Movimento dei Focolari

L’educatore, mestiere e vocazione

Storia di Marco Bertolini, educatore sociosanitario nella provincia di Roma (Italia): “Anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi ed è possibile trasformare le difficoltà in opportunità”. Diagnosticata quando aveva pochi anni, la poliomielite non è stata per Marco una prigione da cui gridare la sua rabbia al mondo, ma un’occasione per cogliere la ricchezza della sua vita e il potenziale che la sua “condizione” nascondeva. Per poi aiutare da adulto tanti ragazzi “difficili” a scoprire la propria bellezza e la dignità dell’essere persona. Decisivo per lui l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari. A 59 anni, oggi Marco Bertolini – sposato e padre di due figli – lavora come educatore sociosanitario in una borgata della periferia di Roma. Lo abbiamo raggiunto al recente convegno sull’educazione “EduxEdu”, tenutosi al Centro Mariapoli di Castelgandolfo (Italia): Marco, la tua storia racconta di una difficoltà iniziale trasformata in opportunità. Cosa l’ha portata a questa maturazione? Fin da bambino ho avuto la chiara percezione della mia diversità fisica. Mentre le mie sorelle e i miei amici vivevano in famiglia io ero in collegio. Questo ha fatto crescere in me rabbia verso chi ritenevo più fortunato. E così cercavo lo scontro, mettevo alla prova i miei per vedere se mi volevano bene. Poi a vent’anni la svolta. Ero alla ricerca di un senso da dare alla mia vita quando incontrai i giovani dei Focolari che vivevano il Vangelo, erano uniti e si rispettavano. Io nella mia borgata, alla periferia di Roma, ne combinavo di tutti i colori e non avevo una buona fama, ma loro mi accettavano così com’ero. Mi facevano sentire una persona e non guardavano i miei difetti. Mi spiegavano che cercavano di voler bene al prossimo, come dice il Vangelo. Io ero incredulo, pensavo che il Vangelo è una bella cosa ma che nella vita bisogna sgomitare. E invece pian piano mi hanno mostrato che vivere il Vangelo è possibile e può cambiare la vita. Come sei diventato educatore? All’inizio studiai teologia. Scoprivo il rapporto con Dio e mi chiesi se la mia vocazione era il sacerdozio. Così entrai in seminario impegnandomi in vari servizi. A Roma collaboravo con la Caritas e nel centro di ascolto mi occupavo soprattutto dei clochard: lì capii che la mia strada era l’impegno nel sociale. Le persone che più avevo a cuore erano i ragazzi. Volevo condividere con loro il dono che avevo ricevuto incontrando i giovani del Movimento, perché anche loro potessero scoprire il valore profondo della vita. Sono uscito quindi dal seminario e ho iniziato a studiare come operatore sociale e educatore. Quando ci si approccia ai “ragazzi difficili” si pensa per lo più a “contenerli”. Ma cogliere la “ferita” che portano dentro è una sfida difficile: come la affronti? I ragazzi non vanno contenuti ma ascoltati e compresi. L’approccio che uso è quello che Dio ha avuto con me: mi ha accettato così come ero. E allora prima di tutto li accolgo così come sono, con il loro linguaggio, senza voler cambiare nulla, ma facendo capire che c’è l’opportunità che qualcuno gli voglia bene. Parto dalla mia esperienza con Dio e dalle loro emozioni. I ragazzi vanno aiutati facendo loro delle proposte di vita diverse. In qualche modo è un po’ come instaurare con loro un “patto educativo”. Ci racconti un’esperienza al riguardo? Da anni faccio parte di un’equipe che organizza un campo di lavoro, chiamato “stop’n’go”, dove a ragazzi adolescenti viene data un’opportunità formativa alla luce dell’ideale dell’unità. Ricordo una ragazza madre di 19 anni, con una storia dolorosa, che alternava atteggiamenti adulti e infantili. Ci chiedevamo se il suo inserimento sarebbe stato proficuo per lei e per gli altri. Decidemmo di fare un patto con lei: poteva uscire a turno con uno di noi adulti in cambio del rispetto delle regole del campo e della partecipazione alle attività. Lei accettò e fu una gara d’amore dell’equipe per farla sentire accolta e mai giudicata. Io sperimentai che anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi, e che è possibile trasformare una difficoltà in opportunità.

