13 Giu 2018 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Il racconto di una vita insieme passa con naturalezza dalle parole di Anna a quelle di Claudio, quasi fossero diventati, dopo tanti anni di matrimonio, una sola persona. «Quando ci siamo sposati ci univa l’entusiasmo – comincia lei – e la gioia di veder nascere la nostra famiglia. Nella cittadina del nord Italia, dove ci siamo trasferiti per il lavoro, non conoscevamo nessuno. Io mi occupavo delle faccende di casa, e aspettavo che lui tornasse, la sera. Eravamo felici, ma… ci mancava qualcosa. Una domenica ci siamo avvicinati a un sacerdote, fuori dalla chiesa. Lo abbiamo invitato a casa, e lui è arrivato portandoci una rivista, “Città Nuova”. Poi ci ha parlato della Parola di Vita. Ci è sembrato che anche noi potevamo impegnarci a vivere il Vangelo». «Avevo un buon lavoro – spiega Claudio -, costruivamo macchine per lo sviluppo e la stampa di pellicole cinematografiche. Ma dopo la morte del titolare erano sorte difficoltà con gli eredi. A un certo punto mi arrivò una proposta molto appetibile. Un lavoro ben pagato ma, venni a sapere, dai contenuti eticamente inaccettabili. Fummo d’accordo, io e mia moglie, di non accettare. Poco dopo un’altra opportunità, questa volta con uno stipendio più basso. Intanto era nato il secondo figlio, e le esigenze della famiglia crescevano. Abbiamo accettato, fidandoci che non ci sarebbe mancato nulla. Il lavoro era tanto e avevo bisogno di un collaboratore. L’ufficio del personale mi propose una persona con problemi caratteriali, che al primo contatto, infatti, rispose: “Se lei pensa di farmi lavorare si sbaglia di grosso”. Ero cosciente che avrei dovuto compensare le sue carenze, ma ci eravamo ripromessi di amare tutti, quindi non potevo tirarmi indietro. In seguito anche lui si è appassionato al lavoro, e a Natale, dentro un pacco avvolto di carta di giornale, mi ha portato in dono un trenino per mio figlio». «Aspettavo il terzo bambino – riprende Anna – quando arrivò per Claudio una nuova opportunità di lavoro. Nella nuova città dove ci siamo trasferiti sono nati gli altri quattro figli. Una piccola “tribù”, che cresceva assaporando il nostro stile di vita e l’armonia che cercavamo di mantenere tra noi. Anch’io lavoravo, insegnavo tedesco alle superiori, e questo comportava molto impegno, ma i ragazzi collaboravano, aiutandosi nei compiti o preparando la cena. Una sera ero sul pullman, di ritorno da scuola, che distava circa 30 km. Diluviava, e già pensavo che mi sarei bagnata tutta. Non esistevano allora i cellulari. Alla fermata dell’autobus, trovai uno dei figli, ancora ragazzino, ad aspettarmi con l’ombrello. Qualche anno dopo, quando già eravamo in nove (più una gatta), per il lavoro di mio marito si è prospettato ancora un altro trasferimento. Io ero molto titubante. Ma capivo che lui soffriva a vivere in albergo per cinque giorni la settimana. Per amor suo, ci siamo convinti a fare di nuovo i bagagli. Capivamo l’importanza di essere sempre uniti, e spesso pregavamo insieme nei momenti di difficoltà. Durante la giornata ero sola, ma sapevo che lui era con me. Certe volte, dopo cena, facevamo il giro dell’isolato, quattro passi insieme per ritrovarci da soli noi due». «Ora i nostri figli sono tutti sposati – riprende Claudio -. Uno di loro si è separato dalla moglie, e per noi è stato un grande dolore. Durante un recente pellegrinaggio abbiamo affidato a Maria questa situazione. Dapprima abbiamo pregato perché si ricomponesse la sua famiglia. Dopo un po’ ci è sembrato che fosse più giusto chiedere, per loro, la conversione del cuore. Infine abbiamo capito. La grazia da chiedere era un’altra: la nostra conversione. Siamo partiti da lì col desiderio di essere attenti a quello che Dio ci avrebbe chiesto ancora. Perché vorremmo non smettere mai di essere strumenti del Suo amore. È l’amore l’unica cosa che in una famiglia non deve traslocare mai». Chiara Favotti (altro…)
