La compagnia con i santi

Mille grazie di questa laurea h.c. incentrata sulla vita consacrata, laurea assolutamente imprevista, ma graditissima.

Le persone consacrate, infatti, mi portano sempre a pensare a quelle creature fra esse, che, perché donate completamente a Dio, hanno raggiunto la perfezione, la santità. E la conoscenza e la compagnia con i santi è uno dei doni più belli che un’anima cristiana può ricevere, delle meraviglie celesti che può sperimentare.
Grazie dunque. Di cuore.

La vita consacrata nel Movimento dei Focolari

In questo mio intervento dovrò esporre, penso, come è vista e considerata la vita consacrata nel Movimento dei Focolari, di cui, come fondatrice, sono stata e sono uno strumento sempre “inutile e infedele”.

Sarà quindi necessario anzitutto conoscere, per ampie linee, detto Movimento, e per meglio capirlo, qualche premessa al suo inizio ufficiale, effetto già del nuovo carisma dell’unità, che è stato ed è dono di Dio per molti.

Sarò io il tuo Maestro

La prima volta che ho avuto sentore che qualcosa di nuovo stava succedendo in me, e non partiva dalla mia intelligenza, è stato quando a 18 anni il mio cuore non aveva che un unico struggente desiderio: conoscere Dio.

La filosofia, che avevo studiato nelle scuole superiori, non mi aveva appagata. E, dovendo iniziare a frequentare l’Università, avevo pensato che forse in un Ateneo cattolico avrei trovato chi avrebbe saziato la mia sete.

Circostanze apparentemente avverse, ma che ho visto poi provvidenziali, me lo hanno impedito. Ne ho pianto costernata con mia madre che non riusciva a consolarmi.

Ma proprio in quei momenti ho sentito chiare, nella mia anima, queste parole: “Sarò io il tuo Maestro”. Smisi di piangere, continuai la mia vita e mi iscrissi ad un’Università laica.

A Loreto

Un anno dopo, nel lontano 1939, sono stata invitata a partecipare a Loreto ad un convegno. Appena potevo correvo alla casetta di Nazareth, custodita nella grande chiesa-fortezza. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. M’inginocchiavo accanto al muro annerito dalle lampade, ma non riuscivo a pronunciare parola: ogni volta qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva, quasi mi schiacciava. Contemplavo col pensiero la vita verginale dei tre. Quella convivenza di vergini: Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro aveva un’attrattiva irresistibile per me. L’ultimo giorno del convegno, quando la chiesa era gremita di giovani, mi è passato un pensiero: sarai seguita da una schiera di vergini.

Una quarta strada

Tornata nel Trentino ho trovato il mio parroco. Questi mi vede felice e mi domanda: “Hai trovato la tua strada?” “Sì”, rispondo. “Il matrimonio?” “No”. “Il convento?” “No”. “Rimarrai vergine nel mondo?” “No”.

Erano le tre strade allora possibili per una ragazza. Però io non sapevo di più. Più tardi capirò: quella era una quarta strada, una strada nuova di consacrazione a Dio, che lo Spirito Santo apriva nella Chiesa; strada caratterizzata proprio dalla presenza di Gesù fra più persone vergini o, pur sposate, verginizzate dall’amore: e questo è il focolare.

“Datti tutta a Me”

Quattro anni dopo, poi, mentre compivo un atto d’amore verso mia madre (ero andata, in una freddissima mattina d’inverno, a comperare del latte al posto delle mie sorelle), è successo un fatto un po’ particolare: mi è sembrato quasi che il Cielo s’aprisse e Dio mi dicesse: “Datti tutta a me”. Era la chiamata esplicita di Dio, a cui ho subito risposto con tutto l’amore del mio giovane cuore.

Ne ho parlato con il confessore che mi ha permesso di donarmi a Dio per sempre.
Non mi sarà mai possibile descrivere ciò che è passato nel mio cuore quel giorno: avevo sposato Dio! Potevo aspettarmi ogni cosa da Lui!