Claudia Di Lorenzi

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Pathways: percorsi per un mondo unito

Pathways: percorsi per un mondo unito

Sei tematiche per sei anni, un cammino di approfondimento che parte dall’ambito dell’economia, della comunione del lavoro. Il mondo unito, una meta impegnativa ma non utopica, che si può raggiungere se si agisce su tanti diversi fronti. Lo sanno bene le nuove generazioni dei Focolari alle quali Chiara Lubich aveva suggerito di incamminarsi sulle tante “vie” che conducono ad un mondo unito, di conoscerle e approfondirle per raggiungere questo obiettivo. Per questo, proprio dai giovani, è partita l’idea di un percorso mondiale in sei anni che hanno chiamato “Pathways for a united world”, percorsi per un mondo unito. Un cammino con azioni e approfondimenti su sei grandi tematiche. Nei prossimi mesi vi proporremo testimonianze ed esperienze di vita vissuta sulla prima di esse: economia, comunione e lavoro. FOTO pathwaysrossoundercatDonare quanto abbiamo in più – Da quando ci siamo sposati, ogni anno sentiamo di dover condividere con gli altri quanto abbiamo in più. L’esperienza è iniziata durante i preparativi per il matrimonio, quando abbiamo ricevuto tantissimo, in affetto e aiuti economici. Abbiamo scelto di fare una donazione ad una associazione di Timor Est che aiuta concretamente i bambini in difficoltà, gestita dal sacerdote che ci ha sposati. È stato incredibile ricevere, poco dopo la donazione, esattamente dieci volte tanto. Ogni anno, poi, abbiamo fissato di donare una parte dei nostri guadagni per alimentare la comunione dei beni che si vive nel Movimento dei Focolari. Proprio questa mattina avevo fatto un bonifico per questo, quando ho ricevuto in dono un cappotto. Bello, alla moda e…proprio della mia taglia. (S. e C – Italia) I risparmi del salvadanaio – Ho cinque anni e vivo ad Aleppo (Siria). Qualche tempo fa avevo saputo che i giovani del Movimento dei Focolari avevano deciso di trascorrere una serata in un monastero di suore che si occupano di persone anziane e portare loro la cena. Anche io volevo partecipare. Il giorno prima dell’appuntamento, però, non sono stato bene e sono dovuto andare dalla pediatra. Mentre mi visitava ho approfittato per raccontargli dell’iniziativa. “Dottoressa, domani con la mia famiglia volevamo andare a trovare alcuni anziani. Io per contribuire ho anche svuotato il mio salvadanaio. Ma io domani ci posso andare?”. E lei: “Sì, puoi andare perché stai bene di salute. Ma ti restituisco i soldi con i quali hai pagato la visita, perché anche io vorrei partecipare alla vostra iniziativa”. (G. – Siria) Coinvolgere la città – Conosco molte persone che non possiedono neppure l’indispensabile per vivere. Che fare? Parlandone con i colleghi, è nata una condivisione spontanea. Ricevevo molte cose che poi distribuivo a famiglie in difficoltà. L’idea si è diffusa e le cose ricevute aumentavano, avevo bisogno di più spazio e di qualche aiuto. Una coppia di amici ha messo a disposizione un negozio, un collega, con il quale siamo molto diversi per idee e cultura,  e due giovani professionisti hanno messo a disposizione del tempo per questa iniziativa. Dopo un mese abbiamo inaugurato il nostro “Bazar comunitario”, presenti l’Assessore ai Servizi Sociali ed alcuni Consiglieri Comunali. Lavorando abbiamo iniziato a “fare rete” con le istituzioni sociali della città ed abbiamo elaborato una mailing-list per mettere in contatto chi ha qualcosa da donare con chi è in necessità. Riceviamo collaborazioni e oggetti di ogni tipo, da singoli e da aziende. Il Bazar è divenuto punto di riferimento anche per persone sole che hanno modo di rendersi utili. Un giorno, per aiutare una lavanderia sociale ad acquistare una macchina adeguata, ho chiesto ad un collega di accompagnarmi: “È la prima volta che termino un anno facendo qualche cosa per gli altri – mi ha detto al ritorno. – Sono felice. Grazie per avermi parlato di questa iniziativa!”. ( M.D.A.R. – Portogallo) (altro…)

