Feb 1, 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Una risposta immediata All’inizio dell’estate compravamo sempre la legna e il cherosene per l’inverno, ma era già autunno e non avevamo ancora i soldi per assicurarci il riscaldamento. Un giorno, parlandone in famiglia, ci siamo detti: “L’Eterno Padre conosce i nostri bisogni e l’importante è avere fiducia in lui”. Non avevamo neanche finito il discorso quando è arrivato un nostro amico con una busta contenente del denaro, frutto di una colletta. Mai c’era capitato di avere una risposta così immediata di Dio che provvede ai suoi figli! I.S. – Serbia Dalla dentista Un ragazzo della nostra comunità aveva i denti molto rovinati, ma essendo di famiglia povera non poteva curarsi. Un giorno l’abbiamo accompagnato da una dentista ma, arrivati nella clinica dove lavora, ci siamo accorti che era frequentata da persone ricche. Fiduciosi nella provvidenza, siamo entrati lo stesso. Dopo la visita la dottoressa ci ha chiesto se potevamo pagare un lavoro così costoso. Le abbiamo spiegato che, con gli amici, avremmo organizzato una vendita di oggetti e vestiti usati per coprire tutte le spese. La dottoressa, incuriosita, ha voluto saperne di più. “Mi pagherete con quello che avete” ha poi concluso. Mentre uscivamo ci ha richiamato, aggiungendo: “Sapete, ho tanti problemi e mi è venuto in mente che potrei farvi il lavoro gratis se voi in cambio pregherete per me”. Così abbiamo fatto. Tempo dopo la dottoressa ci ha detto che la nostra presenza aveva portato nel suo lavoro una nota di gioia e serenità. G.B. – Filippine Incontri nel carcere Sapendo che ci sono tante persone sole che hanno molto bisogno di qualcuno che stia loro accanto, abbiamo pensato di andare a visitare i malati di un ospedale, i carcerati e i ragazzi di un orfanotrofio. A questi ultimi abbiamo portato oggetti, giochi e vestiti. Poi ci siamo detti: perché non usiamo anche i mezzi di comunicazione per arrivare a più persone possibile? Dalla radio locale abbiamo ottenuto mezz’ora di programma tutto per noi. Tante persone hanno seguito la nostra trasmissione. Quando siamo tornati nel carcere, ci hanno accolto dicendo che, dopo aver sentito alla radio la nostra trasmissione, ci stavano aspettando. Di solito ai ragazzi della nostra età non è consentito di entrare nel carcere, ma per noi avevano fatto un’eccezione. Con canti ed esperienze sul Vangelo abbiamo parlato a un centinaio di detenuti, uomini e donne, e a una decina di guardie. Ci hanno chiesto di tornare. Anche il giornale locale ha dato notizia di questi incontri dentro al carcere. Un gruppo di amici – Uganda La malattia Quando ho saputo che Monique era stata colpita dalla Sla, anche se non ci vedevamo ormai da due anni, sono tornato a farmi vivo con lei per mettermi a sua disposizione. Il nostro era stato un grande amore, ma per vari motivi ci eravamo allontanati. La fede semplice di Monique si scontrava con il mio agnosticismo. Accanto a lei, che accettava serenamente la sua nuova situazione, ho vissuto un vero e proprio capovolgimento mentale. I cristiani lo definirebbero “conversione”. Quando la sua malattia ha raggiunto uno stadio terminale, mi sono trovato cambiato. Non dico di aver trovato la fede, ma il rispetto verso Monique ha creato in me uno spazio nuovo. J. M. – Francia (altro…)
Gen 31, 2018 | Chiara Lubich, Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Il Camerun, nella regione equatoriale dell’Africa occidentale, si compone, in seguito a due storie coloniali parallele, di due gruppi di regioni che parlano rispettivamente francese e inglese. Le differenze non si limitano alla lingua, ma includono anche aspetti dell’amministrazione pubblica. Una escalation di violenza sta minacciando il Paese, in tutto 23 milioni di abitanti su un territorio di 475 mila chilometri quadrati. Raphaël Takougang, avvocato camerunense, membro dei Focolari ora in Italia, spiega: «La parte francofona divenne indipendente il 1° gennaio 1960. Per la parte anglofona ci fu un referendum, il 1° ottobre 1961, per decidere se unirsi alla vicina Nigeria (già anglofona) o rimanere con il Camerun. Il nord di questa regione scelse di unirsi alla Nigeria, il sud preferì rimanere col Camerun. Nacque così una Repubblica Federale con due stati, il Cameroun Oriental e il Southern Cameroon, ognuno con proprie istituzioni (Parlamento, governo, sistema giuridico, ecc.) e altre a livello federale. Il 20 maggio 1972 un altro referendum diede alla luce la Repubblica Unita del Camerun. Nel 1984, una semplice modifica della costituzione tolse la parola “unita” e il paese prese da allora il nome di Repubblica del Camerun. Dal 1972 in poi il malessere degli anglofoni, in forte minoranza nel Paese, è andato sempre più aumentando e ha preso il nome di “anglophone problem”».
