Nov 20, 2017 | Chiara Lubich, Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità

Patrizia Mazzola
Erano gli anni ‘70, segnati, nella storia di molti Paesi, da proteste sociali, guerre e disorientamento. Nella mia città, Palermo (in Sicilia, isola nel Sud dell’Italia), frequentavo l’ultimo anno dell’Istituto Magistrale e seguivo la vita politica. Era un periodo molto cupo: un’ondata di crimini mafiosi attraversava la Sicilia, giovani appartenenti alla sinistra e alla destra politica, durante gli scioperi studenteschi, si fronteggiavano spesso con atti violenti. Il ritiro degli americani dal Vietnam e la caduta di Saigon lasciavano soltanto ferite aperte, provocate da una guerra assurda. Anch’io, come tanti giovani, ero alla ricerca di riferimenti. In questo spirito accettai volentieri l’invito di una mia insegnante a partecipare al Genfest, manifestazione inserita all’interno dell’Anno Santo indetto da Papa Paolo VI.
Vivevo l’esperienza dello scoutismo, ma non mi sembrava vero poter fare questa nuova esperienza. L’invito venne esteso anche a tanti altri studenti della mia scuola e alla fine, insieme alle mie sorelle, decidemmo di partecipare. All’ultimo momento, ricordo, fui anche tentata di rinunciare perché quell’anno dovevo sostenere l’esame di maturità al termine della scuola secondaria. Alla fine venni incoraggiata dagli altri e così partimmo da Palermo con tanti pullman. Con me avevo portato la mia inseparabile chitarra, libretti di canzoni e un registratore, a quei tempi piuttosto ingombrante. Durante il viaggio rimasi colpita dall’atteggiamento di alcune ragazze, le gen, che già vivevano la spiritualità dell’unità. Mi colpivano le piccole attenzioni che rivolgevano a tutti, il clima di armonia e serenità, nonostante la nostra esuberante vivacità, i momenti di riflessione che scaturivano dalle canzoni del Gen Rosso e del Gen Verde, che subito avevo imparato e già suonavo con passione.
Era il 1° marzo 1975. L’impatto al Palazzo dello Sport romano, con 20 mila giovani provenienti dai cinque continenti, fu potente. Da subito sperimentai la forza del Vangelo vissuto. Ad esempio, era la prima volta che condividevo con chi mi era seduto accanto quello che avevo, facendo l’esperienza di vivere come fratelli. Il mio sogno, vedere un mondo di pace, un mondo unito, era lì. Già realizzato. Ero sbalordita, impressionata dalle testimonianze, quasi non credevo ai miei occhi che tutto ciò fosse possibile. Ascoltavo le loro storie dal palco. Quella di due giovani del Sud Africa, quando l’apartheid ancora non era stato sconfitto, oppure di un gruppo di Belfast (Irlanda del Nord), città ancora teatro di guerra e di divisione religiosa e politica. Erano i segni che, se davvero ci impegniamo, possiamo realizzare la pace, lì dove viviamo.
Il giorno dopo eravamo tutti alla Basilica di San Pietro, dove Chiara Lubich ci presentò al Santo Padre. All’offertorio, dodici giovani, in rappresentanza di tutti, salirono con Chiara sull’altare. Ricordo un applauso interminabile. All’Angelus in piazza S. Pietro, il Papa ci salutò con parole che ci incoraggiavano ad andare avanti: «Abbiamo avuto questa mattina d’intorno all’altare ventimila fedeli, giovani GEN – Generazione Nuova – provenienti da tutto il mondo. Una commovente bellezza. Ringraziamo Dio e riprendiamo coraggio. Nasce un mondo nuovo, il mondo cristiano della fede e della carità». Era davvero cominciato un mondo nuovo. Per me l’inizio di una nuova vita.