Lo sciopero del clima

Lo sciopero del clima

I ragazzi per l’unità del Movimento dei Focolari e Prophetic Economy aderiscono a «FridaysForFuture», l’iniziativa mondiale per la salvaguardia dell’ambiente promossa da Greta Thunberg  IMG 0086Questa mattina nel giardino della sede internazionale del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa (Italia), la Presidente dei Focolari Maria Voce e il co presidente Jesús Morán hanno piantato un albero (diretta Facebook dell’evento) a sostegno all’iniziativa internazionale #FridaysForFuturepromossa da Greta Thunberg, la sedicenne svedese che in poco tempo è diventata un simbolo dell’ambientalismo. Il mondo ha iniziato ad accorgersi di lei quando, a inizio anno scolastico, lo scorso autunno, Greta ha deciso di scioperare da scuola ogni venerdì mattina per fare sit-in davanti al Parlamento di Stoccolma. Il suo obiettivo era quello di protestare per una mancata presa di posizione da parte dei leader politici di fronte a quanto sta accadendo all’ambiente. Poi a fine gennaio, a Davos in Svizzera, è finita nel mirino dei media mondiali quando ha parlato davanti ai big della terra al World Economic Forum: “State distruggendo il mio futuro non voglio che speriate, vi voglio vedere nel panico”. Anche i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari, insieme a Prophetic Economy, hanno deciso di aderire all’iniziativa internazionale prevista per oggi, venerdì 15 marzo, per chiedere con forza che siano rispettate le convenzioni internazionali per salvaguardare il pianeta, che si smetta di parlare e si agisca con decisione. “Le prese di posizione di molti politici dimostrano che l’approccio top-down non è sufficiente – spiega Luca Fiorani, coordinatore di EcoOne, la rete internazionale dei Focolari degli operatori nell’ambito dell’ecologia e della sostenibilità. Le grandi conferenze internazionali sul clima dell’Onu dimostrano che è difficile prendere delle decisioni condivise per combattere il riscaldamento globale. E così entrano in gioco gli approcci bottom-up, cioè quelli in cui la popolazione spinge sui potenti per far prendere delle decisioni efficaci per evitare il cambiamento climatico. E allora l’iniziativa di questi ragazzi è importantissima, perché sono quelli che un domani pagheranno di più gli effetti del cambiamento climatico. È quindi importante che i ragazzi si muovano a livello globale e che muovano le coscienze di tutti. Se non agiamo ora, nel giro di 20 o 30 anni potrebbe essere troppo tardi. Anche Papa Francesco lo ricorda spesso. Basta andare a leggersi la sua lettera sulla Quaresima, tutta incentrata sulla conversione ecologica: pregare, digiunare, fare elemosina, ma con – nello sfondo – la cura della creazione”. E l’impegno dei ragazzi dei Focolari per raggiungere l’obiettivo “Fame Zero”, va proprio nella direzione dell’iniziativa di Greta Thunberg.

Lorenzo Russo

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Card. Ryłko: Chiara Lubich e la dimensione profetica del suo carisma

