Movimento dei Focolari
USA: la pandemia ci riporta all’essenziale

USA: la pandemia ci riporta all’essenziale

Un sacerdote percorre ogni giorno, da mesi, molti km in bicicletta o con un pickup per essere vicino alla sua comunità. Un’esperienza, vissuta insieme ad un team di parrocchiani, che ha unito e allargato gli orizzonti, con effetti anche sul dopo-pandemia. Se i periodi di lockdown e le norme di distanziamento sociale ci obbligano a frequentare poco luoghi di aggregazione come la parrocchia, perché non può essere il sacerdote a fare da ponte e legame tra tutti? E’ quanto sta facendo Padre Clint Ressler, sacerdote cattolico degli USA, che ogni giorno dall’inizio della pandemia, attraversa in lungo e in largo il territorio della sua parrocchia di St. Mary of the Miraculous Medal a Texas City (USA), per visitare i suoi parrocchiani. Padre Clint, come è cambiata la vita nella sua parrocchia durante questa pandemia? È vero che la pandemia sta cambiando drasticamente il nostro modo di mantenere i rapporti e svilupparli. Sento molto più forte in me la consapevolezza che Dio ci chiama alla corresponsabilità. Come pastore, mi sento sollevato e circondato da un bel team, forte e molto motivato. Forse, anche per il fatto che siamo più concentrati sull’essenziale della nostra missione, sperimentiamo gioia e gratitudine, vedendo i frutti di questi nostri sforzi. Prima della pandemia, le mie giornate erano piene di contatti con tanta gente. Può darsi che delle volte sia stato troppo preso dai progetti o dagli incontri o dal mio dover essere presente ed attento ad ogni persona. Ora, anche perché in tutti c’è bisogno di comunione, di rapporti autentici, mi trovo più nel mio “essere” che nel mio “fare”. Il rapporto tra i gruppi parrocchiali e altri che offrono un servizio in parrocchia, è più personale, con contatti vivi attraverso il telefono, i social media e anche con brevi visite. Mi pare che questo grande desiderio di vivere la comunione, che Dio ha messo nei nostri cuori, stia trovando le sue vie per superare le difficoltà. Che cosa ha fatto per continuare ad essere vicino ai suoi parrocchiani? Forse anche perché ci sono meno incontri e una maggior attenzione alla missione essenziale,  non mi sento così  indaffarato com’ero prima della pandemia. Poi, c’è  la voce di Dio dentro che suggerisce di rallentare, di fidarmi di Lui e d’aver pazienza. All’inizio della pandemia cercavo di visitare tanti parrocchiani, andando in bicicletta o con un pick-up. Nei primi mesi, visitavo anche dodici famiglie al giorno. Ora vado con un ritmo più lento; faccio meno visite, ma cerco di passare più tempo con le persone. Ci racconta il momento più bello e quello più difficile di queste visite? La scelta di un solo episodio non è facile. Una volta sono arrivato a casa di una famiglia che pochi giorni prima aveva perso la casa a causa di un incendio. I figli erano rimasti non solo senza tetto, ma anche senza giocattoli. Un vicino di casa aveva subito offerto ospitalità, prendendo questa famiglia a casa sua. È stata la visita più triste, ma la più edificante. Mi ha colpito come questa esperienza abbia improvvisamente cambiato la chiamata di Papa Francesco ad essere “discepoli missionari” da belle parole a qualcosa che poteva e doveva disperatamente essere vissuto. Secondo lei questa esperienza cosa porterà di positivo nella vita della sua comunità parrocchiale anche dopo la fine della pandemia? La pandemia ha aiutato  molte persone a prendere familiarità con la “fede online”. I parrocchiani sono diventati più  esperti nell’uso dei mezzi tecnologici in generale, ma anche per quello che riguarda la loro fede. Sono stato personalmente edificato da come i nostri parrocchiani si sono presi cura l’uno dell’altro. Credo che dopo la pandemia vedremo i frutti di questa  vicinanza e di queste espressioni concrete di reciprocità. Con la pandemia, il senso di solidarietà è diventato ancora più  grande; ci sentiamo chiamati a vivere la solidarietà non solo  con quelli  vicini,  ma  anche nei bisogni e nelle sfide del mondo intero. Sentiamo che “siamo tutti insieme” in questa situazione. E spero che questo rimanga nei cuori e in tutto quello che facciamo, anche dopo la pandemia. Lei conosce e vive la spiritualità dei Focolari, quale influenza ha sulla sua vita di sacerdote e di parroco – in genere e specialmente in questo periodo da pandemia? La responsabilità di una parrocchia può essere pesante e complessa e richiede discernimento e decisioni difficili. Tuttavia, se provo a concentrarmi sull’amore concreto, non mi sembra cosi’ schiacciante. Ovviamente tutto inizia dall’unione con Dio.  Come sacerdote e sopratutto come pastore, mi è  stato affidato un compito che implica influenza e  autorità. Alle volte, essendo il leader,  posso cadere in un “approccio aziendale” che valorizza l’efficienza, evita i rischi e valuta i risultati. La spiritualità dei Focolari,  la testimonianza di Gesù,  mi chiama al servizio, all’umiltà e alla fedeltà nella pazienza. Ho capito che per noi il punto di partenza fondamentale per scoprire la volontà di Dio è  vivere con Gesù  in mezzo. In altre parole, dobbiamo essere “Chiesa”, il corpo mistico di Cristo. Mentre per la grazia di Dio viviamo e cresciamo in questi rapporti reciproci, possiamo ascoltare la voce “sottile” dello Spirito Santo.   Penso che questi anni di vita con il Movimento dei Focolari abbiano radicato in me il desiderio di portare questo tipo di discernimento in parrocchia,  con la staff parrocchiale, col consiglio pastorale, e con ogni gruppo e commissione.

