Movimento dei Focolari

Commento di Chiara Lubich alla Parola di vita del mese di agosto 2005

È notte. I discepoli tentano di attraversare il lago di Tiberiade; la barca è tormentata dalla burrasca e dal vento contrario. Un’altra volta si erano già trovati in una situazione simile; allora il Maestro era con loro sulla barca , ora invece Egli è rimasto a terra, è sul monte a pregare.
Ma Gesù non li lascia soli nella tempesta; scende dal monte, va loro incontro, camminando sulle acque, e li rincuora: “Abbiate coraggio, sono io! non temete” . Sarà vero o è soltanto un’illusione? Pietro, dubbioso, gli chiede una prova: poter camminare anche lui sulle acque. Gesù lo chiama a sé. Pietro esce dalla barca, e il vento minaccioso lo spaventa e comincia ad affondare. Gesù allora lo afferra per mano dicendogli:

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Anche oggi Gesù continua a rivolgerci queste parole ogni volta che ci sentiamo soli e impotenti nelle tempeste che spesso si abbattono sulla nostra vita. Sono malattie o gravi situazioni familiari, violenze, ingiustizie… che insinuano nel cuore il dubbio se non addirittura la ribellione: “Perché Dio non vede? Perché non mi ascolta? Perché non viene? Perché non interviene? Dov’è quel Dio Amore in cui ho creduto? È soltanto un 'fantasma', un'illusione?”  
Come ai discepoli impauriti e increduli, Gesù continua a ripetere: “Abbiate coraggio, sono io! non temete”. E come allora scese dal monte per farsi vicino a loro in difficoltà, così ora Egli, il Risorto, continua a venire nella nostra vita e cammina accanto a noi, si fa compagno. Non ci lascia mai soli nella prova: Lui è lì per condividerla. Forse non lo crediamo abbastanza, per questo ci ripete:

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Queste parole, oltre che un rimprovero, sono un invito a ravvivare la fede. Gesù, quand’era sulla terra con noi, ha fatto molte promesse, ha detto, ad esempio: “Chiedete e otterrete…” ; “Cercate prima il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” ; a chi avrà lasciato tutto per Lui sarà dato il centuplo in questa vita e in eredità la vita eterna.
Tutto si ottiene, ma occorre credere all’amore di Dio. Per dare, Gesù domanda che almeno si riconosca che Lui ci ama.
Invece spesso ci si affanna come dovessimo affrontare la vita da soli, come fossimo orfani, senza un Padre. Al pari di Pietro, siamo più attenti alle onde agitate che sembrano sommergerci che non alla presenza di Gesù che poi ci prende per mano.
Se ci fermassimo ad analizzare ciò che ci fa male, i problemi, le difficoltà, sprofonderemmo nella paura, nell’angoscia, nello scoraggiamento. Ma non siamo soli! Crediamo che c’è Qualcuno che ha cura di noi. È a Lui che dobbiamo guardare! È vicino anche quando ci sembra di non avvertirne la presenza. Crediamolo, fidiamoci di Lui e affidiamoci a Lui.
Quando la fede viene passata al vaglio, lottiamo, preghiamo, come Pietro che gridò: “Signore, salvami!”  o come i discepoli in un’analoga situazione: “Maestro, non t'importa che moriamo?”  Egli non ci lascerà mai mancare il suo aiuto. Il suo amore è vero ed Egli si fa carico di ogni nostro peso.

“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Anche Jean Luis era un giovane di “poca fede”. Benché cristiano, a differenza degli altri membri della famiglia, dubitava dell’esistenza di Dio. Viveva a Man, in Costa d’Avorio, con i fratelli più piccoli, lontano dai genitori.
Quando la città è presa dai ribelli, quattro ne entrano in casa, fanno razzia di tutto e vogliono arruolare a forza il giovane, visto il suo aspetto di atleta. I fratelli minori supplicano di lasciarlo, ma invano.
I ribelli stanno per uscire con Jean Luis, quando il capo cambia, decide di lasciarlo. Poi sussurra alla sorella più grande: “Andate via al più presto, domani torneremo…”, e indica il sentiero da prendere.
“Sarà quello giusto? Sarà una trappola?” si chiedono i ragazzi.
Partono all’alba senza un soldo in tasca, ma con un briciolo di fede. Camminano per 45 km. Trovano uno che paga loro il passaggio su un camion che li porti verso la casa dei genitori. Per strada persone sconosciute li alloggiano e danno loro da mangiare. Ai posti di blocco e di frontiera nessuno controlla i loro documenti, finché giungono a casa.
Racconta la mamma: “Non erano in buone condizioni, ma travolti dall’amore di Dio!”
Jean Luis per prima cosa chiede dov’è una chiesa e dice: “Papà, il tuo Dio è veramente forte!”

 

Chiara Lubich

 

Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa dopo i fatti terroristici?