Card. Ryłko: Chiara Lubich e la dimensione profetica del suo carisma

A undici anni dalla morte della fondatrice dei Focolari sono molti gli eventi che la ricordano nel mondo. A Roma, il Card. Ryłko ha celebrato una S. Messa alla presenza di Maria Voce e Jesús Morán. Oltre a un folto gruppo del “popolo” di Chiara, molte le autorità civili, religiose e gli amici dei Focolari intervenuti. La celebrazione è stata animata dal complesso internazionale Gen Verde. Iniziatrice di strade nuove di vita cristiana, donna affidata totalmente a Dio e dalla profonda identità “mariana”. Proprio per questo Dio ha depositato in lei un dono per la Chiesa e il mondo: il carisma dell’unità. Questi, in sintesi, i cardini della vita di Chiara e dei Focolari ripercorsi dal Card. Stanisław Ryłko, già Segretario e poi Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, durante la S. Messa celebrata il 14 marzo a Roma nel più antico santuario mariano, la basilica di Santa Maria Maggiore, in occasione dell’undicesimo anniversario della morte di Chiara Lubich. EmmausPresenti, oltre alla Presidente dei Focolari Maria Voce, al Copresidente Jesús Morán e a un folto gruppo del “popolo di Chiara”, anche rappresentanti civili, religiosi, del mondo diplomatico e di diversi movimenti cristiani: un’assemblea variegata, che sembrava restituire a Chiara quell’abbraccio da lei rivolto all’umanità.  “Quante volte avete sentito Chiara pronunciare queste parole – ha ricordato il Card. Ryłko: «È l’amore che conta. È l’amore che fa camminare il mondo, giacché se uno ha anche una missione da svolgere essa è tanto più feconda quanto più è intrisa d’amore». “Oggi le sfide che personalmente e come popoli viviamo non sono da meno da quelle che Chiara ha dovuto affrontare quando ha cominciato – confida una ragazza che da poco ha conosciuto i Focolari. Nulla di più attuale del suo messaggio di unità oggi; della sua visione di un mondo che, nella sua diversità e contraddizione, può avanzare unito anche in mezzo a polarizzazioni  che sembrano lacerare le nostre relazioni”. Si coglieva, nelle parole del Card. Ryłko, l’amicizia fraterna di lunghi anni con la fondatrice dei Focolari – “Abbiamo percorso un IMG 8750lungo tratto di strada insieme” – e la profonda conoscenza del dono che Dio le ha fatto. “Nella vita di un Movimento è molto importante la memoria delle origini – ha sottolineato –, come alla fonte l’acqua è sempre più limpida, così alle origini un carisma si presenta in tutta la sua affascinante bellezza e novità. E il Movimento scopre meglio la sua identità. La vostra identità più profonda è racchiusa nel nome stesso del vostro Movimento: Opera di Maria. Una particolare presenza di Maria vi accompagna fin dalla vostra nascita. Questa dimensionemariana caratterizza tutto il vostro impegno missionario nel mondo. Papa Francesco parla spesso di uno “stile mariano di evangelizzazione” come quello più adatto ai nostri tempi”. Ha poi definito il popolo dei Focolari una “generazione nuova” di uomini e donne, di giovani, di famiglie nuove, tutti innamorati dell’amore di Dio e dell’ideale dell’unità. Alla fine della celebrazione, ringraziando tutti i presenti, Maria Voce ha comunicato l’apertura, il 7 dicembre prossimo dell’anno dedicato al centenario della nascita di Chiara Lubich. Il 2020 sarà infatti costellato di numerose iniziative ed eventi di varia natura volti a “celebrare per incontrare” Chiara, come recita il motto del centenario stesso. print 2“Vorremmo celebrare questa corrente di vita nuova e universale che il Carisma dell’unità ha immesso nelle nostre storie personali e in quella di numerosi popoli e culture” – ha annunciato la presidente dei Focolari. “Lo vogliamo fare dando la possibilità a tanti nel mondo di incontrare Chiara oggi: di conoscerla come persona e riscoprire l’attualità del suo Carisma e la sua visione di un mondo visto come famiglia di popoli fratelli. Una visione controcorrente in quest’epoca di particolarismi e sovranismi risorgenti. Sono certa che l’incontro personale e collettivo con Chiara continuerà ad ispirare persone, idee e progetti animati dallo spirito dell’unità”. Le celebrazioni avranno inizio a Trento, la sua città natale, il 7 dicembre prossimo, con l’inaugurazione di una grande mostra multimediale dedicata a Chiara, che sarà anche riproposta in varie capitali del mondo. Per tutto l’anno si avvicenderanno a Trento gruppi di pellegrini che potranno conoscere meglio la sua persona e la sua eredità spirituale. Anche a Roma e dintorni, nel corso dell’anno, ci saranno vari eventi che permetteranno di scoprire dal di dentro la vita e l’opera di Chiara nel quotidiano, dalla casa dove ha abitato alla cappella dove ora riposa, presso il Centro del Movimento.

Stefania Tanesini

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Chiara, la sposa di “Gesù abbandonato”

Chiara, la sposa di “Gesù abbandonato”

Dobbiamo ammetterlo: a undici anni dalla sua morte e alla vigilia del centenario con il quale nel 2020 ricorderemo la sua nascita, Chiara Lubich è ancora tutta da scoprire. Il modo migliore per avvicinarci al più intimo della sua anima e capire la sovrabbondanza di luce, di gioia e di frutti che contraddistingue la sua vita è guardarla così come voleva essere ricordata e cioè come “la sposa di Gesù abbandonato”, cioè di Gesù che sulla croce si sente abbandonato anche da Dio. L’ha detto lei stessa in una di quelle conferenze telefoniche dove ogni mese raccoglieva in un’unica famiglia mondiale le numerose comunità dei Focolari: “Vorrei essere ricordata unicamente come la sposa di Gesù abbandonato”[1]. E commentava: “Questa possibile (Dio mi aiuti!) definizione della mia vita, mi è sembrata meravigliosa, anche se altissima, anche se ancora mio «dover essere». Eppure l’ho avvertita come la mia vocazione”. La storia e la Chiesa diranno se aveva visto giusto e se questo traguardo l’ha raggiunto, ma molti indizi ci dicono che questo suo “sposalizio con Gesù abbandonato” è il filo d’oro che passa nella trama della sua vita e ne spiega il perché.

