
Chi è Gesù Abbandonato per me

Acquarello © A.M Baumgarten
Acquarello © A.M Baumgarten
«La festa è stata un’esperienza incredibile! Ha colpito nel segno, nel mio cuore, e ci ha permesso di godere un bellissimo clima di fraternità che aiuta a ricaricare le batterie!». «Mi sono resa conto che posso decidere se restare nella caverna o uscirne. Ho scoperto quanto è importante aprirmi e condividere con altri quello che succede dentro di me». «Nel gruppo di giovani della cittadella ho riconosciuto una grande vitalità, radicalità, gioia, profondità, capacità di affrontare le difficoltà…». «È stata un’esperienza molto bella. Parto con la convinzione che è possibile vivere una vita diversa e che non siamo soli nello sforzo di essere quelli che realmente vogliamo essere e rischiare». Ecco alcune delle espressioni dei mille giovani riuniti, il 24 e 25 settembre scorsi, per la Festa dei giovani 2016, presso la Cittadella Lia – Argentina dei Focolari immersa nella pampa. Si tratta ormai di un appuntamento tradizionale che si ripete ogni anno con la potenza creatrice che i giovani sanno esprimere quando si tratta di trasmettere ad altri gli ideali per i quali vogliono spendere la vita. Quest’anno, all’edizione 2016, attratti dal motto “Rischia, quello che cerchi esiste”, sono arrivati oltre 1000 giovani da Paraguay, Uruguay, Cile, Brasile e da varie città dell’Argentina. In che consiste questa proposta? In un’esperienza di fraternità, che parte dal condividere per 48 ore lo stile di vita evangelico che caratterizza questa cittadella permanente del Movimento dei Focolari, nella quale attualmente vivono 85 giovani di 17 paesi, oltre a famiglie e adulti. Non solo. Si condivide un’esperienza e, attraverso la musica, il teatro e la danza, si mettono in comune anche le attuali problematiche in cui si trovano immersi i giovani: i rapporti familiari, lo studio, i successi e i fallimenti della vita, le dipendenze, i momenti di dolore, e soprattutto l’incontro con un Dio vicino, che ha una risposta personale per ciascuno. Ma l’idea non finisce lì: si cerca di coinvolgere tutti nella costruzione di un mondo unito senza distinzione di fede o di religione.
Quest’anno il programma prevedeva una combinazione di teatro, musica e testimonianze, il tutto sotto un’immagine emblematica che campeggiava a grande scala all’ingresso della sala nella quale si svolgeva la presentazione, con un cartello che incitava tutti: RISCHIA! Il linguaggio scelto per trasmettere le esperienze e costruire le scene di teatro, era diretto e ha interpellato ciascuno personalmente. Le canzoni, cantate con molta energia e un ritmo coinvolgente, hanno aiutato a fare la sintesi di questo impegno nella ricerca di qualcosa di grande per ognuno. I momento vissuti insieme fuori dalla sala, come la visita alla cittadella, i pranzi, le passeggiate, sono serviti per dar spazio a questo scambio tra giovani latinoamericani che hanno dimostrato il loro desiderio e la loro capacità di costruire un mondo unito, una società per tutti. Alla fine, la proposta lanciata ad ognuno dei partecipanti, di moltiplicare queste spazio di fraternità in ogni angolo del pianeta in cui viviamo. Gli echi non si sono fatti attendere: «Dal Paraguay voglio ringraziarvi perché ci avete fatto vivere giornate indimenticabili. Siamo emozionati e disposti ad accettare la sfida!». «Stamattina, mentre ero sull’autobus per andare al lavoro – scrive un altro giovane partecipante – mi tornavano in mente i giorni vissuti insieme e mi veniva voglia di vivere bene la giornata di oggi, di dare quel di più, di rischiare». Fonte: Cono Sur online (altro…)
Ad ascoltarli sembrano dei piccoli eroi. Ma loro non si sentono tali. Semplicemente sentono che è la cosa giusta da fare. Non parliamo soltanto di imprenditori dell‘Economia di comunione (EdC) consolidati, ma anche dei 30 giovani aspiranti tali che si sono buttati anima e corpo nell’avventura di 5 giorni all’insegna della condivisione . Quando era adolescente, grazie all’EdC Xandra è riuscita a superare i momenti difficili attraversati dalla sua famiglia ed ora è lei che nel suo centro estetico dà lavoro a due ragazze, costruendo reciprocità con i clienti, fornitori e con la società che la circonda. Dalila invece aveva dovuto chiudere la sua ditta, ma poi ha saputo rialzarsi e ricominciare. E giura che, nonostante la crisi che attraversa il suo Brasile, non ne sente gli effetti. Merito del “socio nascosto” – dice –, come chiamano nell’EdC l’intervento della provvidenza di Dio.
