Movimento dei Focolari

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[:zh]https://vimeo.com/131558375 Andrei Papkouski (俄語+意大利語字幕)說「:我與安吉莉卡(Angelika)結婚26年,育有五子女,住在白俄羅斯首都明斯克(Minsk)。許多的鄰居都有各自的宗 教和信念,包括東正教徒、天主教徒、新教徒、無神論者等。我們每天盡量按照愛的原則生活,尊重所有人。城市有兩萬人口,但只有四座天主堂。我們的聖堂不 大,也是最近才興建。以前,我們一直在社區的一個禮堂祈禱。」 Anzhalika Papkouskaya (俄語+意大利語字幕)說:「小聖堂是由團體的奉獻建成,我們現在可以聚集祈禱,但只能容納50至60人。因此,每逢主日,大多數人要在聖堂外的道路上參與禮儀。我們的家庭按照合一理想生活,努力去打造有生命力的教會。」 Andrei (俄語+意大利語字幕)又說: 「我們發覺本堂神父辛勞地從事牧靈服務,明白到他需要幫助,於是對他說:「我們可以為堂區具體的做些什麼嗎?」他大受感動,建議我們購買一個可以改造成房 間的『貨櫃箱』,作為教授道理的課室,但要耗資3000美元,對我們是一筆龐大的費用。」 Angelika (俄語+意大利語字幕)說:「為了籌募龐大的經費,需要艱苦的工作。我們打電話給人家,解釋募款的目的。我們團體的家屬滿懷熱情的幫助我們。兩個月後,我 們的「貨櫃教理課室」開幕了。我們很高興能夠一起行動,相互信任和團結共融,達到具體又可見的成果。」[:]

Roma: Ho trovato la gioia a Baobab

Roma: Ho trovato la gioia a Baobab

baobabBaobab è uno dei tanti centri di raccolta profughi, nei pressi della stazione Tiburtina di Roma. Accoglie circa 400 eritrei, somali e sudanesi, giovani uomini e donne, cristiani e musulmani. «Li c’è un felice, caldo, libero, caotico e anarchico volontariato auto convocato – racconta S. –: ognuno va, vede cosa c’è bisogno, aiuta, chiama amici… E funziona benissimo! Ottenuto il consenso dei Responsabili del Banco Alimentare di Roma, insieme con un giovane che coordina tutto il volontariato del Centro Baobab, siamo andati a Fiano Romano ed abbiamo caricato una ventina di quintali di ottimo cibo (pasta, zucchero, carne in scatola, 600 yogurt, scatoloni di olio, 120 ananas, 30 cassette fra pesche e pesche noce, 100 pezzi di grana padano, e molto di più). Già alle 10 c’erano circa 40°! Siamo arrivati al Centro verso le ore 13 dove erano già in fila per il pranzo almeno 500 ragazze e ragazzi, ordinati e pazienti, nella maggioranza eritrei, tutti provenienti dagli sbarchi di quei famigerati barconi che vediamo al telegiornale. I gradi erano almeno 42° a quell’ora. Nell’arco di una decina di minuti, i ragazzi, senza nemmeno bisogno di chiederlo, si sono messi in fila ordinata ed hanno scaricato, molto ordinatamente, il ducato strapieno, portando tutto il materiale nel magazzino. Non un solo yogurt o una bibita è stata presa, tutto perfettamente riposto al posto giusto. Poi, sono tutti rientrati nella fila di attesa del pranzo. Anche a me è stato servito un piatto che ho condiviso con molta gioia con loro. Il Centro di accoglienza non punta alla assistenza soltanto, ma soprattutto al coinvolgimento ed alla integrazione dei rifugiati stessi. Questo garantisce il rispetto della dignità di ciascuna e ciascuno di coloro che vengono accolti. Molti poi, appena possono, raggiungono parenti ed amici in altri Paesi Europei. La fila dei cittadini romani che portano aiuti di ogni genere è costante e anche commovente. Arrivano tali e tanti aiuti che, spesso, portiamo scatoloni di roba ad altri centri di assistenza. Mentre ero lì a stringere mani, a fare delle conoscenze, è arrivata la prima bimba nata da una ragazza rifugiata accolta nel Centro. È arrivata dall’ospedale all’età di 20 giorni. Medici, infermieri, volontari, tutti intorno a farle un sorriso, volendo almeno vederla. Un segno di come la vita va avanti, sempre. Sono tornato a casa stanco, sudato come non mai … Ma nel cuore e nell’anima una gioia molto speciale, una serenità impagabile, la vera ricompensa per un piccolo gesto in favore di quelle bellissime creature che in questo momento vengono chiamati “rifugiati”… A fine mese siamo già d’accordo di fare un altro carico. Inoltre, attraverso un amico la cui famiglia gestisce cinque supermercati, organizziamo anche una raccolta periodica di quei prodotti che scadrebbero a breve e che, invece, portati al Centro possono essere consumati in un paio di giorni. Ringrazio i rifugiati eritrei ed i volontari del Campo Baobab per avermi dato l’opportunità di vivere un momento veramente bello, prezioso, che, sono certo, si ripeterà nei prossimi giorni e in futuro. Mi sento un privilegiato e lo sono veramente!» (S.D. Italia) (altro…)

