Movimento dei Focolari
Il primo TV movie su Chiara Lubich

Il primo TV movie su Chiara Lubich

Andrà in onda in autunno su RAI UNO, la prima rete della televisione nazionale italiana, il film su Chiara e gli inizi dei Focolari. “Può una ragazza qualunque cambiare il mondo con la sola forza del suo sogno e del suo credo?” è questa la chiave di lettura attraverso la quale il regista italiano Giacomo Campiotti racconterà la storia di Chiara Lubich, giovanissima maestra trentina, poco più che ventenne, che vive lo sconforto e la disperazione generata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Sente di essere chiamata a costruire un mondo migliore, un mondo più unito. Da allora si è posta l’obiettivo di costruire ponti tra gli uomini, a qualunque razza, nazione o fede religiosa appartenessero. Sarà un TV movie biografico la prima trasposizione televisiva mai realizzata su Chiara Lubich e si focalizzerà sui primi anni, quelli che vanno dal 1943 al 1950. È una coproduzione tra  Rai Fiction e Casanova Multimedia, prodotto da Luca Barbareschi. Ad interpretare Chiara sarà un’attrice italiana affermata come Cristiana Capotondi; nel cast anche Sofia Panizzi e Valentina GhelfiLe riprese iniziano tra pochi giorni in Trentino e si partirà da quei “tempi di guerra” in cui “tutto crollava” e restava solo Dio, come ebbe a dire Chiara stessa in uno dei primissimi racconti sulla nascita dei Focolari.

La forza di una figura come quella di Chiara oggi – si legge nel comunicato stampa – è di farci guardare l’altro come possibilità, dono, portatore di un seme di verità da valorizzare e amare, per quanto distante possa essere. La fratellanza universale come presupposto di dialogo e pace. Il messaggio di Chiara non appartiene soltanto al mondo cattolico e la sua figura ha contribuito a valorizzare la donna e il suo ruolo anche e soprattutto al di fuori dell’istituzione ecclesiastica”.

Sarà dunque il racconto dei primissimi anni, quelli fondativi, in cui Chiara comprende la strada che Dio le chiede di percorrere e inizia ad intraprenderla, seguita da un sempre più numeroso gruppo di persone che dall’Italia percorreranno le vie del mondo intero. Ma sarà anche un viaggio all’interno del contesto storico, sociale ed ecclesiastico in cui Chiara si muove – quello, cioè, della Seconda Guerra Mondiale, dei primissimi anni del dopoguerra e dei fermenti pre-conciliari che agitano la cattolicità.

Nell’intenzione del regista e degli autori  c’è il desiderio di raccontare anche “la ragazzina rivoluzionaria, che condivide tutto con chi ne ha bisogno – si legge nella notizia ANSA del 27 luglio scorso –; perché legge il Vangelo senza la presenza di un sacerdote, diventa talmente pericolosa per la società dell’epoca e costretta a rendere conto della sua opera al Sant’Uffizio e a passare la prova più difficile della sua vita quando le viene chiesto di lasciare la guida dei Focolari. Ma il sasso che ha gettato nello stagno è inarrestabile e crea cerchi sempre più grandi, così che quando, anni dopo, Paolo VI la riabilita, il Movimento dei Focolari è ormai diffuso in tutto il mondo”.

Stefania Tanesini

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Imprenditori al tempo del coronavirus

