Apr 13, 2016 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Sociale
«Gli studiosi calcolano che dal 3000 a.C., circa, siano arrivate nel continente americano delle popolazioni provenienti dal sudest-asiatico. Si tratta del popolo Guaranì (e non solo), composto da tante etnie e che, nei secoli, si è diffuso dai Caraibi fino all’estremo sud del continente», spiega Diana Durán, paraguaiana, sociologa e studiosa dei popoli originari dell’America.
L’incontro con una piccola comunità delle etnie Avà Guaranì e Mbya avviene quando, due anni fa, una grande inondazione del fiume Paraguay costringe il gruppo indigeno composto da 33 famiglie (115 membri) ad abbandonare il precario insediamento in riva al fiume, dove vivevano raccogliendo i rifiuti della vicina discarica.
«All’inizio cercavamo di aiutarli con vestiti, alimenti, medicine, aiuti sanitari, come il ricovero di un diabetico, o l’intervento nei confronti di uno di loro con ferite d’arma da fuoco; oppure affittare delle toilette mobili quando si sono trovati sloggiati in un terreno deserto; o quando, dopo una tempesta, abbiamo trovato delle tende e acqua potabile … eppure vedevamo che questi aiuti non erano ancora sufficienti. Ci voleva un terreno per loro, che desse riparo e sicurezza». Dopo una lunga ricerca si individua un luogo adatto: 5,5 ettari, a 4,5 Km dalla città di Ita, con una scuola e l’ambulatorio sanitario vicini; il tutto immerso nel verde e, soprattutto, con la possibilità per loro di produrre un orto comunitario per l’auto-sostentamento e lo spazio per costruire un locale per corsi di formazione. La sfida ora è trovare i fondi per acquistare il terreno. «Bussiamo a tante porte – racconta Diana –. Una persona esperta ci facilita la strada per ottenere lo status giuridico della Comunità Indigena, in modo da intestare a loro la proprietà. Inoltre, un amico della comunità Mennonita si offre di anticipare il pagamento del terreno, cosa che per noi sarebbe stato proprio impossibile. Ci impegniamo, insieme ai nostri amici Avà, a restituirgli il denaro poco per volta».
«Dio ci ha guardato con un amore speciale», dice Bernardo Benítez, capo della comunità. Un Dio che per loro è il “Padre Primigenio”, il cui mandato principale è l’amore reciproco. È presente negli atti quotidiani e dona la terra, luogo sacro da custodire e dove costruire rapporti fraterni. «Accompagnare la comunità di Yary Mirì non è privo di sofferenza – afferma Diana –, a causa della discriminazione che subiscono per i pregiudizi ancestrali, e anche per la miseria in cui si trovano a vivere. Ma è anche una gioia conoscere e condividere i loro valori comunitari e solidali che hanno conservato nei secoli, oltre che costatare l’amore e la fiducia che cresce tra noi e loro. Oggi non siamo soli: ci aiutano tanti amici, due associazioni legate ai Focolari (Unipar e Yvy Porà che si occuperà di accompagnare lo sviluppo dell’orto comunitario), due vescovi, alcuni funzionari di istituzioni bancarie, 2 cristiani mennoniti e la Pastorale Indigena. Abbiamo ottenuto 4 borse di studio in Scienze dell’Educazione per il loro leader e per 3 giovani. Loro stessi hanno voluto scegliere quella facoltà “perché la nostra gente ha bisogno di istruzione”, dicono». «Adesso sto scrivendo un libro sulla storia della loro comunità – conclude Diana Durán –, non solo come denuncia e per dare voce a chi non ce l’ha, ma come un dovere nei loro confronti per quanto hanno sofferto e per quanto dobbiamo a loro. Lo considero come un passo verso la fraternità universale, l’ideale che ci anima». (altro…)
