Movimento dei Focolari
Scienza & Vita

Scienza & Vita

Dal vuoto legislativo in materia di procreazione assistita, alla regolamentazione

Il Parlamento italiano, agli inizi del 2004, ha varato una legge che regola la materia della fecondazione artificiale. Dal 1984, vari governi, di diversi orientamenti politici, avevano incaricato commissioni di scienziati per l’approfondimento del problema. La legge viene varata grazie al voto trasversale di parlamentari di schieramenti opposti, col nome di “Legge 40/2004: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.

Il principio ispiratore della legge

Tutelare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, in particolare quelli del concepito; arginare l’uso indiscriminato delle tecniche di procreazione artificiale che portano ad eccessi come il fenomeno delle mamme-nonne, degli embrioni congelati, degli uteri in affitto, delle tecniche eugenetiche. A pochi mesi dall’entrata in vigore della legge, sono stati proposti dei referendum per modificare quelle indicazioni che sono viste come divieti.

Un Comitato in difesa della legge

Scienza & Vita” è il nome programmatico del Comitato, la cui nascita in Italia è stata annunciata alla stampa sabato 19 febbraio 2005. Vi aderiscono 120 personalità del mondo scientifico, culturale, politico e associativo, ma è aperto ad ulteriori adesioni. Il Comitato giudica la legge 40 sulla fecondazione assistita un risultato importante, che finalmente ha fissato delle regole per i laboratori che operano nel campo molto delicato della fecondazione umana. Sostiene che non si tratta di una legge perfetta, ma che tuttavia essa pone fine al cosiddetto «far west procreativo», assicurando ad ogni figlio le garanzie di una vita umana e la protezione di una vera famiglia, e che non è un referendum lo strumento adeguato a modificarla. Del Comitato Scienza & Vita fanno parte anche due membri dei Focolari: il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale e Filosofia politica presso la Pontificia Università Gregoriana, e la dott. Daniela Notarfonso Cefaloni, medico, esperta in bioetica e in lavoro nei consultori.

Dossier informativo: “Per la democrazia e la vita”

Il dossier è pubblicato sul n. 3 della rivista Città Nuova del 10 febbraio, dedicato alla procreazione artificiale e ai referendum che vogliono modificare l’attuale legge 40. Nel dossier sono indicati:

  • I contenuti della legge 40/2004: “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”
  • Che cosa dicono i referendum
  • Referendum:i perché di una scelta.
  • Piccola guida della procreazione artificiale: Fecondazione artificiale omologa; fecondazione artificiale eterologa; embrioni, cellule staminali, clonazione.

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Familyfest 2005 … al Papa della famiglia

Il Familyfest 2005 sarà presentato in Conferenza Stampa giovedì 14.4.2005, ore 12:00 nella Sala degli Arazzi della RAI, in Viale Mazzini 14 – Roma Questo evento mondiale è formato da una rete di 193 meeting, in altrettante città e capitali di 78 Paesi nei 5 continenti, rivolto alle famiglie di ogni Paese, cultura, razza e religione. Previsti oltre 150.000 partecipanti. Collegamenti interattivi con i Familyfest: Tokyo (Giappone), Teheran (Iran), Algeri (Algeria), San Paolo (Brasile), Manila (Filippine), Johannesburg (Sudafrica), Krasnojarsk (Siberia), Toronto (Canada), Zagabria (Croazia). La diretta sarà ripresa da 40 emittenti nazionali di 39 Paesi, grazie a Telespazio, Eutelsat, CRC/Canada. Promosso da Famiglie Nuove, diramazione dei Focolari, l’evento vede l’adesione di movimenti, associazioni, istituzioni civili e religiose di varie fedi. Il logo Un’unica linea stilizzata tratteggia un germoglio con tre foglie in cui si profila una colomba: la famiglia, la prima forma sociale che si apre per far nascere e sviluppare tutta la società nella fraternità e nella pace. Perché il titolo: “Familyfest… al Papa della famiglia”? Il Familyfest: un evento preparato da tempo. Dopo la scomparsa del Papa, è venuto spontaneo dedicargli questo happening sul modello di famiglia da lui sognata e proposta. Il programma farà rivivere alcuni dei momenti forti vissuti con Giovanni Paolo II dalle famiglie di tutto il mondo. L’obiettivo Il Familyfest vuole rendere visibile un tipo di famiglia che crede nei valori e diviene cellula base di una società rinnovata. Il programma Storie di famiglie: dal fidanzamento al matrimonio, dai momenti di crisi all’apertura ad adozioni difficili. Sul fronte della pace: la testimonianza di due madri una israeliana e una palestinese. Momenti di riflessione, commenti di esperti, brevi interventi di vip e di volti noti dello spettacolo. Dai collegamenti in diretta con Tokyo, con Algeri e con Teheran verrà in rilievo l’apertura interreligiosa con saluto e testimonianze di famiglie buddiste e musulmane. Numeri artistici e di folclore introdurranno le dimensioni della poesia, della bellezza, del gioco, componenti tipiche della famiglia. Intervento conclusivo di Chiara Lubich, presidente e fondatrice dei Focolari. Solidarietà – Progetto: ”Una famiglia, una casa” – Verrà lanciato in diretta dall’Ultrastadion di Manila. Il progetto, nato dalle famiglie dei quartieri più diseredati della metropoli filippina, si estende ora anche a Thailandia e Sri Lanka colpite dallo Tsunami e alle periferie di Cochabamba in Bolivia. I contributi possono essere versati: sul c/c bancario 888885 intestato a Associazione Azione per Famiglie Nuove presso Banca Intesa: CIN T ABI 03069 CAB 05092. Dal 15 al 22 aprile è possibile inviare dal proprio cellulare SMS da 1€ al numero 46211 per i clienti WIND e al numero 44770 per i clienti TIM. (altro…)

Dopo la terribile prova, più vicini all’unità

Un gruppo di giovani del Movimento dei Focolari, fra cui alcuni europei e alcuni indonesiani, da Singapore si sono recati in viaggio nella provincia di Aceh, nel nord di Sumatra, Indonesia. Riportiamo alcuni stralci del loro diario di viaggio: Obiettivo del nostro viaggio è verificare di persona le necessità di queste zone colpite e capire cosa possiamo fare concretamente, come Movimento dei Focolari, sul posto, per le vittime del maremoto. E’ stata un’esperienza indelebile, in cui siamo andati per dare ed abbiamo ricevuto molto di più. Tornando, qualcuno ci ha detto di veder tornare persone come da un pellegrinaggio in un luogo sacro. Il nostro è un gruppo variegato: asiatici, di Singapore e della stessa Indonesia, e anche qualche europeo, cristiani, musulmani e senza un riferimento religioso. Insieme ci siamo recati in Indonesia, mosaico di culture.