Imprenditori al tempo del coronavirus

Aziende in grave sofferenza, perdita di migliaia di posti di lavoro: la fase del lockdown ha picchiato duro sull’economia europea. Nonostante ciò, sono molti gli imprenditori che non si arrendono. Andrea Cruciani, italiano, si è chiesto come fare per prendersi cura dei propri dipendenti. Come hanno vissuto gli imprenditori la fase emergenziale del lockdown a causa del Covid-19? Ne parliamo con Andrea Cruciani, Ceo di TeamDev e Agricolus, azienda e start-up italiane legate al progetto per un’Economia di Comunione. Come avete vissuto la fase del lockdown? “Prima del lockdown non avevamo problemi. TeamDev da 12 anni cresce del 20% annuo e diamo lavoro a una cinquantina di persone. A metà febbraio avevamo fatto delle operazioni per anticipare dei costi in banca ma con il lockdown siamo arrivati a fine marzo che non avevamo più liquidità di denaro. Era la prima volta che mi ritrovavo senza soldi e senza alternative. Abbiamo dovuto optare per la cassa integrazione e a me dispiaceva perché abbiamo sempre investito dando attenzione particolare al welfare aziendale. Ci siam trovati quindi con qualche dipendente spaventato con mancanza di fiducia nei nostri confronti. Perdere la fiducia anche di un solo dipendente era un dolore forte. Piano piano abbiamo cercato di trovare una soluzione ai bisogni di tutti e appena entrati dei soldi nelle casse delle aziende abbiamo potuto integrare alla cassa integrazione pagando i dipendenti attraverso un premio chiamato “premio Covid”. Alla fine, siamo riusciti a dare lo stesso stipendio a tutti. Hanno capito che da parte nostra non c’era malafede”. Cosa ti ha insegnato questa esperienza? “Ho conosciuto le fragilità nel costruire una relazione autentica con dipendenti e collaboratori. È molto importante costruire una relazione autentica basata sulla fiducia. Ci ha sorpreso la reazione di alcuni di loro che han tirato fuori le energie proprio date dalla voglia di contribuire al bene comune. Questo periodo ha fatto emergere l’umanità più vera nelle relazioni”. Che consigli daresti agli altri imprenditori nel prendersi cura delle risorse umane? “Vi racconto una storia. Tre anni fa ho voluto promuovere un dipendente affidandogli un ramo d’azienda. Ma questa persona dopo un po’ non ha retto e ha cambiato lavoro. Lì ho capito che quello che io mi aspetto dalla vita per me non è quello che si aspettano gli altri. A lui non interessava nemmeno avere un aumento retributivo ma non voleva avere quel peso psicologico. Dopo quell’esperienza abbiamo iniziato a mettere in atto alcuni strumenti più efficaci”. Cioè? “Innanzitutto, abbiamo chiesto aiuto ad un coach per aiutare a tenere uno spirito comune tra tutti. Poi abbiamo cominciato a migliorare il contesto lavorativo con semplici cose come far trovare la frutta fresca per far merenda, oppure far arrivare i frutti di stagione dagli orti solidali della Caritas in modo da far portare a casa (senza costi) ciò di cui ognuno aveva bisogno. Poi abbiamo attivato un welfare integrativo anche se già da diversi anni abbiamo avviato una pensione integrativa e vari altri strumenti, come l’orario flessibile per venire incontro alle famiglie… Ci sembra il modo di prenderci cura delle persone che lavorano per le nostre aziende. E poi chiaramente cerchiamo di tenere a cuore la crescita di ciascuna persona per dare il meglio di sé”. Come vedi il futuro dell’economia in generale? “Vedo un futuro dove sarà sempre più richiesto di leggere l’attimo presente e saper dare delle chiavi di lettura anche per il futuro. Chiara Lubich per noi imprenditori EdC è stata una profeta perché ci ha insegnato a come prenderci cura dei dipendenti e delle aziende. Alcune cose sono ormai previste per legge ma per tante altre la legge non serve perché è un fatto di coscienza e di amore”.

Lorenzo Russo

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Vangelo vissuto: essere famiglia