Anna Lisa Innocenti

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Aiuto reciproco

Siamo tutti collegati come membra di un unico corpo. Se uno è più debole, subentra l’altro. È questa la semplice, ma sconvolgente logica evangelica che ci presenta Chiara Lubich nel seguente scritto, oggi più attuale che mai. Ho visto un uomo in una corsia d’ospedale, ingessato. Aveva bloccato il torace e un braccio, il braccio destro. Col sinistro s’arrangiava a far tutto … come poteva. Il gesso era una tortura, ma il braccio sinistro, anche se più stanco alla sera, si irrobustiva lavorando per due. Noi siamo membra l’uno dell’altro e il servizio reciproco è nostro dovere. Gesù non ce l’ha solo consigliato, ce l’ha comandato. Quando serviamo qualcuno, per la carità, non crediamoci santi. Se il prossimo è impotente, dobbiamo aiutarlo e aiutarlo come si aiuterebbe, potendolo, lui stesso. Altrimenti che cristiani siamo? Se poi, venuta la nostra ora, abbiamo bisogno della carità del fratello, non sentiamoci umiliati. Al giudizio finale udiremo ripetere da Gesù: “Ero … ammalato … e mi avete visitato, … ero carcerato, ero ignudo, ero affamato”[1] …, dove Gesù ama nascondersi proprio sotto il sofferente e il bisognoso. Sentiamo perciò anche allora alla nostra dignità e ringraziamo di gran cuore chi ci aiuta, ma riserviamo il più profondo ringraziamento per Dio che ha creato il cuore umano caritatevole, per Cristo che, bandendo col suo sangue la Buona Novella, soprattutto il “suo” comando, ha spinto un numero sterminato di cuori a muoversi in aiuto reciproco.

Chiara Lubich

  Tratto da: Chiara Lubich, Ero ammalato, in: Chiara Lubich, L’attrattiva del tempo moderno. Scritti spirituali /1, Ed. Città nuova, Roma 31991, p. 59. [1] Mt 25,35-36. (altro…)

