Giu 24, 2018 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Sulcis-Iglesiente è una regione storica della Sardegna, caratterizzata non solo da bellezze naturali che impressionano, ma anche dalla storia dei lavoratori delle miniere: un patrimonio umano, spirituale, culturale e ambientale di primo livello. Un gioiello unico al mondo, che ancora non riesce a esprimere pienamente tutto il potenziale di cui dispone, anche dal punto di vista economico. Il 3 Marzo 2017 a Cagliari, nel sud della Sardegna, si è tenuta una conferenza sul tema del disarmo, organizzata dalla Scuola di Partecipazione Politica “Domenico Mangano”. A quel convegno alcuni abitanti del Sulcis-Iglesiente si sono sentiti interpellati in modo diretto: sul loro territorio, infatti, ha sede la RWM Italia, controllata dalla Rheinmetall, una fabbrica di bombe vendute all’Arabia Saudita e utilizzate per la guerra nello Yemen. Da questa presa di coscienza, un anno fa, è nato un comitato che opera sul territorio, unendo le forze per un obiettivo comune: la riconversione della fabbrica dalla produzione militare a quella civile. È il “Comitato riconversione RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente”.
Tra i promotori di questa azione Cinzia Guaita, del Movimento dei Focolari. Facciamo con lei il punto della situazione. «L’azione del comitato non è facile perché il Sulcis-Iglesiente è un territorio dove non c’è lavoro, e quello che c’è viene difeso a spada tratta. Non è facile innescare un processo che porti a un cambio di mentalità per scegliere qualcosa di diverso, ma forse più rischioso». «Siamo una rete molto fitta e variegata. Prima non se ne parlava, oggi la questione etica, ambientale e legale è diventata patrimonio diffuso. C’è un primo risultato culturale, anche se il processo è a lungo termine». In cosa si può notare il cambiamento più grande? «Prendiamo il tema del lavoro: prima non si poteva discutere, mentre adesso accanto al lavoro ci sono i temi della pace, della giustizia, e non è poco per un territorio povero come il nostro». Parli di confronto, ma voi usate soprattutto il dialogo… «È vero, stiamo dialogando, e lo facciamo con tutti perché questo è un problema che riguarda tutti, e può essere risolto soltanto guardando le cose da più punti di vista. Ti faccio un esempio: abbiamo aperto un tavolo tecnico di riflessione con gli esperti dell’università per lo studio di un progetto di riconversione, si ritrovano insieme i tecnici, i docenti universitari, altri soggetti come Banca Etica, Chiesa Protestante: il comitato è una sorta di laboratorio, non risolutivo, l’avvio di un percorso concreto».
Come è vista la fabbrica RWM sul territorio? «La fabbrica si è inserita con molta benevolenza nella dinamica sociale locale, ma viola una legge nazionale, che vieta la vendita di armi a Paesi in guerra o che non rispettino i diritti umani; ma prevede anche la possibilità di un fondo per la riconversione delle aziende che producono armi. Quindi le opportunità ci sono. Riconversione non vuol dire un salto nel buio, ma un processo condiviso di maturazione e miglioramento della vita per tutti». In questo processo la stampa che ruolo sta ricoprendo? «Un ruolo decisivo direi, e noi stessi ci siamo stupiti che la stampa internazionale si sia interessata a noi. Anche la TV tedesca ci sta seguendo e ha raccontato alla Germania cosa sta succedendo qui. Ci sono tanti silenzi sulle guerre, come quella dello Yemen. Accendere i riflettori su quel conflitto ha portato il problema che si vive qui all’attenzione di tutti. Per costruire la pace non possiamo chiudere gli occhi. C’è bisogno di tutti, perché anche le piccole azioni locali possono avere una portata più ampia. Amare un territorio vuol dire questo. Può essere anche un rischio, ma per costruire la pace vale la pena correrlo». Fonte: United World Project (altro…)
Giu 19, 2018 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