Dal 2016 questa situazione di crisi nella parte anglofona ha scatenato una serie di scioperi, dapprima degli insegnanti, poi degli avvocati. Gli abitanti della cittadella dei Focolari di Fontem, nel cuore della foresta camerunense, spiegano: «Se da una parte i vescovi hanno sempre incoraggiato il dialogo, il boicottaggio delle istituzioni deputate all’educazione e alla giustizia ha dato una svolta inaspettata alla crisi, che si è aggravata con l’escalation di scioperi anche degli esercizi commerciali e dei sistemi di trasporto, secondo una strategia definita “Città Morta”. All’inizio dell’anno scolastico, lo scorso settembre, nessuno studente si è presentato. Nonostante le minacce di rappresaglie per i trasgressori, qua e là, coraggiosamente, alcune scuole hanno riaperto e altre ne stanno seguendo l’esempio. Anche il nostro collegio a Fontem ha ripreso le attività». La cittadella è nata dalla testimonianza di amore concreto di alcuni medici, arrivati lì nel 1966, dopo un appello del vescovo locale a Chiara Lubich, per prendersi cura del popolo Bangwa, affetto da un’altissima mortalità infantile che ne stava causando l’estinzione. In breve tempo, grazie al contributo di persone di ogni parte del mondo, Fontem si è dotata di scuole, di un ospedale e di altre strutture di servizio. Da allora, il popolo Bangwa e diversi altri popoli confinanti si sono incamminati sulla strada della fraternità, visibile ora anche in altre cittadelle nate in questi anni nel continente africano. Con i suoi 80 mila abitanti, Fontem è un centro di incontro e formazione per persone che arrivano da ogni parte dell’Africa e del mondo. Qui scoprono come lo scambio e la collaborazione tra uomini e donne di razze, culture e tradizioni diverse possa portare frutti di fratellanza anche in regioni martoriate da conflitti.
«Il Collegio di Fontem ha subito un attacco – spiegano ancora gli abitanti – ma tante persone del villaggio sono accorse per aiutare studenti e insegnanti, anche a rischio della propria vita. Con l’avvicinarsi del 1° ottobre, data storica per il Camerun anglofono, nella ricorrenza del referendum citato, si temevano manifestazioni violente, e la comunità dei Focolari ha organizzato dei gruppi di preghiere alla quale hanno aderito persone anche di altre regioni del Paese e all’estero. Fino ad ora a Fontem nessuno ha perso la vita. Ogni occasione è propizia per coltivare rapporti con le varie autorità civili, tradizionali ed ecclesiali. Cerchiamo di aiutare quanti avviciniamo ad andare oltre le paure, a creare momenti di famiglia, cominciando da quelli più vicini, spesso confusi da tante voci e dai media. I giovani hanno organizzato delle serate di “talent show” e l’evento “Sports for peace” per promuovere uno spirito positivo». «In tutto questo periodo, pur in mezzo alle difficoltà – concludono – la vita della comunità dei Focolari è andata avanti anche qui. Ci auguriamo che questa sfida di amore verso tutti ci ottenga la capacità di discernere e agire per il bene del nostro Paese». (altro…)
Gen 30, 2018 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Cinque anni prima, di ritorno dal Genfest 1980, Andrew Basquille, Eugene Murphy e io, all’epoca studenti allo University College di Dublino, avevamo cominciato a dedicare più tempo, insieme, alla musica. Cominciò per noi un periodo di grande creatività, che sfociò nella composizione di molti brani, sia insieme che singolarmente. “Yes to You”, la canzone che abbiamo poi portato al Genfest del 1985, risale a quell’epoca. Ecco come è nata.