Vietnam: una risposta alla povertà generata dalla pandemia

Vietnam: una risposta alla povertà generata dalla pandemia

Alcuni progetti di solidarietà portati avanti dall’Associazione “Goccia dopo goccia”, anche in collaborazione con altre organizzazioni che operano nel sud-est dell’Asia. Le vittime del coronavirus nel mondo continuano ad avere numeri molto alti. Ma molte di più sono le persone che, pur non avendo contratto il virus, per la situazione economica e sociale creatasi, si trovano in condizioni di estrema povertà private, in alcuni casi, anche del necessario giornaliero per vivere. Anche in queste situazioni si moltiplicano le iniziative di solidarietà, frutto di reti che superano, a volte, i confini nazionali. In Vietnam, ad esempio, la zona di Long An, al sud di Ho Chi Minh city, ha fasce di povertà molto profonde. Qui ad essere colpite dalle conseguenze della pandemia sono gli strati delle società più vulnerabili. Molti, anche tra gli anziani, che vivevano della vendita dei biglietti della lotteria, con il blocco delle attività, si sono visti costretti a rimanere chiusi in casa, spessissimo ridotti alla fame. Proprio in questa regione opera l’associazione “Goccia dopo goccia” con sede in Svizzera, coordinata da un focolarino italiano, Luigi Butori che vive da molti anni in Asia. Tra i volontari ed i sostenitori di essa, in vari Paesi del mondo, ci sono molti amici del Movimento dei Focolari. “Goccia dopo Goaccia” da alcuni anni lavora attuando oltre 20 progetti di solidarietà in Thailandia, Myanmar e Vietnam. A Long An l’associazione distribuisce circa 40 razioni di latte e cibo ogni mese. Tra le persone aiutate, oltre agli anziani, anche disabili, adulti rimaste soli, bambini abbandonati con i nonni o persone che soffrono per le conseguenze di gravi incidenti, come An, di 14 anni, rimasta paralizzata e costretta a vivere in un letto. Localmente l’associazione ha una persona che interviene ogni volta che è necessario. Grazie a questi collaboratori volontari locali cerca così di arrivare agli “ultimi degli ultimi” e portare, oltre ad aiuti materiali, anche un sostegno che faccia sentire loro che non sono soli ad affrontare un periodo drammatico della storia umana. Questo, per i responsabili di “Goccia dopo Goccia” è un elemento molto importante della loro attività: far sentire alle persone che non sono abbandonate, ma che c’è qualcuno che si prende cura di loro iniziando con il porgere un sorriso. Il progetto di Long An va avanti da circa due anni e viene sostenuto con l’aiuto dei bambini di alcune classi e di varie famiglie in diversi Paesi del mondo. Tante persone che inviano piccole somme di denaro e che, come dice il nome dell’associazione, come tante piccole gocce permettono di portare grandi quantità di aiuti. Ma “Goccia dopo goccia” opera anche lungo il confine tra la Thailandia ed il Myanmar, con un altro progetto che sostiene i bambini Karen in vari villaggi di Mae Sot, nel campo profughi di Mae La, nell’orfanotrofio Heavenly Home. Anche se in periodo di pandemia i volontari di “Goccia dopo goccia” hanno affrontato recentemente un lungo viaggio per andarli a trovare e consegnare loro anche aiuti materiali. “Tre bellissimi giorni – raccontano – durante i quali abbiamo ricevuto molto più di quanto abbiamo dato”. E per finire, durante il periodo di diffusione del Covid-19 “Goccia dopo Goccia” ha potuto collaborare con Caritas Singapore e Caritas Vietnam, insieme ad altre Associazioni che operano nel sud-est dell’Asia, per un progetto rivolto a distribuire 1.200 pacchi-spesa a famiglie nella zona di Binh Thanh, a Ho Chi Minh City.

Anna Lisa Innocenti

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Perù – autorevolezza e misericordia

Perù – autorevolezza e misericordia

Coniugare professione e paternità secondo i valori del Vangelo: la testimonianza di un medico peruviano José Luis Raygada, in prima linea nella lotta contro COVID-19.

Sono medico da 25 anni e padre da 17 ma mi rendo conto che non ho ancora imparato ad essere sia l’uno che l’altro in coerenza ai valori in cui credo. Questi tempi di pandemia si stanno rivelando una vera e propria scuola per me, per crescere in entrambi i ruoli, anche in aspetti finora sottovalutati non solo da me ma da gran parte della gente.

Fin dall’inizio di questa epidemia mondiale ho lavorato in un ospedale da campo per pazienti Covid nella città di Piura, nel Perù settentrionale, il primo in città. Seguo i malati ricoverati e ho visto morire più pazienti in questi ultimi 3 mesi che in 25 anni di professione medica.

Mi sono formato in una delle migliori scuole di medicina del Paese con prestigio accademico e rigore scientifico. Questa terribile malattia mi ha fatto scoprire i limiti, l’impotenza e la frustrazione della scienza medica di fronte a questo virus sconosciuto. Nonostante la massiccia somministrazione di ossigeno e le terapie che la scienza mette a disposizione ho visto i miei pazienti soffrire molto e morire per asfissia e ci scontriamo ogni giorno con la mancanza di personale e di attrezzature di un ospedale come il nostro, in un paese povero. E quante volte mi sono sentito impotente e frustrato di fronte ai pazienti quando la malattia diventava aggressiva! In mezzo allo smarrimento generale si sentiva gridare: “Ho sete! Acqua per favore! Datemi dell’acqua! Acqua!”; a volte le persone si lamentavano e, solo quando ci si avvicinava a loro, chiedendo se volevano bere, facevano un cenno con la testa. E’ così che, oltre al mio lavoro scientifico, ho cominciato a dare da bere a tutti quelli che me ne chiedevano, a sistemare il cuscino, a tenere le loro mani tra le mie, ad accarezzare loro la fronte, a massaggiare la schiena quando me lo domandavano, o a passare loro il secchio per urinare. O semplicemente li aiutavo a camminare, pregavo con loro o per loro e, alla fine, cercavo di dar loro conforto negli ultimi momenti.

