Movimento dei Focolari
Filippine: la fede dei più piccoli

Filippine: la fede dei più piccoli

Micha Jane e Ryan, abitano con la loro famiglia a Tacloban, capoluogo della provincia di Leyte, isola al centro sud ovest delle Filippine, tra le città più colpite dal tifone dell’8 novembre 2013. Su 200.000 abitanti, oltre 10.000 sono i morti stimati. I ragazzi che, con la loro famiglia fanno parte della comunità locale dei Focolari, conservano ricordi vividi della tragedia: “Non saprei dire quante volte abbiamo recitato con tutta la famiglia il santo Rosario – racconta Ryan –: passato il tifone la nostra casa era solo danneggiata sul tetto”. E Micha Jane: “Mio padre ci ha fatto rifugiare nel bagno perché unico ambiente della casa dotato di muri di cemento; ogni volta che la casa tremava e gli oggetti sbattevano sul muro esterno mi pareva di essere stata colpita. Allora ho cercato di concentrarmi di più nella preghiera e ho sentito le mie paure scomparire lentamente”. Passato il tifone sopraggiunge la notte: “Sentivamo parlare di case derubate, gente uccisa; ancora una volta abbiamo trovato la forza di chiedere aiuto a Dio e, allo stesso tempo, sentivamo di dover essere prudenti e attenti”. I giorni successivi sono davvero difficili. Il vento fortissimo spazza via tetti, case, alberi, e causa un’onda dall’oceano che in pochi minuti ha sommerso parte della città. Manca l’elettricità, l’acqua, non c’è modo di comunicare, nemmeno con i cellulari; i primi contatti telefonici vengono ripristinati solo dopo giorni. Micha Jane continua a raccontare: “Si sentivano spari occasionali, le notti erano straordinariamente silenziose. La maggior parte dei nostri vicini e amici sono sfollati a Cebu e Manila con aerei militari. Alcuni parenti volevano convincere mio papà a fare lo stesso. I miei genitori hanno invece deciso, invece, di rimanere. Ci hanno spiegato che volevano assumersi la responsabilità di soccorrere chi era in difficoltà. Man mano che i giorni passavano, abbiamo aiutato mio padre e mia madre a distribuire i beni di soccorso che cominciavano ad arrivare e abbiamo visitato i sopravvissuti al tifone”. Prosegue Ryan: “Ho pensato che sarei stato sopraffatto dalla mancanza di internet, della televisione… Eppure mi sono reso conto che c’è gioia e vita nell’incontrare le persone e amarle”. Micha Jane conferma: “La nostra vita è diventata ancora più semplice. Mio fratello pulisce il pavimento, io piego la biancheria che mia madre ha lavato. Abbiamo programmato il lavaggio dei piatti e il mio turno è dopo la prima colazione e mio fratello dopo il pranzo. Abbiamo trovato la vera gioia aiutando. I nostri giorni sono sempre pieni e appaganti. Ho capito che la vera felicità sta nell’amare”. Ancora l’emergenza nelle zone più colpite non è superata; passata l’onda degli aiuti di primo soccorso, anche con il sostegno di AMU (Azione per un mondo unito, ong) e AFN (Azione per Famiglie Nuove, onlus), dei Focolari, è iniziato il progetto di riparazione e ricostruzione di circa quaranta abitazioni. La convinzione di queste famiglie, a cominciare dai più piccoli, nella forza del Vangelo vissuto e della preghiera fatta insieme farà il resto. Associazione Azione per un Mondo Unito – Onlus presso Banca Popolare Etica, filiale di Roma Codice IBAN: IT16G0501803200000000120434 Codice SWIFT/BIC CCRTIT2184D Causale: emergenza tifone Haiyan Filippin AZIONE per FAMIGLIE NUOVE Onlus c/c bancario n° 1000/1060 BANCA PROSSIMA Cod. IBAN: IT 55 K 03359 01600 100000001060 Cod. Bic – Swift: BCITITMX

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Leggi anche: Filippine dopo il tifone (Città Nuova online)

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Filippine: la fede dei più piccoli

Brasile: nel Nordest i giovani lanciano la sfida

«Vivere insieme per qualcosa che possa rafforzare il bene nel mondo ci unisce e ci dà la forza, e ci spinge ad andare avanti verso il mondo unito». Sono parole di Igor dei Giovani per un Mondo Unito del Nordest del Brasile. Ma cos’è “Desafio” (Sfida)?