Patrizia Mazzola
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Nov 4, 2017 | Centro internazionale, Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità

Nelson di El Salvador saluta Papa Francesco. Foto: © Osservatore Romano
Raissa (Brasile), Leandro (Argentina), Adela (Perù) e Nelson (El Salvador) hanno interrotto per qualche mese i loro studi e il lavoro per trasferirsi nelle vicinanze di Roma. Collaborano, nei Centri gen, alla preparazione del Genfest 2018. In occasione dell’incontro di Religions for Peace (RfP), a Roma, il 18 e 19 ottobre, si sono messi a disposizione. Ecco il loro racconto a più voci. «Eravamo lì per dare una mano. Si trattava di offrire un caffè, un bicchiere d’acqua o di fare le traduzioni. Per noi era vedere Gesù in ognuno e servirlo. L’incontro di 80 leader di diverse religioni, provenienti da vari paesi, è iniziato con l’accoglienza di Papa Francesco in Vaticano. Un incontro breve ma intenso, a cui abbiamo partecipato anche noi e che ha colpito molto tutti i leader. Ci è stato detto che alla conclusione avremmo potuto salutare brevemente il Papa. Così ci siamo preparati, una frase ciascuno, un messaggio: “Santità, le portiamo il saluto di tutti i gen e i giovani del Movimento dei Focolari”. Ci ha detto: “Adelante!”, che significa “Andate avanti!”. Gli abbiamo risposto: “Grazie per le sue parole”, “Preghiamo sempre per lei”, “Vogliamo invitarla al Genfest 2018 a Manila, nelle Filippine”. Insomma, è stato emozionante!
Abbiamo avuto la possibilità di un rapporto personale con molte delle personalità presenti. Si interessavano e chiedevano di noi. Due di loro ci hanno raccontato dei progetti che vogliono portare avanti. Con Raissa – racconta Nelson – eravamo impegnati nella traduzione in portoghese per un cardinale brasiliano. Abbiamo gioito quando hanno espresso il desiderio che siano presenti anche i giovani nei prossimi incontri, in sintonia con quanto ha detto il Papa in vista del Sinodo sui Giovani, a ottobre 2018. Per noi è stato bello costatare che RfP non è tanto un ambito di confronto delle diverse fedi, ma un luogo in cui cooperare in favore della pace e della salvaguardia dell’ambiente. Lavorare per la pace significa lavorare per il pianeta: spesso le guerre sono causate da diseguaglianze e povertà, e producono disastri ecologici. Nel suo intervento, Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, ha annunciato il Genfest 2018 Beyond all borders a Manila: “Radunerà 10 mila giovani da tutte le latitudini, di diverse etnie, culture, religioni, mossi dall’idea di costruire un mondo unito”. Vedere questi importanti leader religiosi insieme ci è sembrato già di partecipare come osservatori a un “piccolo Genfest” in cui si lavora per la pace e l’unità. Siamo andati per svolgere un servizio, ma non pensavamo di ricevere un regalo così grande: salutare il Papa e ricevere, a nome di tutti i gen e i giovani del Movimento di Focolari, il suo incoraggiamento: Adelante!» (altro…)
Nov 3, 2017 | Chiara Lubich, Chiesa, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Cosa può avere di così speciale la storia di un’adolescente e perché la sua vita continua a illuminare chiunque vi si imbatta anche solo per un attimo? Lo racconta un gruppo vivacissimo e internazionale di giovani, presenti a Loppiano (Firenze, Italia) all’evento “24 ore di Luce”, dalle 12 di sabato 28 ottobre alla stessa ora del giorno successivo. Una esperienza di fraternità, segnata per tutti dall’incontro con Dio. La stessa esperienza vissuta da Chiara Luce Badano. Aveva solo 18 anni quando, colpita da un cancro senza speranza di guarigione, ha testimoniato fino all’ultimo respiro che solo in Dio Amore si può trovare la pienezza della gioia, e nel donarsi agli altri il senso e il sapore della vita. Il 25 settembre 2010 è stata proclamata Beata. Nel mese dedicato alla festa liturgica che la ricorda, molti gli appuntamenti in tutto il mondo per proporre l’esempio della sua vita. «Un raggio di luce brillantissimo oggi ha illuminato anche noi – dicono i giovani presenti a Loppiano – e continua a illuminare tanti. Con Chiara Luce, guardando a Gesù Crocefisso e Abbandonato, troveremo la possibilità di non tremare di fronte a qualsiasi situazione. Anzi, diverremo raggi di luce lì dove viviamo, per guidare questa nostra umanità verso la fraternità universale». U
