Colombia: Il Genfest è incominciato qui
Tanto esplosivi, quanto raccolti. Tanto vivaci, quanto profondi. Sul palco sei giovani cantano sprizzando allegria e ritmo. Vengono da Ecuador e Perù, Venezuela e Costa Rica, Panama e Colombia a rappresentare i coetanei impegnati nel Movimento dei focolari. Sono quasi 200 nella sala del Centro Mariapoli di Tocancipà, vicino a Bogotà. Possono perciò ben dire, dando avvio all’incontro: «Buon pomeriggio, Latino America! Vogliamo che sia un anteprima del Genfest». Sembra contraddittorio un proposito del genere nel giorno del Venerdì santo. E infatti non hanno alcuna intenzione di scherzare. Hanno aperto il pomeriggio con la liturgia propria del Triduo, vissuta nel raccoglimento e nell’ascolto partecipe della Passione. Nessun salto, perciò, s’è avvertito quando, conclusi i riti, hanno raccontato delle iniziative, anche sociali, che portano avanti per contribuire ad alleviare i dolori, le povertà e le emarginazioni della loro gente. Ma senza dimenticare la sofferenza dei milioni di affamati del Corno d’Africa.
I racconti manifestavano l’impegno e il coraggio di comunicare lo spirito del carisma a tutti e nei diversi ambienti, senza alcun proselitismo ma senza nemmeno timori reverenziali, come la fondatrice Chiara Lubich invita a fare in una registrazione video seguita in grande silenzio. Giancarlo Faletti, copresidente dei Focolari, lo costata: «Siete la parola viva di Chiara e le permettete di gridare il suo messaggio ancora più forte. Si vede che Dio è il protagonista della vostra vita personale e comunitaria, per cui dico che il Genfest è iniziato oggi». Giubilo generale. Il Genfest, in realtà, si svolgerà a fine agosto a Budapest. Faletti, conquistato dai giovani, ha dato avvio anticipatamente all’evento. Temerario? Poteva sembrare, anche per le efficaci risposte date. Solo che i fatti gli hanno dato piena ragione. Quello che è successo dopo è stato molto più di un timido preludio.
Il pezzo forte del programma era il dialogo a distanza con la presidente Maria Voce. Il collegamento via Internet funziona subito ed eccola là sullo schermo. I giovani le avevano inviato una raccolta di domande, raggruppate per temi. Entra subito negli argomenti e, con l’usuale chiarezza, risponde senza fare sconti o scegliere scorciatoie. Le teste annuiscono nel silenzio. Questi ragazzi si sentono espressi, nonostante la differenza d’età. Anzi, scoprono, risposta dopo risposta, quanta fiducia la presidente riponga in loro. E questo, se non prevedibile, era sicuramente auspicabile. Insomma, missione compiuta da parte della signora con i capelli d’argento, quando, dopo una mezz’ora abbondante, chiude l’intervento. Non ci sono state canzoni, né pause. In programma restano i saluti finali. Maria Voce chiede se c’è una domanda sorta al momento. Ed ecco che l’imprevedibile bussa alla porta. No, è molto di più. È il Genfest che chiede di iniziare. Le distanze sono annullate, di spazio e di tempo. La presidente è qui, la sintonia piena. Uno dopo l’altro vanno al microfono volti imberbi o dalla barba trascurata, ragazze carine o dai tratti fini. L’emarginazione e la pigrizia, la felicità e la paura del dolore, la morte e la rabbia per le ingiustizie. Le consegnano perplessità o vicende proprie, emblematiche delle loro generazioni. Potrebbe apparire una seduta psicanalitica di massa, ma questi ragazzi sono esigenti: vogliono capire come Dio vede le cose. Maria Voce va più in là. Li porta a vedere da dove Dio vede le cose: dall’abbandono del crocifisso, da quell’insondabile mistero dove sono domiciliate la potenza divina e la fragilità umana. Non la croce, non il dolore. «Gesù abbandonato è una persona che per noi ha dato la vita. Nella sofferenza incontriamo Lui. Tutti i dolori, se crediamo in Dio Amore, hanno un valore redentivo». È Venerdì santo e c’è luce negli occhi di questi ragazzi. È passata un’ora e mezzo, un autentico Genfest. Paolo Lòriga, inviato (altro…)
Colombia: dialogo con la cultura
Le immagini che scorrono sullo schermo dovrebbero narrarci la vicenda giudiziaria di Manuel Mena. Ma facciamo fatica a riconoscere il suo volto. Ha appena varcato la porta del carcere, finalmente libero, e attorno a lui si sono subito stretti gli abbracci dei suoi familiari, e le lacrime e le urla di gioia creano un commovente gioco di intermittenze. Miguel era stato arrestato e condannato ingiustamente a 17 anni, e alcuni errori procedurali e investigativi avevano reso palese l’ingiustizia. Il suo caso è uno degli ultimi trattati da “Progetto Innocenza”, un’iniziativa all’avanguardia in America Latina, sorta all’insegna della fraternità nel 2007 all’università Manuela Beltràn di Bogotà ad opera di Juan Carlos Cardenas e altri che, ispirandosi all’ideale dell’unità, hanno orientato ad un servizio gratuito il dipartimento accademico giuridico sulle vicende di malagiustizia.