Scuola Santa Maria

«“Desafio” è una tre giorni – spiega Igor – di incontro, festa e condivisione delle tante iniziative che noi Giovani per un Mondo Unito di questa regione (che coinvolge sette stati brasiliani) portiamo avanti nelle nostre città. Ogni anno, siamo circa 350 giovani che ci diamo appuntamento nella cittadella “Santa Maria”, in Igarassu (Stato di Pernambuco). Il programma si svolge con temi d’interesse e di approfondimento, comunicazione delle attività svolte nelle varie città, vari workshop e dei forum specifici.  Molto costruttivi sono i momenti dedicati a conoscere alcune opere sociali portate avanti dai Focolari e l’aiuto concreto che possiamo svolgere in quei giorni, come un nostro segno di amore concreto verso le persone del posto». Un programma impegnativo… «Certo – continua Igor –, anche se non mancano le serate ricreative e i giochi insieme. Una delle serate è dedicata alla preghiera ecumenica per la Pace. È sempre uno dei momenti più profondi e di grande accettazione da parte dei presenti. Si sente che siamo tutti connessi e che basta fermarsi e dare spazio a questa dimensione, che si crea subito come un ponte spirituale che ci unisce a Dio e fra di noi». Quest’anno avete svolto la 4° edizione che aveva lo slogan “Andate verso l’altro”. Quali le conclusioni? «Sono venuti molto in evidenza l’importanza dei rapporti: nella famiglia, nella società, nel mondo virtuale, nelle varie azioni che portiamo avanti e nei progetti sociali. La novità, sentita fortemente da tutti, è stato un progetto, lanciato qualche tempo fa, che abbiamo chiamato “Prima gli ultimi”. Si trattava di capire, da parte di ogni gruppo di giovani nelle proprie città, chi sono questi ultimi, per poi vivere per loro. Sono nate, così, tante iniziative concrete in tanti punti del Nord-Est brasiliano in favore dei più bisognosi, che abbiamo condiviso con tutti! Il “Desafio”, è il momento in cui  – conclude Igor –  coinvolgere il maggior numero possibile di giovani per costruire insieme un mondo più unito e fraterno». (altro…)