“Siate una famiglia – fu l’invito di Chiara Lubich rivolgendosi a persone desiderose di vivere la Parola di Dio -. E dove andate per portare l’ideale di Cristo, (…) niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia… è (…) la carità vera”[1]. Il nuovo direttore Nel suo “discorso programmatico” il nuovo direttore aveva parlato dell’azienda come di una famiglia nella quale tutti eravamo corresponsabili. Il clima tra noi era leggero e cordiale… ma alle prime difficoltà, forse per inesperienza, lui si circondò di alcuni fidatissimi e nelle decisioni escludeva praticamente tutti gli altri. Mi feci coraggio e, per amore suo e dei dipendenti, un giorno andai in direzione a chiedergli quali preoccupazioni lo stessero schiacciando. Sembrava un’altra persona rispetto agli inizi, come uno che vedesse soltanto nemici. Forse avevamo fatto qualcosa contro di lui che lo spingeva ad agire così? Non rispose e mi congedò giustificandosi con un impegno urgente. Qualche giorno dopo mi chiamò e, scusandosi, mi confidò di sentirsi incapace a sostenere una solidarietà che gli faceva sfuggire tutto dalle mani. Mi chiese aiuto. Lo convinsi ad aprirsi con tutti noi, chiedendo se veramente volevamo stare al suo progetto. Fu un momento di grande intesa. Qualcosa cominciò a cambiare. (H.G. – Ungheria) Alla posta Agli inizi del coronavirus, andai alla posta per spedire un pacco. Nella fila per le pensioni una signora anziana con mascherina, colta da malore, si accasciò a terra. Corsi da lei, ma non ebbi la forza di alzarla. Alla mia richiesta di aiuto notai negli altri una certa esitazione: rispose solo un ragazzo pieno di tatuaggi, che aveva assistito alla scena fuori della posta. Fatta sedere l’anziana, che a parte qualche dolore per la caduta s’era ripresa, chiesi al ragazzo di aiutarla a sbrigare quello che doveva fare, mentre io spedivo il mio pacco. Lui non solo mi aiutò poi a farla salire in macchina, ma volle venire con noi fino a casa della signora. Siccome lei aveva gli strumenti, le misurai la pressione. Una volta scesi in strada, il ragazzo mi disse: “Stavo ridendo con gli amici per vedere come si comporta la gente guidata dalla paura. Quello che ha fatto lei è grande”. Dopo qualche giorno volli far visita all’anziana. Rimasi sorpresa e anche commossa venendo a sapere da lei che quel ragazzo le aveva portato dei biscotti preparati da sua madre. (U.R. – Italia) Risanare il passato Peccato! Era una collega competente nel suo lavoro, ma affliggeva gli altri con il suo pessimismo. Fra l’altro la sua invidia non solo verso di me, ma verso gli altri colleghi e colleghe, la induceva a sparlare sempre di tutti. Di conseguenza, con una scusa o l’altra, nessuno voleva lavorare con lei.  Che fare? Lasciare che le cose andassero avanti così, tra il disagio comune? In occasione del suo compleanno ho avuto un’idea: organizzare in ufficio una colletta per farle un regalo. Quando l’abbiamo chiamata per festeggiarla con dolci portati da casa, disegni fatti per lei dai bambini delle colleghe, una bella borsa come dono, era commossa e incredula. Per giorni non ha pronunciato una parola. Ci guardava come un uccello ferito. Poi lentamente ha cominciato a parlarmi della sua infanzia, dei suoi amori sbagliati, delle divisioni in famiglia… Siamo diventate amiche. Ora frequenta la nostra casa e aiuta i miei figli per la matematica e per l’inglese. Ormai è una di famiglia. Sembra che anche il suo passato si stia risanando. (G.R. – Italia)

a cura di Stefania Tanesini

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.4, luglio-agosto 2020) [1] C. Lubich, in Gen’s, 30 (2000/2), p. 42. (altro…)