La nipote del re

Ad Aceh, al nostro gruppetto si aggiunge una coppia del posto – lei indonesiana, lui inglese – che ci fa da guida. Il nonno di lei è stato l’ultimo re di Sigli, nella regione est di Aceh. La loro partecipazione nel gruppo è provvidenziale, perché ci aprono tante porte. A., da noi chiamata affettuosamente “principessa” – la nipote del re – durante il viaggio ci racconta della sua famiglia: “Fino a metà del secolo scorso Aceh ha avuto vari sultanati o regni. Mio nonno ne governava uno: era il “Raja” (re) di Sigli, ed è stato assassinato nel 1950 quando l’Indonesia ha acquistato l’indipendenza dagli olandesi, formando un’unica nazione con le 16.000 isole dell’arcipelago”. Da allora si è formato un gruppo armato, il GAM (Movimento per Aceh Libera), che attraverso continue azioni di guerriglia combatte per l’indipendenza del paese. I frequenti scontri fra l’esercito regolare indonesiano e il gruppo di guerriglia armata crea insicurezza e tensione nel popolo, che fuori di questa regione è più sconosciuto che amato, più oggetto di pregiudizi che del sentimento di comune nazionalità, e Aceh è vista come una zona pericolosa. Dopo questo viaggio abbiamo scoperto gli abitanti di Aceh come veri fratelli, pieni di ricchezza spirituale.

Un incontro col dolore e con la vita

Incontriamo tantissima gente: bambini, religiosi, insegnanti, poliziotti, la gente nelle tendopoli dove sono rifugiate centinaia e centinaia di famiglie, i pescatori – la categoria più colpita, avendo lo tsunami distrutto sia le barche che le reti. Ascoltiamo le loro storie di vita e le loro necessità: ci viene un senso di sgomento di fronte a così tanto dolore e a così tanti bisogni. Ma andiamo avanti, con pace. Ci ricordiamo che è Gesù nei fratelli a dirci: “Avevo bisogno di una barca e di reti per poter vivere e tu me le hai procurate…”. Ci sorprende la generosità della gente, che sa dimenticare il proprio dolore per pensare a noi, stranieri sconosciuti: un ragazzo, con la sua spada, taglia dall’albero un frutto di cocco per ciascuno, e ci offre da bere la squisita bevanda.

Piangere insieme

Nel villaggio Kampung Cina abbiamo incontrato una giovane signora musulmana che proprio in quel momento era andata a vedere la sua casa per la prima volta dopo il disastro. Era rasa al suolo: aveva perso il marito e 8 figli! Ci ha raccontato piangendo che, mentre scappava tenendo in braccio il più piccolo di pochi mesi, ad un tratto ha visto altri due suoi bambini in pericolo ed è tornata indietro a soccorrerli. Ma in quel momento ha sentito le grida del piccino che le era sfuggito di mano travolto dall’acqua. Un’altra altissima onda è arrivata trascinando via i due figli. In questo vortice d’acqua ha perso i sensi e si è risvegliata sopra una palma da cocco. Siamo rimasti impietriti ad ascoltarla: era impossibile dirle almeno la pur minima parola. Non sapendo che altro fare, come consolarla, l’abbiamo abbracciata e abbiamo pianto con lei. Quando entriamo nella parte della città più colpita dallo tsunami e nei villaggi attorno troviamo una totale desolazione! Case svuotate di tutto per la violenza dell’acqua, la maggioranza distrutte e con montagne di macerie sopra, dove si stanno ancora raccogliendo i corpi delle vittime. Nell’impossibilità di esumare i corpi, mettono sopra una bandiera, una per ogni corpo che si pensa sia sepolto lì, in una sorta di improvvisato funerale per rispetto a quelle vite che non vanno dimenticate. Lungo la strada che porta al centro della città, a circa 3 km dal mare, due grandi navi (di 350 tonnellate ciascuna) sono addossate ad un hotel. Resteranno lì come monumento, a ricordo di questa grande tragedia. Ma il dolore più intenso è vedere la punta estrema di Banda Aceh, dove la furia del mare si è riversata con tutta la sua potenza, colpendo in tutte le direzioni e distruggendo tutto. E’ una specie di penisola stretta, con mare da tutte le parti. Solo il pavimento di quelle abitazioni è rimasto, insieme ad un cumulo di macerie. Nessun segno di vita. Abbiamo percorso due ore di macchina nel più grande silenzio, ammutoliti dallo sgomento. Forse era anche preghiera, meditazione, condivisione di una sofferenza che grida solo “perché”. Abbiamo riconosciuto un volto di Gesù Abbandonato sulla croce – Egli che ha assunto tutti i dolori, le divisioni, i traumi dell’umanità -, e allora anche la certezza, pur nel mistero, del Suo Amore personale per ciascuno.

Rimboccarsi le maniche

Cerchiamo di darci da fare: uno di noi lavora in una ditta che commercializza reti da pesca. Possiamo interessarci concretamente al problema. Facciamo i calcoli: quante reti, quanto filo monofilamento, quanto legno per costruire le barche, possibilmente con il motore, quante biciclette per permettere ai bambini di andare a scuola, quanto materiale scolastico, quanti soldi servono. Adesso tornando potremo organizzare la distribuzione degli aiuti raccolti, conoscendo una per una le necessità e i volti delle persone che vi stanno dietro (abbiamo incontrato 953 pescatori). Ci sembra di aver costruito una famiglia con tutti, cristiani e non. Ed è solo l’inizio! La nostra impressione è quella di aver assistito ai miracoli operati dalla solidarietà che questo tsunami ha provocato in tutto il mondo. Si constata la generosità di gruppi, ong, congregazioni… e c’è posto per tutti! Il motto sullo stemma nazionale dell’Indonesia è: “Unità nella diversità”. Ci sembra che questo immenso Paese, dopo la terribile prova, sia più vicino all’unità. (altro…)