Dic 29, 2015 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«Ho sognato un focolare fra i mocambos – appunta nel suo diario Chiara Lubich il 21 aprile 1964 durante un viaggio in Brasile – fatto come un mocambo. Perché la casa nostra deve essere come l’ambiente dove si svolge l’apostolato prevalente». Seppur a distanza di anni, il sogno si avvera. Lucival, Helson, Keles (brasiliani), Estimable (haitiano), Fabrizio (italiano), da quasi un anno hanno lasciato la loro abitazione della capitale Florianopolis per trasferirsi nel morro, una delle tante “periferie esistenziali” del mondo. “Come sta andando?”, chiediamo a questi focolarini. «Cerchiamo soprattutto di inserirci nel nuovo ambiente. Keles lavora nella scuola Marista, che nel morro ricopre grande importanza educativa e sociale per bambini e adolescenti. Lucival – che lavora nella Fazenda da Esperança, una comunità di recupero per giovani tossicodipendenti – si è impegnato nell`Associação de Moradores “Alto da Caieira”, un’organizzazione per tutelare i diritti degli abitanti del morro». Sappiamo che farsi accettare dalla gente delle favelas non è sempre facile. Questi cinque giovani ci stanno provando, aiutati anche da don Vilson Groh, che nel morro presta servizio da oltre trent’anni. “«È stando con la gente – dicono – che vengono le idee. Per esempio qualcuno ha lanciato la proposta di celebrare la messa nelle case, a turno. Così da un paio di mesi ogni giovedì lo si sta facendo. Mentre il mercoledì, sempre in case diverse, si recita il rosario degli uomini (una pratica abbastanza comune in Brasile). Non sono grandi numeri (sulle 10/12 persone) ma è un seme gettato. Che già sta portando i suoi frutti, nel senso che vediamo man mano aumentare la conoscenza e la fiducia, sia verso di noi che reciproca tra loro. Cresce il senso di responsabilità comunitaria, il sentire propri i bisogni e le necessità dell´altro».
Qualche episodio per capire? «C’era un uomo dipendente dall’alcool che dormiva in un immondezzaio. Don Vilson ne ha parlato con la comunità, che si è data da fare per inserirlo in un cammino di recupero. Gli hanno letteralmente ricostruito l’abitazione (un capanno in legno di circa 3mt x 4), che hanno anche ammobiliato, chi portando un fornello, chi il letto, chi il frigorifero, ecc. Due settimane fa tra i 15 adolescenti cresimati c’era anche lui. E giovedì della scorsa settimana la messa è stata celebrata nella sua abitazione. Siamo venuti a conoscenza anche della situazione altrettanto disumana di una donna ed è ancora la comunità che si sta dando da fare per aiutarla. Come sono loro stessi che distribuiscono a chi ha più bisogno quanto riusciamo a procurare di vestiario e cibo». E come segno che i rapporti si stanno davvero approfondendo, raccontano che nell’ultimo venerdì una ventina di persone si sono trovate in focolare per la “confraternização”, un momento di festa per il Natale, dove ognuno ha portato qualcosa. Anche qui, nel morro, non solo si è mangiato insieme il “churrasco”, celebre piatto brasiliano a base di carne, ma si è festeggiato Gesù che ancora una volta non disdegna di nascere – come a Betlemme – nella povertà di una favela. (altro…)
Dic 16, 2015 | Cultura, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Sociale
Quella educativa è una delle sfide più importanti anche della società nigeriana, dove alle volte si verificano tra ragazzi comportamenti aggressivi e le tradizioni religiose infondono paura e un senso di impotenza di fronte al male. “Un giorno – ci racconta Christiane – una madre non ha più portato la figlia a scuola perché avevamo chiesto di far tagliare i capelli ai bambini che cominciavano la prima classe di materna. Una persona dotata, secondo le credenze, di conoscenza degli spiriti, le aveva detto che, se avesse tagliato i capelli alla figlia, questa sarebbe morta. Perciò la bambina non è più venuta”. Tedesca di origine, Christiane ha collaborato per tanti anni nel settore giovanile dei Focolari. Oggi si dedica ancora ai bambini anche attraverso il progetto di sostegno a distanza dell’associazione Famiglie Nuove, ad Igbariam, un villaggio a 40 Km dalla città di Onithsa, nel sud-est della Nigeria, dove sorge la “scuola Fraternità”. Il progetto è cominciato nel 1995 quando un gruppo dei Focolari, fin dagli anni ‘80, ha avviato un processo di promozione umana che attraverso