«Tutto vince l’Amore»

Intanto avevo conosciuto alcune giovani alle quali non tenevo segrete quelle mie prime idee su ciò che stava per nascere, e anch’esse hanno fatto la mia stessa scelta.

Ma l’amore, il mio amore è stato messo alla prova.

Erano i tempi della seconda guerra mondiale che distruggeva ogni cosa, e quasi tutte le persone sfollavano dalle città. Un giorno di maggio un bombardamento su Trento aveva reso inabitabile la mia casa sicché, con la famiglia, ho dovuto ripararmi in un bosco alla periferia della città.

Ricordo di quella notte, passata all’addiaccio, due particolari: stelle e lacrime. Stelle, perché le ho viste tutte – lungo le ore notturne – passare sopra il mio capo; lacrime, perché capivo che non potevo allontanarmi dalla città con i miei, che tanto amavo, in cerca di rifugio. Qualcosa stava nascendo: non avrei potuto abbandonare le mie compagne.

Ad un dato punto mi è sembrato che Dio, per farmi capire la sua volontà, mi ricordasse una frase studiata a scuola: “Tutto vince l’amore” .

L’amore per Dio doveva vincere anche quella cruda separazione dai miei? Al mattino l’ho fatto, con la benedizione di mio padre. E, mentre la famiglia andava verso la montagna, sono tornata verso la città distrutta. Ho cercato le mie compagne fra le case e le strade ridotte a macerie. Grazie a Dio, erano tutte salve.

Il primo focolare

Ci ha ospitato così, poco dopo, un piccolo appartamento. Era il primo focolare, anche se noi non lo sapevamo ancora.

Anni dopo, per la presenza di quell’anima grande che era Igino Giordani, confondatore della nostra Opera e ora servo di Dio, si è precisata la fisionomia del focolare: esso è, ad immagine della famiglia di Nazareth, una convivenza, in mezzo al mondo, di persone vergini e coniugate, tutte donate, anche se in maniera differente, a Dio.

Una nuova spiritualità

Ma, tornando ai primi tempi del Movimento, ecco il Signore istruirci scolpendo a caratteri di fuoco nelle nostre anime quelli che sarebbero diventati i cardini di una spiritualità nuova – personale e comunitaria insieme -: la “spiritualità dell’unità”.

Dio Amore

Con la guerra e le sue conseguenze scomparivano quelle cose o persone che formavano quasi l’ideale della nostra vita e la lezione, che Dio ci offriva con quelle circostanze, era chiara: tutto al mondo passa. “Tutto è vanità delle vanità” (cf Qo 1,2).

Contemporaneamente sorgeva per tutte, nel mio cuore, una domanda: “Ma, ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per cui poter impegnare tutte noi stesse?”Sì, è stata la risposta, c’è. E’ Dio, Dio che è Amore.

E lì, in mezzo alle stragi della guerra frutto dell’odio, siamo state abbagliate, come fosse la prima volta, dalla verità su Dio: “Dio è Amore” (1 Gv 4,8). E abbiamo creduto, con fede ardentissima, al Suo Amore. E, di conseguenza, se prima avevamo pensato Dio lontano, inaccessibile, ora Lo avvertivamo vicinissimo: illuminava, trasfigurava col suo amore ogni circostanza che ci riguardava, lieta o triste o indifferente che fosse: tutto ci appariva espressione del suo amore.

E la gioia e lo stupore sono stati così grandi che non abbiamo atteso un attimo a scegliere proprio Lui, Dio Amore, come l’Ideale della nostra vita. E Dio Amore è il primo cardine della “spiritualità dell’unità”.

Il Vangelo vissuto parola per parola

Ben presto però si è imposta a noi un’esigenza:
“Se Dio, che è Amore, è il nostro nuovo ideale, come comportarci per poter dire che Egli è veramente il tutto per noi?” Era ovvio: dovevamo a nostra volta amare Dio.