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Acquerello di Annemarie Baumgarten

Ancora giovinetta, confidava a sua madre la preghiera che spesso ripeteva a Gesù nel segreto del suo cuore: “Dammi di provare qualcosa dei tuoi dolori, specialmente un po’ del tuo terribile abbandono, perché ti stia più accanto e sia più simile a Te che nell’infinità del Tuo Amore mi hai scelta e mi hai presa con Te”[2]. Quando, nell’estate 1949, Igino Giordani le chiede di poterle fare voto d’obbedienza, lei trasforma questo suo desiderio in una richiesta a Gesù eucaristia di stabilire, cioè, fra loro quel rapporto che Egli vuole, e dice a Giordani: “Tu conosci la mia vita: io sono niente. Voglio vivere, infatti, come Gesù Abbandonato che si è completamente annullato”[3].  Quel patto sigillato poi in Gesù eucaristia segna l’inizio di un periodo ricolmo di una tale abbondanza di luce al quale Chiara darà il nome di Paradiso ’49 e, quando alla fine di esso, Giordani la convince a lasciare quel Cielo per tornare in città dove l’umanità l’attendeva, esce dal suo cuore la sua più ardente dichiarazione d’amore:“Ho un solo sposo sulla terra: Gesù abbandonato…”[4]. Nel 1980, quando il pensiero della morte la preoccupava, ha chiesto a Gesù di darle una spinta decisiva per concludere bene la sua vita ed egli le ha ricordato come l’aveva cominciata: non vedendo e non amando che Lui abbandonato. Le sembrava che egli le dicesse: “Guarda che ho aspettato venti secoli per svelarmi a te in questo modo; se non mi ami tu, chi mi amerà?”[5]. E quando nel 2000 ha scritto un libro riassuntivo di tutta la sua storia, vi ha messo come epigrafe: “Come una lettera d’amore a Gesù abbandonato”e ha spiegato: “Non riuscirò logicamente ad esprimere quanto sento, o dovrei sentire, verso Colui per il cui amore più volte ho affermato che la mia vita ha un secondo nome: Grazie”[6]. Per decenni ha ravvisato il volto di questo suo Sposo nelle sue  sofferenze personali e nelle porzioni d’umanità più colpite dal male e ha cercato di  consolarlo. Infine, nei tre ultimi anni della sua vita, è stata del tutto unita a Lui, in una notte oscura così profonda che l’ha chiamata “notte di Dio”: “Dio è andato lontano, anche Lui va verso «l’orizzonte del mare», fin lì l’avevamo seguito, ma al di là del mare, dopo l’orizzonte, cade giù e non si vede più. Così si pensa. Per cui, mentre si credeva che le notti dello spirito terminassero con l’abbracciare Gesù abbandonato, ci si accorge che qui si entra in Gesù abbandonato”[7].  

                                   Michel Vandeleene

  [1]Anima-sposa. Pensiero del 11.11.1999, in C. Lubich, Costruendo il “castello esteriore”, Città Nuova, Roma 2002, p. 88. [2]C. Lubich, Lettera di dicembre 1944, in Lettere dei primi tempi, Roma 2010, p. 69. [3]C. Lubich, Paradiso ’49,in AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2012, p. 17. [4]C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 138; Città Nuova, Roma 2006, p. 152. [5]C. Lubich, Conversazione con i focolarini della Svizzera, Baar, 13.11.1980, p. 3. [6]C. Lubich, Il Grido, Città Nuova, Roma 2000, p. 11. [7]C. Lubich, Gesù Abbandonato (a cura di H. Blaumeiser), Città Nuova, Roma 2016, pp. 152-153. (altro…)

