Nel mondo esistono anche luoghi in cui la fraternità viene coltivata con uno scopo. Uno di questi è MilONGa, un progetto che si è affermato come iniziativa chiave nel campo del volontariato internazionale, con l’obiettivo di promuovere la pace e la solidarietà attraverso azioni concrete.
MilONGa propone un’alternativa concreta: vivere la solidarietà in prima persona, attraverso esperienze che trascendono i confini culturali, sociali e geografici.
Il suo nome, che sta per “Mille organizzazioni non governative attive”, è molto più di un progetto. È una rete che mette in contatto i giovani con organizzazioni in varie parti del mondo, dando loro l’opportunità di impegnarsi attivamente in iniziative sociali, educative, ambientali e culturali. Fin dalla sua nascita, il programma è cresciuto tessendo una comunità globale che riconosce valori comuni: pace, reciprocità e cittadinanza attiva.
Ciò che distingue MilONGa non è solo la diversità delle sue destinazioni o la ricchezza delle sue attività, ma il tipo di esperienza che offre: una profonda immersione nelle realtà locali, dove ogni volontario non viene per “aiutare”, ma per imparare, scambiare e costruire insieme. È un percorso di formazione integrale che trasforma sia chi lo vive sia le comunità che lo accolgono.
I Paesi in cui queste esperienze possono essere realizzate sono diversi come i giovani che vi partecipano e coprono diverse latitudini: Messico, Argentina, Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Paraguay, Uruguay e Perù in America, Kenya in Africa, Spagna, Italia, Portogallo e Germania in Europa, Libano e Giordania in Medio Oriente.
In ognuno di essi, MilONGa collabora con organizzazioni locali impegnate nello sviluppo sociale e nella costruzione di una cultura di pace, offrendo ai volontari opportunità di servizio che hanno un impatto reale e duraturo.
Dietro MilONGa c’è una solida rete di partenariati internazionali. Il progetto è sostenuto dal progettoAFR.E.S.H., cofinanziato dall’Unione Europea, che gli permette di consolidare la sua struttura e ampliare il suo impatto. Fa inoltre parte dell’ecosistema di New Humanity, un’organizzazione internazionale impegnata a promuovere una cultura dell’unità e del dialogo tra i popoli.
Una storia che lascia un segno
Francesco Sorrenti è stato uno dei volontari che si sono recati in Africa con il programma MilONGa. La sua motivazione non era solo il desiderio di “aiutare”, ma un bisogno più profondo di capire e avvicinarsi a una realtà che sentiva lontana. “Era qualcosa che mi portavo dentro da anni: una profonda curiosità, quasi un’urgenza di vedere con i miei occhi, per cercare di avvicinarmi a una realtà che sentivo lontana”, racconta Francesco della sua esperienza in Kenya.
La sua esperienza in Kenya è stata segnata da momenti che lo hanno trasformato. Uno di questi è stata la visita a Mathare, una baraccopoli di Nairobi. “Quando uno di loro mi ha detto: ‘Guarda, qui è dove vivono i miei genitori. Io sono nato qui, i miei figli sono nati qui. Mia moglie l’ho conosciuta qui e probabilmente moriremo qui’, ho provato un fortissimo senso di impotenza. Ho capito che prima di fare qualcosa era necessario fermarsi. Che non ero lì per sistemare le cose, ma per guardare, anziché girarmi dall’altra parte”.
Ha anche sperimentato momenti di luce nel suo lavoro con i bambini di una scuola locale. “La gioia di questi bambini era contagiosa, fisica. Non c’era bisogno di molte parole: bastava essere lì, giocare, condividere. È stato allora che ho capito che non si tratta di fare grandi cose, ma semplicemente di essere presenti”, racconta.
A due anni dalla sua esperienza, Francesco ne sente ancora l’impatto. “Il mio modo di vedere le cose è cambiato: ora do più valore a ciò che conta davvero e ho imparato ad apprezzare la semplicità. Questa esperienza mi ha lasciato anche una forma di forza, una tenacia interiore. Ti rimane una sorta di resilienza, come quella che ho visto negli occhi di chi, all’alba, voleva fare tutto anche se non aveva nulla”.