I ragazzi e i giovani possono diventare la prima generazione che riuscirà a sradicare la fame nel mondo. Lo dicono i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), approvati il 25 settembre del 2015 dai 193 Stati Membri delle Nazioni Unite (ONU), con l’impegno ad attuarli entro quindici anni (2015-2030). Il secondo obiettivo, “Fame Zero”, è al cuore di questo programma. Per poterlo raggiungere l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) punta sulle nuove generazioni. I ragazzi del Movimento dei Focolari hanno scelto di farne un punto centrale del loro congresso di formazione annuale, dal 20 al 24 giugno. 630 ragazze si ritroveranno presso il Centro Mariapoli internazionale di Castel Gandolfo, mentre 250 ragazzi vivranno questo momento di formazione nella cittadella internazionale di Loppiano (Firenze). Provengono da vari paesi d’Europa e sud America. A Loppiano, i 250 adolescenti approfondiranno il tema “Fame Zero” cercando di capire come concretizzarlo nella vita di ogni giorno, riscoprendo valori come il coraggio, il perdono, il servizio, lo sforzo, la spiritualità, la pazienza, la responsabilità, la fedeltà, il riconoscere le capacità dell’altro. Le ragazze, invece, vivranno un giorno speciale il 22 giugno, quando andranno in visita alla sede internazionale della FAO, nel centro di Roma, per partecipare alla discussione intorno all’obiettivo “Fame Zero”. Al termine della mattinata, riceveranno il passaporto di “Cittadine Fame Zero”. Rivedi la diretta streaming del 22 giugno 2018
Lorenzo Russo
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Giu 18, 2018 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
Dopo le eruzioni del 3 giugno, che non hanno dato il tempo di scappare a tantissimi abitanti dei villaggi situati alle pendici del vulcano del Fuego, continuate con minore intensità nei giorni successivi, ora il pericolo più grande sembra rappresentato dalle continue valanghe di fango, detriti e cenere incandescente, chiamati “Lahar”. Scendono a velocità altissima dal cono del Fuego, con una potenza tale da sradicare e coprire tutto quanto incontrano sulla loro traiettoria, provocando forti vibrazioni simili a terremoti. Il Coordinamento Nazionale per la Riduzione dei Disastri ha confermato anche nei giorni scorsi lo stato di allerta per tre distretti, fornendo informazioni aggiornate sui dispersi e i centri di accoglienza e hotel che con grande generosità stanno aprendo le loro porte. Vi lavora anche Lourdes Barrientos. «Una delle mie funzioni – spiega – è quella dell’addestramento e organizzazione delle comunità in risposta alle emergenze e ai disastri. Ora stiamo vivendo questa emergenza, che ha portato dolore, perdite e morti in molte famiglie che vivevano nelle vicinanze del vulcano, specie nelle comunità di Chimaltenango, Escuintila e Sacatepéquez», i distretti dove l’allerta rimane “rossa”, cioè al livello più alto. Mentre procede, dolorosamente, la conta delle persone ritrovate senza vita, nella sede centrale dell’agenzia, a Città del Guatemala, la capitale, si organizzano gli aiuti. «Cerco di andare oltre la mia stanchezza per assolvere pienamente ai diversi compiti che mi vengono assegnati. All’inizio non era semplice, perché mi sembrava di non fare niente direttamente per la mia gente e per le vittime, e che stavo perdendo tempo rimanendo nella sede centrale. Infatti, davanti ai grandi problemi che le istituzioni si trovano ad affrontare, il mio lavoro consiste nel raccogliere ogni genere di informazione sulle comunità colpite. Questa situazione mi avviliva, sapendo che i miei compagni si trovavano invece nel “punto zero”, ovvero nei luoghi del disastro del 3 giugno, nel tentativo di trovare altri corpi e soccorrere le vittime. Sapevo che erano stanchi, che erano impegnati nell’organizzazione e nell’accoglienza negli alberghi, e tutto questo mentre io ero seduta in un ufficio. Per di più continuavo a ricevere messaggi da amici e conoscenti, dalle mie amiche gen e dalla mia famiglia, in cui mi si chiedeva se stavo bene e se mi trovavo nella zona del disastro. Poi ho capito l’importanza di mettere tutta me stessa, in qualsiasi posto mi trovassi ad operare, senza mai perdere la pazienza, nonostante siano tutti stanchi e nervosi. Siamo tutti in prima linea. Oltretutto posso offrire quello che faccio per i miei compagni che sono sul campo, in particolare per uno che ha perso la vita durante le operazioni di soccorso. Da ogni parte arrivano richieste di informazioni sulle vittime, c’è tanto dolore, ovunque necessità di ogni genere. Molte persone offrono aiuti, molti alberghi hanno aperto le porte. Si sente l’amore concreto di tanta gente. Questo ci dà la forza per continuare». Chiara Favotti (altro…)