Adottati dalla città

Adottati dalla città

Una mamma viene uccisa dal marito e la comunità cittadina, insieme al Sindaco, risponde a questo dolore mobilitandosi per prendersi cura dei figli e inventando una “adozione di cittadinanza”. Un gesto che fa vincere alla città italiana il Premio Chiara Lubich per la Fraternità 2019. Alghero è una piccola comunità della Sardegna (Italia) con radici catalane. Qui la tragica notizia dell’omicidio di Michela Fiori, mamma quarantenne di due bambini, uccisa dal marito, ha messo in moto la generosità e la solidarietà di un’intera comunità e del suo Sindaco, Mario Bruno. Nei giorni della scomparsa il telefono del primo cittadino non cessava di squillare. Ognuno voleva fare qualcosa per i figli di Michela: dall’autista dello scuolabus che si impegnava ad accompagnarli a scuola al gestore di un locale che si offriva di organizzare i loro compleanni. “Ho visto la città stringersi intorno ai bambini – ha spiegato il Sindaco – il giorno di Natale quattromila persone hanno sfilato in corteo fino alla casa di Michela. Lì ho sentito di dover fare una promessa: ‘mi prenderò cura dei tuoi figli’. Che poi è diventato: ‘ci prenderemo cura dei tuoi figli’”.E dalla generosità di tanti, è nata un’idea che il Sindaco ha concretizzato avviando una “adozione di cittadinanza”, un atto amministrativo che, oltre ad esprimere una concreta solidarietà, mette sotto la luce dei riflettori il tragico fenomeno del femminicidio. “Adozione di cittadinanza” significa che i 44.000 abitanti della città si prenderanno cura dei due bimbi attraverso un fondo di sostegno. Le donazioni sono aperte fino a quando i piccoli avranno venti anni e, se decideranno di fare l’Università, fino a quando ne avranno ventisei. La prima donazione è stata del Comune, ne sono seguite oltre 300 da parte dei cittadini. I piccoli che adesso, per decisione del Tribunale dei Minorenni, vivono in un’altra città, Genova, con la nonna, hanno apprezzato il bel gesto. E hanno ringraziato il Sindaco con la dolcezza e la semplicità che solo i bambini possono avere: preso un foglio vi hanno disegnato un cuore con il nome del Sindaco ed una scritta che ha commosso la comunità: “Grazie di tutto”. 1902168162Una storia così non poteva passare inosservata alla Giuria del Premio Chiara Lubich per la Fraternità che offre un riconoscimento ai Comuni dove si sono sviluppati progetti o iniziative comunitarie di fraternità efficace e concreta. Per questo Alghero ha vinto la decima edizione. Ma…la storia continua. Il 7 aprile 2019 il Sindaco di Alghero sarà a Torino, nel nord Italia, per tenere fede ad un impegno. “Mamma mi aveva promesso che per il mio compleanno, il 7 aprile, saremmo andati allo stadio – aveva detto il più grande dei bambini al Sindaco qualche giorno dopo la tragedia –. Ora che non c’è più, chi mi porterà?”. “Io” era stata la risposta pronta di Mario Bruno. E così sarà. Giovanni Malagò, presidente del Comitato olimpico nazionale italiano, ha infatti telefonato al Sindaco assicurando che avrebbe fornito i biglietti per assistere alla partita di calcio Juventus-Milan. I bambini potranno vedere anche il loro beniamino, il calciatore Ronaldo, che si è dichiarato disponibile ad incontrarli. In tutto questo, per loro, il Sindaco è solo il loro amico Mario. E quando una cassiera per un pagamento gli ha chiesto i documenti loro, meravigliati, hanno esclamato: “Ma lei non lo sa che sei il Sindaco”?

Paolo De Maina

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Vangelo vissuto: una vera libertà

La misericordia è un amore che riempie il cuore e poi si riversa sugli altri, sui vicini di casa come sugli estranei, sulla società intorno. Il compagno di viaggio Per 19 mesi sono stato in carcere, colpevole di aver adulterato i vini che commerciavo. Lì dentro, però, con l’aiuto di un sacerdote e di alcune persone che venivano a fare volontariato, ho avuto modo di riflettere e di scoprire un Dio diverso da quello che mi era stato insegnato. Ho affrontato questa prova con animo rinnovato, iniziando a sperimentare la vera libertà, che è quella interiore e viene dall’amare il nostro prossimo. Il rapporto con mia moglie è cambiato e mi sono riconciliato anche con i miei suoceri. Non solo: ho sentito di voler perdonare il mio socio, responsabile con me della frode. Ora che ho scontato la mia pena, anche se il futuro si profila pieno di incertezze, so che Dio Padre è il mio compagno di viaggio. (Javier – Argentina) Parole di luce Tra me e mia moglie si alternavano momenti di sfogo e silenzi interminabili, con grande sofferenza di entrambi e dei nostri bambini. Malgrado l’aiuto di alcuni amici, ognuno restava fermo nella sua posizione, sembrava la fine del matrimonio. Accecato dall’ira, ero arrivato al punto di pensare che fosse meglio andare via da casa o farla finita. Per fortuna, in quell’inferno, mi sono tornate alla mente anche altre parole che in passato mi erano state di luce: parole di perdono, di amore. Come cristiano ero davvero fuori strada! Nel bel mezzo di una notte insonne passata a ricacciare indietro il mio orgoglio, ho svegliato mia moglie per chiederle di aiutarmi a ricordare con umiltà i momenti felici vissuti insieme. Ci siamo abbracciati e ci siamo chiesti reciprocamente perdono. (uno sposo africano)  Pioggia Una sera mi sentivo molto stanca e avrei voluto dire ai bambini di andare nella loro stanza e di dire le preghiere da soli perché desideravo subito andare a letto. Ma John, il nostro figlio maggiore, mi ha proposto di recitare il rosario per chiedere la pioggia: non pioveva da tempo e la nostra piantagione di mais e patate dolci era a rischio. Così abbiamo pregato insieme. Con mia sorpresa, quella notte stessa ha cominciato a piovere e ha continuato fino al pomeriggio del giorno dopo. (B.M. – Uganda) In ospedale Una donna poverissima, madre di famiglia, ricoverata da molti mesi, aveva bisogno di aiuto per mangiare, ma il personale non poteva fare anche questo lavoro. Abbiamo avvertito tutti gli amici della parrocchia, e uno dopo l’altro siamo andati ad assisterla. Nonostante la situazione fosse senza via d’uscita, è migliorata un po’, rispondeva alle cure e sorrideva. Quando la sua vicina di letto è morta, nel suo testamento ha lasciato una piccola somma per aiutare la famiglia di questa donna. L’amore è contagioso…. (C.C. – Spagna)