“Quale futuro per una società multiculturale, multietnica, multireligiosa?” E’ questo un interrogativo inquietante che si pone non solo l’Inghilterra, ma tutta l’Europa e non solo, dopo gli attentati terroristici che il 7 luglio scorso ha colpito il cuore di Londra, la città più cosmopolita del vecchio continente e il 23 luglio Sharm el Sheikh in Egitto.

E’ anche il titolo della Mariapoli, il tipico incontro estivo promosso dai Focolari in varie parti del mondo, iniziata domenica 24 luglio a Lake District Windermere, nel Nord dell’Inghilterra, dove partecipano oltre 600 persone tra cui un gruppo di musulmani.

All’interrogativo sul futuro del società multiculturale aveva dato una risposta, oggi di grande attualità, Chiara Lubich, a Londra proprio un anno fa, il 19 giugno 2004 alla Westminster Central Hall, davanti a oltre 2000 persone, presenti personalità musulmane, buddiste, sikh, indù. Un messaggio ora riproposto in video nelle Mariapoli.

Non uno scontro di civiltà, ma la nascita di “un mondo nuovo”. Di fronte ai timori del futuro Chiara Lubich prospetta questa visione di s. Agostino nel tempo di migrazione dei popoli. Indica il dialogo come prevenzione al terrorismo e le vie per attuarlo, quella “regola d’oro” comune a molte religioni: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatta a te”, quell’amore che sa farsi ascolto al punto tale da “entrare nella pelle dell’altro, penetrare nel senso che ha per lui essere buddista, musulmano, indù”. E’ questa la via per inculturarsi reciprocamente a suscitare una società dove “le culture sono aperte le une alle altre e in profondo dialogo d’amore”. Propone alle religioni una strategia di fraternità le religioni per sanare il divario tra ricchi e poveri e imprimere una svolta nei rapporti internazionali Molti sono gli echi i giunti via e-mail da vari Paesi da cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni che hanno partecipato alle Mariapoli sinora svolte in questi mesi estivi. A Los Angeles, dove erano presenti amici musulmani seguaci di W.D. Mohammed, leader degli afro-americani, scrivono: “Ascoltare insieme questo messaggio di fratellanza universale, appena saputo degli attentati a Londra è stato un vero segno di speranza. Per tutti è stato forte vedere la fratellanza universale già in atto fra noi”. Alla Mariapoli di St Vith in Belgio, erano rappresentate 18 nazionalità. “Ciò che più ha colpito i musulmani è stata l’esperienza di Dio in mezzo alla comunità, presente per l’amore scambievole vissuto”. Così ad Amman, in Giordania, dove era presente anche un gruppo proveniente dall’Iraq. E a Istanbul. Un ex militare musulmano, ora docente: “Qui ho visto che la fratellanza ha preso un’altra dimensione. Tutto quello che abbiamo sentito mi richiama i pensieri di Mevlana (grande mistico musulmano turco)”. E una signora musulmana: “Qui le diversità si sono trasformate in unità. Abbiamo sperimentato l’arcobaleno della pace, colorato dall’amore”.   (altro…)

La croce e la sinagoga. Ebrei e cristiani a confronto

Una storia tormentata, quella del rapporto fra ebrei e cristiani, fatta di secoli di violenza e di diffamazione, che solo da pochi decenni sta lasciando il passo ad un cammino nel quale “fratelli maggiori” e “fratelli minori” cominciano a guardarsi negli occhi e a parlarsi. Se tra gli ebrei aumentano i fautori del dialogo, da parte cristiana si fanno sempre più convinti i riconoscimenti delle radici ebraiche della loro fede.

Nel volume, esponenti di primo piano dell’ebraismo e del mondo cattolico accettano di raccontarsi ai lettori e di rispondere ad un cronista che li incalza sui temi più scottanti di ieri e di oggi: dal ruolo di Pio XII durante la persecuzione degli ebrei, alla figura di Giovanni Paolo II, considerato dagli ebrei il miglior papa in duemila anni di cristianesimo; all’eredità che è ora nelle mani del suo successore Benedetto XVI. In primo piano anche il conflitto israelo-palestinese, il dilagare del terrorismo e i rigurgiti di antisemitismo, ma anche le iniziative e le speranze di chi si è impegnato nel dialogo e crede nella possibilità di relazioni finalmente libere e senza pregiudizi. Interventi di: Jack Bemporad, Riccardo Di Segni, Xavier Echevarria, Rino Fisichella, Innocenzo Gargano, Ada Janes, Leone Jehuda Kalon, Giuseppe Laras, Chiara Lubich, Amos Luzzatto, David Meghnagi, Jorge Maria Mejía, David Rosen, Manuela Sadun Paggi, Joseph Sievers, Ambrogio Spreafico, Elio Toaff, Maria Vingiani. La Croce e la Sinagoga Ebrei e cristiani a confronto a cura di Giovan Battista Brunori Franco Angeli Editore Collana: La società/Saggi pp. 208, € 20,00 (altro…)