Chiamarlo per nome

Tutti abbiamo sofferto per via del coronavirus e molti stanno ancora soffrendo. Il dolore che questa pandemia ci procura si presenta sotto gli aspetti più vari e ci sarebbe davvero da scoraggiarsi, se Gesù non ci sorreggesse. Sappiamo infatti come Lui, che è Dio stesso fatto uomo, ha vissuto tutti i nostri dolori e per questo ci può essere accanto e sorreggere. (…) La vita si può considerare una corsa ad ostacoli. Ma che cosa sono questi ostacoli? Come si possono definire? È sempre una grande scoperta vedere come ad ogni dolore o prova della vita si può dare in certo senso il nome di Gesù Abbandonato. Siamo presi dalla paura? Gesù in croce nel suo abbandono non appare forse invaso dalla paura che il Padre si sia dimenticato di Lui? L’ostacolo che possiamo incontrare è in certe dure prove lo sconforto, lo scoraggiamento. Gesù nell’abbandono sembra sommerso dall’impressione che nella sua divina passione gli manchi il conforto del Padre e pare che stia perdendo il coraggio di concludere la sua dolorosissima prova mentre, poi, soggiunge: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”[1]. Le circostanze ci portano ad essere disorientati? Gesù in quel tremendo dolore sembra non comprendere più nulla di quanto gli sta succedendo dato che grida “Perché”?[2]. Veniamo contraddetti? Nell’abbandono non pare forse che il Padre non approvi l’operato del Figlio? Siamo rimproverati, o accusati? Gesù in croce nel suo abbandono ha avuto forse l’impressione di ricevere un rimprovero, un’accusa anche dal Cielo. E poi in certe prove che nella vita a volte possono susseguirsi incalzanti, non si arriva anche a dire desolati: questo sembra troppo, questo è l’oltre misura? Gesù nell’abbandono ha bevuto un calice amaro non solo colmo, ma traboccante. La sua è stata la prova oltre misura. E quando ci sorprende la delusione o siamo feriti da un trauma, o da una disgrazia imprevista, o da una malattia o da una situazione assurda, possiamo sempre ricordare il dolore di Gesù Abbandonato che tutte queste prove e mille altre ancora ha impersonato. Sì, egli è presente in tutto ciò che ha sapore di dolore. Ogni dolore è un suo nome. Si dice nel mondo che chi ama chiama per nome. Noi abbiamo deciso di amare Gesù Abbandonato. E allora, per meglio riuscire in ciò, cerchiamo di abituarci a chiamarlo per nome nelle prove della nostra vita. Così gli diremo: Gesù Abbandonato-solitudine, Gesù Abbandonato-dubbio, Gesù Abbandonato-ferita, Gesù Abbandonato-prova, Gesù Abbandonato-desolazione e così via. E chiamandolo per nome, egli si vedrà scoperto e riconosciuto sotto ogni dolore e ci risponderà con più amore; ed abbracciandolo diverrà per noi: la nostra pace, il nostro conforto, il coraggio, l’equilibrio, la salute, la vittoria. Sarà la spiegazione di tutto e la soluzione di tutto. Cerchiamo allora (…) di chiamare per nome quel Gesù che incontriamo negli ostacoli della vita. Li supereremo con più rapidità e la corsa nella nostra esistenza non conoscerà soste.

Chiara Lubich

  (in una conferenza telefonica, Mollens, 28 agosto 1986) Tratto da: “Chiamarlo per nome”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 250. [1] Lc 23, 46. [2] Cf. Mt 27, 46; Mc 15, 34. (altro…)

