Intervista di Lucetta Scaraffia (L’Osservatore Romano)
Ci tenevamo che il nuovo inserto dedicato alle donne de «L’Osservatore Romano» uscisse con una sua intervista: lei è l’unica donna alla testa di un movimento di così grande importanza. Questa singolarità le pesa nei contatti con le gerarchie ecclesiastiche? Non solo non mi pesa, ma è una peculiarità sempre più riconosciuta dal Papa, da cardinali e vescovi, secondo il suo significato originario espresso da Giovanni Paolo II: essere segno e garanzia di quel profilo mariano che dice primato dell’amore soprannaturale, della santità, coessenziale al profilo apostolico-petrino. Dimensioni che concorrono, ha detto Wojtyła, «a rendere presente il Mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo». Non così nel primo ventennio della nostra storia: era una tale novità! Dietro c’è un lungo iter non privo di sofferenza. Anche la sua successione a Chiara Lubich è stata diversa dalla prassi: nessuna designazione, ma voto democratico. Anche nelle decisioni il movimento sembra seguire un iter democratico. Succedeva anche quando era in vita Chiara? La successione è avvenuta attraverso un’elezione, ma non si può dire che si sia seguito un iter democratico. Se ci fosse stato avremmo poi dovuto accettare un compromesso per comporre la polarizzazione, il che sarebbe stato in contrasto con il nostro carisma che chiede l’unità. Da quel momento abbiamo capito meglio il senso dell’eredità di Chiara: Gesù che si fa presente quando «due o più sono uniti nel mio nome». In quell’ora cruciale ne abbiamo sperimentato la forza trasformante e la luce che è guida. Ci è richiesto quell’amore scambievole che non misura, che anzi punta alla misura stessa di Gesù: dare la vita. A oggi non conosciamo altro modo nel prendere decisioni: ciò significa ascolto, condivisione di pesi, conquiste, esperienze, punti di vista, pronti a perdere tutto nell’altro. Soprattutto fedeltà allo sposalizio con Gesù crocefisso per trasformare dolori, dubbi, divisioni e ricomporre l’unità. Quando Lui c’è risplendono i doni dello Spirito: pace, nuova forza, luce; risplende l’uguaglianza, senza vanificare “il dono dell’autorità”. Mi sembra che fra i movimenti voi siate i più restii alla pubblicità: «umiltà e reticenza, mai mettersi in mostra» diceva Chiara. Quindi le persone vi conoscono quando vengono in contatto con qualcuno di voi, attraverso un rapporto personale. Questa modestia vi rende però poco noti all’esterno: ha qualcosa a che fare con la guida femminile? Siamo restii alla pubblicità, non alla comunicazione! Significativo che Chiara abbia voluto che la grande parabolica per i collegamenti intercontinentali fosse sistemata nel suo giardino: era per lei il «monumento all’unità». È vero, c’è stato un lungo periodo di silenzio, quando il Movimento era sotto studio da parte della Chiesa. Ma negli anni successivi non sono mancate grandi manifestazioni internazionali irradiate nel mondo dai satelliti, si sono moltiplicate riviste e siti web, è in funzione un ufficio stampa. Ciò che ci muove non è ricerca di notorietà, ma il detto evangelico che chiede di non tenere la lampada sotto il moggio, ma di metterla sul tavolo per far luce nella casa. Lo spirito focolarino risente della sua matrice femminile. Quali altre caratteristiche femminili si possono rintracciare nel vostro carisma? Il focolare ha una matrice femminile perché è «opera di Maria». Maria, la più alta espressione dell’umanità redenta, “tipo” del cristiano e della Chiesa tutta, come sancito dal Concilio. È lei che ha impresso a tutto il movimento il suo timbro: interiorità che lascia spazio a Dio e ai fratelli, fortezza, fede senza se e ma, Parola vissuta, canto di quel Magnificat che annuncia la più potente rivoluzione sociale, quella maternità possibile oggi nel generare ovunque la presenza misteriosa, ma reale, del Risorto che fa nuove tutte le cose. Nel movimento vi sono, come membri o simpatizzanti, esponenti delle gerarchie ecclesiastiche. Come risolvete il confronto fra autorevolezza della guida del movimento e autorità delle gerarchie che essi rappresentano? Nei rapporti con i vescovi non c’è mai stato conflitto d’autorità, ma scambio di doni: dal carisma dell’unità i vescovi attingono quella spiritualità così incoraggiata dai Papi, per dare alla Chiesa il volto delineato dal Concilio, la Chiesa comunione. Nel carisma proprio delle gerarchie ecclesiastiche, riconosciamo l’evangelico «chi ascolta voi ascolta me». Oltre agli scritti della fondatrice, a cui ovviamente vi ispirate, che rapporto avete con le sante e con i testi che hanno scritto? Due esempi: Chiara ha assunto il nome della santa d’Assisi perché affascinata dalla sua radicalità evangelica. Per anni, alla festa della santa, abbiamo approfondito aspetti paralleli delle due spiritualità. Teresa d’Avila ha fatto luce per leggere, nel nuovo carisma donato alla Chiesa, una via autentica di santità, che ha come meta non solo edificare il “castello interiore”, ma anche “il castello esteriore”, al cui centro è la presenza di Gesù nella comunità. Leggi il testo integrale in pdf
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