Nel 1981 Chiara Lubich visitò la comunità di Londra, e gran parte delle persone dei Focolari in Irlanda si misero in viaggio per l’Inghilterra, per seguire l’evento. Un pomeriggio, mentre un gruppo di noi irlandesi stava pranzando vicino al luogo dove doveva parlare Chiara, cominciai a suonare dei semplici accordi al piano e ne uscì una melodia con una sequenza di accordi, Mi-Do minore-Fa, leggermente inusuale (alla chitarra non mi sarebbe mai venuto in mente di utilizzarla). Joe McCarroll, cantautore molto bravo, che stava lì vicino a me, si unì aggiungendo alla melodia le parole “So many times that I’ve said maybe” (“Così tante volte ho detto forse”). Allora io continuai con le parole “So many times that I said no” (“Così tante volte ho detto no”), quando si aggiunse anche Andrew, che completò il primo versetto. Nei due giorni successivi io e Andrew scrivemmo circa 3 versetti, ma ancora non ci era venuta nessuna ispirazione per il coro. Alla fine questo fu aggiunto – testo e musica insieme – da Eugene, che impresse alla canzone una particolare enfasi, facendo cantare il coro in Do maggiore e poi, con una meravigliosa interazione tra maggiore e minore, in Fa, per esprimere ed enfatizza il nuovo livello di convinzione nella scelta di Dio, con le parole “Yes to You”.
Ci venne chiesto di eseguire il brano al Genfest, che si sarebbe svolto qualche mese dopo. Abbiamo provato e riprovato, spendendo tutto quel tempo a perfezionare la nostra canzone. Quel giorno, dietro le quinte, mentre aspettavamo pazientemente il nostro turno di cantare, cominciammo a renderci conto che i tempi stavano saltando. Ci dissero che il nostro pezzo era stato tagliato. Che delusione! Mentre chiudevo la mia chitarra nella custodia, pensavo ai mesi di prove e fatica che erano stati cancellati in un istante. Poi, all’improvviso, quella decisione venne revocata e ci ritrovammo di colpo catapultati sul palcoscenico, enorme, senza nemmeno il tempo di un controllo del suono e senza poterci guardare tra noi. Non ebbi nemmeno il tempo di prendere la mia chitarra, chiusa nella custodia, e mi ritrovai tra le mani una chitarra spagnola con le corde di nylon, uno strumento che non ero affatto abituato a suonare! È così che abbiamo cantato“Yes to You” al Genfest 1985: completamente privi di riferimenti e di certezze, costretti a dipendere solo dalla forza del rapporto di amore scambievole tra noi e dal desiderio di meritarci così la presenza di Gesù tra noi. La mia esperienza al Genfest 1985 è stata di riprova e verifica, riprova della mia scelta di vivere per l’unità, e verifica che questo fosse possibile. Ho partecipato a molti altri grandi eventi – festival, partite di calcio, concerti – ma nessuno come il Genfest. Lì non c’erano odio, ostilità e inimicizia, come quando le squadre rivali si scontrano nelle partite di calcio, e nemmeno l’euforia fugace provocata dall’alcol o dalla droga, che spesso accompagna i concerti o le grandi manifestazioni. Lì, a quel grande raduno di giovani, solo una gioia più profonda e duratura.