n programma ricco di canzoni, brani recitati, danze, condivisioni di esperienze con il timbro della spensieratezza tipico dell’età, e l’impegno di chi è consapevole di avere una vita sola. Prendono sul serio le parole di Chiara Lubich, che, ai giovani, parlava sempre con grande franchezza: «Vivere per una cosa così-così è troppo ‘magra’ per un giovane. Conviene vivere per qualcosa di grande. Amore, dunque, amore seminato in molti angoli, perché diventi realtà una invasione d’amore, e si realizzi, anche per il nostro contributo, la civiltà dell’amore che tutti attendiamo». La sera del primo giorno, mentre all’esterno il bagliore delle stelle e le scintille di un falò sembrano toccarsi, una folla di persone di ogni età gremisce, all’interno, una sala, in occasione della sua intitolazione a Chiara Luce. L’immagine della beata, tolto il telo che la copriva, sprona i presenti a diventare a loro volta “luce”, a formare, anche sulla terra, nuove e diverse costellazioni, fatte di persone che si amano a vicenda.
Domenica mattina, 29 ottobre, l’Auditorium della cittadella di Loppiano è gremito di giovani. Grazie a una diretta streaming il messaggio di Chiara Luce percorre migliaia di chilometri, raggiungendo anche un gruppo del Nepal. La messa conclusiva è stata celebrata nel santuario dedicato a Maria Teotokos che non riusciva a contenere la folla in festa, per la giovane beata, proposta come testimone per il prossimo sinodo dei giovani del 2018. «Cosa ci resta dopo queste 24ore? Amore, pienezza, luce, sicurezza, fiducia che la vita può cambiare. Ma anche la necessità di un lavoro di squadra, di sacrificio, di unità a scapito dell’orgoglio. Chiara Luce ripeteva spesso che chi ama non è piccolo. Infatti, la sua grandezza si è manifestata chiaramente quando ha detto sì anche al dolore incomprensibile della malattia. In quel dolore lei ha trovato Gesù, uno come lei, un uomo che sulla croce ha gridato l’abbandono. Guardando al Suo esempio potremo diventare anche noi un raggio di luce, pronti a rischiarare il buio in cui è immerso il mondo». Fonte: Loppiano online: http://www.loppiano.it/ Foto su Flickr
Rivedi lo streaming https://www.youtube.com/watch?v=1XbJVCElU_o&feature=youtu.be (altro…)
Nov 2, 2017 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Una storia appassionante la sua. Inizia quando i genitori, giovanissimi, attraversano a nuoto il fiume Mekong, lasciandosi alle spalle il regime del loro Paese, il Laos, per raggiungere la Thailandia. Da qui, dopo immani vicissitudini, approdano in Italia accolti da una famiglia a loro sconosciuta che risiede a Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari. Ed è proprio nella casa di Raffaella e Roberto Cardinali che Sengsoury (“raggio di sole” in laotiano) e la sorella gemella Sourinia vengono al mondo, il 12 settembre 1979. Fin da piccola Senny manifesta una spiccata attrattiva per lo spirito evangelico di unità e di amore che anima la cittadella di Loppiano e a nove anni chiede il battesimo prendendo il nome di Francesca. Impegnata con entusiasmo nel Movimento Gen, da adolescente è in prima linea, con Sourinia, nella preparazione del Supercongresso 1997. A 23 anni il coronamento di un sogno: trascorrere un intero anno alla Mariapolis Lia, la cittadella argentina dei Focolari cui convergono giovani di ogni parte del mondo. Un’esperienza che la porterà ad una scelta ancor più radicale di Dio e ad un amore sempre più concreto e raffinato verso le persone che incontra. Sengsoury ama comporre poesie e testi di canzoni che insieme alla sorella canta con la sua bella voce accompagnandosi con la chitarra. È iscritta