Chiara Lubich, i Focolari e gli ebrei

Il rabbino Jack Bemporad incontrò per la prima volta Chiara Lubich quando le conferì la laurea honoris causa: “avevo letto i suoi libri – dice Bemporad – vedevo che lei era una persona ispirata, e avevo notato il lavoro che faceva il focolare negli Stati Uniti, un lavoro importantissimo…. Ho capito che Chiara era una persona molto favorevole al dialogo: era molto aperta, le piacevano la franchezza e la sincerità e anche la sua spiritualità mi ha dato un’impressione molto favorevole. Poi ho visto che il Movimento dei Focolari si adopera per stringere relazioni con le altre religioni e per trovare una base per comunicare, non in senso dogmatico, non si vuole nascondere la propria religione, ma i focolarini sono convinti che bisogna trovare qualcosa che ci unisce: forse quello che ci unisce è il rispetto per la persona e la convinzione che è possibile nutrire amore da dare agli altri. D. Come e quando è nato il suo rapporto con gli ebrei e con l’ebraismo? R. Con la diffusione del Movimento che, a partire dagli anni ’50, aveva varcato i confini dell’Europa, ci siamo incontrati faccia a faccia con persone di altre fedi. Tanto che, quando nel 1977 ho dato la mia testimonianza alla Guildhall a Londra in occasione del Premio Templeton per il progresso della religione, ho già potuto parlare del dialogo “con i fedeli del nobile e martoriato popolo ebreo”. “Condividiamo con esso – avevo detto – parte della rivelazione”. Ed avevo espresso loro la nostra gratitudine per “averci dato Gesù ebreo, gli apostoli ebrei ed anche Maria ebrea”. Ed era stato proprio questo avvenimento l’evento fondante del nostro dialogo interreligioso, che diventerà parte integrante degli scopi del Movimento. Mentre parlavo davanti a rappresentanti qualificati delle grandi religioni mondiali, avevo la profonda sensazione che tutti fossimo una cosa sola, anche se di fedi diverse. D. Ha mai partecipato a celebrazioni ebraiche, ed eventualmente cosa l’ha colpita di quelle celebrazioni? R. Non è stata una vera e propria celebrazione ebraica quella a cui ho partecipato a Buenos Aires, in Argentina, ma un incontro con membri della comunità ebraica provenienti da tutta l’Argentina e dall’Uruguay. Era il 20 aprile 1998. Lo ricordo come fosse ora: è stato con grande commozione che abbiamo fatto un patto di amore scambievole, così profondo e sentito, da aver l’impressione di superare di colpo secoli di persecuzioni e di incomprensioni. Ricordo le parole del dott. Kopec, il presidente della B’nai B’rith Argentina, organismo ebraico internazionale, che mi aveva invitata: “Questo è un patto di fede nel guardare al futuro e sotterrare secoli di intolleranza”. In quella sala, ero stata accolta con un canto di “Shalom”. La cerimonia si apriva con la solenne accensione della menorah, il candelabro a 7 braccia, simbolo di luce, giustizia, pace, benevolenza, fratellanza, e concordia. Ricordo l’emozione di quel momento, quando fui invitata ad accendere, insieme al Presidente Kopec, proprio il braccio centrale, simbolo della verità, sigillo di Dio, cuore della vita. Nel preparare il discorso che avrei pronunciato quel giorno, avevo scoperto con sorpresa che le stesse linee della spiritualità dell’unità, sgorgata dal Vangelo vissuto e che segnarono la nascita del Movimento, agli inizi degli anni ’40, potevano essere quasi riscritte con i versetti dell’Antico Testamento e della tradizione ebraica. Ma il momento più denso di commozione per tutti noi presenti in quella sala era stato paradossalmente quando avevo parlato del mistero centrale del cristianesimo, cuore della nostra spiritualità e motivo per gli ebrei di 2000 anni di sofferenza: Gesù in croce che grida ’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’, parole che si ritrovano nell’Antico Testamento, nel Salmo 22. Avevo riportato un brano che richiamava proprio quel Salmo. Era di un ebreo contemporaneo, filosofo delle religioni, recentemente scomparso, Pinchas Lapide: “Quale migliore personificazione si può trovare per il popolo ebreo di questo povero Rabbi di Nazareth?” – si chiede. Lapide vede in quel grido di Gesù anche e soprattutto i dolori della Shoah: “Elì, elì, lamà sabactanì non è soltanto il Salmo di David e una parola di Gesù sulla croce, ma direi quasi, il leitmotiv di coloro che furono deportati ad Auschwitz e Maidanek”. Si chiede: “Non è questo rabbino, che muore dissanguato sulla croce, l’autentica incarnazione del suo popolo sofferente, troppe volte ucciso sulla croce di quell’odio antiebraico, che noi pure abbiamo dovuto sperimentare nella nostra giovinezza?”. Mi era fiorita una certezza, e l’ho comunicata agli amici ebrei che gremivano quella sala: “Quel dolore indicibile della Shoah e di tutte le più recenti sanguinose persecuzioni, non può non portare frutto”. E “noi – avevo aggiunto – vogliamo condividerlo con voi, perché non sia un abisso che ci separa, ma un ponte che ci unisce. E che diventi un seme di unità”. Quell’unità che non è solo “nei desideri di Gesù”, ma che “è sentita fortemente anche dal popolo ebraico”. Questa unità era già tangibile in quella sala. Abbiamo sperimentato un momento di Dio. Si spalancava una nuova speranza. Da allora questa forte esperienza di fraternità si rinnova e approfondisce. Ogni anno sono sempre più numerosi gli amici ebrei protagonisti della giornata della pace che viene celebrata nella nostra cittadella di O’Higgins, in Argentina. Quest’anno erano in 300 venuti da Buenos Aires, Cordoba, Rosario. Il Rabbino dr. Mario Hendler, che presiede la Convenzione rabbinica latino-americana, ha affermato: “Stiamo costruendo un momento della storia di cui solo in futuro si comprenderà la portata”. D. Che