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)

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Nasce il “Centro per l’unità e la pace”

Si trova al confine tra la parte ebraica e quella araba di Gerusalemme. Sarà un luogo di spiritualità, studio, dialogo e formazione per la Città Santa e per il mondo intero. Uno storico francese scrive che Gerusalemme non è di Gerusalemme, ma è una città-mondo, una città in cui il mondo intero si dà appuntamento, periodicamente, per affrontarsi, confrontarsi, misurarsi. È un laboratorio della convivenza o della guerra, dell’appartenenza comune o dell’odio per l’altro. È facile, infatti, cedere alla tentazione di vedere solo ciò che la cronaca ci consegna quasi quotidianamente sulla città santa: le violenze tra ebrei e palestinesi, la faticosa resistenza dei cristiani nei luoghi santi, ma è solo questa Gerusalemme? C’è ancora spazio per la speranza e la profezia che questa città rappresenta per tutto il mondo? Chiara Lubich ne è sempre stata convinta. È andata in Terra Santa per la prima volta nel 1956 e tra i luoghi santi visitati, uno in particolare l’ha toccata: la “Scaletta”, cioè l’antica scala romana in pietra bianca, appena fuori le mura della città vecchia, accanto alla chiesa di San Pietro in Gallicantu. Una tradizione vuole che da lì sia passato Gesù, la sera dopo l’ultima cena, andando verso l’orto del Getsemani e che proprio su quelle pietre abbia pronunciato la preghiera per l’unità: “Padre che tutti siano una cosa sola”. Ecco come Chiara descrisse in una pagina di diario la forte impressione riportata in quel luogo: “Qui il Maestro, ormai vicino a morire, col cuore pieno di tenerezza verso i suoi discepoli, scelti dal Cielo sì, ma ancor fragili e incapaci di comprendere, alzò al Padre la sua preghiera a nome suo e di tutti quelli per i quali era venuto ed era pronto a morire: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi”. Lì Gesù aveva invocato il Padre di affiliarci, anche se lontani per colpa nostra, e di affratellarci tra noi, nella più salda, perché divina, unità”[1]. Fu già allora che Chiara desiderò che, proprio in questo fazzoletto di terra, nascesse un centro per il dialogo e l’unità. Una svolta importante c’è stata a partire dagli anni ’80: si è potuto acquistare un terreno adiacente la scala romana e mettere a punto il progetto, che è stato approvato nel 2016. Ultimamente sono stati effettuati gli scavi preparatori ai lavori. Il futuro “Centro per l’Unità e la Pace” aveva ricevuto da Chiara un mandato preciso: dovrà essere un luogo di spiritualità, studio, dialogo e formazione. Un luogo aperto a persone di diverse età, culture, credo e provenienze; orientato a stimolare l’incontro, la conoscenza dell’altro, a favorire relazioni autentiche. Altra tappa decisiva è stata quella del febbraio scorso quando Maria Voce, presidente dei Focolari, ha compiuto un gesto importante, ponendo nel terreno una piccola medaglietta della Madonna, come segno iniziale per la costruzione di questo centro. Il progetto presenta una struttura polifunzionale, adatta a ospitare eventi e iniziative di varia natura a livello internazionale e locale. E’ possibile contribuire in vario modo per sostenere la costruzione del centro; qui sono disponibili tutte le informazioni necessarie.