Correvamo nei rifugi ad ogni allarme aereo e non potevamo prendere con noi null’altro se non un piccolo libro: il Vangelo. In esso – ne eravamo certe – avremmo trovato come amare Dio.
Lo aprivamo. Ed ecco la meraviglia: quelle parole, che avevamo sentito tante volte, s’illuminavano, come se una luce vi si accendesse sotto, infiammavano il nostro cuore. Le capivamo ed una forza ci spingeva a metterle subito in pratica. Lo facciamo e avviene un susseguirsi di episodi che stupiscono e incantano. Ci rendiamo conto, con sorpresa, che ciò che Gesù aveva promesso anche ora mantiene. Il Vangelo, dunque, è vero.

Questa costatazione mette le ali al nostro cammino da poco intrapreso. La nostra gioia è grande, contagiosa. Comunichiamo agli altri ciò che accade. Ed essi comprendono che Gesù è vivo. Sicché molti vogliono seguirLo.

Amare Dio vivendo il Vangelo, parola per parola, è il secondo cardine della nuova spiritualità che Dio ci stava dando.

L’arte di amare

Fra tutte le parole del Vangelo, lo Spirito Santo ci sottolineava in modo speciale quelle riguardanti l’amore verso il prossimo: amore sempre nuovo che va diretto a tutti, che domanda a ciascuno d’aver l’iniziativa, che deve essere concreto, che vede Gesù in ogni prossimo. Ed abbiamo iniziato ad amare tutti i poveri, i mutilati della guerra, gli orfani, i soli…, che incontravamo, ad invitarli, ad esempio, alla nostra tavola in focolare, mentre ardeva nel nostro cuore il desiderio d’arrivare a risolvere il problema sociale della città.

Vi dò un comandamento nuovo

La guerra però ci poneva sempre di fronte alla morte, cosicché ci siamo chieste un giorno se vi è nel Vangelo una parola che piace particolarmente a Dio. Avremmo voluto viverla, per dargli gioia, almeno negli ultimi istanti della nostra vita.

Il Vangelo presto ce la rivelò in quel comandamento che Gesù dice suo e “nuovo”, quindi speciale: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,12-13).

Colpite fortemente dalla bellezza e dalla radicalità di queste parole, ci siamo guardate in faccia e ci siamo dichiarate, sotto l’azione – pensiamo proprio – d’una grazia tutta particolare: “Io sono pronta a dare la vita per te. Io per te. Io per te… Tutte per ciascuna”. E’ stato un patto solenne, che da allora abbiamo cercato di mettere in pratica sempre ed è diventato la base su cui poggia l’intero Movimento dei Focolari.

Vivere l’amore evangelico e in modo particolare l’amore reciproco è il terzo cardine da cui non può prescindere chiunque voglia vivere la “spiritualità dell’unità”.

Quell’amore che genera la presenza di Gesù in mezzo a noi

Ma ecco che, avendo messo in atto l’amore vicendevole, la nostra vita interiore ha avuto un balzo di qualità: abbiamo avvertito una nuova sicurezza, una volontà più decisa, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, un’abbondanza di luce.
Come mai? La risposta è stata subito evidente quando abbiamo letto queste altre parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (e cioè in me, nel mio amore, dicono alcuni Padri della Chiesa), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).

Gesù silenziosamente si era, dunque, introdotto come Fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed abbiamo subito intuito l’infinito valore della sua presenza. Non abbiamo più voluto perderla.

Con l’amore reciproco, che generava Gesù fra noi, si realizzava pure l’unità da Lui invocata nel suo testamento: “Che siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Unità che abbiamo potuto suggellare ricevendo quotidianamente la santissima Eucaristia.

Gesù in mezzo ai suoi e l’unità sono il quarto cardine della nostra spiritualità.

La chiave dell’unità: il grido di Gesù in croce

Non sempre naturalmente riuscivamo a vivere così. Alle volte difetti anche piccoli offuscavano lo splendore dell’unità, allontanavano Gesù di mezzo a noi. Ma non ci arrendevamo.

Avevamo saputo che Gesù aveva sofferto il massimo dei suoi dolori quando in croce, sperimentando l’abbandono del Padre e la separazione da Lui, aveva gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).