ad una scuola per estetiste a Firenze. Chi la conosce parla di lei come di una ragazza che affascina per la sua particolare sensibilità, la naturale eleganza, gli occhi pieni di luce. Ma anche di una persona che per la sua determinazione a seguire Gesù, lascia spiazzati. È fidanzata con Marco e insieme fanno progetti per il futuro. Nel 2004, a 25 anni, una grave e fulminante malattia autoimmunitaria le cambia l’esistenza. Quattro anni più tardi detta ad un’amica una lettera a Chiara Lubich nella quale descrive la sua situazione: «Ho una rara malattia che mi ha portata a difficoltà motorie, nell’uso della parola e a forti dolori – a volte lancinanti – alle ossa e ai muscoli. In questi anni, grazie al sostegno dei miei ‘nonni’ Raffaella e Roberto, a quello dei giovani del focolare e di tanti del Movimento, ho cercato di trasformare i momenti di dolore in “gocce” d’amore per Gesù: le lunghe degenze in ospedale, le cure, i controlli. Nel periodo di Natale sono stata accolta in una struttura vicino a Firenze per la riabilitazione. Ma una broncopolmonite alimentare mi ha costretta ad un nuovo ricovero in ospedale. Ho tanto sofferto, non solo fisicamente. Mi chiedevo perché proprio io in questa situazione. Sono la più giovane del reparto, devo essere alimentata tramite sondino, tenere la maschera dell’ossigeno. Ho visto infrangersi tanti sogni: il matrimonio, il lavoro, il desiderio di viaggiare, suonare la chitarra, cantare. A volte sento Gesù lontano; mi rivolgo a Maria, ma anche lei non è vicina a me. Ma sempre mi arriva la risposta: da una riflessione, uno scritto spirituale, una parola dettami da chi mi viene a trovare. E mi torna la pace e con essa la forza di dire “per Te Gesù” in ogni situazione, come passare la notte in bianco per i forti dolori. Non voglio mollare. Chiedo a Gesù di aiutarmi a farcela e a realizzare il disegno che Dio ha su di me. Vorrei tanto farmi santa!».
La comunità del Movimento si attiva in mille modi: dal sostegno economico e morale ai suoi genitori, all’alternarsi accanto a lei anche con momenti di festa e di condivisione; mentre dal suo letto Sengsoury diffonde un amore unico. Ad un gen confida: “C’è solo il presente!” e con un filo di voce si mette a cantare rivolta a Gesù “O’ sole mio”. È sempre più determinata ad offrirgli ogni sofferenza e di trasformarla – come ama dire – in “pepite d’oro”. Il 16 settembre 2008 entra in terapia intensiva. Nei giorni che precedono la sua dipartita, il 24 settembre, diventa più che mai quel “raggio di sole” che sconfigge ogni tenebra ripetendo tanti “sì” a Gesù. Chi le sta vicino li percepisce da un cenno degli occhi o una stretta di mano. Per loro, per il personale del reparto e per tutti i giovani del Movimento, anche lontani, che l’accompagnano con la preghiera, Sengsoury è – come indica il suo nome – un vero “raggio di sole”, un esempio luminoso, autentica testimone del Vangelo fatto vita. (altro…)
Ott 24, 2017 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
I pullman carichi di giovani si inerpicavano con fatica sulle strette vie che salgono da Incisa Valdarno (Firenze) verso Loppiano. Una fila interminabile e inattesa che rischiava di far saltare ogni prevista organizzazione: ma chi si aspettava che arrivassero 10.000 giovani per quella che è poi diventata una grande festa destinata a ripetersi ogni anno e in città diverse del pianeta? Una vera invasione che lasciò a bocca aperta e ad occhi spalancati i pochi abitanti del piccolo paesello toscano. Nasceva, in un giorno di un sole primaverile che spaccava i volti e i cuori (dopo una vigilia di vento e pioggia), il primo Genfest della storia! E io c’ero! Sì, io c’ero! “Vivir para contarlo” (vivere per raccontarla), direbbe García Márquez. Ho davanti a me quell’anfiteatro naturale di Loppiano, gremito da giovani provenienti dall’Italia e alcuni paesi europei (con tante ore di viaggio sulle spalle) e da rappresentanti di tanti paesi del mondo: come me, che arrivavo dall’Argentina.