Giu 18, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
I Giovani per un Mondo Unito vi danno appuntamento a Torino e a Roma per il Summer Campus . “La periferia: capitale d’Italia” è il titolo scelto per i dieci giorni in cui 60 giovani, provenienti da tutta Italia e animati dalla volontà di spendersi per la propria città, realizzeranno attività di riqualificazione, laboratori per i più piccoli e workshop interattivi su temi come la legalità, l’integrazione, il disarmo. Il costo è di 150 euro. Le iscrizioni, rivolte ai giovani dai 18 ai 30, anni si chiuderanno il 30 giugno. Per info: campus@gmail.com o 3311415079 (Giacomo Vannacci). Vedi anche: Focolari Italia www.summercampus2018.ga Facebook: Giovani per un Mondo Unito – Italia #torinosummercampus #romesummercampus
Giu 11, 2018 | Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
L’ho intravisto di sfuggita mentre entravo di corsa al supermercato. Era lì, quasi nascosto dietro un albero, come se si nascondesse da qualcosa o da qualcuno. Me ne sono accorto quando, uscendo, me lo sono trovato davanti. Avevo già preparato due euro per lui, ma mi sentivo male all’idea di fare la parte del “donatore” che regalo uno spicciolo al “mendicante”. Non siamo uomini tutte e due? Con fortune diverse nella vita, semmai. Mi è venuto spontaneo, mentre gli porgevo la moneta, di presentarmi: “Ciao, mi chiamo Gino e tu?”. “Sylvester”, risponde con voce impacciata. “Hai qualche problema?”, chiedo. Dopo un attimo di silenzio – avrei capito dopo che era dovuto più all’incomprensione dell’italiano che all’impaccio -, “No, tutto bene”, mi risponde. Non convinto, lo interpello ancora: “Guardami negli occhi e dimmi se hai qualche difficoltà”. Ancora “tutto bene” è la sua risposta. Mentre raggiungo la macchina, però, sento che mi viene incontro: “Sì, ho un problema: voglio lavorare”. Gli stringo la mano in segno di comprensione e vado via portandomi in cuore il suo sguardo e la sua dignità ferita. Non senza esserci scambiati i cellulari, non vogliamo perderci. Così siamo diventati amici, al di là della lingua e delle diversità culturali, Sylvester e io. Un incontro di persone, ciascuna con la propria dignità. Da quel giorno mi adopero in tanti modi con la consapevolezza che la prima cosa da affrontare è aiutarlo a superare la barriera della lingua. Per quanto sia in regola con i documenti, è irrealistico pensare che possa trovare un lavoro se non riesce a esprimersi e a capire l’italiano. Come dirglielo senza conoscere la sua lingua e viceversa? Mi viene in mente un amico che viene dal suo Paese e gli chiedo se può farmi da interprete. Ci troviamo così seduti al tavolino del bar davanti al supermercato a parlare, con traduttore e birra, per conoscere meglio la sua situazione. Prima di lasciarci gli faccio un invito: “Ricordati Sylvester, nessun lavoro è piccolo se fatto per amore. Tu non sei qui per chiedere, ma per offrire un aiuto a chi ha bisogno, condividere il peso della borsa della spesa, trovare parcheggio o un semplice carrello. Dio ama immensamente te, me, ciascuno. Ora ci metteremo a bussare insieme, come ci insegna il Vangelo. Vediamo se qualche porta si apre. Ma intanto è questo il tuo lavoro, fallo a testa alta, senza perdere la tua dignità”. La sera seguente mi arriva un suo messaggio via whatsapp: “Buonasera Gino, come stai? Spero che tu stia bene insieme alla tua famiglia. Grazie per quello che stai facendo per me. Dio ti benedica perché ti prendi cura di me. Non vedo l’ora di trovare un vero lavoro, ma intanto farò come dici, mantenendo lo sguardo in alto e pulito. Ti aspetto”. Ho dovuto usare ‘google traduttore’ per capire il suo messaggio e rispondergli: “Caro Sylvester, grazie per i tuoi saluti. Oggi ho cercato informazioni per un corso gratuito di italiano. Spero al più presto di poterti dare buone notizie”. Nei giorni seguenti faccio l’esperienza, già conosciuta, di quanto sia difficile aiutare qualcuno! Per qualche motivo a me tuttora sconosciuto prevale sempre la benedetta burocrazia. Ma decido di non arrendermi, anche perché nel frattempo trovo altre persone disposte a farsi prossime a Sylvester. Ora non sono solo, e nemmeno lui lo è più. Domani inizierà le lezioni di italiano, primo passo per riuscire a trovare un lavoro e così poter inviare un sostegno a sua moglie e ai loro due figli piccoli, rimasti nel Paese natale. Forse un giorno potranno ricongiungersi. Prego che sia così, caro Sylvester! Gustavo Clariá (altro…)