Toccate da questo suo dolore, ci siamo sentite spinte a prendere come modello nostro proprio Gesù nel suo abbandono. Egli si è fatto “peccato” per noi? Ha assunto ogni nostra difficoltà, ogni nostra divisione? Dunque, ovunque appaiono, Egli è presente. E, da allora, abbiamo scoperto il suo volto: nelle aridità della nostra anima, nel buio, nei dubbi; nei prossimi soli, derelitti, delusi; nelle più varie divergenze presenti nelle famiglie; nelle disunità fra le generazioni, fra le comunità della nostra Chiesa; nelle divisioni fra le Chiese; nell’incomunicabilità fra fedeli di religioni diverse, fra credenti e non credenti.

E tutti questi dolori, tutte queste disunità non ci hanno spaventate. Anzi abbiamo amato in esse la presenza di Gesù abbandonato. E, comportandoci come Lui ha fatto, quando abbandonato dal Padre al Padre si è riabbandonato (“Nelle tue mani raccomando il mio spirito” – Lc 23,46), abbiamo trovato la chiave per porre rimedio alle diverse situazioni.

Amare Gesù crocifisso e abbandonato è il quinto cardine della “spiritualità dell’unità”.

La vocazione della nostra Opera: portare Gesù nel mondo

Ci vollero cinque, sei anni perché potessimo far nostri questi principali cardini e perché essi raggiungessero il loro vero scopo: insegnarci a vivere sempre con “Gesù in mezzo a noi”. Tutti, infatti, sono in funzione di questa altissima finalità. Si delineava così quella che sarebbe stata la vocazione della nostra Opera: portare spiritualmente Gesù nel mondo.

Ed è ciò che è successo, ancora sotto la guerra, attorno al primo focolare: dopo pochi mesi circa 500 persone di tutte le età, uomini e donne, delle più varie estrazioni sociali e di tutte le vocazioni, condividevano il nostro Ideale e formavano lì, in mezzo al mondo, una comunità simile a quella dei primi cristiani. Tra essi non mancavano i figli dei fondatori, religiosi dei più vari Ordini, le cui diverse spiritualità si armonizzavano e risplendevano maggiormente nella comune fraternità. Essi ci hanno dato modo di contemplare gli Ordini, le Congregazioni, le Famiglie religiose, come splendide aiuole del magnifico giardino della Chiesa in cui sono fiorite e fioriscono tutte le virtù.

Cristo dispiegato nei secoli

Se, infatti, Cristo è il Verbo incarnato, la Chiesa ci è apparsa, per i più vari carismi donatile dallo Spirito, come un Vangelo incarnato. Ogni famiglia religiosa è in particolare l’incarnazione di un’espressione di Gesù, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola…

Ci sono i francescani, che continuano a predicare nel mondo, anche con la loro solo esistenza: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno di Dio” (Mt 5,3). Ci sono i domenicani che, contemplando il Logos, il Verbo, spiegano e diffondono la verità. I gesuiti che sottolineano la totale disponibilità nel servizio della Chiesa mediante l’obbedienza. Gli Ordini missionari che attuano il precetto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (cf Mt 28,19). I carmelitani che adorano Dio sul Tabor pronti a discendere per predicare e affrontare la passione e morte. Le famiglie di san Vincenzo de’ Paoli e di san Camillo de’ Lellis che incarnano le opere di misericordia. E così via.

Per tutti questi carismi, fioriti lungo i secoli, la Chiesa appare proprio come un Vangelo dispiegato nel tempo e anche nello spazio, perché i figli dei santi fondatori sono presenti spesso dovunque.

I moderni Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, prevalentemente composti da laici, continuano questa meravigliosa “incarnazione” del Vangelo. Infatti, anche in essi, pur nella diversità delle loro forme, si possono ravvisare doni particolari dello Spirito e una spinta a mettere in pratica le parole di Gesù.

Ora, compresa così la Chiesa, quale può essere il rapporto del nostro Movimento con tutte queste ricchezze della Sposa di Cristo e in particolare quale la relazione fra la nostra spiritualità e le altre?