Argentina: l’insolito bottino di una rapina

Argentina: l’insolito bottino di una rapina

Nanita (300 x 300)el 2012, mentre ero ospite della famiglia di un amico, sono entrati in casa tre uomini armati. Dopo averci malmenati e costretti a terra, puntandoci le pistole continuavano ad urlare: “dove sono i soldi?” Il padrone di casa, rivolto ad uno di loro ha provato a dirgli che lo perdonava, ma che quello non era il modo di fare le cose. A queste parole egli si è arrabbiato ancora di più e tutti noi avevamo paura che facesse qualcosa di terribile. Invece, sorprendentemente, il rapinatore si è messo a piangere e a chiedere scusa. Gli altri due, che nel frattempo avevano messo insieme il bottino, sono usciti per scappare con l’automobile di famiglia. L’uomo – che sembrava essere il capo del gruppo – prima di raggiungerli ha chiesto se fra quanto avevano preso ci fosse stato qualcosa di importante perché, nel caso, l’avrebbe riportato. Il papà ha detto di tenere pure tutto, che andava bene così, ma che aveva bisogno della macchina per lavorare. Al che il ladro ha promesso che l’avrebbero presto restituita. Prima di scappare ha chiesto perdono ad ognuno. Mezz’ora dopo la macchina è apparsa intatta riportata dalla polizia. Personalmente, anche se quell’uomo aveva chiesto scusa, avevo una certa difficoltà a perdonare. Non mi andava di accettare che al mondo ci fossero delle persone che possono decidere della mia vita o di quella di gente a me cara.  Probabilmente avevo bisogno di tempo. Contemporaneamente però sentivo di dover fare qualcosa, quantomeno cercare di capire la radice di tanta violenza. Con alcuni amici dei Giovani per un mondo unito (GMU) ho cominciato a frequentare un asilo di uomini senza tetto. Forse il condividere il dolore e le difficoltà di chi si trova nelle periferie del mondo poteva aiutarmi a ‘capire’. A questo asilo ci stiamo andando tutti i sabati: facciamo dei giochi, suoniamo la chitarra, guardiamo una partita di calcio (la Coppa del Mondo è stata incredibile!) a volte ceniamo insieme. Così conosciamo le loro storie, alcune veramente allucinanti. Sono persone che hanno bisogno di tanta forza, sia per perdonare chi ha fatto loro del male sia per perdonare loro stesse. Ma più di tutto sono persone che hanno bisogno di ricominciare. Un gruppo di specialisti le aiuta nel processo di recupero mentre il nostro ruolo è di crescere con loro, senza smettere mai di far loro sentire l’affetto. Che ormai, lo sperimentiamo, è diventato reciproco. Stando con loro mi sono resa conto che per tanti di essi, rubare è l’ultima risorsa, da sempre trattati come persone che non esistono. Io stessa mi sono domandata: «Cosa farei io al loro posto, se – come accade a loro – nessuno ti guarda, nessuno ti risponde, nessuno ti considera?».  Ed è stato così che ho sentito di perdonare i tre rapinatori di quella sera. E mi sono accorta che questo mio riconciliarmi con loro, metteva un mattone per la costruzione della pace del mio paese. A dicembre 2013, a causa di uno sciopero della Polizia, tante persone hanno approfittato per saccheggiare aziende e negozi. Hanno rubato perfino in una ONG che raccoglie e distribuisce cibo per i poveri. È stata una piccola guerra tra la gente, con disordini e caos. Il giorno dopo, attraverso le reti sociali, con i GMU  abbiamo mobilitato gli amici per pulire la città e anche per raccogliere cibo per la ONG. Da 15 che eravamo all’inizio siamo diventati più di 100 persone (oltre a quelle che hanno portato cibo). La sera i media TV, che erano venuti a riprendere l’iniziativa, hanno detto che c’è anche un’altra faccia della cronaca e che non solo era stato tutto ripulito, ma che anche i bambini di un quartiere molto povero avevano potuto mangiare. https://www.youtube.com/watch?v=9WX_TbWHvVw&feature=youtu.be Da allora, mentre noi continuiamo ad andare all’asilo di uomini di strada, un altro gruppo di GMU ha fatto amicizia con l’asilo ‘Angolo di luce’ cui erano andati gli alimenti che avevamo raccolto. Per cominciare, data l’imminenza del Natale, i GMU hanno procurato regalini per tutti i bimbi e organizzato un presepe vivente. Poi c’era da pensare al miglioramento dell’infrastruttura, precaria e insufficiente. Così hanno promosso una raccolta fondi presso amici, colleghi di università, la propria famiglia e organizzato varie attività e vendite di torte. Alcuni dei giovani stanno aiutando anche nei workshop di igiene orale e di ortocultura, mentre il progetto continua con la costruzione dei bagni e il rifacimento dell’impianto elettrico.  I GMU si stanno davvero dando da fare. Ma anche l’asilo sta facendo la sua parte, almeno così affermano loro stessi: «L’asilo ci ha dato la possibilità di sognare grandi cose e di credere che attorno a noi ci sono tutte le mani di cui abbiamo bisogno per portare avanti le cose. Basta fare il primo passo». Fonte: United World Project (altro…)