La preghiera per il Papa di 90 Vescovi amici dei Focolari

La preghiera per il Papa di 90 Vescovi amici dei Focolari

Una solenne concelebrazione eucaristica per invocare la completa guarigione del Papa è stata officiata da 90 Vescovi, amici dei Focolari, provenienti da 47 Paesi dei 5 continenti, riuniti a Castelgandolfo per il loro annuale Convegno spirituale. La notizia del nuovo ricovero del Papa, che ha suscitato sorpresa e trepidazione, è giunta poco prima della conclusione dell’incontro, iniziato il 19 febbraio. Prima di partire, i Vescovi hanno inviato al Santo Padre un messaggio di gratitudine e di assicurazione di preghiere per il suo pronto ristabilimento: “Uniti con tutta la Chiesa chiediamo per Lei specialissime grazie”. I Vescovi esprimono al Papa profonda gratitudine “per il luminoso esempio di fede e di amore con cui affronta questa nuova prova e per il suo ministero che è tutto dono!”. Una nota saliente del Convegno è stata proprio lo scambio di messaggi con il Papa. Inattesa una sua lettera autografa, giunta in apertura dell’incontro, indirizzata al Card. Miloslav Vlk. “Davvero, Lei è colui che ‘più ama’ e ‘conferma i fratelli’”, gli hanno scritto in risposta i Vescovi. Giovanni Paolo II, nel suo messaggio, aveva indirizzato un pensiero speciale a Chiara Lubich, esprimendole la sua riconoscenza per la “testimonianza evangelica che il Movimento rende in tante parti del mondo”. Richiamandosi al tema dell’incontro, aveva incoraggiato i Vescovi a “testimoniare nell’odierna società la presenza di Cristo risorto, centro della Chiesa” e “principio vitale” che non può non suscitare una “rinnovata vitalità apostolica” e una “audacia missionaria” rispondenti alle sfide dei nostri tempi. Aveva quindi invitato i partecipanti ad essere “segni eloquenti” dell’amore del Signore crocifisso e risorto, presente nel sacramento dell’Eucaristia, e “artefici della sua pace in ogni ambiente”. Chiara Lubich, nel suo intervento letto da Natalia Dallapiccola, una delle sue prime compagne, ha sottolineato che “Gesù risorto non è una presenza statica”, ma agisce essendo “principio unificante e quindi attivo: l’amore”. “Ma ciò – ha aggiunto – richiede la risposta dell’uomo”. “Ogni divisione nella comunità altera l’identità profonda della Chiesa. Ecco perché la Chiesa non è, a volte, amata”. “E’ la reciprocità, la comunione, che rende ‘visibile’ il Signore”. Toccanti le testimonianze dei Vescovi di vari Paesi: esperienze di fecondità evangelizzatrice, di riappacificazione tra etnie diverse e tra politici in terre ferite da conflitti, come in Burundi e Centroamerica. Non sono mancate testimonianze di Vescovi, sacerdoti e laici sulla “rinnovata vitalità apostolica” suscitata dalla presenza del Risorto, nel dialogo ecumenico e interreligioso e nel campo politico e sociale.   (altro…)

Solenne concelebrazione per il Papa

La notizia del ricovero del Papa, che ha suscitato sorpresa e trepidazione, è giunta poco prima della conclusione del 29° Convegno spirituale di Vescovi amici del Movimento dei Focolari riuniti al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dal 19 al 25 febbraio 2005. Prima di partire hanno inviato al Papa il seguente messaggio: Santo Padre carissimo, prima di ripartire da Castelgandolfo, vogliamo farle giungere un calorosissimo saluto assieme ai più vivi auguri di una pronta ripresa. Uniti con tutta la Chiesa, in incessante preghiera, assieme a Maria Santissima chiediamo per Lei specialissime grazie e il conforto dello Spirito Consolatore. Grazie, Santo Padre, per il luminoso esempio di fede e di amore con cui affronta questa nuova prova. Grazie per il Suo ministero che è tutto dono!”. Una nota saliente di questi giorni è stato proprio lo scambio di messaggi con il Papa. Una sua lettera autografa, inattesa in questi giorni di infermità, indirizzata al Card. Miloslav Vlk, promotore dell’incontro, ha dato un’intonazione forte ed incisiva al Convegno. “Davvero, Lei è colui che ‘più ama’ e ‘conferma i fratelli’”, hanno scritto in risposta i Vescovi. Giovanni Paolo II aveva indirizzato un pensiero speciale a Chiara Lubich, esprimendole la sua “riconoscenza per la testimonianza evangelica che il Movimento rende in tante parti del mondo”. Riferendosi al tema del Convegno – “La presenza del Risorto in mezzo al suo popolo: principio vitale della Chiesa del terzo millennio” – il Papa ha incoraggiato i Vescovi a “testimoniare nell’odierna società la presenza di Cristo risorto, centro della Chiesa” e si è detto convinto che da un’adunanza basata su questo “principio vitale” non può non sorgere una “rinnovata vitalità apostolica” e una “audacia missionaria” rispondenti alle sfide dei nostri tempi. Ha quindi invitato i partecipanti ad essere “segni eloquenti” dell’amore del Signore crocifisso e risorto, presente nel sacramento dell’Eucaristia, e “artefici della sua pace in ogni ambiente”. Riprendendo l’appello del Papa, gli interventi dei Vescovi che hanno trascorso insieme giorni di intensa fraternità, hanno dato voce alle numerose sofferenze dell’umanità: guerre, fame, malattie, situazioni politiche ed economiche precarie; ma nello stesso tempo hanno trasmesso una fede ancora più grande nell’agire di Dio che spinge ad un’azione decisa ed illuminata. Così, il Vescovo Simon Ntamwana del Burundi ha raccontato di come l’episcopato del Paese si adopera per creare fra la gente, dopo gli anni difficili che ha vissuto il Paese, una cultura di pace e di riconciliazione. Un Vescovo del Centroamerica, sostenuto da quanto aveva sperimentato nel Convegno dell’anno scorso, ha comunicato come, a partire dalla spiritualità di comunione, è riuscito a svolgere una sorprendente funzione di riappacificatore fra i politici. Un Vescovo della Tanzania, Desiderius Rwoma, ha parlato della diffusione del Vangelo attraverso la costituzione di piccole comunità cristiane, formate spiritualmente, che cominciano ad attirare numerose persone ancor lontane dal cristianesimo. Approfondendo la promessa di Gesù di farsi presente là “dove due o tre sono uniti” nel suo nome (cf. Mt 18,20), Chiara Lubich nel suo intervento – letto da Natalia Dallapiccola, una delle sue prime compagne – ha sottolineato: “Gesù risorto non è una presenza statica”, ma agisce essendo “principio unificante, e quindi attivo: l’amore”. “Ma ciò – ha aggiunto – richiede la risposta dell’uomo”. “Ogni divisione nella comunità è perciò contro natura” anzi, “per essa viene alterata l’identità profonda della comunità che è Cristo presente… Ecco perché la Chiesa non è, a volte, amata”. Occorre pertanto portare i rapporti fra i credenti sempre più “alla reciprocità, alla comunione, che rende ‘visibile’ il Signore”. Consci dell’odierna situazione mondiale, i Vescovi presenti si sono mostrati profondamente sensibili a queste affermazioni che nei giorni successivi si sono approfondite attraverso una serie di riflessioni culturali: del filosofo Giuseppe Maria Zanghì sulla svolta epocale in atto e su sviluppi del dialogo accademico con indù e buddisti; dei due teologi Hubertus Blaumeiser e Brendan Leahy su aspetti di una comprensione della Chiesa che ponga al centro la presenza del Risorto in mezzo ai suoi; della sociologa brasiliana Vera Araujo sulla persona nella società globale. A questi contributi di riflessione hanno fatto da riscontro testimonianze di Vescovi, sacerdoti e laici sulla “rinnovata vitalità apostolica” suscitata dalla presenza del Risorto. La dimensione ecumenica è stata aperta con esperienze sul dialogo della vita tra Vescovi di diverse Chiese e sul cammino di comunione tra movimenti e comunità, reso visibile a Stoccarda nella grande manifestazione del maggio scorso “Insieme per l’Europa”, sulla quale è intervenuto il pastore evangelico Friedrich Aschoff. La dimensione politica è stata illustrata da Lucia Crepaz, presidente del “Movimento politico per l’unità”, che, a partire dall’esperienza ormai decennale di questo Movimento, ha tracciato l’identikit di un’azione politica che s’ intende come servizio alla società e, scegliendo come metodo il dialogo, sa fare senza preclusione “rete fra le diversità”. Particolare interesse, in questo momento di forte crisi dell’istituto famigliare, ha suscitato l’annuncio del “Familyfest” del 16 aprile prossimo, da parte di Annamaria e Danilo Zanzucchi, responsabili del Movimento Famiglie Nuove dei Focolari, volto a dare visibilità alla realtà della famiglia secondo il disegno di Dio e sullo sfondo delle sfide attuali. Molti Vescovi hanno espresso il loro desiderio di cooperare alla realizzazione dei Familyfest che si svolgeranno nelle loro nazioni. Ne sono previsti infatti 120 in tutto il mondo, collegati in diretta televisiva con Roma. “Ho avvertito qui un Vangelo fresco”, ha dichiarato al momento delle conclusioni uno dei 20 partecipanti dell’Africa presenti, il Vescovo Jean Ntagwarara del Burundi. Ed esprimendo una convinzione condivisa da numerosi suoi confratelli: “Vivere la spiritualità di comunione è il rimedio che può guarire le tante ferite del nostro popolo”. E così si è espresso il vescovo Giovanni Dettori della Sardegna: “Questa unità mi dà forza: si sperimenta che siamo un cuor solo e un’anima sola”. La constatazione più frequente dei partecipanti era infatti quella di aver sperimentato nei giorni del Convegno “Gesù vivo”, non solo quello di 2000 anni fa, ma il Gesù che ancora oggi tocca i cuori e muove menti e braccia ad agire in un modo conforme al suo Vangelo e ad esprimere il dono del suo amore fra gli uomini. Momenti particolarmente intensi, nel contesto di quest’anno dedicato all’Eucaristia, sono state le concelebrazioni animate di giorno in giorno dai Vescovi di un Continente diverso con elementi caratteristici della loro cultura.   (altro…)

