Movimento dei Focolari

Una emergenza senza fine

Dopo le eruzioni del 3 giugno, che non hanno dato il tempo di scappare a tantissimi abitanti dei villaggi situati alle pendici del vulcano del Fuego, continuate con minore intensità nei giorni successivi, ora il pericolo più grande sembra rappresentato dalle continue valanghe di fango, detriti e cenere incandescente, chiamati “Lahar”. Scendono a velocità altissima dal cono del Fuego, con una potenza tale da sradicare e coprire tutto quanto incontrano sulla loro traiettoria, provocando forti vibrazioni simili a terremoti. Il Coordinamento Nazionale per la Riduzione dei Disastri ha confermato anche nei giorni scorsi lo stato di allerta per tre distretti, fornendo informazioni aggiornate sui dispersi e i centri di accoglienza e hotel che con grande generosità stanno aprendo le loro porte. Vi lavora anche Lourdes Barrientos. «Una delle mie funzioni – spiega – è quella dell’addestramento e organizzazione delle comunità in risposta alle emergenze e ai disastri. Ora stiamo vivendo questa emergenza, che ha portato dolore, perdite e morti in molte famiglie che vivevano nelle vicinanze del vulcano, specie nelle comunità di Chimaltenango, Escuintila e Sacatepéquez», i distretti dove l’allerta rimane “rossa”, cioè al livello più alto. Mentre procede, dolorosamente, la conta delle persone ritrovate senza vita, nella sede centrale dell’agenzia, a Città del Guatemala, la capitale, si organizzano gli aiuti. «Cerco di andare oltre la mia stanchezza per assolvere pienamente ai diversi compiti che mi vengono assegnati. All’inizio non era semplice, perché mi sembrava di non fare niente direttamente per la mia gente e per le vittime, e che stavo perdendo tempo rimanendo nella sede centrale. Infatti, davanti ai grandi problemi che le istituzioni si trovano ad affrontare, il mio lavoro consiste nel raccogliere ogni genere di informazione sulle comunità colpite. Questa situazione mi avviliva, sapendo che i miei compagni si trovavano invece nel “punto zero”, ovvero nei luoghi del disastro del 3 giugno, nel tentativo di trovare altri corpi e soccorrere le vittime. Sapevo che erano stanchi, che erano impegnati nell’organizzazione e nell’accoglienza negli alberghi, e tutto questo mentre io ero seduta in un ufficio. Per di più continuavo a ricevere messaggi da amici e conoscenti, dalle mie amiche gen e dalla mia famiglia, in cui mi si chiedeva se stavo bene e se mi trovavo nella zona del disastro. Poi ho capito l’importanza di mettere tutta me stessa, in qualsiasi posto mi trovassi ad operare, senza mai perdere la pazienza, nonostante siano tutti stanchi e nervosi. Siamo tutti in prima linea. Oltretutto posso offrire quello che faccio per i miei compagni che sono sul campo, in particolare per uno che ha perso la vita durante le operazioni di soccorso. Da ogni parte arrivano richieste di informazioni sulle vittime, c’è tanto dolore, ovunque necessità di ogni genere. Molte persone offrono aiuti, molti alberghi hanno aperto le porte. Si sente l’amore concreto di tanta gente. Questo ci dà la forza per continuare». Chiara Favotti (altro…)

Genfest 2000: un’onda di “Luce”

Genfest 2000: un’onda di “Luce”

«Sono passati 18 anni, ma l’onda di quell’evento ancora muove tutti noi che vi abbiamo partecipato. Qualche mese prima, nel dicembre del ‘99, ero arrivato a Roma. Cominciava per me un periodo in cui avrei lavorato, come grafico, al Centro gen internazionale, in preparazione al Genfest. Non potevo ancora immaginare quali sorprese mi avrebbe riservato quell’anno! Un giorno di febbraio, mentre mi trovavo solo con la mia chitarra, pensavo a Chiara “Luce” Badano: era una gen come noi, morta dieci anni prima, e nei suoi ultimi momenti di vita aveva offerto il suo dolore per la riuscita del Genfest. Mi venne l’ispirazione, tuttora non so spiegarmi come, di una canzone dedicata proprio a lei: “Corri, corri, dimmi che non c’è nulla da temere. Corri, corri, brilla, brilla che la tua luce ora è in me”. Non potevo che intitolarla: “Luz”, luce. Il giorno dopo, a Loppiano, era in programma il primo di una serie di appuntamenti con il gruppo che doveva curare le musiche. Si trattava di scegliere le quattro canzoni ufficiali del Genfest. Un po’ teso, proposi anche quella, cantandola davanti a tutti. “Luce” venne scelta, e da allora in poi, fino a oggi, è stata cantata e tradotta in diverse lingue, divenendo il simbolo di un’esperienza fatta propria da tantissimi giovani, dietro l’esempio di Chiara Badano, che nel 2010 è stata proclamata beata. Tempo dopo i suoi genitori, Maria Teresa e Ruggero, mi hanno detto, abbracciandomi: “Hai trovato il modo migliore per farla conoscere, perché chi canta prega due volte!”. Quel Genfest, il primo organizzato completamente da noi giovani, era una vera sfida, un’esperienza di unità tra noi e di maturità. Arrivato il momento della scelta di un logo, feci una proposta, il segno di un’onda che sarebbe rimasta incessante nel tempo. E, altro grande regalo, anche quel logo venne scelto! Tutto era pronto il 17 agosto. Di buon mattino eravamo già sul palco per il sound check e gli ultimi preparativi. Prima dell’inizio, 25 mila persone erano in attesa di entrare nello Stadio. Tre, due, uno…con una percussione dai ritmi diversi e un suono sottile e incessante, come un battito cardiaco, finalmente ebbe inizio quello che stavamo preparando da mesi. Un programma ricco, per mostrare ai giovani di tutto il mondo che l’unità era possibile. Intorno alle 18,30 era il mio turno, con una canzone che avevo composto in Costa Rica quattro anni prima (“Basta un sorriso”). La storia di Chiara “Luce” Badano, presentata come un esempio di santità a soli 18 anni, mentre scorrevano le immagini del suo volto luminoso e sorridente sul grande schermo, venne accolta in un silenzio assoluto. Sembrava di vivere un attimo di eternità. Subito dopo, i primi accordi di “Luce”. Infine il momento più atteso, la proposta di Chiara Lubich: “L’idea di un mondo più unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani”. Quindi il lancio del “Progetto Africa”. Ma non era finita, ancora ci aspettava il grande appuntamento della GMG, il 19 e 20 agosto, nella vicina spianata di Tor Vergata, con Giovanni Paolo II. Un’altra giornata storica, con due milioni di giovani, a cui nemmeno il caldo del giorno e il freddo della notte avevano spento la gioia di stare insieme. Indimenticabile la consegna del Papa: “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. Prima di ritornare nel Costa Rica, nel dicembre di quell’anno, ho avuto la possibilità di salutare personalmente Chiara Lubich e di lasciarle un ricordo di quella magica esperienza che avevo vissuto quell’anno: un piccolo libretto. Ma i regali per me non erano finiti: dopo tanti anni, ho incontrato una ragazza austriaca che come me aveva partecipato a quel Genfest, Tina. Ora è diventata mia moglie!».

Sandro Rojas Badilla

Ascolta: “Basta un sorriso” Ascolta: “Luz” Foto: Sandro Rojas Badilla (altro…)