Apr 9, 2020 | Chiara Lubich
“Quest’anno per molti cristiani i giorni della Settimana Santa e di Pasqua – che le Chiese occidentali celebrano il 12 aprile, mentre le Chiese ortodosse e le Chiese orientali ortodosse il 19 aprile – saranno un’esperienza speciale. A causa della pandemia del Coronavirus non potranno partecipare fisicamente alle celebrazioni liturgiche. Nel seguente testo del 2000 Chiara Lubich fa delle proposte su come vivere questi “giorni sacri”. Oggi è il Giovedì Santo. E noi che, a motivo della nostra spiritualità fiorita dal carisma donatoci dallo Spirito Santo, lo avvertiamo specialissimo, non possiamo oggi non fermarci un po’ a meditare, a contemplare, a cercare di rivivere i misteri che svela, assieme a quelli di venerdì e sabato santo e di domenica di Pasqua. Ognuno di questi giorni, lo possiamo intanto intitolare con una parola che dice – anzi, vorrei dire –, grida da più di 50 anni nel Movimento il nostro dover essere: Amore il Giovedì Santo; Gesù abbandonato domani, il Venerdì Santo; Maria il Sabato Santo; il Risorto la Domenica di Pasqua. Oggi, dunque, Amore. Il Giovedì Santo, giorno nel quale, durante gli anni, abbiamo sperimentato spesso la dolcezza d’una particolare intimità con Dio, ci ricorda quella profusione di amore che il Cielo ha riversato sulla Terra. Amore innanzitutto l’Eucaristia, donataci in questo giorno. Amore il sacerdozio che è servizio d’amore e ci dà, fra il resto, la possibilità dell’Eucaristia. Amore l’unità, effetto dell’amore, che Gesù, come oggi, ha implorato dal Padre: “Che tutti siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Amore il comandamento nuovo che Egli ha rivelato in questo giorno prima di morire: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Comando che ci permette qui in terra una vita sul modello della Santissima Trinità. Domani: Venerdì Santo. Un solo nome: Gesù abbandonato. Ho scritto un libro su di Lui in questi giorni intitolato: “Il grido”. L’ho dedicato a Lui con l’intenzione di scriverlo anche a nome vostro, a nome di tutta l’Opera di Maria “Come – questa è la dedica – una lettera d’amore a Gesù abbandonato”. In esso si parla di Lui che, nell’unica vita data a noi da Dio, un giorno, un preciso giorno, diverso per ciascuno di noi, ci ha chiamati a seguirlo, a donarci a Lui. E si capisce – lo dichiaro lì – come tutto ciò che voglio dire in quelle pagine, non può essere un tema, pur familiare, caldo, intimo, sentito; ma vuol essere un canto, un inno di gioia e soprattutto di gratitudine verso di Lui. Aveva dato tutto: una vita accanto a Maria nei disagi e nell’obbedienza. Tre anni di predicazione, tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre. Gli rimaneva la divinità. La sua unione col Padre, la dolcissima e ineffabile unione con Lui, che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima, non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui col quale Egli aveva detto di essere uno, e grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Dopo domani: Sabato Santo. Maria è sola. Sola, con il suo figlio-Dio morto. Un abisso incolmabile di angoscia, uno strazio infinito? Sì, ma Ella sta ritta in piedi, divenendo un esempio eccelso, un monumento di tutte le virtù. Lei spera, lei crede: le parole di Gesù che, durante la vita annunziavano la sua morte, ma anche la sua risurrezione, se altri le hanno scordate, Lei non le ha mai dimenticate: conservava queste, con altre, nel suo cuore e le meditava (cf Lc 2,51). Perciò non soccombe al dolore: attende. E, finalmente: Domenica di Pasqua. È il trionfo di Gesù risorto che conosciamo e riviviamo, anche in noi nel nostro piccolo personalmente, dopo aver abbracciato l’abbandono, o quando uniti veramente nel suo nome, sperimentiamo gli effetti della sua vita, i frutti del suo Spirito. Il Risorto deve essere sempre presente e vivo in noi in questo anno 2000, in cui il mondo attende non solo persone che credono e lo amano in qualche maniera, ma testimoni autentici che possano dire in tutta verità, come già la Maddalena agli apostoli dopo averlo incontrato nei pressi della tomba, quelle parole che conosciamo, ma che sono sempre nuove: “L’abbiamo visto!” Sì, noi l’abbiamo scoperto nella luce con cui ci ha illuminato; l’abbiamo toccato nella pace che ci ha infuso; l’abbiamo sentito nella sua voce in fondo al cuore; abbiamo gustato la sua gioia senza confronto. Ricordiamoci allora in questi giorni 4 parole: amore, Gesù abbandonato, Maria, il Risorto.
