Focolari: con i 43 studenti messicani

Foto: Jorge Mejia Peralta / Flickr

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«Come in prigione», ostaggi in casa, senza possibilità di incontrarsi. Questa è una delle sensazioni più diffuse nei Paesi colpiti dall’ebola, e condivisa anche da Antonette, una dei giovani membri dei Focolari della Sierra Leone. «Questo virus sembra renderci più egoisti e sfiduciati gli uni verso gli altri; non ci permette di andare liberamente verso i nostri amici». È per questo che Antonette si è fatta forza e ha deciso di preparare i pasti per alcune famiglie vicine rimaste senza nulla da mangiare, durante la quarantena di tre giorni che impediva loro di uscire. È in atto un dramma umano molto pesante: «La gente vede i propri cari morire o essere trasportati nei centri specializzati per l’ebola. Sono centri lontani da qui – a scrivere è padre Carlo Di Sopra della diocesi di Makeni – e molti, una volta partiti, non ritornano più. Le famiglie non sanno più nulla di loro, né loro delle proprie famiglie. Si capisce allora perché alcuni si nascondano e che altri preferiscano morire nei propri villaggi. Ma così il virus si propaga e miete ancora nuove vittime». Sì, perché a dover essere sconfitto non è solo il virus, ma anche l’ignoranza: la gente si chiede: c’è veramente l’ebola o è propaganda? Chi ha provocato questa malattia? Non vorranno solo venderci i vaccini per guadagnare? – scrive Carlo Montaguti, medico focolarino in Costa d’Avorio che ha curato un approfondimento sull’epidemia di Ebola nell’ultimo numero di Nouvelle Cité Afrique. A questo aggiungiamo i sedicenti guaritori, come la donna liberiana che avrebbe attirato malati dalla vicina Guinea, contribuendo alla diffusione dell’epidemia in Liberia. E l’insufficienza dei sistemi sanitari nazionali, la loro incapacità di rispondere vigorosamente a una simile urgenza e soprattutto la mancanza di mezzi. «In città come Monrovia (la capitale della Liberia), con 2 milioni di abitanti, la maggior parte degli ospedali e dei centri sanitari sono chiusi per paura del contagio. Così è difficile curare non solo l’ebola, ma tutte le altre malattie». Una situazione che deve essere assunta dalla comunità internazionale, come ha invitato a fare anche papa Francesco nel suo recente appello.
«Stiamo costituendo un ‘fondo ebola’ per aiutare i più colpiti – scrive ancora padre Carlo -. Dai Focolari in Costa d’Avorio sono arrivati degli aiuti concreti che adesso stiamo distribuendo. Ci sono molti orfani: a volte alcune famiglie vengono decimate dal virus. Un altro religioso, padre Natale, sta cercando disperatamente di trovare un team dall’estero che abbia un laboratorio per i test del virus e che possano venire qui al nord». E continua: « In questi giorni anche due nostri religiosi hanno avuto febbre alta. Era probabilmente malaria, perché la febbre è andata via, ma all’inizio c’è sempre apprensione e ci si trova disarmati, proprio nelle mani di Dio. Ci sono sempre più casi e non lontani da casa nostra. Anche la zona di Kabala che non aveva ancora registrato dei casi, adesso ce li ha. Arrivano notizie che il virus è fuori controllo, soprattutto perché ha attecchito nelle città. Una gran sospensione». Inoltre non si può viaggiare come prima, perché il distretto è in quarantena. E col passare delle settimane padre Carlo confida di capire che «questo non è un ‘angolo di mondo’, come lo avevo definito prima, ma è ‘il cuore di Colui che Chiara Lubich chiama il Super-Amore’», Gesù Abbandonato, che sulla Croce non trova risposte, ma continua ad amare. È l’unica arma rimasta, potente, perché aiuta a non perdere la speranza, a restare uniti, pregare per i malati: «possono toglierci la possibilità di ritrovarci, ma la presenza di Gesù tra noi si può stabilire anche attraverso le porte chiuse delle case», scrive un giovane. E un altro: «Sì, è la nostra impressione. Quella di essere come in prigione, ma anche lì possiamo amare». (altro…)