rapporti profondi con la gente del posto e nel rispetto delle tradizioni locali, ha offerto anche concrete opportunità di sviluppo. “Attraverso l’amore concreto per alcuni bambini è nato un doposcuola, e da lì, piano piano, un asilo e poi una scuola elementare. Iniziando dalla materna si cerca di dare ai bambini una formazione globale, preparandoli ad affrontare le tante sfide di questa grande nazione”. La scuola sorta nel 2006, oggi accoglie 223 studenti, 75 all’asilo e 148 nella primaria. Col tempo si è sviluppata la partecipazione dei genitori al progetto formativo e sociale che vede un metodo educativo basato su valori umani, uno stile pedagogico che crede e rispetta la dignità del bambino in quanto persona. Si riserva un’attenzione preferenziale ai più piccoli, come quella che esprime il Vangelo, offrendo strumenti nuovi per una crescita umana integrale. Si utilizza ad esempio il “dado dell’amore”, con cui studenti e insegnanti cercano di vivere entrambi l’impegno quotidiano alla pace e alla solidarietà. È
una novità perché in molte scuole nigeriane si ritiene utile alla correzione formativa la pratica delle punizioni corporali. L’idea vigente è: “Risparmia la verga, rovina tuo figlio” e non è facile cambiarla. Tuttavia anche “le ricerche psicologiche attuali dimostrano che gli effetti negativi di queste misure correttive oltrepassano quelli positivi”, afferma Mrs. Akwobi ella Nwafor Orizu College of Education Nsugbe, intervistata da “New City Nigeria”, nuova edizione nigeriana di Città Nuova nata di recente. “I bambini spesso diventano tesi e aggressivi con le punizioni fisiche. Non riescono a empatizzare con l’insegnante e trasferiscono questo rifiuto alla materia che insegna”. Continua Mrs. Akwobi: “È importante invece che arrivino a maturare la scelta consapevole del bene e non solo per evitare la punizione. L’insegnante dovrebbe comportarsi come se avesse sempre da imparare perché l’insegnamento è un processo di andata e ritorno. L’ascolto, la pazienza, la comprensione favoriscono nei bambini il comportamento positivo e recano benefici sull’apprendimento. Inoltre, adottare misure non violente nel trattare a scuola con i bambini, aiuta anche a ridurre la percentuale di violenza nella società. Questi principi educativi li vediamo tutti attuati nella scuola Fraternità in Nigeria”. “Qui molte persone partono – conclude Christiane – per cercare una vita migliore in Europa. Il nostro lavoro ha come scopo quello di aiutare le persone a costruirsi nel proprio Paese un’esistenza vivibile. Grazie di ogni piccolo aiuto! Serve più di quanto si possa immaginare per portare avanti le opere sociali e aiutare con la diffusione di una cultura nuova, basata sull’Agape, cioè l’amore cristiano, lo sviluppo di questo Paese”. Sostieni a distanza: http://www.afnonlus.org/ (altro…)
Set 5, 2015 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
7 kilometri addentrandosi nella foresta, dove si arriva a piedi o con un furgoncino (il baka) che supera tutte le buche di acqua e fango scavate durante la stagione delle piogge. Nel villaggio di Glolé, uno dei 18 del Cantone (nella regione del Tonkpi, a Man, nordovest della Costa d’Avorio), non c’è l’elettricità, di conseguenza neanche la televisione, non c’è internet, non ci sono negozi. Molti dei suoi abitanti sono stati toccati dall’ideale di fraternità di Chiara Lubich. Lo vivono nel quotidiano a partire dalla parola del Vangelo messa in pratica, e anche la struttura sociale e politica che li tiene insieme, viene gradualmente arricchita e illuminata da questa esperienza. Gilbert Gba Zio, è un leader comunitario naturale, catechista, capo di una delle famiglie: «Un giorno ci siamo chiesti cosa fare per il nostro piccolo villaggio», racconta nel recente convegno dell’Economia di Comunione a Nairobi (Kenya). «Vedevamo che la Parola del Vangelo vissuta poteva darci delle indicazioni». Ed ecco alcune delle concretizzazioni che sono seguite a quella domanda.