cosa pensa dell’antisemitismo crescente anche in Italia? R. Viviamo ore difficili. Mi ritorna con forza quanto già dissi subito dopo la giornata interreligiosa per la pace di Assisi del gennaio 2002, dopo il tragico attentato dell’11 settembre: qui non si tratta soltanto di un fattore umano come l’ odio, ma c’ è di mezzo “la forza delle tenebre”, ci sono le forze del Male. E come non vedere il persistere dell’azione del Male nei rigurgiti di antisemitismo che rispuntano, nell’ombra cupa del terrorismo che continua ad investire tutto il pianeta? Non basta perciò l’elemento politico, civile, umano, per contrapporsi. Anche quello è necessario, ma urge che le religioni si mobilitino. Se prima il dialogo interreligioso si poteva fare, era segno dei tempi, adesso è un’esigenza improrogabile, proprio per le circostanze. Perché contro il Male – con la M grande – ci vuole il Bene con la B maiuscola, ci vuole Dio, ci vuole l’aiuto di Dio, l’aiuto soprannaturale. E’ perciò essenzialissimo l’aspetto religioso oggi nel mondo. Se tutte le religioni sono chiamate a dare il loro apporto di pace, tanto più questo è un imperativo per noi cristiani ed ebrei, accomunati dall’Alleanza, chiamati ad essere insieme protagonisti di quel disegno maestoso di pace e unità tracciato dalla Rivelazione: la nuova Gerusalemme . D. – I cristiani possono fare qualcosa per diffondere un clima di rispetto e di riconciliazione con chi è diverso da loro? R. Certamente! Molte sono nel mondo le forze che operano in questo senso. Nella nostra esperienza, se è possibile il dialogo in tanti Paesi del mondo, anche in punti cruciali come in Israele, dove da anni arabi cristiani si incontrano periodicamente con ebrei, è perché viene costruito giorno dopo giorno con lunghi tempi di maturazione attraverso rapporti personali. Il segreto per noi è racchiuso in quella che abbiamo chiamato “arte d’amare” appresa dal Vangelo, e che sempre più si rivela universale e capace di sciogliere conflitti, violenza, pregiudizi, perché ha in sé una forza divina. E’ quest’arte che va diffusa ovunque. E’ sperimentata da 60 anni in tutte le latitudini, da persone di ogni età, condizione sociale e credo. E’ un amore che va al di là dei limiti dei legami famigliari o di amicizia, e si apre a tutti, senza discriminazione e pregiudizio alcuno. Quest’arte richiede di “amare l’altro come sé”, come recita “la regola d’oro” comune a tutte le religioni. Il segreto di quest’arte è racchiusa in due sole parole: “farsi uno”, cioè “vivere l’altro” Significa far propri i pesi, i pensieri, le sofferenze, le gioie dell’altro. Coinvolge tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell’amore, perché, vivendo così, si è morti a se stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento; si può realizzare quel “nulla di sé” a cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d’amore che sa fare spazio e accogliere l’altro. Nel dialogo interreligioso, “farsi uno” significa – come è stato scritto – “conoscere la religione dell’altro in modo tale che supera l’essere informato sulla sua tradizione religiosa. Implica entrare nella pelle dell’altro, camminare con le sue scarpe, vedere il mondo come l’altro lo vede, porsi le domande dell’altro, penetrare nel senso che ha per l’altro essere ebreo, indù, musulmano, buddista”. Nel rapporto con gli ebrei ciò significa far nostra, per amore, quell’indicibile sofferenza che ha segnato la storia di secoli di questo popolo, con la consapevolezza che “interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei loro confronti”. Come risuonò al Colosseo, alla Via Crucis del ’98, guidata dal Papa: “Non il popolo ebraico, da noi per tanto tempo crocifisso, non la folla… non loro, ma noi, tutti noi e ognuno di noi… siamo tutti assassini dell’amore”. Non solo. Dobbiamo testimoniare quell’amore che dimostra coi fatti che sono per noi i fratelli maggiori, proprio perché “la fede testimoniata nella Bibbia ebraica, l’Antico Testamento dei cristiani, per noi non è un’altra religione, ma il fondamento della nostra fede”. Un tale amore ha la forza di sciogliere nei nostri fratelli ebrei ogni timore. L’ascolto spesso diventa reciproco. Si scoprono quegli elementi comuni che possiamo vivere insieme. E’ un dialogo che ci fa riscoprire fratelli, legati da un vincolo profondo. Si possono creare così ovunque spazi di riconciliazione e di fraternità. Davvero si sperimenta quanto Papa Giovanni Paolo II disse in India: “Il frutto del dialogo è l’unione fra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio (…). Attraverso il dialogo facciamo in modo che Dio sia presente in mezzo a noi, perché mentre ci apriamo l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio”. D. E in quali campi possono collaborare ebrei e cristiani per realizzare una società migliore? R. Sono certa che, in quest’ora del mondo, Dio vuole che cristiani ed ebrei percorriamo un cammino comune, mano nella mano, per dire a tutti che Dio ci ha creati fratelli, per testimoniare al mondo, oggi materializzato, secolarizzato, edonista, la meravigliosa avventura di vite spese perché il suo nome sia annunciato, la fede in lui rafforzata, e siano ripristinati i valori di pace, solidarietà, difesa dei diritti umani, di giustizia e di libertà, da lui sottolineati. Ovunque, siamo chiamati a creare insieme, cristiani ed ebrei, questi spazi di fraternità: negli ambienti di lavoro, nei parlamenti, nelle università, nei quartieri, nelle famiglie. Se viviamo in modo tale che “la dimora divina sia in mezzo a noi”, allora in un mondo che oggi come mai ha bisogno di un supplemento d’anima, inonderemo tutti gli ambiti della società con la forza e la luce dello Spirito, rinnovandoli.