La comunità terapeutica di Mario Giostra

Da quasi vent’anni lavoro come Operatore Sociale nel campo delle tossicodipendenze. Attualmente mi occupo di soggetti in doppia diagnosi e sto collaborando ad un progetto di ricerca destinato a stabilire criteri di revisione empirica dei risultati per le comunità terapeutiche. La mia attività professionale è iniziata quasi per caso (mi stavo laureando in matematica), dopo aver sperimentato, in alcune attività di volontariato, che applicando in modo molto semplice alcune tra le intuizioni di Chiara Lubich sul modo di amare il prossimo, riuscivo ad entrare profondamente in rapporto con questi ragazzi. Era motivo di interesse anche per me il constatare come il loro percorso terapeutico ed educativo ne fosse arricchito in modo significativo. In capo ad alcuni anni, i frutti di questo lavoro hanno iniziato ad essere degni di attenzione e dentro di me si è sviluppata la convinzione che ciò non poteva essere un caso; doveva necessariamente esserci una precisa relazione di causa ed effetto che giustificasse i risultati che stavano emergendo. Avevo l’impressione di essermi imbattuto in qualche modo in una novità dalle potenzialità significative. Ho sentito quindi l’esigenza di approfondire ciò che stava accadendo e cercare di tradurlo in un modello teorico ben strutturato e quindi in opportune strategie d’intervento.

Come mettersi in relazione con l’altro

In questi anni le riflessioni in tal senso sono state molte, ma forse il concetto sociologico che mi è stato più utile in questo lavoro di ricerca, è stato quello di empatia. Il sociologo Achille Ardigò, per esempio, la descrive come la capacità di un attore sociale di mettersi intenzionalmente di fronte ad un altro uomo per fare un’esperienza di relazione. Il rendersi conto, cioè, di ciò che l’altro vive in profondità, non commisurandolo con la propria esperienza e non riducendolo a propri schemi ma riconoscendolo nella sua alterità. L’empatia non è vista quindi come un atto mentale ma come un’esperienza attraverso cui l’attore sociale va oltre il mondo di vita quotidiano e si apre ad altre esperienze, anche di rapporto con altre persone. Carl Rogers, uno tra gli autori che più hanno contribuito all’approfondimento del termine, la descrive come la “capacità di vivere momentaneamente la vita dell’altro”. Nel ‘59 egli afferma che ciò significa: “il percepire la cornice interna di riferimento dell’altra persona con accuratezza, con la componente emozionale e con i significati che le appartengono e per di più come se uno fosse l’altra persona”. E’ quasi impossibile non rilevare evidenti similitudini tra l’empatia così come l’abbiamo definita e ciò che Chiara Lubich, nell’esplicarsi del suo pensiero spirituale ha chiamato “Farsi Uno”, idea fondamentale nella relazione di reciprocità così come lei l’ha intuita. Si tratta di un’espressione già presente in alcuni autori, in particolare della scuola fenomenologica, ma che in questo contesto si arricchisce di nuovi significati. Ho scelto alcuni tra i tanti passi in cui lei descrive questo concetto e la “tecnica” per viverlo in modo efficace: “Amare “come sé” l’altro, l’altro sono io. E lo amo come me: ha fame, sono io che ho fame; ha sete, sono io che ho sete; è privo di consiglio, ne sono privo io.” Oppure: “Occorre fermarsi e sentire con il fratello: farsi uno finché ci si addossa il suo peso doloroso o si porta assieme quello gioioso…. Questo farsi uno esige la continua morte di noi stessi.” Ancora: “Farsi uno con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi; sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra fatta uno dall’amore…” “Nel farsi uno occorre essere totalmente e per tutto il tempo staccati da sé. C’è infatti – noi lo sappiamo – chi per attaccamento a sé o a qualcos’altro non ascolta fino in fondo il fratello, non muore tutto nel fratello e vuol dare risposte raccolte via via nella sua testa…” Questo discorso, può essere esteso con molta facilità a quelle che Roger e la sua scuola hanno chiamato “tecniche di comprensione empatica” che tuttora sono molto attuali nel counseling e vengono utilizzate da molti operatori del sociale. Per descriverle esaurientemente occorrerebbe molto tempo; metteremo in luce solo alcune caratteristiche essenziali. La comprensione empatica, si fonda su tre presupposti fondamentali che sono l’empatia, la congruenza (o coerenza interiore del terapeuta) e l’accettazione positiva dell’altro, presupposti che sono non solo presentissimi, ma addirittura indispensabili per chiunque voglia farsi uno col suo prossimo. L’approccio Rogersiano, inoltre, si avvale di tutta una serie di atteggiamenti non verbali che servono a mettere a proprio agio la persona che si ha davanti, tranquillizzarla e “farla sentire importante” (la postura, lo sguardo, il silenzio interiore per far posto all’altro…) che, come abbiamo appena letto, sono indispensabili e particolarmente evidenti in chiunque si stia “facendo uno ”. Si potrebbe continuare a lungo…