Ho compreso che nella professione medica c’è una doppia dimensione: quella dell’autorità supportata dalla scienza che spesso guarisce, ma c’è anche la dimensione dell’essere umano, basata sulla misericordia e sull’amore che vengono da Dio e si esprimono in atti quotidiani e semplici che spesso guariscono l’anima. Scienza e piena umanità, conoscenza e misericordia, corpo e anima, uomo e Dio, ragione e fede: è una moneta a due facce che rende pieno il nostro dare e vivere; un delicato equilibrio da raggiungere.

Tra il lavoro estenuante in ospedale, il sovraccarico di emozioni intense e le mie debolezze, tornavo a cena a casa con l’unico desiderio di riposarmi e sfogarmi. Mio figlio maggiore, nel pieno dell’adolescenza, frustrato dal lockdown e con l’energia della gioventù, ha iniziato a discutere con tutti, soprattutto con me. Mi trattava da avversario o da nemico e a tavola era come essere su un campo di battaglia. Inizialmente, preda delle mie passioni e della mia impulsività, ci siamo scontrati in una specie di lotta amara dai toni offensivi. Per l’ennesima volta ho visto la mia autorevolezza compromessa e il tentativo di imporla con la forza ha peggiorato le cose.

A casa ho riscoperto anche altri aspetti del mio essere padre come la misericordia e l’umiltà e così ho cominciato a tacere e a offrire a Dio il mio perdono di fronte alle offese, ma anche a esprimerlo e a chiederlo se mi accorgevo di essermi spinto troppo oltre. Ho cercato di leggere nell’atteggiamento aggressivo di mio figlio una richiesta di aiuto e di affetto; a tacere di più per smorzare i toni della discussione e a continuare a pregare da solo e in famiglia anche quando sembrava tutto inutile.

A poco a poco il nostro rapporto si sta normalizzando e tornando all’interno dei normali canali padre-figlio. Ancora una volta questi due assi portanti: autorevolezza e misericordia. Non sono forse espressioni della vita divina?.

A cura di Gustavo E. Clariá

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Nuove vie verso l’ecologia integrale