L’innovativa azione costituiva una tessera del mosaico che si è andato componendo lo scorso 4 aprile all’università Beltràn con contributi giunti da Venezuela, Ecuador, Perù, suscitando il vivo interesse degli oltre 400 presenti, tra cui politici, accademici, artisti ed esponenti di varie Chiese cristiane. Il simposio internazionale – promosso sul tema “Il dialogo con la cultura. Via alla fraternità” dal Movimento dei Focolari dei Paesi coinvolti – non aveva l’intento di condurre una ricognizione sulle iniziative esistenti, quanto di individuare i tratti salienti di un dialogo riproducibile in altri contesti. Miguel Niño, coordinatore dei lavori, ha evidenziato infatti il dialogo come categoria culturale e dimensione esistenziale riconducibili a Chiara Lubich e ne ha evidenziato declinazioni e livelli, da quello interpersonale a quello multietnico, da quello interculturale a quello tra i saperi. Ce n’è a sufficienza per intuire le ragioni e le sfide che la cultura della fraternità deve oggi affrontare nell’Ispanoamerica. E la necessità e la fecondità di appuntamenti come questo sono state sottolineate da Giancarlo Faletti, copresidente dei Focolari, nel portare il saluto della presidente Maria Voce, che ha seguito i lavori in collegamento telematico. Che si tratti di una frontiera ricca di futuro è emerso pure dalla crescente influenza operata dalla Cattedra libera Chiara Lubich, istituita dal rettore, prof. Lombardi, dell’università cattolica di Maracaibo, in Venezuela. Gli ambiti di incidenza riguardano ormai quelli culturali e artistici, economici e sociali, etici e pedagogici, con un coinvolgimento di altre nove università e di associazioni di carattere culturale.
Università e istituzioni pubbliche di vari Paesi seguono con attenzione anche le altre iniziative presentate al simposio, che vanno dalla sfida multietnica e interculturale – sfida apertissima nel crogiuolo di tipi umani del continente latinoamericano -, sino alla riqualificazione di ambienti urbani, dalla promozione della cultura dell’unità alla ricerca di fattori etici di sviluppo culturale. Insomma, un quadro di scenari appassionanti, che traggono origine e linfa culturale dal principio della fraternità universale, di cui ha parlato, in apertura del convegno, Alberto Lo Presti, politologo italiano. Egli ha mostrato l’attualità di quel principio per la cultura contemporanea: «Le trasformazioni del mondo globale – ha indicato – mettono in rilievo l’interdipendenza e il comune destino dei popoli- Ed è per questo che hanno bisogno della cultura della fraternità, capace di rappresentare con efficacia i traguardi verso cui la storia sta correndo». Paolo Lòriga, inviato
Focolarina uruguaiana, consultrice del PCCS
Come ha ricevuto questa notizia? Mi trovavo in vacanza in Uruguay quando mi hanno fatto sapere di questo nuovo incarico. Ero sorpresa, ma mi ha fatto molto piacere questo riconoscimento da parte del Santo Padre e del PCCS alla mia persona e a quanto rappresento; allo stesso tempo ho sentito dentro il cuore come una sfida dello Spirito Santo. La parola che mi è venuta spontanea: “servire”. Una parola che sembra fuori moda, ma che per me è stata di guida nella vita: servire gli altri, secondo la scuola di Gesù. Ora si tratta di servire la Chiesa e, attraverso di essa, la società. Le sue prime impressioni? Tre, o meglio, tre espressioni di gioia: la prima, la possibilità di poter dare il mio contributo in una dimensione di comunicazione in dialogo. Come diceva Paolo VI, il dialogo porta la Chiesa a vivere la sua vocazione, per offrire al mondo il suo messaggio di fraternità. Essa, come esprime l’Eclessiam Suam, diventa messaggio, colloquio. Rapporto di dialogo che Dio ci offre affinché possiamo capire quale rapporto dobbiamo cercare di stabilire e di promuovere con l’umanità. La seconda impressione: questo gruppo di consultori è composto da sacerdoti, religiosi, una religiosa, una laica e alcuni laici: la Chiesa nelle diverse vocazioni e i vari carismi. Una terza impressione: la gioia per la nomina e per la composizione interculturale del PCCS. Qual è la sua formazione e la sua esperienza nel campo della comunicazione sociale? Mi sono laureata in Comunicazione Sociale, Scienze