Rimuovere il primato dell’Io

Non si può, però, non mettere in luce una profonda e fondamentale differenza, e cioè quella necessaria “morte del proprio io” che Chiara Lubich ripete ogni volta descrivendola come passaggio obbligato e indispensabile. Si sviluppa in questo modo una visione per così dire alterocentrica che non si accontenta del semplice atto di mettersi nei panni dell’altro ma richiede una rivoluzionaria operazione di autoannullamento; si fonda, penso per la prima volta, la relazione con l’alter rimuovendo il primato dell’io. Molti dei moderni approcci nel sociale insistono sull’idea di reciprocità che di conseguenza rischia di essere un po’ inflazionata, ma penso di poter affermare che nessuno di essi si avvicina ad un concetto di reciprocità così puro e così profondo. A mio avviso, però, non bisogna assolutamente fare l’errore di considerare queste riflessioni dal punto di vista puramente speculativo in quanto esse posseggono un campo d’applicazione infinito nella pratica quotidiana e, a maggior ragione nell’agire di un operatore sociale. Nel mio caso, per esempio, hanno permesso di modificare integralmente il mio modo di condurre colloqui aiutandomi a sviluppare tecniche molto efficaci e di facile applicazione. Ho sperimentato più volte che l’atto di rimozione del proprio sé, che abbiamo appena descritto, permette all’individuo che si ha davanti di donarsi perché trova in chi lo sta accogliendo un vuoto da riempire. Così facendo la persona che ha bisogno di aiuto perde, per così dire, la posizione subordinata rispetto a chi la sta accogliendo, si sente di nuovo protagonista del proprio agire e ciò può aiutarla a mettere da parte le sue diffidenze e i suoi meccanismi di difesa per aprirsi in modo spontaneo e più profondo. Molto spesso, persone chiuse e difese, di fronte a questo vuoto posto in essere per amore, si sono, per così dire, “sciolte” e sono riuscite ad aprirsi. Mi sembra importante aggiungere che un siffatto modo di operare non sminuisce la figura di sostegno rappresentata dal terapeuta, anzi, attraverso questo agire comunicativo di grande efficacia, la rafforza in quanto l’annullamento di sé per amore non è uno scomparire ma diventa una profonda espressione dell’essere. Inoltre, ho sperimentato che è possibile mettere in relazione o per usare un termine un po’ improprio, ”fondere“, il nuovo approccio che stiamo descrivendo con teorie o tecniche preesistenti, arrivando a risultati interessantissimi e di grande valore sociologico e socio terapeutico. In questo caso, non si può parlare della superiorità di una impostazione rispetto all’altra in quanto dalla fusione dei due paradigmi nasce prende corpo una sorta di “terza via” che li comprende e arricchisce entrambi caricandoli nuova bellezza e di nuovi significati …. Nel nostro caso, per esempio, il farsi uno può arricchire e rendere più facilmente applicabili le tecniche di ascolto empatico e allo stesso tempo quest’ultime possono fornire uno strumento per farsi uno in modo più efficace. Un altro aspetto da sottolineare, è che in base a quanto abbiamo detto, tecniche e modi di agire che prima erano patrimonio esclusivo di pochi esperti possono trasformarsi, con le dovute cautele, in strumenti efficaci e alla portata di tutti.

Un fatto

Per spiegarmi meglio ricorrerò ad un episodio accadutomi qualche mese fa. Si trattava della situazione del nipote di un mio amico, dopo aver perso prematuramente il padre, aveva iniziato a manifestare preoccupanti sintomi di disagio: aveva lasciato la scuola, sembrava del tutto indifferente verso il proprio futuro, si era chiuso fortemente in se stesso e lasciava intravedere i primi sintomi relativi all’utilizzo di sostanze stupefacenti per così dire “leggere”. Nel momento in cui i familiari della madre, preoccupati da una situazione che stava degenerando, hanno cercato di aprirle gli occhi su quanto stava accadendo, come spesso succede, la donna ha innescato nei loro confronti un meccanismo di rifiuto molto violento. Li ha accusati di giudicare negativamente ciò che non capiscono, e di sparare sentenze. Asseriva che il ragazzo passava una normalissima crisi adolescenziale e non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno; li ha tacciati di invidia, di atteggiamento subdolo ecc. A grandi linee è questo il quadro che mi era stato presentato; appariva evidente che qualunque intervento da parte mia o di chiunque operi nel sociale avrebbe rischiato di scatenare una reazione ancor peggiore. Cosa fare a questo punto? La mia esperienza mi portava a ipotizzare che probabilmente per tranquillizzare la donna, poteva essere produttivo utilizzare una metodologia spesso usata in questi casi, che consiste nell’esprimere il proprio punto di vista non attraverso una verità oggettiva che può suonare come una sentenza (con frasi del tipo: “tuo figlio ha un problema”) ma come vissuto personalissimo (attraverso espressioni inconfutabilmente vere ma soggettive del tipo: “Sai, sono preoccupato e questa preoccupazione mi fa star male“). Rimaneva in piedi il problema di spiegare questa tecnica ad una persona che normalmente non si occupa di queste cose. Allora ho pensato che poteva essere importante iniziare consigliandogli di “farsi uno” con la sorella, (forte del fatto che lui sapeva bene di cosa io stessi parlando), chiederle quindi scusa per quanto era successo; accoglierla nel suo evidente dolore, non dare consigli e ascoltarla fino in fondo. Solo a quel punto era eventualmente possibile accennare al problema del figlio ma presentandolo come preoccupazione personale e non come situazione oggettiva. Anche qui il passaggio fondamentale era rappresentato da un atto di “spogliamento” dal proprio sé in quanto era necessario liberarsi completamente del look da “persona brava e saggia” per presentarsi con molta umiltà e dare all’altro la possibilità di esprimersi con libertà. Il risultato è stato notevole, perché di fronte a questo inaspettato atteggiamento di vuoto interiore, la sorella ha avvertito l’impulso di riempirlo col proprio amore e di conseguenza si è aperta tantissimo dando sfogo a tutte le sue preoccupazioni ed alla giusta disperazione di una madre che vede la situazione sfuggirle di mano… Mi sembra che in questo caso sia avvenuta proprio la dinamica di cui parlavamo un attimo fa; l’approccio empatico è stato compreso ed applicato in modo efficace in quanto chi lo ha usato era partito dal presupposto di farsi uno con l’altro. Allo stesso tempo, però, chi voleva farsi uno fino in fondo è riuscito a farlo in modo migliore applicando intelligentemente la tecnica che gli era stata spiegata. Ne è risultata una tecnica nuova che, forte di entrambe le impostazioni, è riuscita a risolvere il problema. Una cosa importante da mettere in luce è che quest’esperienza è stata fatta da una persona che non aveva nessuna pratica nella cosiddetta relazione di aiuto. Essendo però un “esperto” nel farsi uno ha potuto utilizzare questa sua risorsa spirituale ma anche (e in questo caso soprattutto) culturale per comprendere al meglio una metodologia a lui sconosciuta ed applicarla con successo creando un rapporto reciproco di tipo empatico.