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Quella forza che fa superare ogni difficoltà

Da qualche anno sono in Turchia per lavoro. Ho molto tempo libero e mi sono dedicata a tradurre dall’italiano qualche libro di spiritualità. Ore e giorni trascorsi davanti al computer e sudare per tradurre in turco – che non ha radici cristiane – espressioni di un’altra cultura, di una spiritualità cristiana. In certi momenti mi chiedevo perché lo facevo; non saranno sforzi inutili? Ma ho affidato ogni difficoltà al Padre. Sì, quel lavoro aveva un unico senso: dare a lui il mio tempo e le mie forze.

Una vita capovolta Stavo per partire in vacanza, quando mi telefona il tipografo che aveva stampato quei libri: “Ho saputo che parte; dovrei parlale urgentemente”. L’indomani quando gli apro la porta quasi non lo riconosco. E’ dimagrito, sciupato, ha gli occhi rossi come se avesse pianto. Lo faccio accomodare offrendogli un caffè. Inizia subito: “Mi scusi se la disturbo, ma ho sentito che non potevo non dirle quello che mi è capitato. Lo sa che quel libro che mi ha dato da stampare mi ha capovolto la vita? L’ho letto e riletto. Mi ha dato una forza inimmaginabile. E ho ricominciato la mai vita da capo. Da un mese e mezzo mia moglie mi ha abbandonato. Dopo 26 anni mi sembra impossibile. Ma la nostra famiglia è stata distrutta dalle stregonerie, dal malocchio… a proposito, lei crede in queste cose?” Quella forza più forte di ogni difficoltà Alla mia risposta negativa e che credo in Dio Onnipotente e che Lui guida la nostra vita, mi dice: “L’ho capito leggendo quel libro; come vorrei che anche mia moglie lo leggesse. Sa che sono arrivato al punto di volermi suicidare? Già due volte ho tentato, ma non ci sono riuscito. Ero in cura da uno psichiatra. Ora non ci vado più e non prendo neanche le medicine. Ho capito che dentro di me ho una forza maggiore e posso superare ogni difficoltà. Questo punto centrale che ho trovato come un tesoro in questo libro,me lo tengo stretto”. Il mio amico tipografo faceva pian paino la scoperta di un Dio vivo, vicino, che soccorre chi è in difficoltà. Gli ho promesso che avrei pregato perché sua moglie tornasse a casa. Uscendo sembrava trasformato, ringiovanito, alleggerito. R.M. Turchia Tratto da Quando Dio interviene – Esperienze da tutto il mondo Città Nuova Editrice 2004 (altro…)

“Offrite al Signore l’oro della vostra esistenza”

Carissimi giovani!