sociali e Dottrina Sociale della Chiesa. Ho inteso sempre la comunicazione contestualizzata nelle scienze sociali. I miei primi studi: Magistero Pedagogico, a Montevideo, la mia città natale. Più tardi ho studiato Formazione in Comunicazione Popolare e Analista in Comunicazione Sociale presso l’Università del Salvador, in Argentina. Quindi, una Laurea in Sociologia all’Università Gregoriana a Roma, mentre facevo il Master in Dottrina Sociale della Chiesa all’Università Lateranense. Infine, sempre alla Gregoriana, ho conseguito il dottorato in Scienze sociali con specializzazione in comunicazione. Il mio lavoro si è svolto nel campo della comunicazione, non soltanto come teoria ma come pratica sociale, in quella costruzione reciproca fra teoria e prassi. Mi interessa l’accademia, la docenza, l’investigazione e anche la comunicazione popolare, alternativa e comunitaria. Qual è oggi la sua esperienza nel CELAM? Da sei anni partecipo come Consultrice in comunicazione, e come tale ero presente alla V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida (Brasile). Esperienze come quella mi hanno segnato profondamente, costatando di persona la dimensione della socialità sempre viva e costitutiva del popolo latinoamericano. La Chiesa in America Latina si fonda su quella dimensione di “società-ekklesía”. Ciò non l’esonera dalle grandi sfide come l’ingiustizia, le disuguaglianze sociali, la scelta preferenziale per i poveri; anzi, la spinge ad essere e ad agire “con l’altro”, in comunione. Il CELAM, sin dalla sua fondazione nel 1955, è nato con un forte impegno di dialogo e comunione permanenti con la Chiesa universale, proprio dal suo essere latinoamericano. Testimoniano quest’anelito le Conferenze Generali dell’Episcopato di Medellín, Puebla, Santo Domingo e Aparecida, che si sono svolte nello spirito del Concilio Vaticano II. Come gruppo della direzione del CELAM, ci siamo proposti di essere prima una comunità di Vita e di Comunione, consapevoli che solo così – discepoli e missionari -, possiamo offrire non soltanto la testimonianza del nostro fare, ma quella del nostro essere. Il Dipartimento di Comunicazione e Stampa è formato dal Presidente Mons. Adalberto Martínez Flores, Vescovo di San Pedro (Paraguay), e da altri cinque Vescovi (Repubblica Dominicana, Costa Rica, Brasile, Argentina e Perú), che rappresentano le varie regioni. Il principale obiettivo della nostra politica di comunicazione è quello di promuovere la collegialità episcopale, la comunione e la comunicazione fra le Conferenze Episcopali dell’America Latina e del Caraibi. Senza dimenticare altri fronti della nei quali il CELAM, assieme ad altre istituzioni, è fortemente impegnato. Credo che fare da Consulente del PCCS, in quanto membro del CELAM, possa aiutare a far da ponte, anche se c’è già una grande comunione fra queste due componenti della Chiesa. In che modo influisce nel suo agire la spiritualità di Chiara Lubich? Mi commuove ogni volta che devo dire cos’è per me la spiritualità che emana del Carisma dell’Unità. Lì si fonda la mia prima vocazione: condividere il “sogno” di Gesù: ‘Che tutti siano uno’. Amare e costruire l’unità con tutti, senza escludere nessuno, sapendo che quell’unità è molteplicità, unità nella diversità, capace di contenere gli opposti in una dinamica costruttiva e in armonia. Ho conosciuto la spiritualità dei Focolari negli anni settanta quando, come ogni giovane latinoamericana, cercavo un progetto di vita capace di trasformare la realtà. Nella spiritualità dell’unità ho trovato un Gesù vivo ed ho imparato ad incarnare il Vangelo. Sognavo in quegli anni ‘l’uomo nuovo latinoamericano’ e ho trovato in Gesù la risposta esistenziale e trasformatrice alle mie domande. E poi, vivere le sue parole assieme a tanti altri giovani, in una comunità aperta a tutti, mi ha dato la certezza che il Comandamento Nuovo di Gesù si può incarnare. E la presenza di Gesù fra le persone unite nel suo nome, promessa nel Vangelo, è una realtà visibile in grado di trasformare la società. In una parola, l’essere stata tra quei giovani che nel Cono Sud della nostra America Latina hanno potuto costruire la cittadella chiamata Mariapoli Lía , è stato per me un privilegio. Poi, col passare