C’è bisogno, in una scuola per imprenditori, di raccontare anche i propri fallimenti ed imparare così gli uni dagli altri, specialmente quando dall’esterno l’incomprensione dei valori EdC si fa sentire. Così gli smacchi vissuti da Germán e Matías, i loro progetti frustrati, le loro scommesse perse con collaboratori disonesti, hanno fatto parte del programma della scuola. Programma nel quale – in risposta alle domande dei giovani – c’è stata la spiegazione dell’EdC evidenziando, dal punto di vista culturale, la novità del progetto (Cecilia Blanco, filosofa e docente), il segreto su come superare le difficoltà “senza fuggirne” (Raúl Di Lascio, imprenditore edile), la proposta di come si distribuiscono gli utili e l’accortezza di non creare dipendenze nelle persone aiutate. Sapendo distinguere la sana ambizione, dalla ricerca di status o benessere.
Yamil del Messico ha raccontato come sia riuscito a coinvolgere una trentina di imprenditori, giovani come lui, a “fare sistema” e come l’università e l’azienda dove lavora, vista la serietà dei loro progetti, abbiano messo a disposizione risorse e know-how. Questa proposta di “networking attivo”, che prevede incontri quindicinali nei quali ciascuno offre la propria conoscenza fornendo così spunti interessanti per un dialogo comune, sta riscuotendo entusiasmo e successo, proprio perché crea e moltiplica sinergie di saperi commerciali e operativi. Sempre dal Messico, in video, Luis Alonso ha proposto il nuovo EoC-IIN Economy of Communion International Incubating Network.
La “gita scolastica” prevedeva la visita al quartiere San Miguel di Capiatà (opera sociale dei Focolari) e alle imprese EdC Dispensa Santa Rita e Todo Brillo, azienda leader di pulizie. Tutti i partecipanti sono stati colpiti dai bambini della “Scuola Unipar” di San Miguel, che al solo vederli irradiavano tutto l’amore appreso (e che insegnano!) con il “Dado dell’Amore”; dai giovani e adulti del loro quartiere che ora sono padroni del proprio destino grazie ad un’efficace opera di empowerment. Julio e Ninfa gestiscono invece la Dispensa Santa Rita in un quartiere popolare di Areguá. Non acquistano a minor costo gli articoli di prima necessità a Clorinda, città argentina di frontiera, evitando così il contrabbando, e invece “perdono” tempo a frazionare la merce locale in pacchetti alla portata economica dei clienti. Ciò farà dire a Matías, del Paraguay, “ho capito che la grandezza di un’azienda non sta nel fatturato, ma nei valori che si vivono al suo interno”. Come provocazione, c’è stato il tema “Ricchezze e povertà nell’Edc” del professore uruguaiano Juan José Medeiros, mentre Diana Durán, storica paraguaiana, ha offerto un originale apporto sulle analogie dell’EdC con la cultura socioeconomica degli indigeni guaranì, stirpe alla radice stessa del Paraguay. Un lungo e stimolante dialogo via skype con Luigino Bruni, Anouk Grevin e Luca Crivelli della Commissione Centrale dell’EdC, e un altro con Rebeca Gomez Tafalla e Florencia Locascio di EoC-inn, hanno completato il programma. Prossimi appuntamenti: a settembre un congresso a Salta (Argentina) e il lancio a Cuba dell’EoC-INN. Fonte: EdC online
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(altro…)La misericordia está presente en nuestras vidas y en la historia de nuestra tierra. Esta virtud hace que nuestras relaciones sean maduras y duraderas; transforma el enamoramiento en amor, la simpatía y la sintonía emocional en proyectos fuertes y grandes; da cumplimiento a los “para siempre” que pronunciamos en la juventud, e impide que la madurez y la vejez se conviertan en una simple y nostálgica narración de sueños rotos. En el presente que nos toca vivir con grandes contradicciones, divisiones que parecen insalvables, heridas del pasado y prejuicios, se hace necesario actualizar el concepto: son necesarios ojos, corazón y manos de misericordia. No podemos avanzar en la construcción de la propia vida y de la historia de las instituciones y la sociedad toda sin “entrañas de misericordia”. Este libro pretende ser un compañero de viaje para ir saboreando cada día las gotas de sabiduría que sus páginas encierran. Un recorrido que va desde un concentrado de las palabras del papa Francisco, que nos invita a vivir el Año Santo de la Misericordia, hasta frases y meditaciones de grandes autores, sin dejar de lado las Sagradas Escrituras y pensadores de las grandes religiones. Textos que pueden ayudarnos a ser siempre más mujeres y hombres de misericordia y perdón. Un abrazo que recibimos y que debemos regalar a los demás. Grupo Editorial Ciudad Nueva
«Gli studiosi calcolano che dal 3000 a.C., circa, siano arrivate nel continente americano delle popolazioni provenienti dal sudest-asiatico. Si tratta del popolo Guaranì (e non solo), composto da tante etnie e che, nei secoli, si è diffuso dai Caraibi fino all’estremo sud del continente», spiega Diana Durán, paraguaiana, sociologa e studiosa dei popoli originari dell’America.