1. Quest’anno abbiamo celebrato la XIX Giornata Mondiale della Gioventù meditando sul desiderio espresso da alcuni greci, giunti a Gerusalemme in occasione della Pasqua: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Ed eccoci ora in cammino verso Colonia, dove nell’agosto 2005 si terrà la XX Giornata Mondiale della Gioventù. “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2): questo è il tema del prossimo incontro mondiale giovanile. E’ un tema che permette ai giovani di ogni continente di ripercorrere idealmente l’itinerario dei Magi, le cui reliquie secondo una pia tradizione sono venerate proprio in quella città, e di incontrare, come loro, il Messia di tutte le nazioni. In verità, la luce di Cristo rischiarava già l’intelligenza e il cuore dei Magi. “Essi partirono” (Mt 2,9), racconta l’evangelista, lanciandosi con coraggio per strade ignote e intraprendendo un lungo e non facile viaggio. Non esitarono a lasciare tutto per seguire la stella che avevano visto sorgere in Oriente (cfr Mt 2,1). Imitando i Magi, anche voi, cari giovani, vi accingete a compiere un “viaggio” da ogni regione del globo verso Colonia. E’ importante non solo che vi preoccupiate dell’organizzazione pratica della Giornata Mondiale della Gioventù, ma occorre che ne curiate in primo luogo la preparazione spirituale, in un’atmosfera di fede e di ascolto della Parola di Dio. 2. “Ed ecco la stella … li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo in cui si trovava il bambino” (Mt 2,9). I Magi arrivarono a Betlemme perché si lasciarono docilmente guidare dalla stella. Anzi, “al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10). E’ importante, carissimi, imparare a scrutare i segni con i quali Dio ci chiama e ci guida. Quando si è consapevoli di essere da Lui condotti, il cuore sperimenta una gioia autentica e profonda, che si accompagna ad un vivo desiderio di incontrarlo e ad uno sforzo perseverante per seguirlo docilmente. “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11). Niente di straordinario a prima vista. Eppure quel Bambino è diverso dagli altri: è l’unigenito Figlio di Dio che si è spogliato della sua gloria (cfr Fil 2,7) ed è venuto sulla terra per morire in Croce. E’ sceso tra noi e si è fatto povero per rivelarci la gloria divina, che contempleremo pienamente in Cielo, nostra patria beata. Chi avrebbe potuto inventare un segno d’amore più grande? Restiamo estasiati dinanzi al mistero di un Dio che si abbassa per assumere la nostra condizione umana sino ad immolarsi per noi sulla croce (cfr Fil 2,6-8). Nella sua povertà, è venuto ad offrire la salvezza ai peccatori Colui che – come ci ricorda san Paolo – “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9). Come rendere grazie a Dio per tanta accondiscendente bontà? 3. I Magi incontrano Gesù a “Bêt-lehem”, che significa “casa del pane”. Nell’umile grotta di Betlemme giace, su un po’ di paglia, il “chicco di grano” che morendo porterà “molto frutto” (cfr Gv 12,24). Per parlare di se stesso e della sua missione salvifica Gesù, nel corso della sua vita pubblica, farà ricorso all’immagine del pane. Dirà: “Io sono il pane della vita”, “Io sono il pane disceso dal cielo”, “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 35.41.51). Ripercorrendo con fede l’itinerario del Redentore dalla povertà del Presepio all’abbandono della Croce, comprendiamo meglio il mistero del suo amore che redime l’umanità. Il Bambino, adagiato da Maria nella mangiatoia, è l’Uomo-Dio che vedremo inchiodato sulla Croce. Lo stesso Redentore è presente nel sacramento dell’Eucaristia. Nella stalla di Betlemme si lasciò adorare, sotto le povere apparenze di un neonato, da Maria, da Giuseppe e dai pastori; nell’Ostia consacrata lo adoriamo sacramentalmente presente in corpo, sangue, anima e divinità, e a noi si offre come cibo di vita eterna. La santa Messa diviene allora il vero appuntamento d’amore con Colui che ha dato tutto se stesso per noi. Non esitate, cari giovani, a rispondergli quando vi invita “al banchetto di nozze dell’Agnello” (cfr Ap 19,9). Ascoltatelo, preparatevi in modo adeguato e accostatevi al Sacramento dell’Altare, specialmente in quest’Anno dell’Eucaristia (ottobre 2004-2005) che ho voluto indire per tutta la Chiesa. 