12 Giu 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
“Beyond Go Coffee” è l’iniziativa dei giovani del Movimento dei Focolari di Milano, in sintonia con il messaggio che verrà lanciato a Manila, nelle Filippine, al Genfest (6-8 luglio 2018): andare oltre sé stessi, per mettere al centro l’altro. “Ci prendiamo un caffè?”. In Italia, il caffè è molto più che un liquido scuro, da prendersi amaro o dolce, o macchiato di latte. Il caffè, come il “mate” in Argentina, o il “tea” in Gran Bretagna, è anche un modo per uscire da sé e mettersi in relazione, un momento di pausa che, all’interno di una giornata, diventa occasione di scambio. Alcuni mesi fa, a Milano, i giovani dei Focolari hanno ripreso l’idea, già utilizzata in passato, di rivendere pacchetti di caffè, acquistati all’ingrosso, e contribuire, con il ricavato, alle spese del Genfest di Manila, ormai prossimo. In particolare per sostenere i viaggi di chi vi arriverà da Paesi lontani e la popolazione locale, colpita dal tifone Vinta, lo scorso dicembre. Ottenuto un prezzo speciale da un distributore all’ingrosso, hanno ideato e realizzato le etichette con le linee guida dell’attività e il logo dell’evento. I giovani di Milano si sono chiesti come diffondere anche dalle loro parti la conoscenza di un evento, il Genfest, che nella sua lunga storia «ha fatto della fraternità tra le persone una idea-forza». L’evento di Manila, dal 6 all’8 luglio 2018, riguarda tutti, e la necessità di guardare oltre se stessi e costruire relazioni è un tema molto attuale anche nella nostra società. Il caffè e i suoi rituali esprimono bene questa voglia di socializzare, di stare insieme. «Questa volta è stato più semplice – raccontano gli organizzatori – avevamo già tutti i contatti. Nel giro di un mese il fornitore ha fatto arrivare 4 mila pacchetti di caffè in un deposito centrale di Milano. Nel frattempo, nei diversi territori della nostra regione, una rete di persone si è resa disponibile per fare un piccolo deposito anche a casa loro. Anche il processo dell’etichettatura, fatta da loro, è stato l’occasione per incontrarci e cominciare a costruire nuove relazioni. Infine, questa attività ha creato molte occasioni per andare a trovare persone che non vedevamo da tempo, consolidando tra noi rapporti di fraternità». Il messaggio di Manila, “Beyond all Borders”, profuma anche di caffè. Fonte: United World Project (altro…)
11 Giu 2018 | Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
L’ho intravisto di sfuggita mentre entravo di corsa al supermercato. Era lì, quasi nascosto dietro un albero, come se si nascondesse da qualcosa o da qualcuno. Me ne sono accorto quando, uscendo, me lo sono trovato davanti. Avevo già preparato due euro per lui, ma mi sentivo male all’idea di fare la parte del “donatore” che regalo uno spicciolo al “mendicante”. Non siamo uomini tutte e due? Con fortune diverse nella vita, semmai. Mi è venuto spontaneo, mentre gli porgevo la moneta, di presentarmi: “Ciao, mi chiamo Gino e tu?”. “Sylvester”, risponde con voce impacciata. “Hai qualche problema?”, chiedo. Dopo un attimo di silenzio – avrei capito dopo che era dovuto più all’incomprensione dell’italiano che all’impaccio -, “No, tutto bene”, mi risponde. Non convinto, lo interpello ancora: “Guardami negli occhi e dimmi se hai qualche difficoltà”. Ancora “tutto bene” è la sua risposta. Mentre raggiungo la macchina, però, sento che mi viene incontro: “Sì, ho un problema: voglio lavorare”. Gli stringo la mano in segno di comprensione e vado via portandomi in cuore il suo sguardo e la sua dignità ferita. Non senza esserci scambiati i cellulari, non vogliamo perderci. Così siamo diventati amici, al di là della lingua e delle diversità culturali, Sylvester e io. Un incontro di persone, ciascuna con la propria dignità. Da quel giorno mi adopero in tanti modi con la consapevolezza che la prima cosa da affrontare è aiutarlo a superare la barriera della lingua. Per quanto sia in regola