EXPO: Cucine solari per Haiti

EXPO: Cucine solari per Haiti

haiti_poor_int«Haiti, che è stata una delle più floride colonie francesi, la perla delle Antille, oggi è tra i Paesi più poveri del pianeta, devastata da una grave catastrofe ecologica», afferma Ronald La Rêche, ex deputato, candidato al senato di Mont Organizé. Infatti, sono migliaia le persone che non hanno accesso alle fonti tradizionali per l’energia quali elettricità o gas. Il continuo ricorso alla legna da ardere ha come conseguenza un disboscamento selvaggio che incide negativamente sui cambiamenti climatici, causando la desertificazione e la progressiva diminuzione dell’acqua a disposizione. Inoltre lo scarseggiare della legna secca, costringe la popolazione ad utilizzare legna verde che, una volta bruciata, produce fumi tossici altamente nocivi per la salute in particolare delle donne e dei bambini. Di qui l’idea di sostenere la popolazione di Haiti facendo ricorso alle energie rinnovabili e in particolare all’energia solare. Il progetto “Cucine solari per Mont-Organizé” è ideato e realizzato da AFNonlus – associazione ispirata ai valori dei Focolari – in collaborazione con PACNE (Action Contre la Pauvreté du Nord Est), Ente Nazionale per il Microcredito, Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e Tesla I.A. srl. e patrocinato dalla SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale). Intende introdurre le cucine solari nei centri sostenuti da AFN ad Haiti, nel territorio di Mont-Organisé. La cucina solare è dotata di una tecnologia molto semplice, di facile manutenzione e montaggio, è possibile imparare a costruirle in loco favorendone la facile diffusione presso la comunità. È costituita da  un dispositivo basato su un sistema a concentrazione solare: attraverso una lente, l’energia solare si tramuta in energia termica che viene immagazzinata in una batteria. Come materiale termoconvettore, sono utilizzati dei “Sali Fusi”, una miscela di Nitrato di Potassio e Nitrato di Sodio, facilmente reperibili e a basso costo. Questa miscela, non infiammabile e non  tossica, si comporta come accumulatore e conservatore di energia termica, in grado di mantenere il calore per circa 20 ore, successive all’interruzione dell’irradiamento. La presentazione del progetto si è svolta Sabato 4 luglio, in occasione del convegno “Cucine Solari, una risposta alle problematiche dei Paesi in via di sviluppo”, all’EXPO di Milano 2015 presso la Cascina Triulza, il padiglione della società civile. Tra i relatori, Andrea Turatti (Presidente AFNonlus), l’on. Franco Mirabelli (Membro della Commissione Territorio Ambiente e Beni ambientali del Senato), Ronald Laréche (Candidato al Senato della Repubblica di Haiti), il prof. Paolo Masi (Direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II), Joachim Joseph (Coordinatore PACNE), Davide Cantini (Responsabile Automazione Industriale TESLA I.A. srl) e Tommaso Martelli (Centro studi e progettazione ENM), con la moderazione di Elisabetta Kustermann. Sono stati illustrati i dettagli del progetto ed è stato esposto al pubblico il prototipo della cucina solare. «Il percorso che ipotizziamo prevede come primo passo la sperimentazione della cucina solare all’interno delle scuole aiutate da AFN a Mont- Organizé, una realtà rurale nell’arrondissement di Ouanaminthe haiti_expo_intnel dipartimento Nord-Est di Haiti», spiega Andrea Turatti, presidente di AFNonlus. «I passi seguenti saranno quelli di formare gli insegnanti che a loro volta formeranno le famiglie, per