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Congo, oltre il silenzio

«Non è facile raccontarvi quello che stiamo vivendo nella mia regione, in Congo, dove un conflitto permanente sconvolge il Paese. Ho conosciuto l’Ideale dell’unità quando ero ancora una gen3 ed ero felice di far parte di una comunità che viveva il Vangelo. Poi, crescendo, quando sono entrata all’università ho incontrato un altro mondo. Ho visto persone arrivare ad ammazzarsi a causa delle differenze tribali ed etniche. Corruzione, frodi, menzogna e tanti altri mali sono il tessuto della vita quotidiana. Quando ho preso il diploma, ho trovato lavoro in un’ organizzazione non governativa che opera per i diritti delle donne congolesi e, in particolare, per quante hanno subito abusi sessuali. Per questo ho girato in tante regioni. Mi sono trovata davanti alla miseria di tanta gente, anche se il Congo è un Paese bellissimo e ricco di importanti risorse naturali. Vedevo crescere un clima generale di rassegnazione. Si sentiva dire: «Questo Paese è già morto, non vale la pena occuparsene…». Verso l’inizio del 2012, qualcosa di nuovo si è acceso dentro di me. Ho letto un testo di Chiara Lubich in cui ci invitava a non accontentarci delle piccole gioie, e a puntare in alto. Ho capito che, per me, voleva dire lavorare per il cambiamento del mio Paese. Così abbiamo fatto nascere un movimento di mobilitazione giovanile in città  e abbiamo iniziato a diffondere informazione, le nostre analisi e riflesioni sulla situazione, progetti per reagire insieme. Abbiamo denunciato la mancanza di lavoro per tanti giovani, con una disoccupazione giovanile altissima. Poi, mentre si avvicinava l’anniversario dell’indipendenza del Congo (1960), abbiamo stampato dei volantini denunciando i problemi del presente: la crisi della giustizia, la gravissima disoccupazione e il paradosso tra le grandi risorse del Paese e la povertà della maggioranza. La sera della vigilia, mentre stavamo ancora distribuendo i volantini, sono stata arrestata per una settimana. Per non lasciarmi da sola, si sono fatti arrestare con me altri due giovani e, dopo qualche giorno, altri due. Ho subito decine di interrogatori. Sentivo che la minaccia di morte o di condanna si avvicinava ogni giorno di più. Ciò che mi ha sostenuto anche in quei momenti terribili, è stata l’unità che mi legava alle gen della mia città e ai giovani che mi sostenevano con la loro solidarietà. Una gen si avvicinava ogni giorno al luogo dove mi trovavo e mi gridava il sostegno di tutti. E poi, pensando che Gesù, anche sulla croce, non aveva smesso di essere Amore, ho continuato ad amare concretamente, preparando il cibo per gli altri detenuti e anche per le guardie. Con tanti giovani impegnati in questo movimento condivido la Parola di vita. La cosa più importante che ho capito è che per realizzare un vero cambiamento, la forza viene dall’amore. Agire con amore, senza violenza, significa agire a fianco di Dio. Cosa vogliamo? Il nostro scopo non è opporci ad un gruppo politico, ma lottare per costruire il Congo dei cittadini, consci dei loro diritti e dei propri doveri per sostenere nuovi leader che agiscano per la giustizia. E quali sono i risultati? Oggi il movimento esiste, è conosciuto nella nostra regione e in altri punti del Paese; abbiamo condotto più di 50 azioni e ottenuto alcune risposte concrete. E siamo ancora vivi, nonostante le minacce e tentativi di strumentalizzazione. Nella nostra città siamo il primo gruppo di giovani che, rispettando le leggi del Paese, osano denunciare, sostenere, prendere posizione su tanti problemi, anche gravi, come quello delle sanzioni contro militari implicati in crimini ed estorsioni. Sono convinta che sta crescendo una generazione sempre più numerosa di congolesi che riprende fiducia e si impegna per il Paese». (M.M. – Congo) (altro…)

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Natale sulla strada, a Santiago del Cile

«Anche qui oggi è nato Gesù, in questa piazza della periferia di Santiago. Come ogni anno celebriamo il Natale insieme ai nostri amici che abitano sulla strada o magari non hanno nessuno con cui fare festa. È bello vedere giovani, adulti e bambini che condividono insieme e si siedono alla stessa tavola senza guardare alle differenze. Questa volta erano tanti i migranti, soprattutto arrivati dal Perù in cerca di lavoro, e con molti bambini, ma la situazione qui per loro non è rosea. Altri arrivano dalle regioni del Cile colpite dal terremoto del 2010 e ancora aspettano una casa. Altri hanno appena iniziato questo “percorso” in strada e sono scoraggiati: Nelson, ad esempio, è uscito da casa da 3 mesi, sua moglie non vuole più saperne perché lui beve; a tavola si parla, lui racconta di essere molto triste e di avere nostalgia della sua famiglia. Loreto lo invita a tornare a credere, è Natale! E gli offre aiuto. L’indomani Nelson va alla “casetta Primi tempi” [un appartamentino dove abitano insieme alcuni dei gen, i giovani del Movimento dei Focolari, per fare un’esperienza alla luce del Vangelo, sull’esempio di Chiara Lubich e le prime focolarine, ndr]. Lì può lavarsi, farsi la barba, riceve in dono un pantalone e una bella camicia da uno dei giovani, e poi, con uno di noi, va a casa della moglie. La gioia della bambina alla vista del papà è incontenibile. Spieghiamo la situazione alla moglie, la quale dopo un po’ accetta di ricominciare e rimangono tutto il pomeriggio insieme. La sera, accompagniamo Nelson al “Hogar de Cristo”. Lì le condizioni sono precise: 0 alcol, e lui ci sta. Ora sarà un lavoro ad equipe, dobbiamo aiutarci, ma il Bambino ha portato questo dono e molti altri, che ci spingono ad essere quelle braccia del Suo Amore perché arrivi dappertutto. Non c’é dubbio che il mondo unito è possibile, si tratta solo di mettercela tutta e scoprire insieme come fare per realizzarlo». (altro…)