con i documenti, è irrealistico pensare che possa trovare un lavoro se non riesce a esprimersi e a capire l’italiano. Come dirglielo senza conoscere la sua lingua e viceversa? Mi viene in mente un amico che viene dal suo Paese e gli chiedo se può farmi da interprete. Ci troviamo così seduti al tavolino del bar davanti al supermercato a parlare, con traduttore e birra, per conoscere meglio la sua situazione. Prima di lasciarci gli faccio un invito: “Ricordati Sylvester, nessun lavoro è piccolo se fatto per amore. Tu non sei qui per chiedere, ma per offrire un aiuto a chi ha bisogno, condividere il peso della borsa della spesa, trovare parcheggio o un semplice carrello. Dio ama immensamente te, me, ciascuno. Ora ci metteremo a bussare insieme, come ci insegna il Vangelo. Vediamo se qualche porta si apre. Ma intanto è questo il tuo lavoro, fallo a testa alta, senza perdere la tua dignità”. La sera seguente mi arriva un suo messaggio via whatsapp: “Buonasera Gino, come stai? Spero che tu stia bene insieme alla tua famiglia. Grazie per quello che stai facendo per me. Dio ti benedica perché ti prendi cura di me. Non vedo l’ora di trovare un vero lavoro, ma intanto farò come dici, mantenendo lo sguardo in alto e pulito. Ti aspetto”. Ho dovuto usare ‘google traduttore’ per capire il suo messaggio e rispondergli: “Caro Sylvester, grazie per i tuoi saluti. Oggi ho cercato informazioni per un corso gratuito di italiano. Spero al più presto di poterti dare buone notizie”. Nei giorni seguenti faccio l’esperienza, già conosciuta, di quanto sia difficile aiutare qualcuno! Per qualche motivo a me tuttora sconosciuto prevale sempre la benedetta burocrazia. Ma decido di non arrendermi, anche perché nel frattempo trovo altre persone disposte a farsi prossime a Sylvester. Ora non sono solo, e nemmeno lui lo è più. Domani inizierà le lezioni di italiano, primo passo per riuscire a trovare un lavoro e così poter inviare un sostegno a sua moglie e ai loro due figli piccoli, rimasti nel Paese natale. Forse un giorno potranno ricongiungersi. Prego che sia così, caro Sylvester! Gustavo Clariá (altro…)
8 Giu 2018 | Chiesa, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Il mondo è la parola di quel Dio che lo creò. E qual è il suono di tale parola? Eccolo: Io t’amo. E a chi è destinata questa parola? Essa è destinata al mondo stesso, il quale è appunto questa parola; è destinata a ogni singolo che questo mondo scorge come chi sa di essere una minuscola parte di esso e tuttavia è in grado di spaziare al di sopra di sé verso il tutto; è una parola destinata a ciascun uomo. Il mondo è la parola dell’amore di Dio rivolta a chiunque sia in esso; è sguardo dell’amore divino per lui. E ciò che il mondo è nel suo complesso, lo è altresì in ciascuna delle sue parti: ogni particolare del mondo è uno sguardo dell’amore di Dio». (Cosmologia, antropologia, sociologia e religione) «Posso dedicarmi interamente a questo mondo perché sono cristiano; infatti, tutto ciò che investiamo in amore in questo mondo, impronterà quest’ultimo per sempre, il nostro amore si farà carattere indelebile di ogni singolo frammento della creazione». (dicembre 1980) «Interesse primario del cristiano dev’essere il portare avanti, non solo con coloro che condividono i suoi ideale, ma con tutti coloro che hanno responsabilità nel mondo, l’edificazione di un mondo umano». (novembre 1978) «La vita e l’unità degli uomini non possono essere considerate né come una mera somma di individui né come sistema collettivistico in cui il singolo viene ingoiato e scompare. L’alternativa è la communio. Io sono me stesso, ma nella misura in cui sono per te e con te e nella misura in cui mi ricevo da te. Solo in questo rapporto è possibile definire l’Io dell’uomo. Solo in questa relazione trinitaria il collettivismo non è dissoluzione dell’individuo. Solo in questa relazione trinitaria il singolo non è un mezzo che va sacrificato alla struttura comunitaria. Da qui, ne sono certo, si apriranno nuove prospettive anche per un ordine economico universale». (Dreifaltigkeit, p. 131) Fonte: Klaus Hemmerle, La luce dentro le cose, Meditazioni per ogni giorno, Città Nuova Ed, 1998, p. 287-293. (altro…)