Stefania Tanesini

  [1] Chiara Lubich, Scritti Spirituali/1: L’attrattiva del tempo moderno, Citta Nuova Editrice, p.172-179

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Una donazione fino alla fine

“Un mistero” e “uno choc” è stata definita la morte di Pierre André Blanc, focolarino svizzero, portato via da una forte depressione. In chi lo ha conosciuto resta comunque la convinzione che abbia trovato la pace in quel Dio-Amore di cui è stato per tanti un testimone convincente. “La tua partenza, Pierre-André, per noi è stata troppo brusca. Ma la tua Parola di Vita, tratta dal libro di Isaia (43,1) “Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” ci fa intuire lo sguardo d’amore con cui, pensiamo, Dio ti ha accolto in Paradiso“. È questa l’ultima frase del discorso che Denise Roth e Markus Näf, responsabili della cittadella dei Focolari a Montet (Svizzera), hanno tenuto durante il funerale di Pierre-André Blanc. Con essa riassumono i sentimenti contrastanti di tanti dei presenti: da un lato un’ineffabile perplessità per questa morte e, dall’altro, la fiducia, anzi la certezza che lui abbia trovato la vera vita. Quinto di sei figli, Pierre-André era nato il 2 aprile del 1962 a Sion (Svizzera) e cresciuto ad Ayent, un paesino del Vallese in un bel clima di amore familiare. Ha seguito una formazione per educatori specializzati e più tardi ha compiuto studi di teologia. Nel 1980 a Roma in occasione del Genfest, manifestazione internazionale dei giovani dei Focolari, viene in contatto con la spiritualità del Movimento. Rimane colpito “dalla qualità dei rapporti fra le persone e dalla gioia che si leggeva nei loro volti” come scriverà più tardi. Ritornato a casa, si impegna a vivere anche lui questo stile di vita evangelica. Abituato ad “incontrare” Dio sugli sci in occasione di ritiri in montagna, scopre ora nell’amore concreto verso chi gli è accanto, un nuovo modo di rapportarsi con Lui. Durante un workshop sui problemi sociali si trova improvvisamente ed in modo inaspettato a confronto con una persona che parla della propria donazione totale a Dio. In Pierre-André sorge una domanda: e se Dio mi chiamasse a vivere come questa persona? “Le mie paure di seguire Dio in modo totalitario – scriverà a proposito di quel periodo – non hanno resistito ai Suoi interventi. Avevo semplicemente cercato di vivere il Vangelo in modo coerente e Dio aveva fatto il resto. Ho capito quanto volesse la mia felicità e, soprattutto, che io avevo un enorme valore ai suoi occhi. Mi è sembrato ovvio dire di sì a Gesù, seguirLo là dove mi sentivo chiamato: nel focolare”. Nel 1989 incomincia la sua formazione e preparazione alla vita di donazione a Dio in un focolare. Chi lo ha conosciuto in questo periodo lo descrive sensibile a tutto quanto “parla” di Dio, uno che sapeva cogliere l’essenziale nelle circostanze e nei prossimi. Conclusa la scuola di formazione per focolarini, Pierre-André si inserisce nel focolare di Ginevra (Svizzera) e dal 2006 è nella cittadella di Montet. Ha dato per tanti anni un contributo prezioso e vigile alla vita della comunità dei Focolari  nella Cittadella mettendosi a disposizione degli altri con generosità, concretezza e discrezione. Nel campo professionale, lavorando come educatore, dapprima con ragazzi disabili e poi con giovani con difficoltà di apprendimento, ha dato prova di profonda capacità di vicinanza alle sofferenze altrui. Scherzoso e dotato di un fine senso dell’umorismo, Pierre-André si donava senza riserve. A fine maggio 2018 si mostrano in lui i primi sintomi di una depressione. È immediatamente seguito da un medico. Dopo un mese si rende necessario il ricovero in una clinica. Ad un certo punto può tornare durante i fine-settimana a Montet e, nell’ottobre 2018, può lasciare la clinica e tornare in focolare, sempre seguito da un medico specialista. In questo periodo è accompagnato con grande attenzione e dedizione dagli altri focolarini che lo vedono continuamente in donazione agli altri. Sembra che le sue condizioni inizino a migliorare, ma alla fine la malattia è più forte e il 28 novembre lo trascina via in un modo davvero brusco. Il funerale di Pierre-André è stato, pur nello sgomento, un momento di grande gratitudine di tutti per la sua vita e per l’amore delicato che ha dimostrato fino alla fine.

Joachim Schwind

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