Nuove vie verso l’ecologia integrale

Il 1 settembre ricorre la “Giornata mondiale di preghiera per la custodia del Creato”. L’impegno dei Focolari con l’adesione all’iniziativa “Il Tempo del Creato” e con un meeting ad ottobre 2020. Il 1 settembre si celebra la “Giornata mondiale di preghiera per la custodia del Creato”. È stata istituita da Papa Francesco nel 2015, l’anno dell’Enciclica Laudato si’. In essa il Papa invita tutti ad impegnarsi per la cura del Creato. È la nostra casa, il bene più prezioso. E chiede di superare l’attuale sistema socio-economico. Non possiamo più sfruttare il pianeta terra come se ci fossero risorse naturali illimitate. Bisogna agire in fretta e trovare un modello di sviluppo diverso. Cosa possiamo fare per essere più concreti? La Laudato si’ mostra una strada verso una “conversione ecologica”: cambiare stili di vita e cercare di mettere in pratica i principi dell’ecologia integrale. In questo testo quindi non si parla solo di ambiente ma anche di politica, economia, società. Occorre partire da noi, dalle nostre scelte quotidiane di consumo, dalle elezioni per scegliere politici più attenti alla cura della natura; incidere di più nella società per aumentare le energie rinnovabili e diminuire l’utilizzo delle fonti fossili. Anche quest’anno il Movimento dei Focolari aderisce all’iniziativa “Il Tempo del Creato”, la celebrazione annuale di preghiera e azione per la nostra casa comune che inizia proprio il 1 settembre e termina il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia amato da molte confessioni cristiane. Questa rete globale incoraggia tutti ad organizzare eventi e ​registrarli sul sito web. Un’iniziativa a carattere ecumenico che ha radici trentennali: nel 1989 fu il patriarca della Chiesa Ortodossa di Costantinopoli, Dimitrios a dare la spinta decisiva alle diverse Chiese cristiane per dichiarare congiuntamente il 1 settembre “Giornata mondiale di preghiera per la custodia del Creato”. Per quest’anno il tema suggerito è “Giubileo per la Terra: nuovi ritmi, nuova speranza”. Un evento utile per considerare la relazione integrale tra il riposo della Terra e i modi di vivere ecologici, economici, sociali e politici, soprattutto in conseguenza degli effetti di vasta portata causati dalla pandemia globale di Covid-19. Dal 23 al 25 ottobre a Castel Gandolfo (Italia) ci sarà inoltre un meeting organizzato da EcoOne – la rete ecologica dei Focolari – che vedrà la partecipazione di esperti, politici, docenti universitari, enti ed associazioni, per esaminare l’impatto della Laudato sì’ sul mondo contemporaneo e le nuove vie esplorate verso un’ecologia integrale.  L’evento vuol mettere in mostra il ruolo che individui ed enti sociali possono svolgere nella cura della nostra casa comune. Questo, tra l’’atro, è anche un anno particolare, perché il 24 maggio scorso, in occasione del quinto anniversario dell’enciclica Papa Francesco ha annunciato un anno speciale – fino al 24 maggio 2021 – della Laudato si’. L’urgenza della situazione è tale da richiedere risposte concrete e immediate che coinvolgano a tutti i livelli, sia locali che regionali, nazionali e internazionali. In particolare, è necessario creare “un movimento popolare” dal basso, e un’alleanza tra tutti gli uomini di buona volontà. Per questo è importante partecipare ad iniziative come “Il Tempo del Creato” o il meeting di EcoOne di ottobre prossimo. Come Papa Francesco ci ricorda, “tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.” (LS, 14)

 Lorenzo Russo

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Un amore a servizio degli altri

In tanti paesi le restrizioni dovute alla pandemia del coronavirus hanno bloccato anche tutte le forme di raduni religiosi, di culto, di preghiera. Il desiderio dei fedeli di stare con Dio però non è diminuito. Cosa fare? Chiara Lubich propone un modo originale. “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). […] Gesù rivolge queste parole ai discepoli […] (ma) aveva presenti anche tutti noi che avremmo dovuto vivere in mezzo alla vita complessa di ogni giorno. Perché Amore incarnato, avrà pensato: io vorrei essere sempre con gli uomini, vorrei dividere con loro ogni preoccupazione, vorrei consigliarli, vorrei camminare con loro per le strade, entrare nelle case, ravvivare con la mia presenza la loro gioia. Per questo ha voluto rimanere con noi e farci sentire la sua vicinanza, la sua forza, il suo amore. […] Se viviamo quanto lui comanda, specialmente il suo comandamento nuovo, possiamo sperimentare questa sua presenza anche fuori delle chiese, in mezzo alla gente, nei posti in cui essa vive, ovunque. Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo. Viviamo così, perché tutti abbiano la possibilità di incontrarsi con Lui già su questa terra.

Chiara Lubich

Tratto da: Parola di Vita, Maggio 2002, in: Chiara Lubich, Parole di Vita, pag. 657. Città Nuova Ed., 2017. (altro…)