«Avendo saputo dei gravi disordini che si sono verificati in Burkina Faso, ho telefonato ai focolarini di Bobo-Dioulasso per chiedere notizie e per assicurare l’unità e le preghiere. Ho parlato con Dominique che mi ha rassicurato che la situazione, pur se tesa, è calma», scrive Augusto Parody Reyes, medico spagnolo, 24 anni vissuti in Africa, adesso al Centro internazionale dei Focolari. Ecco in breve la situazione secondo l’Agenzia Misna, in continua evoluzione: nei giorni scorsi a Ouagadougou e nelle principali città del paese si sono tenuti cortei di protesta senza precedenti per bloccare la strada alla candidatura del presidente Blaise Compaoré, al potere dal 1987, alle elezioni del 2015. Ma queste proteste sono degenerate il 30 ottobre nella capitale, ma anche a Bobo Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso, proseguendo nel pomeriggio dopo l’assalto e l’incendio del parlamento. Fonti di stampa locali hanno riferito di almeno una persona uccisa negli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine. Segnalati anche saccheggi di negozi e di banche. Nel pomeriggio i dimostranti hanno circondato anche la sede della presidenza. Proclamazione dello stato di emergenza, dissoluzione del governo e appello per un negoziato con i dimostranti: sono gli elementi chiave di un messaggio trasmesso alla radio dal capo di Stato, dopo ore di disordini e violenze nel cuore di Ouagadougou. Poi, si è saputo che il presidente Blaise Compaoré non ha rassegnato le dimissioni e ha cancellato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, decretato poche ore prima. Gli ultimi provvedimenti sono stati annunciati direttamente da lui con un’allocuzione televisiva. Le dichiarazioni del presidente hanno aggiunto ulteriore confusione ad una situazione già intricata ed incerta. Di fatto, a Ouagadougou la capitale, non è chiaro chi sia attualmente al potere. Infatti, poche ore prima il capo di stato maggiore delle forze armate aveva fatto sapere che “i poteri esecutivi e legislativi verranno affidati ad un organismo di transizione che sarà costituito tramite consultazioni tra tutte le forze vive della nazione”. Inoltre l’obiettivo della transizione sarebbe “il ritorno all’ordine costituzionale entro 12 mesi”. L’esercito ha anche decretato un cessate il fuoco su tutto il territorio nazionale dalle ore 19 alle 6. Questa la situazione al 30 ottobre, che è in continuo sviluppo. Infatti, nel frattempo il presidente si è dimesso e non si sa dove sia. I militari si sono divisi in due gruppi: l’esercito e la guardia presidenziale, ognuno con un leader a capo. “Stiamo pregando per la pace. Chiediamo a tutte le parti di dare prova di ritegno e di limitare i danni in questo momento particolarmente critico per la nostra nazione”: è l’appello rivolto dal vescovo di Bobo Dioulasso e presidente della Caritas Burkina Faso, monsignor Paul Ouédraogo, “nel quale tutti – dicono i Focolari del Burkina Faso – ci sentiamo espressi”. Aggiornato al 3 novembre 2014 (altro…)
Jánoshalma è una cittadina di circa 10mila abitanti nell’Ungheria meridionale, con una presenza dell’etnia Rom di circa il 3%, dove l’integrazione sociale è un tema caldo. È l’ultima ad aver conferito la cittadinanza onoraria a Chiara Lubich, ancora in vita, nel febbraio 2008. In questo contesto, lo scorso 7 ottobre è stata inaugurata un’istallazione del Dado della Pace, come già nella città natale di Chiara, Trento, qualche anno fa. Il Dado è nel parco al centro della città, di fronte al municipio, quasi come simbolo dell’aspirazione della cittadina; vicino al parco giochi realizzato alcuni anni fa con il lavoro della comunità locale dei Focolari e il Comune su richiesta di alcuni bambini del Paese, che dicevano al Sindaco di non aver un posto bello e pubblico per giocare. La proposta è partita dal Movimento dei Focolari, ma l’idea è stata accolta all’unanimità dal Comune. Nella realizzazione del Dado, i cui lati sono di 120 centimetri, con la struttura portante a misura d’uomo, in posizione diagonale, si è lavorato insieme a tanti, attirando la generosità di qualcuno: la ditta che ha fatto una buona parte dei lavori, ad esempio, ha offerto tutto il suo lavoro gratis…
L’originalità di questo grande Dado è che si può “tirare”, come si fa con quello di piccole dimensioni: si può girarlo, cioè, in varie direzioni per lasciarsi poi ispirare dalla frase che esce… All’inaugurazione erano presenti 150 persone, tra cui diversi alunni di scuole elementari e medie e alcuni bambini più piccoli, che frequentano ancora l’asilo. I rappresentanti della scuola cattolica che da anni usano il dado nelle loro classi, volevano proporlo a tutti i cittadini. C’erano anche le e i gen4, i bambini che vivono la spiritualità dei Focolari, che hanno raccontato davanti a tutti alcune loro esperienze e di come cercano di amare tutti. La mattina seguente alcuni bambini, andando a scuola, hanno cambiato strada per passare accanto al dado e poter “tirare”. Per chi volesse esercitarsi con un po’ di ungherese, ecco le sei frasi del dado: megbocsátok a másiknak – perdono l’altro meghallgatom a másikat – ascolto l’altro mindenkit szeretek – amo tutti elsőként szeretek – amo per primo szeretem a mellettem lévőt – ci amiamo a vicenda szeretem a másikat – amo l’altro (altro…)