Casa dello “straniero” (ospite) – L’espressione locale “Kwayeko”, “Da noi c’è posto”, a Glolé non è un modo di dire. «Qui di frequente arrivano persone di passaggio – racconta Gilbert – gente che fa chilometri a piedi, costretta a dormire per strada prima di arrivare nei propri villaggi. Ogni volta si cede il proprio letto all’ospite. Anche questo è Vangelo, ma ci siamo detti: “Non possiamo fare di più? Perché non costruiamo piccole casette, così, quando qualcuno arriva, possiamo offrirgli un tetto per dormire?”. Abbiamo iniziato, tra canti di gioia, a fabbricare mattoni. Nel gruppo c’erano dei muratori e abbiamo costruito 12 piccole case composte da una stanza e un piccolo salone. Adesso agli stranieri che arrivano possiamo dire: “Abbiamo la casa, venite a dormire”. Il cibo non manca, siamo contadini. Così abbiamo fatto i primi passi». Casa della salute – La difficoltà di accesso alla strada asfaltata durante la stagione delle piogge, e i successivi 30 km per raggiungere la città di Man, il centro urbano più vicino, rendono impossibile un soccorso tempestivo in caso di necessità medica. «Un giorno una donna doveva partorire d’urgenza – racconta ancora Gilbert – L’abbiamo trasportata con la carriola fino alla strada asfaltata per trovare un veicolo. Grazie a Dio, la donna è stata salvata; ma farcela è stata dura. Dunque, occorreva costruire una casa della salute e mettere al lavoro alcune “ostetriche tradizionali”. Ma dove trovare i soldi? Da noi c’è la mezzadria: il proprietario di un campo lo può dare a un altro che lo coltiva per una stagione. Il frutto del raccolto è diviso a metà. La nostra comunità ha preso una piantagione di caffè: gli uomini hanno pulito il terreno, le donne hanno raccolto il caffè. Con questi soldi abbiamo acquistato il cemento e costruito la casa della salute».
Bambini malnutriti – «C’erano dei bambini che morivano nel villaggio e non sapevamo come poterli salvare. Alla cittadella Victoria del Movimento dei Focolari, c’è un Centro nutrizionale che si sarebbe potuto occupare di loro. Abbiamo spiegato il problema e iniziato a portare i bambini. Eravamo sorpresi nel vedere che da loro i bambini guarivano senza medicine. Ci hanno insegnato come dargli da mangiare. Un giorno la responsabile ci ha detto: «Se volete, possiamo venire da voi». Eravamo d’accordo. Nella nostra cultura il bambino appartiene all’intero villaggio! Ci hanno spiegato come evitare e curare questa malattia. Abbiamo iniziato a cambiare le nostre abitudini alimentari e imparato come conservare gli alimenti, per nutrire i nostri bambini in tempo di carestia». Banca del riso – «Conserviamo il riso in piccoli granai, ma spesso è visitato da ladri e topi. Abbiamo allora costruito un magazzino e ciascuno ha inviato ciò che aveva. Eravamo all’inizio 30 persone. Oggi anche i contadini che non sono del gruppo si sono associati e 110 persone portano i loro sacchi di riso per conservarli in questa banca. Nei mesi di marzo e aprile, durante la semina, vengono a prendere quello che serve per arare; mettono da parte il necessario per i propri figli. Al momento opportuno, quando i prezzi sono buoni, prendono il riso per la vendita. Ognuno, secondo la propria coscienza, dona una parte del raccolto e lo deposita nella banca come contributo per i bisogni della comunità e per i guardiani della banca». Un villaggio non basta – «Non potete venire da noi con il “vostro affare”?», chiedono dai villaggi vicini. Oggi sono 13 i villaggi che vivono come a Glolé. «L’unità è la nostra ricchezza», afferma Gilbert. «Un giorno qualcuno dall’esterno voleva aiutarci a costruire un pozzo nel villaggio. Ma non siamo arrivati ad un accordo. Se avessimo insistito, questo pozzo avrebbe portato la divisione nel villaggio. Abbiamo preferito non accettare questo dono e mantenere l’unità fra di noi». Cfr. “Economia di Comunione – una cultura nuova” n.41 – Inserto redazionale allegato a Città Nuova n.13/14 – 2015 – luglio 2015 Cfr. Nouvelle Cité Afrique Juillet 2015 Costa d’Avorio (Nairobi): Congresso di Economia di comunione 2015 (altro…)
