Mar 23, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Nonostante i violenti scontri in Myanmar continua l’aiuto della comunità dei Focolari attraverso l’associazione “Goccia dopo Goccia” per testimoniare la fratellanza universale tra pandemia e rivoluzione. Ecco il viaggio di inizio marzo dei focolarini presenti in zona (le azioni si sono svolte seguendo le regole Covid previste dal Paese) Il Myanmar ancora oggi vive una rivoluzione iniziata lo scorso 22 febbraio dal nome ‘22222’. Questo Paese, formato da etnie diverse e ricco di bellezze naturali e di materie prime, dal 1947 al 2010 ha vissuto la più lunga guerra civile nella storia dell’umanità. Tra le varie rivoluzioni tentate: quella dell’8 agosto 1988 denominata ‘8888’ (con migliaia di morti) e quella del 2007, la rivoluzione ‘color zafferano’ per il grande numero di monaci buddhisti che iniziarono la protesta e che persero la vita. Negli scontri del 1988 migliaia di persone iniziarono a migrare verso il confine con la Thailandia, precisamente nella provincia di Tak, nella cittadina di Mae Sot, poi a Mae Hong Song, ed anche pìu a sud, verso Kanchanaburi. Oggi, dopo 32 anni, sono attivi ancora nove campi profughi con milioni di birmani che lavorano in Thailandia.
Dal 2011 è nato un ponte di solidarietà fra l’Italia e Mae Sot. La comunità dei Focolari di Latina nel centro Italia, insieme ad alcuni alunni dell’insegnante Maria Grazia Fabietti, hanno iniziato a far qualcosa per aiutare i bambini e le persone che vivono a confine fra la Thailandia e il Myanmar. “Per il 50-esimo compleanno di uno di questi amici italiani, Paolo Magli, vennero raccolti dei soldi per aiutare questi gruppi di etnia Karen (una popolazione fuggita dalla Birmania durante i conflitti e costretti da anni a vivere come profughi al confine tra Myanmar e Thailandia), sia nel campo profughi di Mae La e soprattutto fuori – spiega ancora Luigi -. Era l’inizizo di Goccia dopo Goccia. Oggi, questa realtà aiuta più di 3300 persone in tre paesi del sud est asiatico e collabora anche con l’associazione Charis di Singapore per portare aiuto a chi è stato colpito dalla povertà, dalla solitudine, dalle malattie e anche dalla pandemia. Vietnam, Thailandia e Myanmar rappresentano per noi la ‘possibilità di amare concretamente’: lì ci sono persone che hanno conosciuto lo spirito della fratellanza universale e oggi fanno di tutto per aiutare chi è escluso, emarginato, rifiutato, ammalato e solo”.
Goccia dopo Goccia aiuta tutti: persone di etnia Karen, Bama, Kachin, Thai Yai, oppure Xtieng e Hmong in Vietnam ma anche musulmani indigenti che sono in contatto con il focolare di Bangkok. A inizio marzo i focolarini sono andati a Mae Sot con un pulmino carico di generi alimentari, stoffa, giochi e tanto altro, come dimostra il video che vedete di seguito (le azioni si sono svolte seguendo le regole Covid previste dal Paese). Le donazioni sono arrivate da musulmani, buddisti, cristiani e tante persone in contatto con il focolare. “Ognuno è un fratello e una sorella – continua Luigi -. Vogliamo vivere una delle pagine pìu belle scritte da Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari tanti anni fa: “Signore, dammi tutti i soli: sento il mio cuore battere per tutta la solitudine in cui versa il mondo intero*’’. L’ultimo progetto nato aiuta sei mamme abbandonate a Mae Sot con i loro quindici bambini. “Abbiamo fatto arrivare due macchine da cucire e 15 kg di stoffa di cotone da poter tagliare e cucire, per fabbricare camicie, gonne e pantaloni per coloro che ne avessero bisogno – racconta Luigi -. È una gioia e una festa vedere come le persone si aiutano tra di loro. La fratellanza universale è una realtà che prende piede, giorno dopo giorno, e Goccia dopo Goccia rappresenta proprio questo”.