Incontri che moltiplicano l’impegno
Nell’aprile 2025, la MilONGa ha partecipato al congresso internazionale “Solidarity in Action, Builders of Peace” (“Solidarietà in azione, costruttori di pace”), che si è svolto nella città di Porto, in Portogallo. L’incontro, organizzato congiuntamente da AMU (Azione per un Mondo Unito), New Humanity NGO e Movimento dei Focolari del Portogallo, ha riunito giovani leader di tutto il mondo legati ai programmi Living Peace International e MilONGa.
Per tre giorni, Porto si è trasformata in un laboratorio di dialogo e azione, dove i giovani partecipanti hanno scambiato esperienze, condiviso buone pratiche e costruito strategie comuni per rafforzare il loro ruolo di agenti di pace. MilONGa ha svolto un ruolo chiave, non solo attraverso la partecipazione attiva dei suoi volontari, ma anche creando sinergie con altre reti giovanili impegnate nella trasformazione sociale.
Uno dei momenti più significativi del congresso è stato lo spazio del laboratorio collaborativo, dove i partecipanti hanno immaginato e progettato progetti concreti con impatto locale e globale.
MilONGa non si definisce solo per quello che fa, ma per l’orizzonte che propone: un mondo più giusto, più unito, più umano. Un mondo dove la solidarietà non è uno slogan, ma una pratica quotidiana; dove la pace non è un’utopia, ma una responsabilità condivisa.
Provengo da un contesto familiare di divisione, sono nata dalla relazione extra-coniugale di mio padre. Per questo lui ha tenuto segreta la mia esistenza e, per molto tempo, ho sperimentato, soprattutto da bambina, un temporaneo abbandono da parte sua.
Sentivo che la mia storia aveva qualcosa che rimaneva come oscuro. Quello che non sapevo era che Gesù avrebbe iniziato un processo di conversione radicale nella vita di mio padre, che lo avrebbe portato a diventare un pastore pentecostale.
La mia storia e il senso di abbandono avrebbero potuto senza dubbio essere un motivo per allontanarmi dalla fede. Tuttavia, non è quello che è successo. Di fronte all’esperienza dell’abbandono, non potevo che interrogarmi su quell’amore che, anche di fronte al dolore di una bambina, aveva raggiunto la vita di mio padre. A volte mi chiedevo: “Che tipo di amore è questo, capace di attraversare il dolore che sto provando?”. A 16 anni, durante una crociera per il diploma della scuola, ho trovato quell’amore. Una sera, seduta in cima alla nave, la voce del Signore ha parlato chiaramente al mio cuore: “Non sei nata per fare quello che fanno i tuoi amici, Mayara, tu sei mia”. Grazie a ciò che è iniziato lì, sono diventata una giovane pentecostale convinta.
A 19 anni sono entrata alla Pontificia Università Cattolica di San Paolo (Brasile) per studiare teologia. In una storia che solo lo Spirito può scrivere, sono diventata presidente del Centro accademico e della Commissione studentesca di teologia dello Stato di San Paolo. Ero molto amica di alcuni seminaristi, e ho avuto contatti con varie diocesi, ordini religiosi, alcuni i sacerdoti visitavano spesso la mia casa. All’inizio mia madre scherzava: “Non avrei mai immaginato di avere così tanti sacerdoti in casa mia, Mayara”.
Per mezzo di questa esperienza ho deciso di scrivere la mia tesi finale sull’unità dei cristiani, ma quando ho iniziato a pensare a quale strada intraprendere, sono successe molte cose che mi hanno portata a riflettere sulla mia storia familiare; ho attraversato un profondo processo di perdono e riconciliazione. E così, mentre perdonavo, scrivevo. In ogni momento, la mia memoria mi ricordava quanto potesse far male avere una famiglia divisa, ma è stato in questi momenti che il Signore mi ha anche chiesto: “E la mia famiglia, la Chiesa”? Potevo, ed ho sentito che era necessario, unire il mio abbandono a quello di Gesù.
“Ho deciso di scrivere la mia tesi finale sull’unità dei cristiani (…) e sono successe molte cose che mi hanno portata a riflettere sulla mia storia familiare; ho attraversato un profondo processo di perdono e riconciliazione”.