Padraic Gilligan
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Gen 29, 2018 | Chiara Lubich, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Gennaio 1998. Palermo si prepara al Grande Giubileo dell’anno 2000 portando su di sé segni di luce e di ombra. Una città muta, insanguinata dalle passate e anche recenti stragi di mafia, ma anche decisa a riscattarsi, mostrando il suo vero volto. Gennaio 2018. Oggi, il capoluogo siciliano si presenta come un’espressione avanzata del dialogo tra le diverse culture europee e il mondo arabo, un avamposto della cultura mediorientale dentro il tessuto europeo. Una “città mosaico”. Alla presenza del Sindaco Leoluca Orlando, delle autorità e di alcuni rappresentanti delle istituzioni, lo scorso 20 gennaio si è voluto “fare memoria” – come “impegno”a proseguire nella stessa direzione – di un avvenimento che ha rappresentato per la città una tappa del suo “magnifico disegno provvidenziale”, secondo un’espressione usata allora da Chiara Lubich. Durante i vari interventi sono emersi alcuni aspetti della vita dei Focolari negli ultimi vent’anni: l’impegno nel sociale e nel mondo della scuola, in particolare in alcuni quartieri di periferia come Ballarò, Brancaccio e lo Zen, la promozione di eventi e la riflessione su alcuni grandi temi, come l’ecumenismo, l’impegno verso le nuove generazioni, con l’avvio di scuole di partecipazione civile, e il confronto con personalità dell’economia, della politica, della cultura e dell’arte. In questi anni, la comunità dei Focolari ha dato un contributo al cammino di tutta la cittadinanza verso la costruzione di una “città dell’accoglienza e dei diritti”, con i valori della fraternità e della continua ricerca del dialogo.
«Il ricordo della cittadinanza onoraria a Chiara Lubich – ha affermato il Sindaco Orlando – è l’occasione per guardare al cammino della città, in nome del rispetto della persona umana e della costruzione di una comunità che si fonda sui valori dell’unità e della fraternità: quelli su cui Chiara ha fondato il suo movimento e che oggi accomunano milioni di persone nel mondo. Oggi quei valori sono parte del vissuto quotidiano di Palermo, con l’accoglienza e la solidarietà che sono terreno di prova, ma anche una straordinaria occasione di conferma della volontà del popolo palermitano di costruire una città accogliente e a misura d’uomo, come continuamente viene dimostrato dai comportamenti della società civile».
L’Arcivescovo di Palermo, Mons. Corrado Lorefice, ha augurato di procedere in questo cammino di fraternità, attraverso il dialogo a tutti i livelli, verso una meta «indicata profeticamente allora da Chiara Lubich: che Palermo possa divenire una città sul monte a cui guardare per la realizzazione del disegno di Dio sulla comunità degli uomini». «La celebrazione di tale avvenimento – ha aggiunto – esprime la profonda sintonia tra la città di Palermo ed i valori contenuti nel carisma di Chiara: concorrere alla ricomposizione dell’unità della famiglia umana». Maria Voce, presidente dei Focolari, con un messaggio ha incoraggiato tutti a «condividere i molti frammenti di fraternità che si sono consolidati in questi anni per promuovere l’accoglienza, la legalità e la pace», con l’augurio «che la città si distingua sempre più per una testimonianza attiva sui vari fronti del dialogo, moltiplicando iniziative che infondano speranza e valorizzando i talenti di tutti nell’ottica dell’unità». L’adesione all’Associazione “Città per la fraternità”, voluta dal Comune di Palermo, impegna ulteriormente i suoi cittadini ad ispirare alla fraternità universale ogni futura decisione e azione. Leggi in allegato: Messaggio dell’Arcivescovo Lorefice Messaggio di Maria Voce (altro…)