Tappe del percorso socio-terapeutico. Parola d’ordine: condivisione

Incoraggiato dai primi risultati, ho pensato di proseguire su questa strada. Il passo successivo è stato quello di elaborare dei gruppi di incontro che, forti di quanto abbiamo appena descritto, spingessero verso un’esperienza di condivisione e reciproco aiuto, attori sociali che per anni avevano vissuto in uno stato di totale isolamento, rinchiudendosi in se stessi e filtrando ogni rapporto con l’alterità attraverso quelle forme di gratificazione autoreferenziale che sono tipiche della tossicodipendenza. La letteratura e le varie esperienze già esistenti in tal senso mi sono venute in aiuto fornendomi strumenti particolarmente efficaci; mi riferisco in particolare ad alcuni gruppi d’animazione che utilizzano giochi interattivi proposti dalla scuola bio-energetica, ed ad altri gruppi di approccio rogersiano o appartenenti a quello che comunemente viene definito approccio socio-affettivo). La mia idea era abbastanza semplice: scegliere alcuni tra questi strumenti e concatenarli in un opportuno percorso socio-terapeutico da proporre ai ragazzi che stavo seguendo, indicando, però, come presupposto fondamentale, un’idea di condivisione basata su quel particolare rapporto interpersonale di tipo empatico che abbiamo appena descritto. Anche qui alcune tra le idee di Chiara Lubich mi hanno aiutato ad arricchire queste metodologie di nuovi contenuti. Faccio riferimento, in particolar modo, ad alcuni “passaggi” che lei consiglia e che si sono rivelati particolarmente efficaci per aiutare piccoli gruppi di individui che vogliano portare avanti un percorso di condivisione e di crescita attraverso un rapporto di reciproco amore fraterno.

Un patto di solidarietà

La prima fase di questo percorso è rappresentata da un “Patto” che può essere descritto come un “Patto di solidarietà e reciproco aiuto”. Si tratta di un passaggio fondamentale che ha lo scopo di aiutare gli individui coinvolti a cementare il rapporto interpersonale ed a rimuovere gli atteggiamenti egocentrici per interessarsi attivamente gli uni agli altri. In questa fase, che può prevedere più di un incontro, può essere opportuno inserire momenti che utilizzano strumenti classici come sociogrammi o altre attività interrelazionali opportunamente riadattate e tradotte in giochi interattivi che aiutano a conoscersi meglio ed entrare in rapporto in modo più profondo. Arricchite dallo spirito di reciprocità e condivisione appena descritto, queste attività acquistano nuova linfa e nuovi significati.

Giochi interattivi

Per fare un esempio, un’idea apparentemente semplice che però ha dato risultati molto interessanti è stata un “gioco” nel quale ognuno estrae a sorte il nome di un componente del gruppo e si impegna per una settimana ad avere nei suoi confronti un’attenzione particolare, a conoscerlo meglio, a stargli vicino e sostenerlo nei momenti di difficoltà… In questo modo ognuno si trasforma in una sorta di tutor, di supervisore della vita dell’altro (per dirla come direbbe un bambino, ognuno si trasforma in un piccolo “angelo custode”) ed è spinto ad uscire dal suo mondo per lasciar spazio all’altro. Inoltre, il risultato dell’estrazione è segreto e ciò contribuisce a creare uno stimolante clima di curiosità. Sarebbe lungo descrivere dettagliatamente i risultati ottenuti, ma lo stupore e l’entusiasmo spesso dimostrato dai partecipanti, nonché il modo in cui sono riusciti concretamente ad aiutarsi, a mio avviso merita molta attenzione. Un aspetto da sottolineare, è che, a prescindere dalle tecniche che si decide di utilizzare, se il suddetto Patto, per così dire, “vacilla”, ossia per qualsivoglia motivo viene a diminuire la volontà di mutuo aiuto descritta, questi gruppi e anche quelli seguono si ritrovano ad essere quasi del tutto svuotati di significato e perdono ogni efficacia.

Scambio di esperienze

Procedendo in questo senso, successivamente è stato possibile strutturare altri incontri basati su uno scambio molto intenso di esperienze vissute e di stati d’animo. Anche qui lo scopo è quello di aiutare i ragazzi ad evadere dalla prigione rappresentata dagli atteggiamenti egocentrici e spingerli a condividere il proprio mondo interiore. Ciò può essere fatto in vari modi, a condizione che lo scambio esperienziale non risulti fine a se stesso ma sia un dono reciproco tra chi parla e chi accoglie.