Lorenzo Russo
https://youtu.be/xv5W3hxZInc * Meditazione “Signore dammi tutti i soli” di Chiara Lubich – settembre 1949 (altro…)
Mar 22, 2021 | Chiara Lubich
Amare Dio e amare il prossimo quando si sta bene, è piuttosto facile. Ma quando si sta male, anche fisicamente, può diventare una sfida enorme. Chiara Lubich propone un programma di allenamento, per prepararsi bene, un programma che prevede anche il fallimento. Come tutti noi sappiamo, il nostro Ideale si può definire con una sola parola: amore. L’amore è tutta la nostra vita. L’amore è l’anima della nostra preghiera, del nostro apostolato, di tutte le espressioni della nostra esistenza. L’amore è anche la salute della nostra vita spirituale individuale, così come l’amore reciproco è la salute di noi come comunità, come Corpo mistico di Cristo. Quando amiamo, infatti, siamo a posto, tutti interi, davanti a Dio, sia che godiamo dell’integrità fisica, sia che siamo ammalati. Ma amare quando si è sani è facile: è facile amare Dio e i fratelli. Amare quando si è ammalati è più difficile. […] [Vorrei] porre a me e a voi ora una domanda: È giusto forse che chi si trova in momenti così difficili della sua vita terrena viva con tanto impegno lo sposalizio della sua anima con Gesù Abbandonato, e noi che abbiamo magari più salute fisica viviamo con mediocrità la nostra tensione alla santità? Dobbiamo sempre lasciare che Dio permetta nei nostri confronti delle prove speciali, di quelle che sembra tolgano il respiro, per farci decidere ad amarlo con totalitarietà? […] Allora […] non si può perdere tempo. Abbiamo tutti lo Spirito Santo in cuore e conosciamo le sue richieste, le sue indicazioni. È Lui che ci dice: Qui c’è da amare Gesù Abbandonato, in un dolore ad esempio o in una fatica; qui c’è da preferirlo in una virtù, nell’amore fraterno ad esempio; qui ancora c’è da sceglierlo in un aspetto dell’Opera o della Chiesa o dell’umanità… Dobbiamo fare il proposito di amarlo giorno per giorno, sempre, […] al 100%. E […] ripetere prima di ogni nostra azione: “Per Te”. Se ci spaventasse poi una vita così, […] ricordiamo la raccomandazione di Gesù: “A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6, 34). Occupiamoci, dunque, del volto di Gesù Abbandonato di oggi, di ogni momento. Per domani avremo altre grazie. Così metteremo da parte giornate piene, tutte consacrate a Lui. È con esse che costruiremo la nostra santità. Se poi ci tocca di fallire, di tradire, di bloccarci, sappiamo che anche al di là di tutte queste circostanze c’è il suo volto. Che ogni sera possiamo rispondere a noi stessi, o meglio a Gesù che ci interroga in fondo al cuore sul come è andata la giornata: “Bene, al 100%”. […] Col nostro abbraccio di Gesù Abbandonato al 100% il Risorto splende in noi e fra noi e dà testimonianza. […]
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 16 gennaio 1986) Tratto da: “Al 100%”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 228. (altro…)