4. “E prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Se nel bambino che Maria stringe fra le sue braccia i Magi riconoscono e adorano l’atteso delle genti annunziato dai profeti, noi oggi possiamo adorarlo nell’Eucaristia e riconoscerlo come nostro Creatore, unico Signore e Salvatore. “Aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,11). I doni che i Magi offrono al Messia simboleggiano la vera adorazione. Mediante l’oro essi ne sottolineano la regale divinità; con l’incenso lo confessano come sacerdote della nuova Alleanza; offrendogli la mirra celebrano il profeta che verserà il proprio sangue per riconciliare l’umanità con il Padre. Cari giovani, offrite anche voi al Signore l’oro della vostra esistenza, ossia la libertà di seguirlo per amore rispondendo fedelmente alla sua chiamata; fate salire verso di Lui l’incenso della vostra preghiera ardente, a lode della sua gloria; offritegli la mirra, l’affetto cioè pieno di gratitudine per Lui, vero Uomo, che ci ha amato fino a morire come un malfattore sul Golgotha. 5. Siate adoratori dell’unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza! L’idolatria è tentazione costante dell’uomo. Purtroppo c’è gente che cerca la soluzione dei problemi in pratiche religiose incompatibili con la fede cristiana. E’ forte la spinta a credere ai facili miti del successo e del potere; è pericoloso aderire a concezioni evanescenti del sacro che presentano Dio sotto forma di energia cosmica, o in altre maniere non consone con la dottrina cattolica. Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media. L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il vostro futuro e un mondo più giusto e solidale. Gesù è il Principe della pace, la fonte di perdono e di riconciliazione, che può rendere fratelli tutti i membri della famiglia umana. 6. “Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12). Il Vangelo precisa che, dopo aver incontrato Cristo, i Magi tornarono al loro paese “per un’altra strada”. Tale cambiamento di rotta può simboleggiare la conversione a cui coloro che incontrano Gesù sono chiamati per diventare i veri adoratori che Egli desidera (cfr Gv 4,23-24). Ciò comporta l’imitazione del suo modo di agire facendo di se stessi, come scrive l’apostolo Paolo, un “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”. L’Apostolo aggiunge poi di non conformarsi alla mentalità di questo secolo, ma di trasformarsi rinnovando la mente, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto” (cfr Rm 12,1-2). Ascoltare Cristo e adorarlo porta a fare scelte coraggiose, a prendere decisioni a volte eroiche. Gesù è esigente perché vuole la nostra autentica felicità. Chiama alcuni a lasciare tutto per seguirlo nella vita sacerdotale o consacrata. Chi avverte quest’invito non abbia paura di rispondergli “sì” e si metta generosamente alla sua sequela. Ma, al di là delle vocazioni di speciale consacrazione, vi è la vocazione propria di ogni battezzato: anch’essa è vocazione a quella “misura alta” della vita cristiana ordinaria che s’esprime nella santità (cfr Novo millennio ineunte, 31). Quando si incontra Cristo e si accoglie il suo Vangelo, la vita cambia e si è spinti a comunicare agli altri la propria esperienza. Sono tanti i nostri contemporanei che non conoscono ancora l’amore di Dio, o cercano di riempirsi il cuore con surrogati insignificanti. E’ urgente, pertanto, essere testimoni dell’amore contemplato in Cristo. L’invito a partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù è anche per voi, cari amici che non siete battezzati o che non vi riconoscete nella Chiesa. Non è forse vero che pure voi avete sete di Assoluto e siete in ricerca di “qualcosa” che dia significato alla vostra esistenza? Rivolgetevi a Cristo e non sarete delusi. 7. Cari giovani, la Chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione: uomini e donne la cui vita sia stata trasformata dall’incontro con Gesù; uomini e donne capaci di comunicare quest’esperienza agli altri. La Chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità, e solo i santi possono rinnovare l’umanità. Su questo cammino di eroismo evangelico tanti ci hanno preceduto ed è alla loro intercessione che vi esorto a ricorrere spesso. Incontrandovi a Colonia, imparerete a conoscere meglio alcuni di loro, come san Bonifacio, l’apostolo della Germania, e i Santi di Colonia, in particolare Orsola, Alberto Magno, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e il beato Adolph Kolping. Fra questi, vorrei particolarmente citare sant’Alberto e santa Teresa Benedetta della Croce che, con lo stesso atteggiamento interiore dei Magi, hanno appassionatamente cercato la verità. Essi non hanno esitato a mettere le loro capacità intellettuali al servizio della fede, testimoniando così che fede e ragione sono legate e si richiamano a vicenda. Carissimi giovani incamminati idealmente verso Colonia, il Papa vi accompagna con la sua preghiera. Maria, “donna eucaristica” e Madre della Sapienza, sostenga i vostri passi, illumini le vostre scelte, vi insegni ad amare ciò che è vero, buono e bello. Vi porti tutti a suo Figlio, il solo che può soddisfare le attese più intime dell’intelligenza e del cuore dell’uomo. Con la mia Benedizione! Da Castel Gandolfo, 6 Agosto 2004 IOANNES PAULUS PP. II   (altro…)

