Feb 11, 2017 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Sono nato a mille metri, in una piccola borgata delle Prealpi piemontesi». Così Aldo Baima inizia il racconto della sua vita, riconoscente alla terra che gli ha dato i natali e che l’ha visto, fin da piccolo, accompagnare i genitori nei pascoli in alta montagna. Dopo le scuole elementari, la maestra riesce a convincere i genitori a fargli continuare gli studi, dapprima in collegio, poi come pendolare, viaggiando spesso su vagoni destinati al bestiame: erano tempi di guerra. Un sacerdote gli propone di partecipare al gruppo dei giovani di Azione Cattolica: «Dieci anni di scoperte e di lancio apostolico» dirà Aldo, nei quali vi si impegna con passione. Durante l’estate continua a tornare sui pascoli. Una turista, vedendolo con un libro di teologia, gli chiede se avesse intenzione di entrare in seminario. «No, per nulla!» risponde deciso Aldo. E al replicare della ragazza: «Ma non preferiresti leggere romanzi d’amore?» Aldo dichiara: «Ma questo è un bellissimo romanzo d’amore!». Terminato l’Istituto Magistrale inizia a lavorare come maestro. Si iscrive all’Università di Torino, dove studia pedagogia e filosofia. Qui ritrova un vecchio compagno di studi che gli parla di un’originale esperienza, iniziata a Trento da alcune ragazze che “mettono in pratica il Vangelo”. Il dialogo con l’amico, anch’egli contagiato da quella novità di vita, si infittisce, tocca le domande più profonde, tanto da suscitare in Aldo la decisione di mettere anche lui il Vangelo a base della propria vita. Lo colpisce particolarmente una frase, letta e meditata tante volte ma che ora diventava vitale: “Tutto quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Con decisone si impegna ad assistere chi è nel bisogno, scoprendo in ogni povero un fratello e cercando di coinvolgere gli amici della parrocchia. Nell’estate ‘52 trascorre una settimana in focolare a Trento; poi va in montagna, a Tonadico, dove è in corso la Mariapoli. “Lì ebbi l’intuizione – confida – che solo facendo parte di quella famiglia sarebbero veramente state mie quella luce e quella vita di cui non potevo fare a meno”. Lasciata la fidanzata decide di entrare in focolare.
Seguono anni di generosa donazione: a Torino, Sassari, Roma, e dal 1961 in Francia. Per la sua dirittura morale e spirituale, giovani e adulti trovano in Aldo una guida sicura verso Dio. Di fronte a situazioni difficili il suo atteggiamento è quello dell’ascolto profondo. La sua limpidezza e la sua apertura d’animo nell’accogliere la cultura dei francesi conquista i cuori, stabilendo rapporti di vera amicizia. Nel 1975 riceve l’ordinazione sacerdotale. Nel 1984 è al centro del Movimento per coadiuvare alla formazione dei focolarini. Successivamente si reca ad Istanbul per poi trasferirsi alla cittadella di Montet (Svizzera). Dal 2001 lo troviamo nuovamente al centro del Movimento a servizio dei focolarini di tutto il mondo. Ed è qui che inizia una progressiva fragilità della sua salute, con la quale, sono parole sue, «il Padre vuole mettermi nelle condizioni di entrare finalmente nel mistero dell’Abbandono e della Resurrezione che ne consegue». Nel 2005 scrive: «Mi è rinata la certezza che quest’anno dedicato a Gesù Abbandonato può essere anche per me il momento di rispondere a questa sua nuova chiamata. Tempo di salvezza che viene da Lui, tempo di grazia che trascina dentro la sua piaga, per farci vivere nel seno del Padre». Una grazia che lo accompagna nella sua condizione di quasi immobilità in cui da anni ormai si trova, immedesimato a Gesù nell’abbandono che, dalla giovinezza, ha scelto come ideale della sua vita. Fino alla mattina del 12 gennaio 2017, quando, a novant’anni, parte sereno per il Cielo. (altro…)
Dic 28, 2016 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Sociale

Rocco Femia, direttore della rivista Radici
«Ce la possiamo fare, dicevamo, e non solo ci siamo riusciti ma l’abbiamo fatto nel modo più bello». A parlare è Rocco Femia, direttore della rivista culturale RADICI, a conclusione del concerto “TOULOUSE FOR ITALY” di solidarietà con le vittime del sisma in Italia, organizzato dalla rivista francese di cultura italiana. E i numeri gli danno ragione: la Halle aux Grains della bella Tolosa, era strapiena. La raccolta destinata ai sinistrati italiani ha superato ogni ottimistica aspettativa. I numerosi sponsor hanno coperto le spese di organizzazione, in modo da non intaccare il ricavato del concerto tutto in beneficio dei terremotati. Ora sarà AMU (Azione per un mondo unito, Ong dei Focolari) a canalizzare il frutto della solidarietà dei cugini d’oltre alpe, attraverso il progetto RImPresa, già in corso e rivolto direttamente alle famiglie colpite. «Voglio ringraziare tutti i partecipanti che hanno fatto di questa serata un evento indimenticabile, nel segno della solidarietà e celebrando maestosamente la grande musica. Con la vostra generosa risposta abbiamo vinto la nostra battaglia. Le vibrazioni dei cuori sono stati più forti della distruzione», afferma R. Femia non senza commozione. La folla dei presenti non fiata, è diventata una sola persona con più di mille cuori: «Grazie del vostro sostegno e generosità», conclude.