Nella foto: Mayara durante il Congresso Ecumenico a Castel Gandolfo nel mese di marzo 2025
Partendo dal patrimonio comune della Sacra Scrittura, ho concluso questa sofferta tappa scrivendo sul tema: “Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni! La figura della Sposa come risposta profetica all’unità della Chiesa”. È stato questo passo a condurmi al dialogo cattolico-pentecostale: alla Commissione per l’unità Rinnovamento carismatico cattolico- SP e alla Missione Siamo uno. Fondata da laici nel contesto di una comunità cattolica (Coração Novo-RJ), la Missione Siamo uno si basa su una lettera di intenti firmata da leader cattolici ed evangelici nella quale si definiscono i quattro pilastri del cammino di dialogo: rispetto delle identità confessionali, ecclesialità, non proselitismo e cultura dell’incontro. Nel calendario ufficiale della città di Rio de Janeiro c’è perfino una settimana intitolata “Settimana Siamo uno” e siamo stati sorpresi di ricevere il riconoscimento di Patrimonio culturale e immateriale. In pratica, la Missione riunisce leader evangelici, cattolici e pentecostali con uno scopo comune: proclamare l’unità dei cristiani. Il dialogo teologico è stato reso possibile dalla creazione di un Gruppo di lavoro (GdL) cattolico-pentecostale nazionale. Il suo obiettivo è riflettere teologicamente e pastoralmente sull’esperienza carismatico-pentecostale, a partire dalla realtà latino-americana. Recentemente abbiamo pubblicato il primo rapporto, frutto dei nostri incontri, sui doni dello Spirito Santo. Nel 2022 è iniziato il lavoro della Missione Giovani Siamo uno, un gruppo in cui mi trovo totalmente coinvolta con tutto il mio cuore e il mio servizio. Per questi motivi, vedo la MissioneSiamo uno come un segno di speranza. In primo luogo, per tutta la comunione che ho sperimentato e, in secondo luogo, perché la mia storia personale si intreccia senza dubbio con essa.
Incaricati di essere “pellegrini della speranza”, vorrei concludere questa condivisione con una frase che mio padre dice quando racconta la storia della nostra famiglia. Ripete innumerevoli volte che è nata tra dolori e ferite, ma inondata dall’amore infinito di Dio: “la tribolazione è diventata vocazione”. Quando mio padre intravede questa realtà, cita sempre la lettera di S. Paolo ai Romani: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia di Dio” (Rm 5,20). Parafrasando questo testo biblico, in questa “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2025”, nell’anno del Giubileo e della celebrazione di tanti anniversari importanti come il Concilio di Nicea, mi dà coraggio e mi fa pensare che: in mezzo a tante ferite abbondanti lungo la storia della Chiesa, Dio fa certamente sovrabbondare la sua speranza.
Up2Me è un programma di formazione ed educazione all’affettività e alla sessualità proposto dal Movimento dei Focolari. Nasce nel 2015 come risposta alle sfide educative per le giovani generazioni del terzo millennio. Oggi è diffuso in 35 Paesi di tutto il mondo e offre percorsi rivolti in maniera specifica ad ogni fascia d’età: i bambini con le loro famiglie, i ragazzi preadolescenti e adolescenti (con un percorso parallelo per i loro genitori) e i giovani.
Approfondiamo il percorso adatto ai bambini, età 4-8 anni, insieme a Paolo e Teresa Radere che da anni si impegnano nella formazione, in particolare alle nuove generazioni dei Focolari.
Team Up2Me Bambini
Paolo, Teresa, in cosa consiste Up2Me bambini?
È un’esperienza che i bambini fanno con i loro genitori, un itinerario per la formazione integrale a partire dallo sviluppo delle dimensioni dell’affettività, emotività e sessualità, sollecitando anche la sfera spirituale e l’intelligenza esistenziale, al fine di assumere già dall’infanzia uno sguardo aperto e profondo sul mondo e sulle persone. Il percorso punta ad una relazionalità positiva, aperta creativamente al dialogo, all’accoglienza, al rispetto delle dimensioni di unicità e irripetibilità della persona umana, a generare la culla necessaria per un’esperienza di crescita personale e comunitaria, all’apertura all’altro da noi.
A chi si rivolge?
È rivolto a tutti i nuclei familiari che abbiano bambini preferenzialmente nella fascia 4-8 anni. Qualora, come avviene in tutte le famiglie, ci siano figli più grandi o più piccoli, la partecipazione ad Up2Me non è un problema ma un’opportunità, perché è la famiglia tutta che fa un’esperienza. Il percorso si può offrire anche a bambini di genitori affidatari, separati o genitori single. In questi casi, i bambini saranno accompagnati nel percorso dalla figura adulta che il bambino vive come riferimento (uno dei due genitori naturali o affidatari o entrambi, uno zio, un nonno…).