Mar 19, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Nella periferia orientale di Lima in Perù la comunità dei Focolari assiste ogni giorno la gente che vive in estrema povertà, condividendo cibo, aiuti materiali, alfabetizzazione ed esperienze del Vangelo. Huaycán si trova nella periferia orientale di Lima (Perù). Dei 200.000 abitanti, il 90% sono immigrati dalle Ande, in fuga dalla povertà. Conservano le loro tradizioni e la loro lingua, il quechua, l’antica lingua degli Incas. Nelle parti più alte delle colline, la gente vive in estrema povertà. Le loro case hanno pavimenti in terra battuta e una sola stanza (i letti accanto alla cucina), mancano di acqua potabile, elettricità, fognature…. La maggior parte di loro sono venditori ambulanti. Alcune donne fanno le pulizie in casa e alcuni uomini sono operai edili o raccoglitori di rottami. La comunità di Lima ha guardato e scelto questa “ferita di Cristo” per amarla con predilezione. “Siamo arrivati a Huaycán – ricorda Elsa – nel 1998, quando Tata, Carmen, Maria e Milagros ed io portammo la Parola di Vita ad una comunità vicina alla “Scuola Fe y Alegría” delle Suore Francescane. Poi si sono aggiunti Elba, Mario, Lula, Yeri, Fernando e Eury, Cristina… Siamo andati nelle zone alte delle colline e abbiamo condiviso con i più poveri dei poveri le esperienze del Vangelo. Hanno sofferto di malattie, violenza familiare, promiscuità, disoccupazione, droga, fame”. “Ci sedevamo sulle pietre – dice Elba – poi, man mano che diventavano più sicuri, tiravano fuori le loro sedie. In inverno, ci invitavano nelle loro umili stanze. Lì abbiamo incontrato Olinda, la cuoca della scuola, che ha aperto la sua casa per incontrarci. Una bella persona, il nostro punto di riferimento locale. La morte di suo figlio prima e la sua morte improvvisa poi, ci hanno causato molto dolore”.
Per alleviare i bisogni, la comunità di Lima ha lanciato diverse iniziative: aiuti materiali, sostegno educativo per i bambini, formazione e alfabetizzazione per gli adulti, sostegno psicologico, follow-up e assistenza sanitaria, vendita di vestiti di seconda mano. “Ogni anno festeggiamo insieme il Natale e la festa della mamma, organizziamo gite e alcuni partecipano alla Mariapoli annuale – ricorda Mario -. Una coppia, dopo essersi preparata, si è sposata durante una delle Mariapoli, in presenza dei loro cinque figli e parenti. È stato un evento che ha segnato la loro vita, come la vita di tanti altri che hanno incontrato il Dio dell’Amore”. “Con la pandemia – continua Cristina – molti hanno perso il lavoro e non hanno abbastanza per nutrire i loro figli. Ci siamo organizzati con alcune famiglie per procurare il cibo necessario e distribuirlo ai più bisognosi. Una donna ha installato un forno, che era rimasto inattivo, per produrre pane. Da marzo a giugno, abbiamo distribuito 140 cesti di cibo e 12.720 pani. Abbiamo incontrato la comunità più povera Granja Verde, bisognosa di una sala da pranzo dove preparare il cibo. Ci siamo organizzati: hanno offerto un pezzo di terra e hanno posato il pavimento di cemento. Abbiamo fornito la cucina con gli utensili necessari e un serbatoio di 2.500 litri di acqua potabile. La sala da pranzo è stata inaugurata il 15 novembre 2020 e ha iniziato a funzionare il giorno seguente. Oggi produciamo 100 pasti al giorno. Sappiamo, come ci ricorda Papa Francesco, che se ci dimentichiamo dei poveri, Dio si dimenticherà di noi. Huaycán, il punto dolente di Cristo, è il nostro preferito e la nostra grande opportunità di ottenere la benedizione di Dio”.