Una cinquantina di artisti si sono esibiti gratuitamente, confermando la forte sensibilità con chi ha sofferto gravi perdite: l’orchestra da camera OCCITANIA con musiche di Bach; il Gruppo Incanto di canti popolari italiani e che porta per il mondo un musical intitolato “ITALIANI, quando gli immigranti eravamo noi”; Il Trio DALTIN; Vicente e Rafael PRADAL della Spagna; il chitarrista virtuoso di flamenco Kiko Ruiz; il Trio di musica Jazz NACCARATO; la delicatezza e il virtuosismo del mandolinista Julien Martineau; le canzoni-poesie del grande Faber, suonate dalla Fabrizio DE ANDRÈ Band; Le indimenticabili musiche dei più famosi film italiani e il gran finale con standing ovation della soprano Cécile LIMAL che ha intonato “La vita è bella”… di Roberto Benigni. Tutto alternato dalle vivaci presentazioni del trio composto da Rocco Femia direttore della rivista RADICI, e dai giornalisti televisivi Marina Lorenzo e Patrick Noviello. Il direttore di RADICI, poi nel ringraziare, non dimentica proprio nessuno, consapevole dell’apporto di ciascuno per la riuscita dell’evento: dall’équipe dei tecnici al direttore artistico, alla regia dei suoni, delle luci. E ancora, il vice-sindaco Francis Grass, il Console d’Italia a Tolosa, Fabrizio Mazza, gli sponsor, i benefattori, i media… tutti insieme hanno “vinto la battaglia”. Ed è ciò che sperimento mentre condivido con gli artisti e i tecnici una cena in piedi post concerto. Si sente un filo profondo che li lega, fatto di fiducia reciproca, di stima, di talenti condivisi, di solidarietà, di voglia di rendere il mondo più bello. E avverto con gioia e stupore che questo filo si è intrecciato anche con me, con AMU. Perciò non sarò sorpreso se scoprirò che ho vissuto appena l’inizio di un lungo e benefico rapporto di collaborazione. Presentando, infatti, “Azione per un mondo unito” durante il concerto, Rocco Femia ha evidenziato lo slogan del progetto RImPresa, come espressione di ciò che per i presenti sembrava già convinzione: «vibra la speranza, non trema il futuro». Gustavo Clariá (altro…)
Nov 20, 2016 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sapevo tutto «Come prete, credevo di saper dare un giudizio su tutto. Un giorno sono stato invitato a celebrare la messa al ritiro di alcuni giovani impegnati, che durante il rito hanno fatto esplicitamente il patto di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro. Ne sono rimasto sconvolto: sarei stato capace di fare una cosa del genere? Tutto quello che sapevo mi è sembrato, non dico inutile, ma insufficiente a essere un vero cristiano. Quante cose trascurate in nome dello studio, quante omissioni giustificate con qualche impegno che ritenevo importante …! Quei giovani mi hanno cambiato la vita». (R. P. – Francia) Prima dell’offerta «Dopo il trasferimento nel nuovo paesino è nata un’amicizia con una famiglia di vicini che ci ha molto aiutati a inserirci nel nuovo ambiente, a sistemare i bambini nelle scuole… La stima era reciproca, i figli di quella famiglia ci chiamavano zii, e così i nostri con gli altri. Purtroppo qualcosa con il tempo si è incrinato ed i figli dei vicini hanno cominciato a salutarci con un “buongiorno, signori”. Non si poteva andare avanti così, anche perché facevamo parte della stessa comunità parrocchiale. Una domenica alla messa il brano del Vangelo ci ricorda che prima di offrire l’offerta sull’altare è bene riconciliarsi con il fratello… Mia moglie ed io ì ci siamo guardati e abbiamo deciso di operare di conseguenza. All’uscita della messa, siamo andati verso i nostri vicini e abbiamo chiesto loro perdono se li avevamo offesi in qualche modo. Dopo un attimo di sorpresa imbarazzante, ci siamo abbracciati». (A.T. – Ungheria) Era un’altra persona «Nell’ospedale dove lavoro come ginecologa era stata ricoverata una donna conosciuta come prostituta. Le altre pazienti e anche qualche infermiera cercavano di evitarla. Avendo notato il suo isolamento, le ho prestato attenzioni particolari, e questo ha incoraggiato anche altre a rivolgerle la parola, a darle qualche aiuto. Lo stesso racconto della sua triste vita le ha attirato attenzione e benevolenza. Pochi giorni e già sembrava un’altra persona. Quando è stata dimessa, ringraziandomi, diceva: «La vera guarigione non è fisica … La vita ricomincia in altro modo». (M. S. – Polonia) (altro…)