Colourdome

Colourdome

Giovani dei Focolari, provenienti dai vari continenti, daranno la loro testimonianza e presenteranno alcune coreografie nell’ambito delle catechesi in programma a Colonia il 17-18-19 agosto, durante la Giornata Mondiale della Gioventù, in preparazione alle giornate conclusive col Santo Padre. “Colourdome” è il nome che i “Giovani per un mondo unito” dei Focolari hanno dato alle iniziative che stanno preparando a Colonia in occasione della GMG. “Colourdome”, per significare che l’amore evangelico colora la vita, trasformandola nei suoi più vari aspetti.

Da martedì 16 a venerdì 19 agosto, il Friedenspark, il Parco della pace, nel centro sud di Colonia, lungo l’Oberländer Wall, sarà trasformato in un festival colorato con un palco principale e sette aree, con padiglioni dai colori dell’arcobaleno. Con il linguaggio della musica, teatro, danza, i giovani saranno invitati a fare sport o a dialogare, ma anche a riposare, riflettere e pregare. Ogni area offrirà un programma su vari temi: dalla “cultura del dare”, al dialogo con altre religioni, alla ricerca del senso del dolore, per nominarne solo alcuni. Uno degli ambiti sarà dedicato allo sport, come pallavolo, street-soccer e a vari giochi per favorire la conoscenza tra giovani di tutto il mondo. Sul palco centrale poi, in programma ogni giorno, i concerti. Segnaliamo: mercoledì, 17 agosto, alle ore 19.30, lo spettacolo GIVE PEACE A HAND del complesso internazionale GEN ROSSO. Mercoledì 17 e venerdì 19 agosto pomeriggio, sul palco del Colourdome due tavole rotonde della Conferenza Episcopale tedesca e della Protezione Civile (Technisches Hilfswerk) sugli aiuti per lo Tsunami e la solidarietà globale.

Le aree interattive Rosso: Time to share Tempo di condivisione: per una cultura del dare – economia, lavoro, consumismo Arancio: Face the world Guarda al mondo: dialogo a 360° – dialogo, etnie, religioni Giallo: To be with You Con Te: che posto ha il dolore? – dolore, sofferenza, malattia Verde: Get the feeling Cattura l’emozione: vivere in tutti i sensi – sport e tempo libero Azzurro: Discover His Beauty Scopri la Sua bellezza: Dio nella cultura – arte, musica, cultura Indaco: Think about life Prospettive e progetti – società, politica e tanto di più Violetto: Hold the line Resta in linea: comunicazione e mass media – intrattenimento, mass media, pubblicità Per saperne di più scrivere a: sgmu@focolare.org wjt2005@geeintewelt.de

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Commento di Chiara Lubich alla Parola di vita del mese di luglio 2005

Dio è Amore . È la certezza più salda che deve guidare la nostra vita, anche quando ci assale il dubbio davanti a grandi calamità naturali, alla violenza di cui l’umanità è capace, ai nostri insuccessi e fallimenti, ai dolori che ci toccano personalmente.
Che è Amore, Dio ce lo ha dimostrato e continua a dimostrarcelo in mille modi, donandoci la creazione, la vita (e quanto di bene ad essa è congiunto), la redenzione attraverso suo Figlio, la possibilità della santificazione attraverso lo Spirito Santo.
Dio ci manifesta il suo Amore sempre: si fa vicino ad ognuno di noi, seguendoci e sostenendoci passo passo nelle prove della vita. Ce lo assicura il Salmo, da cui è tratta questa Parola di vita, parlando della insondabile grandezza di Dio, del suo splendore, della sua potenza e, insieme, della sua tenerezza e della sua immensa bontà. Egli è capace di gesta prodigiose e, nello stesso tempo, il padre pieno di attenzioni, premuroso più di una madre.

“Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto”

Noi tutti dobbiamo affrontare di quando in quando situazioni difficili, dolorose, sia nella nostra vita personale, sia nei rapporti con gli altri e sperimentiamo a volte tutta la nostra impotenza.
Ci troviamo di fronte a muri di indifferenza e di egoismo e ci sentiamo cadere le braccia di fronte ad avvenimenti che sembrano superarci.
Quante circostanze dolorose ognuno deve affrontare nella vita! Quanto bisogno che un Altro ci pensi! Ebbene, in questi momenti la Parola di vita può venirci in aiuto.
 
Gesù ci lascia fare l’esperienza della nostra incapacità, non già per scoraggiarci, ma per farci sperimentare la straordinaria potenza della sua grazia, che si manifesta proprio quando le nostre forze sembrano non farcela, per aiutarci a capire meglio il suo amore. A un patto però: che abbiamo una totale fiducia in Lui, come l’ha il figlioletto in sua madre; abbandono sconfinato che ci farà sentire nelle braccia di un Padre che ci ama così come siamo e al quale tutto è possibile.
Non può bloccarci neppure la consapevolezza dei nostri sbagli perché, essendo amore, Dio ci rialza ogni qual volta siamo caduti, come fanno i genitori col loro bambino.

“Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto”

Forti di questa certezza, potremo gettare in Lui ogni ansia, ogni problema, come ci invita a fare la Scrittura: gettate “in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” .
Anche per noi, i primi tempi del Movimento, quando la pedagogia dello Spirito Santo cominciava a farci muovere i primi passi nella via dell’amore, il “gettare ogni preoccupazione nel Padre” era affare di tutti i giorni, e di spesse volte al giorno.
Ricordo che dicevo che come non si può tenere su una mano una brace, ma la si getta via subito perché altrimenti brucia, così, con la stessa sveltezza, gettavamo nel Padre ogni preoccupazione. E non ricordo preoccupazione messa nel suo cuore della quale Egli non si sia preso cura.
Ma non sempre è facile credere e credere al suo amore. Sforziamoci in questo mese di farlo in tutti i casi, anche nei più ingarbugliati. Assisteremo volta per volta all’intervento di Dio che non ci abbandona, ma ha cura di noi. Sperimenteremo una forza mai conosciuta prima che sprigionerà in noi nuove e impensate risorse.

 

Chiara Lubich