Vangelo vissuto: una grande chance

Se amiamo, Gesù ci riconosce come suoi familiari: suoi fratelli e sorelle. È la nostra chance più grande, che ci sorprende; ci libera dal passato, dalle nostre paure, dai nostri schemi. In questa prospettiva anche i limiti e le fragilità possono essere pedane di lancio verso la nostra realizzazione. Tutto veramente fa un salto di qualità. Razzismo Frequentavo la scuola media; le lezioni e i compiti andavano bene, ma non il rapporto con i compagni di classe. Un giorno stavo finendo i compiti di scienze, quando uno di loro ha iniziato ad imprecare contro di me per il fatto che sono asiatico. A quello sfogo razzista non ho saputo come reagire: sono rimasto muto e col solo pensiero di vendicarmi. Poi uno strano pensiero ha attraversato la mia mente: “Adesso è la tua occasione”. Mi ci è voluto un po’per capirne il significato. Ma dopo qualche tempo, mi si è chiarito: “Ora è la tua occasione per amare i nemici”. Avrei voluto far finta di niente, in difesa della mia identità asiatica. Anche perché amare il mio nemico mi sembrava alimentasse il negativo. Dopo aver preso un po’ di tempo, molto incerto sulla decisione da prendere, ho concluso che non avrei detto nulla. Ho forzato il mio cuore arrabbiato al perdono e offerto la mia ferita personale a Gesù, che aveva sofferto così tanto sulla croce. Dopo l’esperienza di perdono del mio nemico, sinceramente ho sperimentato una felicità mai provata prima. (James – Usa) Problemi di fede Quando ci è nato il terzo figlio con la sindrome di Down, questa crudeltà della natura mi è sembrata un castigo per le mie infedeltà coniugali. Avevo vergogna di portarlo in giro e dentro di me domande senza risposta. Però man mano che F. cresceva, vedevo in lui una bontà primordiale, una pace cosmica. Non so quale relazione potesse esserci con la mia fede problematica, ma lentamente ho acquistato altri occhi e, direi, un altro cuore. Anche il rapporto in famiglia è cambiato. La cosa strana è che ho iniziato a vivere come un dono la condizione di F. Non ho più problemi di fede e di dogmi. Tutto è grazia. Dietro il velo dell’incomprensione c’è una verità innocente e pura. (D.T. – Portogallo) Ritorno Avevo lasciato la mia famiglia per un’altra persona di cui m’ero innamorato sul posto di lavoro. Accecato dalla passione, non mi rendevo conto della tragedia che stavo provocando. Con i figli sono sempre rimasto in contatto, soprattutto con la maggiore che più soffriva per la mia assenza. Quando il marito l’ha abbandonata con i tre figlioletti e mia figlia è caduta in depressione, ho visto ripetersi lo stesso male da me causato. Dio mi ha fatto la grazia di capire e di pentirmi. Ho fatto di tutto per essere vicino a quella famiglia disgregata, ho cercato mio genero e gli ho parlato a lungo. Lui mi ha umiliato dicendo che non avevo il diritto di giudicare, in quanto certi traumi della moglie erano colpa mia: il loro matrimonio era naufragato proprio per il mancato equilibrio di lei. In ginocchio e piangendo, gli ho chiesto perdono. Lui ha risposto che ci avrebbe ripensato. Dopo alcuni mesi di sospensione, un barlume di speranza: la notizia, da parte di mia figlia, che il marito voleva ritentare a vivere in famiglia. (C.M. – Argentina)

