Martire, e più che martire, — dice san Bernardo. Sotto la croce, Maria. Davvero si può dire, in certo senso, che Gesù ebbe bisogno di lei, non solo per nascere, ma anche per morire. Ci fu un momento in cui sulla croce, abbandonato dagli uomini in terra, si senti abbandonato anche dal padre in cielo: allora si rivolse alla madre, ai piedi della croce: alla madre che non lo aveva disertato e vinceva la natura per non cadere in quella prova sotto cui ogni donna sarebbe crollata. Come intuì Goethe, nel Faust, il patire di Maria e di Gesù sul Calvario fu un «unico dolore». Poi morto il figlio, continuò la madre a patire. Egli morto fu deposto sulle ginocchia di lei: impo­tente più di quand’era bambino. Un Dio morto sulle ginocchia di una madre! Allora, sì, ella fu regina. Poiché Gesù ricapitolava l’umanità, era l’umanità intera di tutti i tempi, custodita sulle ginocchia di Maria, la quale apparve, in quella desolazione, la madre e la regina della fa­miglia umana che cammina sulle strade del dolore. La sua grandezza fu pari alla sua angoscia. Ma, come si vede, la sua regalità non fu che un primato nella sofferenza: solo modo per essere la più vicina, immediatamente prossima, al Crocifisso. Se si pensa allo strazio di Maria sotto la croce, al dolore della madre per lo scempio del figlio, vitti­ma volontaria di tutte le colpe del mondo e di tutte le sofferenze degli uomini, si intuisce l’immensità della tragedia patita: una tragedia cosmica. E si valuta la nostra grettezza quando ad essa dedichiamo qualche frase stampata, qualche giaculatoria granulosa… Ci pare di perder tem­po a meditarvi sopra, a piangervi sopra: e rischiamo di perdere l’eternità. Ché inserirsi in quel dolore è includersi nella redenzione. Prendiamo con lei posizione a fianco del Crocifisso, scegliendo il ruolo di vittime contro quello di carne­fici, abbracciando il dolore contro le suggestioni del denaro, la croce contro il vizio: per essere poi con Maria a reggere sulle ginocchia, in mezzo all’abbandono, il corpo svenato di Gesù, il corpo mistico che le persecuzioni dissanguano. Sempre, nelle ore che la Chiesa è straziata e Cristo soffre nei cristiani, si rivede Maria che ne racco­glie in grembo il corpo piagato. E perché Cristo riassume l’umanità, s’è identificato con l’umanità, ecco che la Chiesa appare Maria stessa che raccoglie i popoli in mezzo alle guerre». Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, Roma, 2001, pp.124-129 (altro…)