Don Pasquale Foresi portava un messaggio di Paolo VI
La festa di questa “generazione nuova” (da qui il nome Genfest) che si autoconvocava seguendo l’invito di Chiara Lubich a vivere per costruire un mondo unito, l’abbiamo aperta con una canzone del complesso internazionale Gen Rosso, di cui facevo parte. Canti, danze, testimonianze, interventi … tutto era motivo di festa, mentre si istallava nel cuore la certezza che il mondo un giorno sarà unito, anche grazie al contributo di ognuno di noi. Tra tutti, l’intervento di Don Pasquale Foresi che portava un messaggio di Paolo VI in cui il Papa si diceva compiaciuto del Genfest e manifestava l’augurio che l’evento “contribuisca a formare una sempre più chiara coscienza della responsabilità che il Vangelo comporta nella propria vita”. 
Partecipanti dal Sud Africa
Erano i tempi della contestazione giovanile e don Foresi presentò il Vangelo come la più grande “rivoluzione” sociale. Pensai alle mie cugine che perseguivano anche loro una rivoluzione sociale, sulle orme del Che Guevara, alcuni anni dopo “desaparecidas” (si parla di 30.000 “scomparsi” in Argentina, giovani per lo più). Forse per questo fatto che mi toccava da vicino una canzone mi colpì particolarmente. Era stata composta e cantata nella stessa spianata due anni prima da Paolo Bampi, giovane trentino morto poco dopo per una grave malattia. Pur non avendolo conosciuto di persona, attraverso la sua canzone, era nato un rapporto ideale che mi sembrava mi legasse al Cielo: “Che cosa volete, che cosa cercate … volete un Dio? Io lo sono! Volete un Uomo? Io lo sono!”. Mi sembrava di avere trovato, come lui, in Gesù, la Via. 
Il gruppo argentino
Ricordo ad un certo punto una donna con un sorriso mesto, quasi tremante davanti al microfono. Il suo silenzio si diffuse a macchia d’olio sul prato e i 10.000 giovani sembravano diventati una sola persona. Cominciò a parlare con una forza incredibile: “Dio è Amore e ci ama immensamente”. Era Renata Borlone, tra le prime a seguire la strada del focolare, oggi serva di Dio. Con Antonio, anche lui argentino, abbiamo cantato Humanidad: “Una nuova aurora s’annuncia …, sveglia Umanità, saluta il nuovo sole che si alza …”. Finivamo rivolti a Dio con un “gridaci ben forte: credete nell’Amore”. I volti arrossati dal sole, nonostante i cappellini cinesi che avevamo improvvisato a tempo di record, rendevano visibile il fortissimo “marchio” che aveva segnato le nostre anime. Siamo partiti con la certezza che “s’annunciava una nuova aurora”, che un mondo unito era possibile perché l’avevamo sperimentato già tra noi in quello storico 1° maggio 1973.
Gustavo Clariá
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