a cura di Stefania Tanesini

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.4, luglio-agosto 2020) (altro…)

In libreria la biografia di Pasquale Foresi

In libreria la biografia di Pasquale Foresi

Schivo, di un’intelligenza lucida, teologo d’avanguardia e primo Copresidente dei Focolari: è appena uscito – per ora in Italiano –  il primo volume della biografia di Pasquale Foresi a cura di Michele Zanzucchi. Racconta la storia di un uomo, gli albori dei Focolari, uno spaccato di storia che ha molto da dire al movimento, alla Chiesa e alla società di oggi. E’ uscita il 9 luglio scorso “In fuga per la verità”, la prima biografia di Pasquale Foresi che Chiara Lubich ha definito cofondatore dei Focolari, insieme a Igino Giordani. Si tratta del documentatissimo racconto della prima parte di un’esistenza intensa – dal 1929 al 1954 – poco conosciuta anche dai membri stessi dei Focolari, sia per il carattere riservato, sia per lo stile di co-governance – diremmo oggi – che Foresi ha incarnato. Un testo di grande interesse, pubblicato per ora in italiano (ma sono in cantiere le versioni in inglese, francese e spagnolo), costellato di fatti inediti, scorrevole come un romanzo, che racconta la parabola di vita di Foresi, rilegge dalla sua prospettiva gli inizi dei Focolari, la persona di Chiara Lubich e fa riflettere anche sull’oggi di questo movimento mondiale, a quasi 80 anni dalla sua nascita. Ma chi era Pasquale Foresi e cosa rappresentava per la giovanissima fondatrice dei Focolari? L’abbiamo chiesto all’autore della biografia, Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore, già direttore di Città Nuova. Un lavoro attento e approfondito, il suo, durato due anni e mezzo su carte, testi, libri, discorsi oltre al bagaglio di una conoscenza diretta e ravvicinata con Foresi. “Quando incontrò Chiara Lubich, nelle feste natalizie del 1949, Foresi era un giovane uomo di vent’anni che aveva vissuto una vita molto più adulta della sua età, in ciò “preparato” a collaborare con la fondatrice. Figlio di una famiglia livornese – papà all’epoca insegnante e uomo di punta del laicato cattolico, poi deputato, e madre casalinga, tre fratelli e sorelle –, Pasquale sin dall’infanzia manifestò un’intelligenza pratico-teorica fuori dal comune. Il giorno dell’armistizio, l’8 settembre 1943, appena 14enne, scappò di casa «per dare un qualche servizio all’Italia». Ben presto, arruolato dalle Camicie nere e poi, a forza, dagli stessi nazisti, combatté tra l’altro a Cassino, prima di fuggire liberando dei disertori condannati a morte. Lì iniziò la sua conversione filosofico-religiosa. Terminò la guerra coi partigiani, per entrare subito dopo in seminario a Pistoia, e due anni più tardi al prestigioso Capranica di Roma. Ma se ne andò, non condivideva l’incoerenza di tanti ecclesiastici rispetto al Vangelo. Coerenza che trovò invece nella Lubich e nei suoi amici. Nel giro di un mese, la maestra di Trento capì che Dio le aveva inviato quel giovane uomo perché la aiutasse nella realizzazione dell’opera di Dio che già stava nascendo. Foresi cooperò con lei nella realizzazione delle convivenze tra vergini, nell’approvazione da parte della Chiesa del Movimento, nella costruzione di centri e cittadelle, nell’apertura di editrici e riviste, nell’inaugurazione di centri universitari… Da quel giorno la Lubich restò fedele al ruolo che Dio aveva affidato a Foresi, e non lo abbandonò mai più, nemmeno quando, colpito da una grave malattia cerebrale già nel 1967, appena 38enne sparì dalla vita pubblica. Per lei, Pasquale resterà sempre uno dei due cofondatori del Movimento, colui col quale lei si confrontava per ogni decisione da prendere”. Che tipo di sacerdote è stato? Qual era la sua visione della Chiesa?  “Su una formazione assai tradizionale sui sacramenti e sulla vita sacerdotale, direi neo-scolastica, Foresi aiutò la Lubich nell’elaborare un’idea originale di applicazione del presbiterato, l’idea di un “sacerdozio mariano” spogliato del “potere” e animato solo da un radicamento profondo nel sacerdozio regale di Gesù. Ancor oggi tale idea di sacerdozio è in corso di applicazione e sperimentazione. Per Foresi, in particolare, il sacerdote doveva essere un campione in umanità, un uomo-Gesù. La visione soggiacente della Chiesa è legata ad una prospettiva profeticamente conciliare: la Chiesa popolo di Dio, la Chiesa-comunione, naturalmente sinodale, con una valorizzazione (che non vuol minimamente dire svalutare le presenze tecnicamente “sacramentali” del Cristo nella sua Chiesa) della presenza di Gesù nell’umanità in modi più “laici”, in particolare della presenza promessa dal Gesù di Matteo: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20)”. Perché Chiara Lubich ha affidato proprio a Foresi, e non a un laico, la realizzazione di alcune opere dei Focolari, le cosiddette “concretizzazioni”, come il centro internazionale di Loppiano, la nascita della casa editrice Città Nuova… “Sarebbe stato bene porre la domanda all’interessata… Noto tuttavia che l’altro cofondatore del Movimento era Igino Giordani, laico, coniugato, deputato, giornalista, ecumenista. Conobbe la Lubich, tra l’altro, già nel 1948. In lui la fondatrice vide la presenza “dell’umanità” nel cuore del suo carisma. Quindi il tiburtino significò per la Lubich l’apertura radicale al mondo, seguendo la preghiera sacerdotale di Gesù: «Che tutti siano uno» (Gv 17, 10). Ma la Lubich in Foresi – tra l’altro di indole più “concreta” dell’“idealista” Giordani – vide colui che l’avrebbe sostenuta praticamente nella costruzione della sua opera. Foresi in questa sua caratteristica era, va detto, estremamente “laico”, pur avendo ben chiaro che la missione del Movimento era innanzitutto ecclesiale, e che non si poteva fare a meno nel realizzarla degli ecclesiastici”. Facciamo un azzardo: se Foresi fosse vivo oggi, cosa direbbe ai Focolari, su cosa li inviterebbe a puntare?   “Vero azzardo. Credo che inviterebbe il Movimento al necessario ‘aggiornamento’, guardando allo stato nascente del Movimento. Lo inviterebbe perciò a rileggere e applicare le intuizioni mistiche della fondatrice del 1949-1951, ma anche a riguardare attentamente il processo di realizzazione concreta del Movimento, avvenuto soprattutto nel periodo 1955-1957, in cui altre illuminazioni furono date alla Lubich, indirizzate alla concretizzazione delle intuizioni mistiche precedenti”.

Stefania Tanesini

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“Il tuo volto, Signore, io cerco”