Giu 6, 2018 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Nel Focolare di Città del Messico, la Chiesa in uscita di Papa Francesco ha la voce e il volto anche di Reina Cruz, salvadoregna, animatrice di una comunità che condivide la parola di vita in situazioni difficili, a pochi chilometri dalla capitale messicana. Nel gruppo che si è scelto di accompagnare c’è anche chi spaccia e consuma droga. Le focolarine portano la voce del Papa nelle periferie, come egli spesso invita a fare, in sobborghi difficili, poveri, popolati da milioni di persone che, grazie a loro, per la prima volta possono ascoltare una pagina del Vangelo. Non è facile, confessa Reina, «ma andare in un contesto in cui ragazzi di 13-14 anni vivono praticamente senza familiari ci fa capire che dobbiamo portare almeno la nostra presenza. Un accompagnamento che si allarga alle zone più remote, come la visita ai missionari saveriani presenti nella foresta di Santa Cruz, intensificata nella settimana santa e nella Pasqua. Catechesi e aiuti materiali hanno creato un fecondo clima comunitario nelle parrocchie che abbiamo conosciuto». In questi angoli spesso dimenticati, le ragazze hanno presentato la spiritualità del focolare, ben diffusa oramai in centottantadue paesi del mondo, con centri in ottantasette nazioni, anche in Messico, e centodiecimila membri. Con l’ottica di accompagnare i fratelli, caratteristica del movimento fondato da Chiara Lubich (che con la visita del 10 maggio di Papa Francesco a Loppiano si sente maggiormente incoraggiato a continuare il cammino iniziato dalla serva di Dio), i gruppi messicani si sono inseriti in diverse esperienze sociali. «Con altre undici persone — racconta Reina — andiamo a visitare Santiago de Anaya, Actopan, nello stato di Hidalgo, nel cuore del Messico». Senza aspettare nulla in cambio, nemmeno l’interesse per la loro spiritualità, hanno iniziato un cammino con i padri missionari del Verbo Divino. Unico obiettivo, offrire spunti di riflessione comunitaria nella quotidianità: la parola di Dio e le sue conseguenze nella vita grazie alle coppie di laici impegnati. Il fenomeno dello spaccio e del consumo di droga tra gli adolescenti ha allertato i partecipanti al Focolare, spingendoli ad ascoltare le terribili esperienze e condividendo il messaggio evangelico anche con i ragazzi che vivono soli per strada. «Il 6 maggio, a esempio, si sono avvicinate due ragazzine di 14 e 17 anni per raccontarci, tra le lacrime, la crescita del consumo di droga tra i loro amici». La maggiore tra le due era stata cacciata di casa dalla mamma, ricorda Reina, e la ragazza era disperata per la rottura del legame con la madre. Che fare? Come aiutare? Accogliere le domande sulle ferite familiari è parte del compito di accompagnamento che vivono i seguaci di Chiara Lubich. Sfide sempre maggiori che descrivono una società con valori sempre più fragili, vincoli familiari deboli o molte volte assenti. Così la loro presenza rimane spesso l’unico punto di riferimento per persone che, nel momento della crescita, necessitano di uno scoglio al quale aggrapparsi per non rischiare di affogare nelle droghe o nella disperazione. Ecco l’importanza dell’ascolto, spiegano al Focolare di Città del Messico, di proporre la preghiera, e degli incontri di spiritualità per il rinnovamento della loro vita in Dio. L’obiettivo rimane l’unità e il dialogo con i sacerdoti del posto per agire insieme, evitando fratture, e guardare a progetti di sviluppo, come l’economia di comunione, occasioni per uscire dalla povertà e camminare verso la dignità. Un viaggio da fare in compagnia della Vergine Maria, una madre che non abbandona i propri figli, «nemmeno i più soli». Fonte: Osservatore Romano (altro…)