degli anni, quest’esperienza è continuata nelle diverse comunità del Movimento dove sono stata. Come adesso qui a Bogotá, insieme all’affabile popolo colombiano. Certamente non posso non accennare a qualcosa che considero chiave nell’esperienza che vivo nel CELAM e che adesso si apre in questo servizio al PCCS, ed è la testimonianza che ho dell’amore e della passione per la Chiesa della nostra fondatrice Chiara Lubich. La sua vita, la sua adesione alla Chiesa, la sua profezia che in qualche momento ha preceduto il Magistero – come ha detto Papa Beneditto XVI quando lei ci ha lasciato il 14 marzo 2008 –, ci ha portati sempre ad amare e costruire la Chiesa nella sua storia, nella tradizione patristica, nei suoi pastori, nei carismi di tutti i tempi che hanno abbellito il “giardino della Chiesa” – come lei amava dire –. È con questo patrimonio e passione per la Chiesa di Gesù che assumo questo servizio. (altro…)
Perù: in piccolo, il mondo intero
Il Movimento dei focolari in Perú è diffuso nelle sue tre regioni geografiche: la striscia costiera, la catena montuosa andina e la foresta pluviale amazzonica. Ci sono 3 centri del Movimento: 2 a Lima, 1 ad Arequipa e tante comunità sparse nel Paese: a Talara, Trujillo, Chiclayo, Lima, Ica, Arequipa e a Tacna con circa, complessivamente, 2000 membri. Il Perú è un paese molto ricco di risorse naturali. E’ stato la culla della civiltà Inca e pre-incaica che ha lasciato una grande ricchezza culturale ed archeologica come le rovine del Machu Picchu, considerate una delle nuove sette meraviglie del mondo. L’arrivo degli spagnoli prima e l’immigrazione africana e asiatica poi, hanno fatto del Perú un paese multiculturale, una somma di tradizioni, religioni ancestrali e culture. Come ha detto il peruviano, nobel per la letteratura, Mario Vargas Llosa: “Se frughiamo un po’ scopriamo che il Perú è, in piccolo, il mondo intero”.
La Cordigliera delle Ande, con le sue alte montagne che attraversano tutto il Paese raggiungendo quasi i 6.800 metri, è la cornice naturale e simbolo dei valori del popolo peruviano: forte, lavoratore, con uno spiccato senso dell’ospitalità, della solidarietà e di una ricca interiorità. La famiglia rimane un valore saldo e la vita è considerata e accolta come un dono di Dio, specie per l’amore e il sacrificio della donna. In questo contesto, il Movimento Famiglie Nuove dei Focolari sostiene e accompagna la vita della famiglia nelle sue gioie e nei suoi dolori. Il programma Sostegno a Distanza raggiunge circa 300 bambini, sparsi nei luoghi più poveri delle Ande. Molto numerosi, nel Paese, sono i giovani e i bambini, che raggiungono il 59% della popolazione. Tanti di loro sono stati attratti dall’ideale del mondo unito e sono protagonisti delle più varie iniziative per renderlo realtà. Un po’ di storia – Tre giovani di Arequipa, nel 1972, parteciparono ad un incontro del Movimento in Argentina. Ritornate felicissime per lo stile di vita evangelico sperimentato, coinvolsero in pochi mesi altre persone all’Ideale dell’unità. Nel 1981, una famiglia di Lima, dopo un contatto col Movimento a Bogotá – Colombia –, ha comunicato la spiritualità focolarina a tante altre famiglie. Nel 1982 si sono svolte le prime Mariapoli peruviane nella città di Arequipa e, successivamente, a Lima e a Trujillo. Con grande gioia di tutti, nel 1989 si è inaugurato il primo focolare femminile a Lima e, nel 1995, quello maschile. Nel 2001 si è aperta una nuova sede ad Arequipa, nel sud del Paese.
“Il popolo peruviano ha una dignità ancestrale”, commentava Bruna Tomasi – una delle prime compagne di Chiara Lubich – nella sua visita nel maggio del 2011. “Sembra che anche nella tradizione religiosa degli Inca ci siano tracce della Regola d’Oro”, affermava in riferimento alla frase che, nel Vangelo, suona “Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, e che si ritrova in modi diversi in tante religioni e culture. Come riconoscimento al contributo offerto dalla spiritualità dei Focolari in Perú, nel 2009 la Pontificia Università Cattolica di Lima ha voluto conferire a Chiara Lubich, il titolo postumo di Professoressa Onoraria. E il 31 marzo 2011, la si è ricordata con una conferenza sull’Economia di Comunione. (altro…)