“Il tuo volto, Signore, io cerco”[1] Il seguente pensiero di Chiara Lubich può essere di luce per vivere in modo evangelico anche la prova che a livello planetario stiamo tutti passando. A causa della pandemia molti hanno perso un parente, un amico o un conoscente e tutti siamo chiamati, nei più vari modi, a rispondere ai gridi di dolore che questa pandemia suscita ovunque, riconoscendo in essi dei volti di Gesù abbandonato da amare.    (…) In queste ultime settimane ne sono partiti alcuni (dei nostri). (…) E a noi che siamo ancora su questa terra viene da chiedere: che esperienza avranno fatto nel momento del passaggio? Cosa ci direbbero se potessero parlare? Lo sappiamo: hanno visto il Signore. Hanno incontrato Gesù. Hanno conosciuto il suo volto. È una verità di fede che dà una consolazione immensa. Non se ne può dubitare. San Paolo esprime (sono parole sue) il suo “desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo”[2]. Parla quindi di un’esistenza con Cristo che succede direttamente alla morte, senza attendere la risurrezione finale[3]. (…) Questa, dunque, l’esperienza dei nostri arrivati alla mèta cui conduce il Santo Viaggio: l’incontro con Colui che non potrà non amarci, se l’abbiamo amato. Questa – speriamo – sarà anche la nostra esperienza. Ma, per essere certi, occorre prepararvisi fin d’ora, occorre, in certo modo, abituarvisi. Incontreremo il Signore? Vedremo il suo volto? Certamente lo contempleremo splendente se qui l’avremo guardato e amato e accolto abbandonato. Paolo non conosceva nulla sulla terra se non Cristo, ma questi crocifisso. È quello che vogliamo impratichirci a fare anche noi (…): cercare il suo volto. Cercarlo abbandonato. Lo troveremo senz’altro nei piccoli e grandi dolori personali che non mancano mai; nel volto dei fratelli che incontreremo, specie i più bisognosi d’aiuto, di consiglio, di conforto, di una spinta per camminare meglio nella vita spirituale. Lo cercheremo negli aspetti più duri, più faticosi, che comporta il fare le varie attività che ci suggerisce la volontà di Dio; in tutte le disunità vicine e lontane, piccole e grandi (…). Cercheremo il suo volto anche nell’Eucaristia, in fondo al nostro cuore, nelle sue immagini sacre. Va poi contemplato e amato concretamente anche in tutti i grandi dolori del mondo. Sì, anche se per quelli noi ci sentiamo sovente impotenti. Ma forse non è così. Quanto spesso (…) veniamo a conoscere certe calamità già in atto o incombenti su interi popoli o nazioni! Sono calamità che – se la carità di Dio alberga nel nostro cuore – ci cadono addosso come macigni, senza lasciarci respiro. Perché sentiamo – nonostante la nostra buona volontà e le nostre operazioni – di non poter fare nulla di adeguato che migliori le situazioni. Mentre dobbiamo convincerci che qualcosa si può fare. Anche qui, scoperto il suo volto, in queste immani catastrofi, possiamo, con la forza dei figli di Dio che tutto s’attendono dal loro Padre onnipotente, gettare le preoccupazioni, che schiacciano noi e porzioni così vaste di umanità, in Lui, perché pensi a smuovere i cuori dei responsabili dei popoli ancora in grado di fare qualcosa. E dobbiamo essere certi che lo farà. È stato così molte volte. (…) Facciamo (allora) in modo che riecheggi il più spesso possibile nel nostro cuore il versetto del salmo 27 che dice: «Il tuo volto, Signore, io cerco». Il tuo volto addolorato per asciugarti, come ci è possibile, lacrime e sangue e poterlo vedere splendente alla nostra ora, quando faremo l’esperienza dei nostri già arrivati. (…)

Chiara Lubich

(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 25 aprile 1991) Tratto da: “Il tuo volto io cerco”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, pag. 426. Città Nuova Ed., 2019. [1] Sal 27, 8. [2] Fil 1, 23. [3] Cf. 2 Cor 5, 8. (altro…)