“L’esperienza” della Mariapoli Lia diventa corso universitario 

“L’esperienza” della Mariapoli Lia diventa corso universitario 

La scuola della cittadella argentina che da cinquant’anni forma migliaia di giovani da tutto il mondo si presenta ora come “programma di estensione universitaria e di formazione professionale”. Fino a poco più di un mese fa lo si poteva definire una sorta di master in “vita all’insegna della cultura dell’unità”, ma ora la “experiencia” – l’esperienza – come a ragione viene da sempre definito il corso annuale per giovani della Mariapoli Lia, in Argentina, ha una certificazione universitaria. Il nuovo programma di studi è il risultato dell’elaborazione congiunta tra le equipe pedagogiche della Fondazione Centro Latinoamericano per l’Evangelizzazione Sociale (CLAdeES)  e la Scuola Giovanile Mariápolis Lía, in accordo con l’Università Nazionale del Nord-Ovest della Provincia di Buenos Aires (Unnoba). Il “programma di estensione universitaria e di formazione professionale” – è questo il titolo accademico che gli studenti conseguiranno a O’Higgins – combina la dimensione formativa integrale secondo quattro assi tematici: antropologico-filosofica, storico-culturale, comunitaria e trascendente. Dura 11 mesi e chi lo completa avrà accesso all’estensione dell’università e all’accreditamento della formazione professionale con tre possibili orientamenti: educazione, eco-responsabilità e gestione multiculturale; leadership della comunità e sviluppo dei processi partecipativi; o arte, comunicazione e produzione multimediale. La proposta formativa si sviluppa attraverso seminari specializzati, stage lavorativi e indagini applicative sul campo a partire dai valori del pensiero sociale cristiano. Si prevede inoltre una prossima integrazione anche con la sezione latinoamericana dell’Istituto Universitario Sophia. Situata vicino alla città di O’Higgins, nella provincia di Buenos Aires, la Mariápoli Lía offre ai giovani un’esperienza formativa che integra lavoro, studio, attività culturali e ricreative, sport e interessi particolari. Queste attività sono intese come aspetti diversi di una stessa formazione integrale. Infatti, il concetto di studente coincide con quello di cittadino, per cui si presume che tutti siano costruttori della città. Un’equipe di esperti e di insegnanti nelle diverse discipline li segue nell’apprendimento dal punto di vista spirituale, antropologico, sociale e dottrinale. Gli oltre 6000 giovani che hanno trascorso un periodo presso la Mariapoli sono essi stessi prova del valore formativo per la loro vita, messo a frutto in diversi ambienti (manager, economisti, educatori, professionisti, lavoratori, genitori, persone consacrate…). “L’esperienza” resta un punto luminoso lungo tutto il percorso di vita, contribuendo a superare passaggi umani e professionali difficili.

Stefania Tanesini

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Vangelo vissuto/2 – Gli uni per gli altri

Quante volte Dio si serve di qualcuno per avvicinarci a Lui? Non dovremmo mai dimenticarlo perché anche noi potremmo un giorno essere strumento Suo per qualcuno. Una nuova speranza In Usa per gli studi, avevo deciso di rimpatriare per l’insistenza dei miei, ma ero rimasto bloccato per la quarantena in un istituto vicino al confine insieme a circa 500 persone. Con la sensazione esatta di trovarmi in carcere. Per fortuna il cellulare mi teneva collegato al mondo esterno. Quando ho avuto modo di vedere qualcuno, leggevo in loro le stesse mie domande su ciò che stava accadendo. Durante quei giorni ho conosciuto “a distanza” un prete salesiano. Pur isolato come me, emanava una pace che né io né gli altri avevamo. Era come se lui non si sorprendesse di nulla. Inizialmente celebrava da solo nella sua cameretta, poi ho cominciato a partecipare alla messa. In breve, sono ritornato ai sacramenti e alla vita di fede di prima, anche se non più come prima. Anche la mia ragazza ha notato che sono cambiato. A volte penso: se questa trasformazione è avvenuta in me, non può darsi che sia avvenuta anche in altri? E mi nasce dentro una nuova speranza: che quel mondo che prima sembrava togliermela possa ora riprendere il cammino su altri binari K. – Slovacchia Carrozzina per neonati Avevo conosciuto una giovane zingara che aspettava un bambino. Aveva bisogno di tutto, dal vestiario fino a tutta l’attrezzatura per la nascita del figlio. Avevo letto nel Vangelo «Qualunque cosa chiederete al Padre… lui ve la concederà». Quel giorno con fede ho chiesto a Gesù, durante la messa, una carrozzina per neonati. Più tardi, a scuola, mi sono impegnata più che mai ad amare compagni e professori. Tornata a casa la sera, ho saputo dalla mamma che una vicina di casa, sapendo che aiuto i poveri, aveva lasciato qualcosa per me. Era una carrozzina per neonati! Mi ha commossa questa pronta risposta della Provvidenza. C. – Spagna Benedizione Infermiere da un mese proprio nel periodo del coronavirus, nell’ospedale dove prestavo servizio ho condiviso la solitudine di diversi pazienti passati all’altra vita senza il conforto dei propri cari. L’esperienza più forte è stata però quando, venuto a sapere da mia madre che, secondo le parole del papa, anche medici e infermieri erano abilitati a dare una benedizione ai pazienti defunti, ho potuto tracciare un segno di croce sulla fronte e sul petto di diversi di loro prima ancora delle pratiche per accertarne la morte e avviare le salme all’obitorio. Giuseppe – Italia

A cura di Stefania Tanesini

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