Nov 18, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«In un mondo dove la globalizzazione detta le sue leggi, uno dei paradossi più significativi a cui assistiamo è che la voce del sud del mondo è ignorata. L’Africa, ricca di risorse naturali come diamanti, oro, petrolio, e altri minerali preziosi, si trova di fronte a: povertà, sottosviluppo sempre più crescente, la peggiore attesa di vita, un livello elevato di analfabetismo; e ciò nonostante i milioni di dollari degli aiuti occidentali versati nel corso degli anni in vari progetti. Perché? La drammatica risposta non è solo la guerra che subiamo, non sono le malattie; è soprattutto la corruzione, diventata in Africa un fatto normale e accettato, che sta lacerando il continente. Un continente in cui i poveri devono corrompere per sopravvivere; per curarsi negli ospedali, per entrare nelle “migliori” scuole di formazione professionale, per ottenere posti di lavoro e per uscire dalla prigione. Neanche le leggi riescono a sradicare questo male. Nella stragrande maggioranza dei paesi africani, il diritto è di origine occidentale, con qualche sfumatura presa dalle culture locali. La tutela dell’individuo, per quanto valore universalmente accettato, si contrappone al principio della comunità, molto caro alle tradizioni africane, che sta a sottolineare l’importanza della solidarietà. L’individuo è tale solo se appartiene a una comunità e agisce in funzione della comunità. È il principio dell’“Ubuntu”: Io sono perché noi siamo. L’Ubuntu nelle culture africane è un invito a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, è coscienza dei propri doveri. Così si è espresso Nelson Mandela: Ubuntu significa porsi la domanda: “Voglio aiutare la comunità che mi sta attorno a migliorare?” È una regola di vita, basata sul rispetto dell’altro, una credenza in un legame di condivisione che unisce tutta l’umanità. È un desiderio di pace. Eppure, proprio in Africa manca la pace in tanti posti, e la causa remota dei conflitti è per assurdo la propria immensa ricchezza. Si lotta per il controllo dei minerali e le vittime di questi conflitti sono i più deboli. Nello sforzo di integrare valori ereditati dalla colonizzazione con i propri valori tradizionali, e di fronte alle sfide di un mondo in cui solo lo sviluppo economico dà diritto alla parola, l’Africa sta sempre di più perdendo i propri valori, senza acquisire per davvero quelli “importanti”.
Nel mio Paese, il Camerun, che conosce una grande corruzione, è sorta una piccola città, a cui Chiara Lubich ha dato vita realizzando opere sociali a favore del popolo Bangwa, che era a rischio di estinzione e ha trovato la salvezza. Ma con le opere, Chiara ha portato soprattutto un nuovo stile di vita, ispirato a prassi di fraternità: è nata una convivenza ispirata nella reciprocità a una vera giustizia, che spegne ogni litigio, previene il conflitto, trova soluzione ai problemi anche nelle famiglie; nessuno ruba, né uccide, si seguono “vie di pace”. Così la fraternità può diventare principio anche giuridico per la convivenza e cambiare rapporti di forza in relazioni di accoglienza e inclusione e tradursi in solidarietà, responsabilità e sussidiarietà. La pace si declina oggi come sviluppo, sicurezza, universalità dei diritti dell’uomo, rispetto della vita; la pace è un diritto, ma attende che il diritto se ne faccia strumento. E per questo non bastano le Dichiarazioni e i Trattati. I diritti, se declinati solo al singolare, affermano l’individuo e danno spazio a interessi e conflitti. Ma “universale” non significa “assoluto”, significa “comune”; è ciò che accomuna, diversamente non potrebbe esserci alcuna relazione fra individui, culture o concezioni differenti fra loro [1]. E se l’universalità racchiusa nella dignità umana permette la relazione con ogni altro, la fraternità, quale nuovo paradigma, può costituirne il principio ispiratore fino a “farsi” cultura anche giuridica e via che prepara la pace. Quella che inizia dal cuore e si traduce in atteggiamenti coerenti nella vita di ogni giorno capaci di trasformare rapporti conflittuali in relazioni di condivisione, fino alla reciprocità, in cui il dovuto si fa dono per l’altro».