Una cartolina della tua vita

Anche qui mi limiterò ad un solo esempio: una tecnica tra le tante che si sono mostrate efficaci, è stata quella di chiedere ad ogni componente del gruppo, di regalare una “cartolina della sua vita”, narrando un vissuto emozionalmente significativo in modo da creare un’atmosfera empatica che permettesse agli altri di riviverlo, in un certo senso, assieme a lui. Normalmente questi gruppi assumono contenuti emozionali molto forti. A volte però succedeva che il clima empatico non decollava. In questi casi, indagando sul perché emergevano quasi sempre situazioni di conflitto irrisolto tra alcuni ragazzi. Ciò, come abbiamo già messo in luce, è un’altra conferma dell’importanza terapeutica dell’ aver aderito al Patto sopraccitato in modo pieno e sincero…

Migliorare insieme

Infine, nel momento in cui, attraverso questo percorso, il rapporto tra le persone coinvolte era maturato in modo sufficiente, è stato possibile compiere un ulteriore passo avanti, facendo ricorso a tecniche più impegnative. Mi riferisco in particolare ad una tipologia di gruppo in cui i partecipanti, spinti da una indispensabile volontà di aiutarsi reciprocamente, scelgono una persona e, sotto la guida di un moderatore, gli dicono con rispetto ma in modo molto chiaro prima quali sono i suoi difetti e le cose che dovrebbe migliorare per andare avanti nel suo cammino e successivamente quali sono i suoi pregi ed i suoi punti di forza. Si tratta di un momento (che potremmo definire “della verità”) da gestire con molta attenzione a causa della delicatezza delle problematiche e della possibile fragilità di alcune persone coinvolte. Metodologie simili sono presenti, con qualche differenza, in diversi approcci classici, ma ciò che in questo caso fa la differenza, è proprio lo sforzo di uscire da se stessi per concentrarsi sulle caratteristiche e le problematiche dell’altro. Devo ammettere che spesso i risultati di questi gruppi mi hanno commosso; non avrei mai immaginato sviluppi del genere. Ragazzi molto duri, incattiviti dalla vita, diffidenti e restii al rapporto con gli altri, si sono sciolti creando un clima empatico difficilmente descrivibile. Lo stupore e l’entusiasmo da loro dimostrato ha facilitato il rapporto comunicativo con me e tra di loro in un modo che non avevo mai visto e troppo evidente per essere casuale. Ho ripetuto la cosa più volte e con attori sempre diversi per essere sicuro che i risultati non dipendessero dal particolare campione di persone scelto ma le conseguenze sono state pressoché identiche. E’ chiaro che una esperienza ripetuta così tante volte con gli stessi risultati non può essere frutto di circostanze accidentali. Si tratta sicuramente un discorso da sviluppare, in quanto stiamo parlando di strumenti ancora in embrione ma, a mio avviso, già da questi primi timidi risultati emergono con forza l’efficacia e l’aspetto rivoluzionario del patrimonio socio-culturale che scaturisce dall’esperienza di fraternità universale proposta da Chiara Lubich.   (altro…)

Economia di comunione in dialogo con istituzioni politiche e civili

Economia di comunione in dialogo con istituzioni politiche e civili

L’Economia di Comunione (EdC) è sempre più una realtà in dialogo con istituzioni del mondo politico, civile, religioso, che vedono nel modello EdC un seme di risposta alle domande di solidarietà e di giustizia nel mondo dell’economia.

Riportiamo qui di seguito alcuni eventi in programma per il 2005:

  • Sportello di orientamento e di sostegno alle imprese del territorio secondo l’economia di comunione:nell’ambito del Quadro Cittadino di Sostegno del Comune di Roma, lo sportello offre un’attività di consulenza e orientamento per le imprese e altri servizi.
  • In varie città d’Italia, Europa e in Brasileprendono vita nuove scuole di formazione all’economia di comunione.
  • Secondo Convegno su economia e felicità All’Università di Milano/ Bicocca, con il professore indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1 16 – 18 giugno 2005

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EdC: Iniziative locali

Incontro tra la Federazione trentina delle cooperative ed Economia di Comunione

Una delegazione della Cooperazione Trentina si è recata in visita a Loppiano e al nascente Polo imprenditoriale “Lionello Bonfanti”. Da tempo i vertici della Federazione maturavano il desiderio di conoscere l’Economia di Comunione di cui avevano avuto notizia attraverso articoli o casuali contatti. La delegazione trentina era guidata dal Presidente dott. Diego Schelmi, insieme a 20 dirigenti, rappresentativi dei vari settori della produzione, del consumo, del credito e della cooperazione sociale.

Federazione Trentina delle Cooperative

Da 110 anni è il cuore della cooperazione attiva nella provincia di Trento, con oltre 180.000 soci in circa 630 società cooperative: 120 nel settore agricolo, 104 nel consumo, 66 nel credito e 340 nell’ambito del sociale, lavoro, servizi e abitazione. Attraverso la formazione dell’uomo-cooperatore e la promozione degli ideali cooperativi soprattutto fra i giovani, la Federazione contribuisce a mantenere vivo il patrimonio di storia e di solidarietà sociale del popolo trentino. Dall’incontro a Loppiano emerge come la Cooperazione Trentina – che ha una lunga tradizione di solidarietà, di operosità e di impegno nell’economia sociale e nel tessuto capillare del Trentino – costituisca una sorta di retroterra per l’Edc, se si guarda come parte integrante di quella cultura nella quale Chiara Lubich nacque e crebbe, tessuto sociale al nuovo carisma dell’unità che si sarebbe via via manifestato, diffuso e concretizzato anche in una nuova esperienza economica. Nell’intervento del prof. Luigino Bruni risulta significativa “L’importanza nell’economia di oggi di attuare due esigenze del Vangelo: essere ‘città sul monte’ -, la cittadella della Cooperazione in progetto a Trento da parte della Federazione, e i Poli industriali come laboratori economici per l’Edc – ed essere ‘sale e lievito’ – la capillarità delle cooperative nel territorio trentino, e le quasi 800 imprese di Edc immerse nell’imprenditoria di tutto il mondo. Ricorre una promessa: quella di consolidare la reciproca conoscenza, perché nelle due diverse esperienze economiche, si confermi l’impegno a formare persone che sappiano agire economicamente in modo evangelico e costruiscano e diffondano una nuova cultura economica. Alla fine della giornata si respira la forza genuina di due ispirazioni di solidarietà e di comunione che potranno efficacemente ‘cooperare’ per l’unità. ‘Unitas’ è, infatti, la frase incisa nello stemma centenario della Federazione delle cooperative trentine. E “Unità” declinata come “comunione” è lo scopo delle aziende e il fulcro del pensiero del Movimento economico di comunione.