L’unità, il supremo disegno di Cristo

Come ho già detto, la spiritualità del Movimento s’incentra sull’unità, sul Testamento di Gesù. E, come chiave per attuarla, sul più grande dolore di Gesù: sul suo abbandono in croce.
Ora, essendo l’unità – come già diceva Paolo VI – il “supremo disegno” di Cristo, la “sintesi dei suoi precetti” , la parola riassuntiva dei suoi desideri divini , il “vertice del Vangelo” ; ed essendo l’abbandono il culmine del patire, che Cristo ha offerto per la nostra salvezza, è evidente che ogni altra espressione della sua dottrina o della sua vita si ritrovi nell’unità e nell’abbandono. Anzi, è logico che scopra nel Testamento di Gesù e nel vertice del suo patire, il senso vero di se stessa.

Rinnovamento delle comunità religiose

Ecco perché i numerosi religiosi e religiose che, fin dal nascere del Movimento hanno avuto contatto con esso, vi hanno scoperto una luce che ravvivava la loro spiritualità ed aiutava a comprenderla meglio.

Sono assai consolanti, infatti, gli effetti che la partecipazione al carisma dell’unità produce nei più di ventimila religiosi di circa 200 Istituti che sono in contatto con la spiritualità e fanno parte del nostro Movimento, e nelle cinquantaduemila religiose di oltre 2800 Istituti.

Essi, per la luce di questo carisma dei tempi attuali, affermano, ad esempio, di comprendere meglio il loro fondatore. Nasce un nuovo amore per lui, un apprezzamento, a volte, non avvertito prima ed un desiderio forte di rivivere ed attualizzare il suo carisma nell’oggi della Chiesa.

Conosciuto poi più in profondità il proprio fondatore, affermano di riscoprire le loro regole e sentono una maggiore spinta a metterle in pratica. E ancora, per aver compreso di più il fondatore, nasce una più profonda unità con i superiori che lo rappresentano e, nel padre comune, si trovano a riconoscersi meglio come fratelli della stessa Famiglia religiosa. Tutto ciò favorisce la presenza di Gesù in mezzo alla comunità così unita ed Egli illumina e valorizza ogni suo aspetto, e dà senso ad ogni sua manifestazione.

Per questo si assiste ad un vero e proprio rinnovamento di comunità, con aumento di vocazioni, con nuovi sviluppi nelle missioni, con possibilità per i superiori d’affidare compiti difficili a persone di cui possono veramente fidarsi.

E ancora si osserva il realizzarsi di una reale e profonda comunione fra membri di Ordini diversi, potenziando il senso dell’unità ecclesiale, così come fra religiosi e sacerdoti secolari, e fra religiosi e laici impegnati. Di qui il sentirsi in modo nuovo parte viva non solo della propria Famiglia religiosa, ma della Chiesa.

Comunione tra movimenti ecclesiali

Se, sin dall’inizio del nostro Movimento, abbiamo scorto questi frutti e abbiamo sperimentato con forza che il carisma che Dio ci aveva dato incrementava la comunione fra singoli, gruppi e associazioni, in questi ultimi anni abbiamo assistito al dilagare di questa comunione oltre ogni nostra aspettativa e ben al di là del nostro Movimento.

Come loro ricorderanno, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – al suo aspetto istituzionale.

In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo.

Si è così attuata subito una comunione caratterizzata da una carità fattiva, dapprima fra alcuni Movimenti, poi con altri. Sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse si sono esposti i propri carismi e si sono donate le proprie esperienze.

Le “Giornate” hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e hanno fatto loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare, più carismatica, più mariana.

Comunione tra carismi antichi e nuovi

In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione.

Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù e con i cistercensi a Roma, ed altri.