Raphaël Takougang
[1] Cfr. F. Viola, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in F. Botturi – F. Totaro (a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 164 s. (altro…)
Nov 16, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Arooj Javed. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«I giovani oggi aspirano a diventare cittadini del mondo e noi, aspiriamo ad un mondo unito». A fine giornata, questa dichiarazione di Arooj Javed, giovane studentessa in relazioni internazionali, ha riassunto le speranze, gli obiettivi fissati da New Humanity (Ong dei Focolari presso l’ONU). Perché, questo anniversario dei 20 anni della consegna del premio per l’educazione alla pace a Chiara Lubich non aveva nulla di nostalgico. Le recenti elezioni americane, la tragedia dei rifugiati, le minacce climatiche, la disuguaglianza crescente, i mercati dominati dall’avidità…; questa attualità drammatica evocata nei diversi interventi giustificava appieno il titolo scelto per il simposio: “Reinventare la pace”. Cioè in che modo, a partire dalla Spiritualità comunitaria del Movimento dei Focolari, “trovare nuove risposte” al “volto duro e angoscioso di nuove situazioni di guerra”, ha detto Jesús Morán, copresidente del Movimento. Diverse parole chiave hanno così illuminato le riflessioni: laboratori interculturali, fraternità universale, solidarietà interreligiosa, arte del “vivere insieme” e, soprattutto, educazione al dialogo e alla pace. 
Enrico Letta. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
«Dobbiamo dialogare come in un’orchestra, dove ogni strumento deve suonare in armonia con tutti gli altri, creando una sinfonia», dirà con linguaggio poetico mons. Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors ed ex presidente del Consiglio dei Ministri italiano, affermerà: «Per dialogare occorre la consapevolezza che siamo tutti minoranze su questa terra […] Se seguiamo la freschezza dei giovani e la loro apertura mentale, capiamo che l’educazione al dialogo rimane la nostra missione fondamentale». Nella dichiarazione finale, tra le proposte, una molto concreta: «Fornire agli Stati membri percorsi di formazione per gli insegnanti sull’arte del vivere insieme». 
Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO. Foto © Fabio Bertagnin – CSC Audiovisivi
Papa Francesco – che ha inviato un messaggio – ha parlato recentemente di una “terza guerra mondiale a pezzi”. Questa guerra «chiama in risposta una pace anch’essa costruita “a pezzi”, fatta di piccoli passi, di azioni concrete. Ognuno ha il proprio ruolo, la propria responsabilità. La pace non è una promessa, è uno sforzo, una scelta. È un invito a tutti noi che siamo qui e a coloro che ci seguono nel mondo intero, ad armarci di pace…», ha dichiarato nel suo discorso letto da Catherine Belzung, Maria Voce, presidente dei Focolari, assente per motivi di salute. Diversi video hanno illustrato tante opere di pace in diverse parti del mondo che ci permettono di sperare. La presentazione di alcune esperienze in atto ha dimostrato quanto “la pace non sia solo una teoria, un sogno, ma un modello”, come: l’associazione delle donne cristiane e musulmane Koz Kazak, al Cairo (Egitto) diventate “come sorelle” tra loro, le 40 imprese dell’economia di comunione in Africa, la presenza di una comunità dei Focolari ad Aleppo (Siria) che offre uno spazio per la condivisione alla popolazione martoriata, la scuola Santa Maria a Recife (Brasile), dove si vive la reciprocità tra scuola e famiglie. Tante piccole pietre poste al servizio della costruzione di una cultura di pace. Da Parigi, Chantal Joly Rivedi la diretta Messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella (altro…)