Sportello di orientamento e di sostegno alle imprese del territorio secondo l’Economia di comunione

Nell’ambito del Quadro Cittadino di Sostegno del Comune di Roma, lo sportello ha in progetto di:

  • Offrire un servizio di consulenza e orientamento per le imprese
  • Facilitare l’acquisizione di competenze adeguate alla creazione di imprese mediante corso di formazione
  • Diffondere la conoscenza del modello Economia di Comunione anche nelle scuole del territorio
  • Sostenere e accompagnare gli imprenditori che aderiranno

Enti promotori: Comune di Roma – Municipio VII – Borgo Ragazzi don Bosco – Associazione “Nuove vie per un mondo unito”   (altro…)

Scuole di formazione all’Edc

Prima scuola sociale dell’economia di comunione

Cosa significa operare per un’ economia che dia spazio al principio di reciprocità, alle virtù civili, alla comunione?Può un’impresa al tempo stesso essere solidale ed efficiente? A queste ed altre domande cerca di rispondere la prima scuola sociale dell’economia di comunione, attraverso un ciclo di lezioni a Villapiana Lido (Cosenza). Il 21 gennaio c’è stata l’inaugurazione della scuola con il primo modulo di lezioni tenute dal prof. Luigino Bruni, con circa un centinaio di persone provenienti da tutta la Calabria e dalla Sicilia. Le altre lezioni si svolgeranno, con scadenza mensile, fino al maggio 2005. Nata in collaborazione con la Diocesi di Cassano all’Ionio, la scuola di formazione sociale si rivolge ad operatori economici, imprenditori, studenti e quanti sono interessati ad una visione di economia incentrata sul principio di reciprocità.

Calendario dei lavori 2005

21 gennaio: Inaugurazione 22 gennaio: Alcuni concetti fondamentali di una economia civile e di comunione – prof. Luigino Bruni 25/26 febbraio: Fiducia e incentivi nelle organizzazioni – prof. Vittorio Pelligra 18/19 marzo: Fiducia e incentivi nelle organizzazioni – dr. Giovanni Mazzanti e consulenti Gm&p consulting network 22/23 aprile: Bilancio sociale e bilancio a più dimensioni – dr.ssa Elisa Golin 20/21 maggio: Economia come impegno civile – prof. Stefano Zamagni

“Scuola Mediterranea dell’Economia di Comunione”

L’11 febbraio 2005, a Benevento (presso il Centro Mariapoli Faro) è stata inaugurata la Scuola Mediterranea dell’EdC, con partecipanti da Campania, Abruzzo, Puglia, Molise e Basilicata. Collegate in videoconferenza la Sicilia e la Sardegna, mentre la Calabria, e Malta erano collegate via audio. Approfondito il tema: “Dio amore e l’economia”, a cui sono seguite esperienze di imprese. Antonietta Giorleo e Luigino Bruni hanno svolto i temi di riflessione, mentre l’imprenditore pugliese Enzo Scarpa ha donato la sua esperienza di imprenditore EdC. E’ seguito un ricco e partecipato dialogo con i 250 presenti e con tutte le sedi collegate. I prossimi appuntamenti: 1 aprile e 3 giugno 2005.

Nuove scuole di formazione all’EdC

Croazia, Mariapoli Faro: il 29 e 30 Gennaio è stata inaugurata vicino Zagabria la Scuola di formazione all’EdC per il Sud-Est europeo. 140 i partecipanti, che, insieme ad Alberto Ferrucci e Luigino Bruni, hanno riflettuto sul significato dell’amore nella vita economica. Il 31 maggio l’EdC è stata presentata con due conferenze alla facoltà di Pedagogia e a quella di Economia nell’Università di Zagabria. Prima Scuola di Formazione per operatori nel Semiarido – Fortaleza, Brasile Nel luglio 2004 il Governo dello stato del Cearà aveva promosso un simposio con alcuni rappresentanti dell’EdC, per studiare insieme un progetto culturale nella zona del semiarido, dove vivono, in condizioni di disagio, oltre un milione di contadini. Da quel primo incontro è nata l’idea di una scuola di formazione, “Escola de economia humana do projeto sertão vivo”, che sarà inaugurato il prossimo 11 marzo a Fortaleza, con la presenza del Governatore dello Stato del Cearà, e del ministro dell’agricoltura.   (altro…)

La nostra gara del dare

La nostra gara del dare

In questo popolo nato dal Vangelo e ormai diffuso in tutto il mondo, ci sono anche bambine e bambini che condividono la spiritualità dell’unità e la vivono nella vita quotidiana secondo la loro particolare sensibilità. Al loro ultimo congresso mondiale, una bambina coreana ha chiesto a Chiara Lubich: «Tu ci insegni a dare sempre, senza risparmiare mai. Io però non ho tante cose da dare. Come posso fare?» La risposta è diventata un colorato libretto che illustra i molti modi del dare Dare in prestito una matita; dare un aiuto in cucina alla mamma; insegnare un gioco a chi non lo conosce; dare un ascolto a chi vuole essere ascoltato; dare una risposta gentile; dare una parte della merenda; dare il “buon giorno” con amore; dare perdono; dare un sorriso; dare un aiuto ai poveri; dare compagnia; dare un regalo; dare una mano; dare una gioia; dare una bella notizia. Alcuni flash dal mondo: Dare una bella notizia – In una città molto grande del Messico, Cecilia, Martina, e Alejandra sono state invitate a raccontare le loro esperienze alla radio locale. Si sono preparate insieme e hanno chiesto a Gesù di aiutarle. Cecilia ha raccontato dell’arte di amare, e Alejandra ha raccontato come ha amato un nemico. Martina dice al microfono: “Abbiamo decorato un salvadanaio dove mettiamo i soldi per i bambini poveri. Tutti i soldi che ricevo, li risparmio per comperare dei dolcetti, che poi vendo per guadagnare ancora di più per i poveri, perché in tutti c’è Gesù che mi dirà: ‘L’hai fatto a me’. Quest’anno con i soldi risparmiati abbiamo comperato coperte e maglioni per i poveri che stanno vicino alla porta della chiesa”. Dare compagnia – Un pomeriggio ero molto stanco e faceva molto caldo. Alcuni amici mi hanno invitato a giocare a pallone, ma il sole picchiava così forte che non ci volevo proprio andare. Poi ho pensato che potevo amarli e sono andato. Dopo un po’ uno di questi amici, vedendo che ero tutto sudato, è andato al bar e ha comprato un’aranciata per me. (A. – Pakistan) Dare consolazione – Un giorno stavo giocando con il più piccolo dei miei fratellini, mentre l’altro dormiva. La mamma mi ha mandato al mercato per comprare banane e verdure. Quando sono tornato, il fratellino che prima dormiva era già sveglio e piangeva. “E’ Gesù”, ho pensato, e l’ho preso a giocare con me. Per farlo contento abbiamo giocato con le biglie, il gioco che gli piace di più. Ero felice e il gioco è andato molto bene. (T. – Madagascar) (Esperienze e immagini sono tratte dal periodico Gen 4) (altro…)