Maria Voce: salvare il mondo con l’amore

Cosa abbiamo imparato dalla pandemia? Con quali strumenti costruire un mondo nuovo? Qual è il contributo specifico di ciascuno di noi? Il dialogo spontaneo di Maria Voce del 16 luglio scorso con una comunità dei Focolari (video).  Da un po’ di anni il 16 luglio è sempre festa doppia per le comunità dei Focolari nel mondo: si ricorda lo speciale patto di unità che Chiara Lubich visse con Igino Giordani nel ‘49 ed anche il compleanno della sua presidente, Maria Voce. Anche quest’anno il momento di festa per lei si è trasformato in un’occasione di dialogo spontaneo e informale per  parlare a cuore aperto con i presenti sul senso di quella speciale giornata, sulla la vita dei Focolari in questi ultimi tempi e sul contributo del carisma dell’unità in questo periodo così cruciale per l’umanità. Le espressioni di augurio e di affetto che le sono giunte sono state numerosissime e da tutto il mondo, per questo Maria Voce desidera ringraziare particolarmente ciascuno.  Pubblichiamo di seguito parte del suo dialogo, allegando anche stralci delle riprese video amatoriali di quel momento. “(…) anche questa pandemia ci ha fatto una grande lezione, no? Bisogna riconoscere. Ci ha fatto soffrire, ci sta facendo ancora soffrire? Non sappiamo quante conseguenze potranno venire ancora di dolore da questa pandemia, no? Però è stata anche una grande lezione. La lezione principale è stata quella di dirci: siete tutti uguali. Siete tutti uguali: ricchi, poveri, potenti, miserabili, ragazzini, grandi, immigrati… siete tutti uguali. Prima cosa. Seconda cosa: siete tutti uguali, però c’è qualcuno che soffre di più nonostante l’uguaglianza. Allora come mai siete tutti uguali? Siete tutti uguali perché Dio ha fatti tutti uguali; diversissimi gli uni dagli altri ma tutti figli suoi, tutti creati da lui con lo stesso amore, un amore grande. Poi sono arrivati gli uomini e hanno cominciato a fare le distinzioni,  ancora adesso continuiamo a fare le distinzioni: questo sì, questo no; questo vale di più, questo meno. Questo mi può dare qualche cosa, questo non mi può dare niente; questo mi sfrutta, questo meno… e iniziamo a fare i distinguo e nei distinguo cosa succede?. Succede che ci sono i paesi dove ci sono gli ospedali ben attrezzati e quelli dove non ci sono; ci sono i Paesi dove hanno le mascherine per tutti e ci sono quelli dove non ce le hanno. Ci sono dei paesi, anche nella nostra Italia, dove arriva la fibra ottica e possono fare la scuola a distanza e ci sono paesi dove non c’è. Quindi: tutti uguali davanti a Dio e non tutti uguali davanti agli uomini, non tutti uguali per il cuore degli uomini. Anche per noi è così? Magari anch’io certe volte sto più volentieri con una persona che con un’altra e faccio questa differenza tra una persona e l’altra, lo vedo anch’io e allora vivo veramente il patto se sono così?, cioè quel patto che mi dice di essere pronta veramente a dare la vita l’uno per l’altro? Ma non l’altro che mi piace, ma l’altro chiunque. Oggi si dice che si deve creare un mondo nuovo, l’umanità, tutti dicono che bisogna fare un mondo nuovo. Ecco, in piccolo Chiara l’ha fatto un mondo nuovo; in piccolo la famiglia di Chiara sparsa nel mondo è un mondo nuovo. Naturalmente è un tentativo, è un bozzetto, un piccolo segno, però vuol dire che è possibile. Allora se in piccolo è stato possibile farlo, perché questo piccolo gruppo – che poi è piccolo relativamente perché sono alcune centinaia di migliaia di persone sparse nel mondo – questo piccolo popolo, che è il popolo di Chiara, non è a disposizione di tutti per dire che il mondo nuovo è possibile? E’ possibile: dobbiamo essere convinti che è possibile e poi il passaparola di oggi qual era? ‘Credere nella forza dell’amore’. Perciò, prima di tutto: crederci che l’amore è una forza. L’abbiamo provato? Sì, tante volte l’abbiamo provato. Ma adesso, un pochino è diminuito; è diminuito il termometro dell’amore. Mettiamo un po’ di mercurio che lo faccia salire! Facciamo risalire l’amore e vedrai che tutto risale. Saremo questa realtà che passa nel mondo che beneficheremo, senza bisogno di andare a dire: ‘Sai noi facciamo così, vieni con noi perché noi siamo così’. No, noi siamo quelli che siamo, siamo come gli altri; siamo dei poveri disgraziati come tutti, però viviamo il paradiso e non vogliamo uscire dal paradiso, ma vogliamo stare con gli altri, non vogliamo stare tra di noi in paradiso. Vogliamo portare questo paradiso agli altri, non vogliamo tenercelo, perché sarebbe comodo… e poi il mondo vada a farsi friggere. No! Il mondo deve salvarsi, il mondo dobbiamo salvarlo con il nostro amore”. a cura di Stefania Tanesini https://vimeo.com/439499696 (altro…)