coinvolgere la popolazione con programmi di microcredito ad hoc». «L’idea più intelligente che sta dietro questo progetto è legata al fatto che questi sali utilizzati per accumulare energia la rilasciano nel tempo, quindi la sorgente di energia non dura solo il quarto d’ora serve che per riscaldare un determinato prodotto», sostiene il professor Paolo Masi, Direttore Dipartimento Agraria Università degli Studi di Napoli, «il progetto offre delle opportunità per risolvere una serie dei problemi e con alcune semplici tecnologie creare attività intorno alla produzione e conservazione degli alimenti». Sulla stessa linea anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, presidente della SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) e sponsor del progetto “Cucine solari per Mont-Organisé”. «La SIOI ha appoggiato con interesse il progetto ritenendolo un’iniziativa utile a sviluppare le condizioni socioeconomiche di Haiti. Un modello che dopo un’attenta sperimentazione potrà essere applicabile anche ad altri Paesi in via di sviluppo offrendo opportunità di inclusione sociale delle fasce svantaggiate attraverso occasioni di lavoro in loco. Ritengo il progetto interessante anche nell’ottica della cooperazione internazionale, ambito del quale si occupa la SIOI». “Il progetto è un incentivo allo sviluppo e alla crescita del Paese ospitante da un punto di vista dell’incremento del welfare e  della sicurezza alimentare”. Sostiene L’on. Mario Baccini, ex ministro e attuale presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito.  “In prospettiva lo strumento microfinanziario può essere un volano da utilizzare per lo sviluppo delle attività di impresa per una vera e propria ripresa della crescita economica di Haiti e eventualmente di altre zone con criticità simili.” Attenzione alle tecnologie verdi e alla sostenibilità globale del progetto, sono tra gli elementi di innovazione rilevati da Luigino  Bruni, professore ordinario di Scienze economiche all’Università di Roma LUMSA, e coordinatore dell’Economia di Comunione. A questi si aggiungono «la valorizzazione delle risorse locali (e tra queste il sole), dei materiali del posto, e il coinvolgimento della popolazione». «Qui si gioca il successo vero del progetto – afferma l’economista – che funzionerà nella misura in cui verrà sentito come una vera opportunità da parte della popolazione locale». «Il progetto “Cucine solari” – scrive infine Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari – «è in piena sintonia con l’insegnamento di papa Francesco che ha posto l’attenzione sulla questione ambientale mettendo al centro dell’enciclica “Laudato sì” il concetto di ecologia integrale, cioè la relazione tra la natura e le persone che la abitano». «Il progetto, avendo alla base l’attenzione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile che nasca dall’interno delle comunità beneficiarie, può offrire risposte valide alle problematiche urgenti dei Paesi in via di sviluppo. Infatti il progetto cerca una risoluzione a emergenze ambientali, alimentari, sanitarie e di approvvigionamento energetico, guardando ai bisogni essenziali delle persone più deboli. Utilizzando in modo nuovo l’energia solare, oltre ad essere rispettoso della cultura locale, offre opportunità di sviluppo e di inclusione sociale delle categorie più svantaggiate, come i bambini, che nelle scuole dove opera il Movimento ricevono formazione e sostegno». (altro…)

Migrazioni: cosa posso fare io?

Migrazioni: cosa posso fare io?