L’incontro con una piccola comunità delle etnie Avà Guaranì e Mbya avviene quando, due anni fa, una grande inondazione del fiume Paraguay costringe il gruppo indigeno composto da 33 famiglie (115 membri) ad abbandonare il precario insediamento in riva al fiume, dove vivevano raccogliendo i rifiuti della vicina discarica.
«All’inizio cercavamo di aiutarli con vestiti, alimenti, medicine, aiuti sanitari, come il ricovero di un diabetico, o l’intervento nei confronti di uno di loro con ferite d’arma da fuoco; oppure affittare delle toilette mobili quando si sono trovati sloggiati in un terreno deserto; o quando, dopo una tempesta, abbiamo trovato delle tende e acqua potabile … eppure vedevamo che questi aiuti non erano ancora sufficienti. Ci voleva un terreno per loro, che desse riparo e sicurezza». Dopo una lunga ricerca si individua un luogo adatto: 5,5 ettari, a 4,5 Km dalla città di Ita, con una scuola e l’ambulatorio sanitario vicini; il tutto immerso nel verde e, soprattutto, con la possibilità per loro di produrre un orto comunitario per l’auto-sostentamento e lo spazio per costruire un locale per corsi di formazione. La sfida ora è trovare i fondi per acquistare il terreno. «Bussiamo a tante porte – racconta Diana –. Una persona esperta ci facilita la strada per ottenere lo status giuridico della Comunità Indigena, in modo da intestare a loro la proprietà. Inoltre, un amico della comunità Mennonita si offre di anticipare il pagamento del terreno, cosa che per noi sarebbe stato proprio impossibile. Ci impegniamo, insieme ai nostri amici Avà, a restituirgli il denaro poco per volta». «Dio ci ha guardato con un amore speciale», dice Bernardo Benítez, capo della comunità. Un Dio che per loro è il “Padre Primigenio”, il cui mandato principale è l’amore reciproco. È presente negli atti quotidiani e dona la terra, luogo sacro da custodire e dove costruire rapporti fraterni. «Accompagnare la comunità di Yary Mirì non è privo di sofferenza – afferma Diana –, a causa della discriminazione che subiscono per i pregiudizi ancestrali, e anche per la miseria in cui si trovano a vivere. Ma è anche una gioia conoscere e condividere i loro valori comunitari e solidali che hanno conservato nei secoli, oltre che costatare l’amore e la fiducia che cresce tra noi e loro. Oggi non siamo soli: ci aiutano tanti amici, due associazioni legate ai Focolari (Unipar e Yvy Porà che si occuperà di accompagnare lo sviluppo dell’orto comunitario), due vescovi, alcuni funzionari di istituzioni bancarie, 2 cristiani mennoniti e la Pastorale Indigena. Abbiamo ottenuto 4 borse di studio in Scienze dell’Educazione per il loro leader e per 3 giovani. Loro stessi hanno voluto scegliere quella facoltà “perché la nostra gente ha bisogno di istruzione”, dicono». «Adesso sto scrivendo un libro sulla storia della loro comunità – conclude Diana Durán –, non solo come denuncia e per dare voce a chi non ce l’ha, ma come un dovere nei loro confronti per quanto hanno sofferto e per quanto dobbiamo a loro. Lo considero come un passo verso la fraternità universale, l’ideale che ci anima». (altro…)