©Ave Cerquetti, ‘L’unico Bene’ – Mariapoli Ginetta (Brasile) 1998
All’inizio degli anni ‘70 il mondo si presentava già interconnesso per «l’incontro ormai irreversibile fra i popoli e le civiltà del mondo intero, reso possibile da una vera esplosione di mezzi di comunicazione sociale e dall’immenso sviluppo tecnologico».
Chiara Lubich, pur evidenziando il positivo di tale novità avverte i giovani che «non sempre l’uomo di oggi è preparato a questo incontro», spesso destabilizzante perché ci si accorge che il proprio modo di pensare non è l’unico. E invita a non confondere i valori assoluti, quelli legati all’Eterno, con le proprie strutture mentali. All’infrangersi delle certezze,
Chiara propone ai giovani un modello da seguire, una chiave che aprirà loro le porte
per la costruzione di un mondo nuovo. «Come vivere allora questo terribile oggi, in cui sembra che, per un misterioso cataclisma, i più alti valori tremino come enormi grattacieli che si scontrano e si frantumano? C’è una risposta (…), un mezzo sicuro di cui far calcolo per concorrere con altri a generare il mondo che sarà?
C’è in pratica un tipo di uomo-mondo che sente, che ha sentito in sé questo terribile maremoto che minaccia di non salvare nulla di ciò che finora si è creduto intangibile? Che quasi dubita che la stessa verità assoluta lo abbandoni al proprio destino, gettandolo nella più grande confusione? C’è questo uomo-mondo che ha saputo superare tale immane prova, pagando così un mondo nuovo che ha ritrovato in sé e ha generato per gli altri?
Sì, esiste. Ma si intuisce subito che quest’uomo non poteva essere solamente un uomo, ma “l’Uomo”: è Gesù abbandonato. La sua umanità perfetta, ma pur debole e soggetta al dolore e alla morte, è simbolo di ogni struttura umana che pur nei suoi limiti è riuscita, attraverso i secoli, a dare all’uomo qualcosa di illimitato come la verità.
Sulla croce, prossimo alla morte fisica, e nell’abbandono, sua morte mistica, Gesù avverte il crollo di tutta la sua umanità, del suo essere uomo; per così dire della sua struttura umana; e al culmine di quel crollo il Padre permette misteriosamente che dubiti e che in Lui anche la presenza di Dio quasi si vanifichi. Per questo
grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46)”. Ma proprio in questo grido, Gesù, perché è Dio, ha la forza di superare questo infinito dolore e dà alla sua carne passibile, la potenza dell’immortalità, inserendola, risorta, nel seno della Trinità immortale. Non solo, ma con questo fenomenale atto di accettazione della più spaventosa distruzione che cielo e terra abbiano conosciuto,
Gesù dà agli uomini la possibilità di risorgere, nell’altra vita, con la risurrezione corporale, e, in questa vita con la risurrezione spirituale – quando noi amiamo Gesù abbandonato -, da qualsiasi morte, da qualsiasi distruzione in cui l’uomo venisse a trovarsi».
«È Gesù abbandonato (…) il leader sicuro per ogni giovane di questo secolo. Egli, amato, offre a chi lo segue lo spirito di verità, così come dopo la sua morte sul Calvario, ha fatto scendere sugli apostoli lo Spirito Santo». I giovani, afferma Chiara, «seguendolo, troveranno la possibilità di non tremare di fronte a qualsiasi situazione ma, anzi, di affrontarla nella sicurezza che ogni verità umana e la Verità, cioè il regno di Dio, potrà trovare, anche per il loro concorso, le nuove strutture mentali a livello mondo».
E conclude: «Sta in voi accoglierlo nel vostro cuore come la perla più preziosa che vi si possa dare, per la vostra anima, per i popoli che qui rappresentate, ma soprattutto per quel mondo nuovo che deve vedere tutti gli uomini uniti. Per quel mondo nuovo che ospiterà non tanti popoli ma il popolo di Dio».
Fonte: Chiara Lubich, Colloqui con i gen anni 1970/74,
Città Nuova, ed. 1999, pp. 73-83
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