L’augurio del Papa

E, mentre si svolgevano queste diverse iniziative, il santo Padre promuoveva, attraverso la Novo millennio ineunte, all’inizio dell’anno 2001, una “spiritualità di comunione” per tutta la Chiesa. Come scrisse il Papa in due lettere ai Vescovi amici del nostro Movimento , questa “spiritualità di comunione” si identifica con la “spiritualità dell’unità”, dell’Opera di Maria, e ne viene “arricchita”.

Nell’anno 2002, poi, ci ha dato grande gioia il documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consiglia ai e alle religiose “di far crescere la ’spiritualità di comunione’ prima di tutto al proprio interno”(n.28) e poi “nella stessa comunità ecclesiale”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. E’ “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata” dice il documento. “Nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” (n.30), e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Infine si ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” (n.43).

Queste indicazioni del Papa e della Santa Sede sono un’ulteriore conferma che la “spiritualità dell’unità” può essere vissuta insieme ad un’altra, ad esempio a quella propria di una Famiglia religiosa: essa non è, infatti, che la spiritualità del Corpo mistico nel quale tutti siamo inseriti. Per cui, anche se la nostra singolare vocazione ci chiama a incarnare un particolare della vita di Gesù, una delle sue tante parole, lo dobbiamo fare vivendo prima di tutto l’amore che è l’anima di quel Corpo. I nostri carismi porteranno più copiosi frutti se metteremo a base della vita delle nostre comunità la mutua e continua carità che è l’essenza della vita cristiana, qualunque sia la forma che essa prende.

Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” (NMI 43).

Insieme per l’Europa

Abbiamo toccato con mano gli straordinari effetti di questa comunione e le sue enormi potenzialità nel maggio scorso a Stoccarda, in una grande Giornata dal titolo Insieme per l’Europa. Essa era frutto della collaborazione di più di 150 Movimenti e Comunità di varie Chiese (luterani, ortodossi, anglicani, di Chiese libere…), che da alcuni anni si sono aggregati ecumenicamente alla comunione sorta tra i Movimenti cattolici.
Tutti questi Movimenti e Comunità ci erano apparsi come tante reti che Dio aveva steso sull’Europa, quasi a preparare- a livello di laboratorio – la sua unità.
Volevamo far conoscere queste buone opere onde dare gloria a Dio (cf Mt 5,16) e concorrere a realizzare, accanto all’Europa politica ed economica, l’“Europa dello spirito”.
La Giornata è stata un evento profetico e storico che ha radunato in un tripudio di comunione 9.000 persone, presenti numerosi politici tra i quali Romano Prodi. Trasmessa via satellite nel nostro continente ed oltre, questa Giornata è stata seguita in diretta da 100.000 persone in 163 incontri contemporanei, svoltisi in altrettante città europee collegate con Stoccarda.
A conclusione di essa è stato detto autorevolmente che c’era in quella sala una fortissima energia, gioia, decisione, vitalità, coraggio, arte, profezia, un’incredibile comunione d’intenti. Mons. Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha definito la manifestazione una “cosa miracolosa”, mentre il card. Kasper si è detto certo che da un simile spirito anche il movimento ecumenico riceverà nuovi impulsi e andrà avanti con nuova speranza.
Ma, per chi più vi ha lavorato, un simile evento si spiega con una sola parola: Gesù, Gesù che era spiritualmente presente in mezzo a tutti, cattolici ed altri cristiani, perché tanti si erano impegnati a mantenerlo vivo costantemente, col loro reciproco amore a tutta prova, e con l’amore totale verso chiunque.

E’ Lui, infatti, il Risorto, il principio, il mezzo e il fine della nostra comunione, nella Chiesa e oltre. E’ Lui, reso vivo e palpitante fra quanti si amano, la fonte dell’amore e della luce, l’artefice della nostra gioia. E’ Lui che vince il mondo, Lui che ha pregato così prima di morire: “Padre, che siano uno affinché il mondo creda. Che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Preghiera del Figlio di Dio al Padre. Preghiera quindi che non potrà non essere esaudita.

Che il Signore dia a tutti noi di lavorare ancora a lungo nella sua vigna e che mandi numerosi operai in essa! Grazie di questo dottorato. Grazie della loro attenzione.

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