Gustavo E. Clariá
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Mar 18, 2021 | Testimonianze di Vita
Considerare “fratelli tutti” – come dice Papa Francesco – ci aiuta ad allargare i nostri orizzonti. “Date e vi sarà dato” Padre David, del Kenya, racconta: “aiutavo un ragazzo rifugiato povero, che avevo conosciuto durante la missione nel campo profughi Kakuma, nel nordovest del Kenya, pagandogli la scuola. Ma dopo un po’ non avevo più soldi per portare avanti questo sostegno; così gli ho spiegato questa difficoltà e ci siamo salutati. Dopo qualche tempo questo ragazzo ha inviato attraverso i social media un messaggio chiedendo di nuovo aiuto: ho avvertito tanta sofferenza nel non poterlo aiutare. Allora ho deciso di vendere una mucca che avevo a casa dei miei genitori, per pagargli la scuola. Lui è stato molto felice di ritornare finalmente alle lezioni. Nella nuova parrocchia dove vivo da quasi una un anno, i parrocchiani un giorno hanno deciso di farmi visita perché avevano saputo che il mio papà non stava bene in salute. Tra i regali che hanno portato c’erano tre mucche. Non potevo crederci: mi sembrava che Dio mi volesse dire soprattutto le parole “una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo”. Padre David, Kenya “Per i miei fratelli in Libano” Dopo la catastrofe del 4 agosto 2020 a Beirut in Libano, mi sono chiesto cosa potessi fare per aiutare quella terra già così martoriata. Dopo qualche giorno sarebbe arrivato il mio compleanno: 40 anni. La mia famiglia e i miei amici volevano festeggiarmi, anche solo con una cena. Ho pensato: è l’occasione giusta per aiutare la popolazione libanese. Così ho chiesto a tutti gli inviati alla cena di non farmi regali ma di contribuire economicamente al mio progetto in aiuto per Beirut. A fine serata, lo stupore nel contare i soldi raccolti: ben 600 euro! Mai immaginavo di arrivare a questa cifra anche perché alla cena c’erano pochi invitati a causa delle restrizioni per il Covid-19. Questo gesto ha però scatenato una reazione a catena fra gli amici: Emilia per la sua laurea ha dato il ricavato per un altro progetto, Francesco per il suo compleanno ha fatto un’adozione a distanza, e poi ancora i bimbi del quartiere, saputa della nostra iniziativa al compleanno, hanno dedicato il ricavato di un mercatino che hanno fatto con materiali di riciclo, sempre per il Libano! Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date…è questo in cui crediamo fortemente, sempre, quando riceviamo e quando diamo. L., Ischia (Italia) “Da un panino al centuplo per i poveri” Una volta sono stato in una paninoteca, in attesa di comprare un panino; avevo appena i soldi per uno solo. Uscendo dal negozio, ho visto una signora che guardava tutti quelli che mangiavano. Mi sono accorto che aveva fame e che aspettava qualcuno che le offrisse qualcosa da mangiare. Ho preso il mio panino e gliel’ho dato. Ho pensato tra me e me, posso sempre mangiare qualcosa più tardi. Era felicissima. Poi l’ho portata al negozio di frutta e ho chiesto al fruttivendolo se poteva darle della frutta che gli avrei pagato il giorno dopo, perché in quel momento non avevo soldi. Il fruttivendolo ha dato volentieri a questa signora non solo un frutto, ma una borsa piena, gratis. Ero così felice di vedere come un piccolo panino può diventare una catena del centuplo. Mumbai (India)
Lorenzo Russo
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Mar 17, 2021 | Cultura, Sociale
Dichiarazione congiunta di SIGNIS, Pax Christi International e il Movimento dei Focolari in solidarietà con il popolo di Myanmar SIGNIS, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, ascolta il grido del coraggioso popolo birmano nella resistenza non violenta al colpo di stato militare del Myanmar che ribalta un’elezione legittima e democratica.