Il progetto si può proporre e svolgere anche in gruppi di famiglia, in parrocchia o in ambito scolastico.
Quali sono gli obiettivi?
Per i bambini l’obiettivo finale è quello di fare delle esperienze condivise con i loro genitori e altre figure di riferimento, necessarie per lo sviluppo della loro identità e per una crescita integrale e armonica. Riconoscere, accogliere ed esprimere in modo adeguato al contesto le emozioni primarie con una valenza positiva; sperimentare una buona ed efficace comunicazione con i genitori; sviluppare l’interiorità, la conoscenza di sé, crescere nella dimensione spirituale – intesa come la capacità di contemplare e trascendere, imparare a prendersi cura del proprio corpo, degli altri, della natura.
Per i genitori invece il corso è utile nel favorire la crescita nella capacità di dialogare tra generazioni all’interno del nucleo familiare, tra famiglie e con la cultura contemporanea per valorizzarne le potenzialità latenti; approfondire la conoscenza sullo sviluppo socio cognitivo e psicologico del bambino e sul tipo di relazioni che lo favoriscono; comprendere quanto le modalità di azione e relazione dei genitori con i propri figli influiscono sulla loro crescita e imparare buone pratiche educative per la regolazione emotiva; conoscere l’influenza delle nuove tecnologie nella formazione dei bambini e il ruolo dei genitori in esso.
Quali sono i contenuti del percorso?
Dall’esperienza e dallo studio di questi anni e per dare organicità al cammino abbiamo scelto la metafora di ‘un viaggio insieme verso la felicità’. Si è scelto di lavorare sulla educazione emozionale-relazionale dei bambini perché questa costituisce la base della loro relazione affettiva e sessuale; le emozioni permettono poi di articolare il corpo e la mente per cui favoriscono la crescita personale integrale. Il metodo della formazione esperienziale permette ai genitori e ai bambini di condividere le loro esperienze quotidiane in incontri comunitari, di dialogare, approfondire e illuminare, costruendo così un nuovo sapere che nasce dalla propria sapienza e da quella degli altri.
I contenuti sono presentati attraverso una pluralità di linguaggi: del gioco, del movimento, della sensorialità, della rappresentazione iconica, della narrazione, delle immagini, della danza come caratteristiche dell’approccio ai diversi temi.
L’idea è quella di un viaggio in aereo che dà al bambino l’immagine della continuità del percorso, il senso dell’attesa e della scoperta, la necessità di lavoro di preparazione al viaggio. Dopo ogni tappa l’esperienza continua a casa perché ad ogni nucleo familiare viene consegnata una proposta che aiuti a continuare il dialogo e il clima costruito con l’obiettivo di ricercare gli spazi di crescita come famiglia.
Siamo Aureliana e Julián del Paraguay, sposati da 36 anni e abbiamo cinque figli e sei nipoti.
JULIAN: Aureliana aveva 18 anni ed io 19 quando ci siamo sposati. Eravamo molto innamorati ed entusiasti di costruire la nostra vita insieme. I primi cinque anni sono stati molto belli, eravamo ottimi compagni, lavoravamo insieme, ci aiutavamo e ci completavamo bene. Dopo 7 anni di matrimonio, siamo entrati in una crisi molto forte che ci ha quasi portato alla separazione. La comunicazione è diventata difficile: non riuscivamo a parlare di noi stessi, della nostra relazione, e questo ci ha gradualmente allontanato. Tuttavia, entrambi avevamo il desiderio di dare il meglio per le nostre figlie e di progredire economicamente. Ognuno viveva a modo suo, litigavamo abbastanza, ma riuscivamo ad andare avanti.
AURELIANA: Quando le nostre figlie hanno raggiunto l’adolescenza una di loro aveva atteggiamenti ribelli e, a 17 anni, è rimasta incinta ed è andata a convivere. In quel momento abbiamo iniziato a chiedere aiuto per rafforzarci come genitori anche spiritualmente. Frequentavamo le riunioni dei gruppi di famiglie e i ritiri spirituali. Così siamo riusciti a superare sfide difficili, mettendo ognuno molta buona volontà.