Giu 24, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Sociale
Nel 2013 la città colombiana di Medellín, con i suoi 2,4 milioni di abitanti, è stata riconosciuta come la città che più velocemente si sta modernizzando al mondo e ciò grazie ai processi di sviluppo intrapresi negli ultimi anni, come ad esempio la riduzione delle emissioni di anidrite carbonica, la creazione di spazi culturali e la riduzione della criminalità. A Medellín opera la Fondazione Mundo Mejor e, per questi motivi, è stata scelta come sede del III Seminario di UNIRedes, tenutosi dal 3 al 7 di giugno. Vi erano rappresentate oltre 30 organizzazioni provenienti da Brasile, Messico, Argentina, Bolivia, Paraguay, Venezuela e Colombia, a cui si devono aggiungere altre 10 che hanno partecipato all’evento via streaming. In questo seminario le diverse organizzazioni sociali ispirate dalla spiritualità dell’unità hanno accolto la sfida di rafforzare il loro cammino insieme. Anabel Abascal, membro del Comitato Coordinatore, ha affermato: “Noi associazioni sociali che aderiamo a UNIRedes crediamo che, nel mondo attuale, lavorare in rete sia l’unico modo per dare visibilità alla fraternità universale, nostro principio ispiratore”. Nei quattro giorni dell’incontro si sono approfonditi gli strumenti a disposizione per rispondere al meglio, con il lavoro quotidiano, alle grandi sfide sociali. Susana Nuín, della Conferenza Episcopale dell’America Latina (CELAM) ha illustrato il punto di vista della Chiesa regionale, presentando i 4 assi trasversali per l’intervento sociale: cura della creazione, costruzione della pace, migrazione e giustizia sociale. Il docente italiano Giuseppe Milan, invece, è intervenuto con un contributo sulla pedagogia interculturale basata sulla spiritualità di Chiara Lubich. Una pedagogia che riconosce e assume su di sé i dolori ed i bisogni che la diversità sociale ci presenta. Afferma Milan: “L’educazione ha come principio la fraternità, formare persone-mondo che valorizzino il dialogo per costruire società nuove. La metodologia è l’arte di amare. Accettare tutti e rispettare le diverse culture”. Inoltre si sono affrontati temi relativi al consolidamento istituzionale delle organizzazioni e alla gestione della rete. A questo proposito Francesco Tortorella dell’AMU (Azione per un Mondo Unito), ha spiegato come si elaborano i progetti, partendo dalla fase di finanziamento fino alla partecipazione diretta dei protagonisti.
Alla conclusione del lavoro di gruppo si sono formati il nuovo Comitato Coordinatore e le varie commissioni di lavoro che dovranno portare avanti i diversi obiettivi di UNIRedes: sviluppare nuove strategie di comunicazione per aumentare la comunione e la diffusione delle varie azioni; dare visibilità alla speranza diffondendo i piccoli, ma significativi cambiamenti che le nostre azioni generano nella vita delle persone; avere una maggiore incidenza nelle politiche pubbliche locali; intessere nuovi legami di cooperazione tra le organizzazioni; lavorare in modo che ognuna delle azioni sociali dia un ruolo da protagonisti ai destinatari dei progetti, incentivando la reciprocità; promuovere il volontariato sociale come strategia per migliorare la gestione delle organizzazioni e per la formazione di uomini nuovi. Si può accedere ai vari interventi del III Seminario grazie ai video registrati via streaming e nella pagina web di Sumá Fraternidad. (altro…)