6 Giu 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Nel Focolare di Città del Messico, la Chiesa in uscita di Papa Francesco ha la voce e il volto anche di Reina Cruz, salvadoregna, animatrice di una comunità che condivide la parola di vita in situazioni difficili, a pochi chilometri dalla capitale messicana. Nel gruppo che si è scelto di accompagnare c’è anche chi spaccia e consuma droga. Le focolarine portano la voce del Papa nelle periferie, come egli spesso invita a fare, in sobborghi difficili, poveri, popolati da milioni di persone che, grazie a loro, per la prima volta possono ascoltare una pagina del Vangelo. Non è facile, confessa Reina, «ma andare in un contesto in cui ragazzi di 13-14 anni vivono praticamente senza familiari ci fa capire che dobbiamo portare almeno la nostra presenza. Un accompagnamento che si allarga alle zone più remote, come la visita ai missionari saveriani presenti nella foresta di Santa Cruz, intensificata nella settimana santa e nella Pasqua. Catechesi e aiuti materiali hanno creato un fecondo clima comunitario nelle parrocchie che abbiamo conosciuto». In questi angoli spesso dimenticati, le ragazze hanno presentato la spiritualità del focolare, ben diffusa oramai in centottantadue paesi del mondo, con centri in ottantasette nazioni, anche in Messico, e centodiecimila membri. Con l’ottica di accompagnare i fratelli, caratteristica del movimento fondato da Chiara Lubich (che con la visita del 10 maggio di Papa Francesco a Loppiano si sente maggiormente incoraggiato a continuare il cammino iniziato dalla serva di Dio), i gruppi messicani si sono inseriti in diverse esperienze sociali. «Con altre undici persone — racconta Reina — andiamo a visitare Santiago de Anaya, Actopan, nello stato di Hidalgo, nel cuore del Messico». Senza aspettare nulla in cambio, nemmeno l’interesse per la loro spiritualità, hanno iniziato un cammino con i padri missionari del Verbo Divino. Unico obiettivo, offrire spunti di riflessione comunitaria nella quotidianità: la parola di Dio e le sue conseguenze nella vita grazie alle coppie di laici impegnati. Il fenomeno dello spaccio e del consumo di droga tra gli adolescenti ha allertato i partecipanti al Focolare, spingendoli ad ascoltare le terribili esperienze e condividendo il messaggio evangelico anche con i ragazzi che vivono soli per strada. «Il 6 maggio, a esempio, si sono avvicinate due ragazzine di 14 e 17 anni per raccontarci, tra le lacrime, la crescita del consumo di droga tra i loro amici». La maggiore tra le due era stata cacciata di casa dalla mamma, ricorda Reina, e la ragazza era disperata per la rottura del legame con la madre. Che fare? Come aiutare? Accogliere le domande sulle ferite familiari è parte del compito di accompagnamento che vivono i seguaci di Chiara Lubich. Sfide sempre maggiori che descrivono una società con valori sempre più fragili, vincoli familiari deboli o molte volte assenti. Così la loro presenza rimane spesso l’unico punto di riferimento per persone che, nel momento della crescita, necessitano di uno scoglio al quale aggrapparsi per non rischiare di affogare nelle droghe o nella disperazione. Ecco l’importanza dell’ascolto, spiegano al Focolare di Città del Messico, di proporre la preghiera, e degli incontri di spiritualità per il rinnovamento della loro vita in Dio. L’obiettivo rimane l’unità e il dialogo con i sacerdoti del posto per agire insieme, evitando fratture, e guardare a progetti di sviluppo, come l’economia di comunione, occasioni per uscire dalla povertà e camminare verso la dignità. Un viaggio da fare in compagnia della Vergine Maria, una madre che non abbandona i propri figli, «nemmeno i più soli». Fonte: Osservatore Romano (altro…)