JULIAN: Avevamo stabilità economica, una bella famiglia, salute e un’azienda familiare ben posizionata: avevamo tutto! Un giorno ho iniziato ad avere contatti attraverso i social network, con una persona, ci siamo conosciuti e ho iniziato un rapporto extraconiugale con lei. A quel tempo mio padre ammalato era a casa con noi e per nostra figlia è stato molto difficile adattarsi alla maternità; quindi, Aureliana ha dovuto dividersi in mille pezzi per stare con lei, lavorare e organizzare la casa. Ero molto coinvolto in quella relazione extraconiugale e non aiutavo per niente Aureliana, anzi dicevo che non avevo tempo da dedicare, lei si lamentava ed io mi arrabbiavo. In quel tempo, abbiamo fatto un viaggio insieme in Europa e lì Aureliana ha scoperto che le ero infedele. Tutto è crollato, eravamo lontani da tutti, soli tra quattro mura in una stanza d’albergo.
AURELIANA: Mi è caduto il mondo addosso! Non sapevo cosa fare, non riuscivo a credere che potesse succedere una cosa del genere. All’inizio sono rimasta zitta, pensando che saremmo riusciti a terminare il viaggio, ma dopo un po’ sono esplosa: ho rotto il silenzio urlando, piangendo e chiedendo una risposta. Lui da parte sua ha cominciato a implorare disperatamente pietà, a chiedere perdono a Dio e a me e questo, nonostante il terribile dolore che provavo, ha toccato il mio cuore. Sapevo che dovevo fare un passo e ho riposto tutta la mia fiducia nell’aiuto di Dio per realizzarlo. Finalmente sono riuscita a vedere il volto di Gesù crocifisso in Julián. Gli ho offerto le mie braccia e ci siamo un po’ tranquillizzati. Tuttavia, nonostante il passo interiore, spesso ero sopraffatta dal dolore e dalla tristezza.
“È questo che vogliamo annunciare al mondo: siamo qui per essere ‘uno’ come il Signore ci vuole ‘uno’, nelle nostre famiglie e là dove viviamo, lavoriamo e studiamo: diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita. (…) E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.”
JULIAN: Di notte Aureliana non dormiva, piangeva. Le è stata diagnosticata una depressione. Io mi sentivo impotente e colpevole. Ho pregato tanto: sentivo che mia moglie e la mia famiglia erano un bene molto prezioso, ma ormai il danno era fatto e dovevo accettare il mio errore, ma anche volevo mettere tutto il mio impegno e la mia fiducia in Dio.
AURELIANA: La nostra famiglia era divisa, i figli non sapevano a chi dare la colpa e si sono ribellati. Poi Julián si è ammalato: gli è stato trovato un tumore al cervello. Questo fatto mi ha scosso molto e ha quasi rimosso il mio stato depressivo. Ricevuto l’esito della TAC, ci siamo riuniti con i figli e abbiamo cercato la migliore alternativa per l’intervento chirurgico. Sentivamo che l’unità della famiglia era il bene più prezioso, che era al di sopra di ogni avversità ed io mi sono resa conto che ero di nuovo capace di dare la vita per mio marito e di vivere fino in fondo la mia fedeltà a lui, “nella salute e nella malattia”.
JULIAN: Mi sono sentito amato e sono riuscito a superare due interventi chirurgici al cervello con un recupero in tempi record. Appena dimesso dall’ospedale, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a un incontro per coppie in crisi, perché ancora avevamo bisogno di guarire le nostre ferite.
AURELIANA: In questo incontro sono riuscita a chiarire tanti dubbi. Abbiamo ricevuto molto affetto dai partecipanti, approfittando della presenza di professionisti e coppie con molti anni di esperienza e abbiamo scoperto una nuova via d’uscita.
JULIAN: Ho capito che la volontà di perdonare è una cosa, però, guarire il trauma richiede un processo; la ferita che le ho causato è stata molto profonda e lei aveva bisogno di tempo, di pazienza ed amore da parte mia. Ho ricevuto il dono più grande da Dio, che è il perdono. Abbiamo rinnovato il nostro matrimonio, Aureliana mi ha detto di nuovo il suo SÌ per sempre e abbiamo ricominciato.
AURELIANA: La nostra vita è cambiata completamente, dopo 35 anni di matrimonio abbiamo smesso di lottare. Viviamo una vita piena come coppia e possiamo guardarci negli occhi ed amarci come mai prima d’ora.