FlaviaCerino«Quando parliamo di migrazioni, i numeri dicono più delle parole: da un rapporto pubblicato a ottobre del 2014, si deduce che nel mondo siamo 7 miliardi e 124 milioni di persone. Se la ricchezza fosse ripartita in maniera equa, ogni persona disporrebbe di un reddito medio annuo di circa 14.000 dollari USA. In realtà, 2 miliardi e 700 milioni di persone hanno un reddito di 2 dollari e mezzo al giorno. Ora, questa disuguaglianza economica, che è una disuguaglianza sociale, ha un impatto molto forte sul fenomeno migratorio: popoli interi si spostano verso i Paesi più ricchi». Chi è il migrante? Nel 2013, l’ONU ha ritenuto che nel mondo si siano spostate 232 milioni di persone. E definisce il migrante come “una persona che lascia il proprio Paese per motivi di lavoro e si stabilisce in un altro posto per un periodo superiore a 12 mesi”. «È l’unica definizione che si trova … che ritengo piuttosto riduttiva – sottolinea Flavia Cerino –. Infatti, ci sono i rifugiati (quelli che hanno bisogno di un asilo politico presso un altro Paese), i profughi che fuggono da situazioni di guerra, i cosiddetti “clandestini” (che si spostano senza avere un documento idoneo a entrare in un altro Stato). E anche le ragioni sono le più diverse: guerra, povertà, studio, interessi culturali, catastrofi naturali … Quindi le condizioni umane che si racchiudono in una sola parola, migrante, sono molto diverse». 20150630-01Quali sono le parole più ricorrenti nei report dei lavori di gruppo svolti durante la scuola internazionale di Umanità Nuova in cui si è affrontato questo tema? Durante i workshop ne sono venute alcune in particolare evidenza. «La prima è “paura”; una paura di qualcosa che è diverso da me – continua Cerino –. In realtà la diversità (lo vediamo nella natura, anche la diversità biologica), è una grande ricchezza. Perdendola saremmo destinati all’estinzione. Bisogna considerare ovviamente la paura che nasce dell’insicurezza e che ci porta al tema dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale. Un conto, quindi, è l’ordine pubblico e un conto è la paura della diversità. Un altro aspetto che è stato ripreso con frequenza è quello della famiglia. Il migrante che parte da solo lasciando la famiglia, difficilmente descrive le difficoltà che trova per non far preoccupare i suoi cari. Invece si dovrebbe arrivare a riferire alla propria famiglia la situazione reale in cui vive, per una piena consapevolezza di ciò che implica la migrazione, anche in vista della riunificazione della famiglia, perché in genere le famiglie mirano a rimanere insieme. Un’altra parola emersa: intercultura. E cioè la capacità di superare la paura della diversità per creare luoghi, spazi, ambienti di incontro e di conoscenza. Che non è solo di tipo culturale, ma appunto esistenziale, di condivisione di problemi. Il migrante deve essere messo in condizione di dare: invece lui stesso ritiene di non avere niente da dare quando non è riconosciuto come persona, quando non può esercitare cittadinanza attiva e quindi è escluso a priori». 20150630-02Flavia Cerino cita una domanda che Igino Giordani si poneva già tanti anni fa: “Che faccio io per costui?”, riferita proprio all’immigrato. «È la domanda che ci facciamo ora noi. Cosa facciamo? Ci sono miriadi di esperienze, grandi iniziative. La mia esperienza e quella di tanti di voi si muove su due elementi: il primo è che tutto nasce da una sensibilità personale. Cioè io, persona, mi sento interpellata e messa in discussione da un problema che vedo nel mio vicino di casa, nella realtà in cui vivo. E cerco di capire cosa posso fare, rivolgendomi alle persone e istituzioni che hanno la competenza per agire. Perché si tratta di alleviare, di rendere più leggera la presenza dell’immigrato nella mia città. In pratica, alla domanda “cosa posso fare io?”, possiamo rispondere cominciando ad agire secondo ciò che è alla mia portata; quindi, mettendoci insieme a chi condivide questo desiderio, cominciamo da piccoli gesti, possiamo intrecciare i nodi di una rete, lì dove siamo; gesti semplici che generano un’umanità rinnovata intorno a noi». Fonte:Riflessioni su migrazioni e intercultura”, intervento svolto durante la scuola internazionale di Umanità Nuova (febbraio 2015), coordinato da Flavia Cerino, esperta di immigrazione – www.umanitanuova.org (altro…)