Gen 24, 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Arresti domiciliari «Ai primi di dicembre 2016 mi arrivò la telefonata di una mamma disperata che mi chiedeva aiuto per uno dei suoi figli. Si era conclusa la causa che lo vedeva imputato e doveva scontare 11 mesi di detenzione domiciliare. Lei non poteva accoglierlo perché non aveva una casa e nessuno lo voleva fra i piedi. Ero l’unica speranza per lei e non potevo chiudere gli occhi davanti a questa richiesta. Come fare? Tre giorni dopo, mentre mi apprestavo a fare qualche telefonata per trovare qualcuno che potesse aiutarmi, qualcuno bussa alla porta. Era una persona che viene spesso a trovarci. Lo accolgo, gli preparo un caffè e cominciamo a parlare. A un certo punto mi chiede: «Cosa stavi facendo?». Una voce interiore mi spinge a parlargli di quella situazione. E lui: «Ma questa cosa non potrei farla io?». Gli chiedo se avesse capito bene di cosa si trattava. Sì, ha capito bene e sa proprio cosa e come fare. Ha un piccolo appartamento, ma lui si sposterà a dormire in salotto per lasciare il suo letto al ragazzo. Il giorno dopo si attiva per l’espletamento degli atti burocratici. I mesi sono volati, tutto è andato molto bene, tanto che il ragazzo ha avuto uno sconto di pena. Per tutto il periodo, due volte la settimana siamo andati a portare quello che serviva da mangiare, dato che questo amico non aveva una situazione economica agiata. È bastato il mio “Sì” per consentire a Dio di fare miracoli». (N.C. – Italia) Potevo guardarlo negli occhi «Un giorno, mentre mi recavo a scuola, sono stato aggredito da una banda di ragazzi in un sottopassaggio. Mi hanno preso a calci e pugni e sbattuto a terra. Volevano il mio cellulare. Quando finalmente sono andati via, non riuscivo ad alzarmi dal dolore che provavo nel corpo e nell’anima. Mi chiedevo “Perché proprio a me?”. Montava il rancore. A scuola ho raccontato ad alcuni compagni l’incidente che mi era capitato, ma nessuno ha capito il mio dolore e questo mi ha ferito. Per alcune notti non potevo dormire, piangevo dalla rabbia, mentre come in un film rivedevo la scena del sottopassaggio. Solo dopo un po’ di tempo sono riuscito a parlarne con alcuni amici, che come me hanno come riferimento il Vangelo. Confidarmi mi ha aiutato a fare ciò che prima ritenevo impossibile: perdonare gli aggressori. Quando sono andato in tribunale per il riconoscimento e per il processo, sentivo in cuor mio che li avevo perdonati e, senza difficoltà, potevo guardarli dritto negli occhi». (Dal blog di T. Minuta) L’apparenza inganna «Dovevo andare in centro a fare un po’ di shopping. Non avevo molto tempo. All’improvviso ho sentito qualcuno chiedermi una moneta. In genere non dò mai soldi, non è possibile aiutare tutti, e se poi acquistassero della droga con quei soldi? Quel ragazzo aveva la testa rasata e lo sguardo rabbuiato. Ho avuto l’impressione che fosse simile a uno dei ragazzi che anni prima mi avevano aggredito. Ho accelerato. Un isolato dopo, però, mi sono chiesto: “Come faccio a coltivare la mia unione con Dio, e poi trascurare questo ragazzo che mi ha chiesto un aiuto?” Mi sono girato e sono tornato a cercarlo. “Di cosa hai bisogno?” gli ho chiesto. Sorpreso, mi ha risposto che aveva sete. L’ho invitato a sedersi in un bar. Lui rispondeva alle mie domande con un secco “sì” o “no”. Ho pensato allora di raccontargli io le mie esperienze e lo sforzo di adattarmi in un Paese nuovo. Sembrava non fosse interessato ed ero un po’ scoraggiato. Quando mi sono alzato per concludere mi ha detto: “Perché non continui? Nessuno prima mi ha mai raccontato della sua vita. È una esperienza nuova per me e devo abituarmi. Parlami del tuo Paese. Perché sei venuto qui?”. Ho ordinato un’altra Coca e siamo rimasti insieme altre due ore. Alla fine ci siamo abbracciati. Tornando a casa ho affidato a Gesù questo ragazzo, di cui nemmeno conoscevo il nome». (U.K. – Argentina) (altro…)