Chiara Lubich
https://vimeo.com/405772195 (in una conferenza telefonica, Castel Gandolfo, 20 aprile 2000) Tratto da: “Le 4 parole”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 588. Città Nuova Ed., 2019. (altro…)
Mar 27, 2013 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità

© M. Cristina Criscola, ‘Amore scambievole’ – Loppiano, 1984
Carissimi, vorrei invitarvi a vivere i prossimi giorni pasquali alla luce di un pensiero di Chiara del 1981. Eccone alcuni stralci: Giovedì Santo «La nostra festa. Come oggi Gesù, tanti anni fa, ha dato ai suoi discepoli il comandamento nuovo, quel comando che è legge fondamentale e base di ogni altra norma per ciascuno di noi; come oggi Gesù ha pregato per l’unità: “che tutti siano uno”, come oggi ha istituito l’Eucarestia che lo rende presente fra noi e ha come effetto appunto la nostra unità con Lui e fra noi. E come oggi ha istituito il sacerdozio che rende possibile l’Eucarestia […]. Che sarebbe la nostra vita senza il comandamento nuovo, senza l’Eucaristia, senza l’Ideale dell’unità?». Venerdì Santo «Non c’è giorno migliore per rifare solennemente la nostra consacrazione a Lui (Gesù Abbandonato), rinnovando il nostro proposito di spendere la vita che abbiamo, amandoLo sempre, subito, con gioia». Domenica di Pasqua «Lui è risorto e Lui è la risurrezione e la vita anche per tutti noi». Come Chiara in quella occasione, anch’io vi auguro di cuore: Buona Pasqua a tutti e a ciascuno! Che sia la più bella della nostra vita. Maria Voce (Emmaus)
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Mar 20, 2008 | Spiritualità
Venerdì santo: la morte di Gesù in croce è l’altissima, divina, eroica lezione di Gesù su cosa sia l’amore. Aveva dato tutto: una vita accanto a Maria nei disagi e nell’obbedienza. Tre anni di predicazione rivelando la Verità, testimoniando il Padre, promettendo lo Spirito Santo, facendo ogni sorte di miracoli d’amore. Tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre e, finalmente, il suo Corpo e il suo Sangue, dopo averci dati misticamente nell’Eucaristia, gli rimaneva la divinità. La sua unione col Padre, la dolcissima e ineffabile unione con Lui che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima, non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto di essere uno con Lui: “Io e il Padre siamo uno” (Gv. 10,30). In Lui l’amore era annientato, la luce spenta la sapienza taceva. Si faceva dunque nulla per far noi partecipi al tutto; verme (Salmo, 22,7) della terra, per far noi figli di Dio. Eravamo staccati dal Padre. Era necessario che il Figlio, nel quale noi tutti ci ritrovavano, provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l’abbandono di Dio, perché noi non fossimo mai più abbandonati. Egli aveva insegnato che nessuno ha maggior carità di colui che pone la vita per gli amici suoi. Egli, la Vita, poneva tutto di sé. Era il punto culmine, la più bella espressione dell’amore. Il suo volto è nascosto in tutti gli aspetti dolorosi della vita: non sono che Lui. Sì, perché Gesù che grida l’abbandono è la figura del muto: non sa più parlare. E’ la figura del cieco: non vede, del sordo: non sente. E’ lo stanco che si lamenta. Rasenta la disperazione. E’ l’affamato d’unione con Dio. E figura dell’illuso, del tradito, appare fallito. E pauroso, timido, disorientato. Gesù abbandonato è la tenebra, la malinconia, il contrasto, la figura di tutto ciò che è strano, indefinibile, che sa di mostruoso, perché un Dio che chiede aiuto!… E’ il solo, il derelitto… Appare inutile, scartato, scioccato… Lo si può scorgere perciò in ogni fratello sofferente. Avvicinando coloro che a Lui somigliano, possiamo parlare di Gesù abbandonato. A quanti si vedono simili a lui e accettano di condividere con Lui la sorte, ecco che egli risulta: per il muto la parola, a chi non sa, la risposta, al cieco la luce, al sordo la voce, allo stanco il riposo, al disperato la speranza, al separato l’unità, per l’inquieto, la pace. Con Lui l’uomo si trasforma e il non senso del dolore acquista senso. Egli aveva gridato il perché al quale nessuno aveva risposto, perché noi avessimo la risposta ad ogni perché. Il problema della vita umana è il dolore. Qualsiasi forma abbia, per terribile che sia, sappiamo che Gesù l’ha preso su di sé e muta, per un’alchimia divina, il dolore in amore. Per esperienza posso dire che appena si gode di un qualsiasi dolore, per essere come Lui e poi si continua ad amare facendo la volontà di Dio, il dolore, se spirituale, sparisce; se fisico, diviene giogo leggero. Il nostro amore puro al contatto coi dolore, lo tramuta in amore; quasi prosegue in noi – se lo possiamo dire – la divinizzazione che Gesù fece del dolore. E, dopo ogni incontro con Gesù abbandonato, amato, trovo Dio in modo nuovo, più faccia a faccia, più aperto, in un’unità più piena. Tornano la luce e la gioia e, con la gioia, la pace che è frutto dello spirito. Quella luce, quella gioia, quella pace fiorite dal dolore amato colpiscono e sciolgono anche le persone più difficili. Inchiodati in croce si è madri e padri di anime. Effetto è la massima fecondità. Si annulla ogni disunità e trauma, fioriscono miracoli di risurrezione, nasce una nuova primavera nella Chiesa e nell’umanità. Come scrive Olivier Clément, “l’abisso, aperto per un istante da quel grido, si riempie del grande soffio della resurrezione.”