Mar 22, 2018 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità

Jonathan Michelon
Jonathan, come si svolgono i lavori? «Ci sono sessioni in plenaria e di gruppo. I gruppi sono una ventina, divisi per lingua: inglese, francese, spagnolo e italiano. Ogni gruppo ha un redattore e un facilitatore. I partecipanti devono rispondere insieme alle 15 domande proposte dal documento del Sinodo. Alla fine, sarà prodotto un documento che verrà poi consegnato ai Padri Sinodali». Di cosa trattano le domande? «La prima parte è dedicata alle sfide e alle opportunità delle giovani generazioni nel mondo di oggi. Quindi, la formazione della personalità, la relazione con gli altri popoli, le sfide interreligiose, le differenze viste come opportunità, i giovani e il futuro, i loro sogni, il rapporto con la tecnologia, la ricerca del significato della vita, la relazione tra vita quotidiano e il sacro». E la seconda parte delle domande? «Si è parlato della fede, della vocazione, il senso della specifica missione del giovane nel mondo, del discernimento e dell’accompagnamento vocazionale. Poi, il loro rapporto con Gesù, come è percepita dai giovani la figura di Gesù nel terzo millennio. Un’ultima parte era dedicata alle attività formative e pastorali della Chiesa, il rapporto dei giovani con la Chiesa e le loro esperienze».
Da dove provengono i giovani del tuo gruppo? «Dall’Europa (Slovenia, Germania, Grecia, Polonia) ma anche dai continenti, addirittura dalle isole Samoa americane, nell’oceano Pacifico. Un giovane sikh ha condiviso la sua esperienza di fede e il rapporto con i sacerdoti del loro tempio, che sono sempre pronti a dare a tutti una parola di pace. C’è anche una giovane anglicana dello Zimbabwe e che studia per diventare sacerdote. C’è molta saggezza, e il confronto è arricchente». Ci sono esperienze che ti hanno colpito? «Una, in particolare, è quella di un giovane medico polacco, legato al cammino neocatecumenale che, con la moglie, ha fondato un’associazione che si occupa della cura dei moribondi. Stimolato dalla meditazione del primo giorno, sul senso profondo del dolore, basata sull’esperienza di Chiara Luce Badano, ha raccontato quello che vivono. Con gli altri dell’associazione vanno dai malati, li assistono e li invitano ad offrire il loro dolore per tutti. Così, queste persone lasciano la terra “pieni di vita” perché, come lui dice, “la morte è il più bel periodo della vita, perché ci avviciniamo a Dio, a Chi amiamo di più”». Ai giovani dei Focolari è stata affidata l’animazione della messa e le meditazioni quotidiane… «Sì, alcuni giovani della Scuola Gen di Loppiano e dei Centri Gen a Roma hanno formato un coro, il quale sta ora diventando un gruppo inclusivo: invitano chi ha i talenti a partecipare all’animazione della messa. Ieri, si è unito un violinista. Davvero una bella esperienza». Quindi, i giovani sono felici di questa esperienza? «Ci stiamo rendendo conto che stiamo vivendo un momento storico nella Chiesa cattolica. È la prima volta, in 2000 anni, che si fa un sinodo per i giovani con i giovani! Ma per loro è naturale contribuire così alla Chiesa. La Chiesa è loro. Si comportano con il Cardinale e anche con Papa Francesco come con i loro migliori amici: danno loro la mano, li abbracciano… È molto bello». E per te? «Per me è un’esperienza unica, ti rendi conto della vastità della Chiesa e della sua incidenza nel mondo. Qui, hai il mondo, l’universalità della Chiesa». Fonte: Loppiano online
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Mar 22, 2018 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Quella di Jean e Vivian è una storia che parla di amore, coraggio, speranza. Si conoscono ad Aleppo, in Siria, nel 2000, frequentando entrambi il Movimento dei Focolari. Vivian è vedova e ha un figlio di quattro anni nato con una sordità acuta. Jean è falegname, attivo nel sociale. Il comune impegno nel vivere il Vangelo e portare l’ideale del mondo unito all’umanità li avvicina: si sposeranno nel 2003 e avranno quattro figli. Marc, il primo figlio di Vivian, è il motore da cui parte la loro avventura: la necessità di cure specialistiche vede Vivian recarsi in Libano dove Marc sarà seguito in un centro fondato dai Focolari: “È un vero paradiso anticipato – racconta – La vita di Vangelo vissuto nel quotidiano accompagna tutto il processo educativo. I bambini crescono in quest’oasi di pace, e sviluppano i loro talenti superando il loro handicap. Nasce dentro di me un sogno: poter fondare anch’io un istituto tale nella mia città Aleppo”. Jean la sostiene in questo progetto e nel 2005 nasce il loro piccolo Centro. Ne seguiranno di più grandi capaci di accogliere decine di bambini, tutti figli di famiglie povere che non possono pagare alcuna retta. Per questo il Centro era sempre in deficit: “Per ogni necessità – ricorda Jean – andavamo davanti ad un crocifisso per consegnargli i nostri bisogni. La provvidenza arrivava puntualmente”.
Lo scoppio della guerra, nel 2011, porta morte e distruzione. Jean perde la falegnameria, il centro non ha più nessuna entrata economica, e in molti vivono solo di aiuti dalla Chiesa e da organizzazioni umanitarie. Tanti lasciano il Paese e anche Jean e Vivian, pur tormentati, acquistano i biglietti per partire. Ma un’esigenza si fa chiara nel cuore: non possono lasciare i “loro” bambini sordi, distruggere quel sogno realizzato con fatica.“La vigilia della partenza entro in chiesa – racconta Jean – e lì faccio un colloquio profondo con Gesù, a tu per tu, da uomo a uomo. Lui mi parla al cuore e mi chiede di non partire: cosa faranno quei bambini? Mi sento rivolgere questa domanda tragica. Metto i miei bambini nelle Sue mani. Torno a casa, e con Vivian decidiamo di strappare i biglietti e rimanere per sempre nella nostra città, per essere un dono a quelli che hanno bisogno di noi”. “Eravamo fiduciosi che Dio ci avrebbe accompagnato e sostenuto in tutti i nostri futuri progetti e soprattutto nella vita della nostra famiglia – gli fa eco Vivian – e così è stato”. Oggi il Centro è diventato la loro seconda casa, anche i loro figli partecipano alla vita del gruppo e Jean vi si dedica a tempo pieno. “Questa convivenza ci ha allargato il cuore. Non c’è più né ragazzo né ragazza, né studente né insegnante, né sano né handicappato, né musulmano né cristiano. Tutti noi viviamo dell’unico amore e sotto lo sguardo di un Dio Amore, incarnato, vivo in mezzo a noi”. Chiara Favotti (altro…)