Siamo accompagnati da Pax Christi International e dai suoi membri nella regione Asia-Pacifico che, nella loro dichiarazione di febbraio sullo “Stato di emergenza” in Myanmar, hanno già espresso gravi preoccupazioni per la situazione nel Paese. Allo stesso modo, il movimento internazionale dei Focolari si unisce a noi in solidarietà con il popolo birmano. Ogni giorno persone coraggiose, tra cui molti giovani, tornano in piazza per protestare pacificamente, nonostante gli spari dei soldati. Come simbolo della loro protesta, segno della giusta rabbia del popolo verso i militari, sentiamo il fragore di pentole e padelle, secondo l’usanza birmana per proteggersi dagli spiriti maligni. Assistiamo alla detenzione arbitraria – con accuse fabbricate – di membri del governo democraticamente eletto, nonché di leader civili e religiosi che hanno preso parte alla lunga lotta per la democrazia. Rifiutiamo la campagna di disinformazione dei militari del Myanmar volta a giustificare le loro azioni, perché un’informazione veritiera è importante in una democrazia. Chiediamo la protezione dei giornalisti arrestati e molestati per aver condiviso con il resto del mondo notizie e informazioni su ciò che sta accadendo sul campo; dovrebbero invece godere della libertà di stampa. Deploriamo l’estremo autoritarismo che ha calpestato la costituzione della nazione, che di fatto – pur mantenendo gran parte del potere nelle forze armate – consentiva una limitata democrazia. Nonostante le sfide, il Myanmar stava muovendo i primi passi verso la democrazia, dando alla gente speranza per un nuovo futuro. Questa speranza dovrebbe essere restituita. Soprattutto ascoltiamo il messaggio del popolo del Myanmar: questo colpo di stato riguarda essenzialmente il loro rovesciamento, della loro volontà. In ultima analisi, non si tratta di rimuovere gli oppositori politici o il presunto ordine pubblico. Esso annulla anni di paziente lavoro per i diritti fondamentali dei cittadini e schiaccia i tenui sogni di un paese libero e democratico. Come organizzazioni cattoliche, ci uniamo a Papa Francesco e ai leader civili e religiosi di tutto il mondo che hanno condannato il colpo di stato e chiedono un “dialogo significativo” per ripristinare la democrazia. Inoltre, ci uniamo ad altre organizzazioni nel chiedere:
- il rilascio di Aung San Suu Kyi e di altri funzionari e leader detenuti;
- ai militari uno stop alla violenza e alla detenzione arbitraria di manifestanti pacifici e giornalisti;
- giustizia e responsabilità per le atrocità commesse dall’esercito contro il popolo Rohingya e altre minoranze etniche, nonché la prevenzione di tali crimini e abusi in futuro;
- ai membri della comunità internazionale, in particolare nella regione Asia-Pacifico, di fare pressione sul regime affinché si dimetta e ristabilisca la democrazia, e di non sfruttare la situazione per i propri interessi geopolitici.
Chiediamo ai membri di SIGNIS, di Pax Christi International e del Movimento dei Focolari in tutto il mondo di dare voce al grido del popolo birmano contattando i media locali e nazionali per segnalare la situazione e sollecitando i loro governi a intraprendere forti azioni diplomatiche per opporsi al colpo di stato e riportare la democrazia in Myanmar. La nostra missione come organizzazioni è promuovere la pace. Con l’arcivescovo di Yangoon, card. Charles Maung Bo, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, sosteniamo: “La pace è possibile. La pace è l’unica via. La democrazia è l’unica luce verso questo percorso”. Scarica la dichiarazione (altro…)
Mar 15, 2021 | Chiara Lubich
La scelta di amare Gesù nel suo abbandono in croce e di preferirlo ad ogni altro amore, è diventata per Chiara Lubich come una bussola che dava orientamento alla sua vita e la rendeva libera di tante preoccupazioni. […] Abbiamo osservato come la chiamata a seguire Gesù Abbandonato in modo radicale non è stata di una sola volta, e cioè all’inizio del Movimento. Di tanto in tanto infatti, durante questi anni, il Signore ce l’ha risottolineata con episodi, o particolari considerazioni. Così è successo a me nel 1954. […] Diventava per la prima volta sacerdote un focolarino. Io dovevo portarmi da Roma a Trento, per l’ordinazione di don Foresi da parte dell’Arcivescovo di Trento. Non stando però bene in salute, si era pensato di farmi fare il grosso del viaggio in aereo. Appena salita sul velivolo, una hostess molto gentile, per facilitarmi il viaggio, ha pensato di farmi entrare nella cabina di pilotaggio. In quel posto sono stata subito impressionata dal magnifico panorama che vi si poteva osservare: ampio, completamente aperto, per la carlinga tutta di vetro. Ma non è stato il panorama che ha colpito maggiormente il mio spirito. È stata piuttosto una sommaria spiegazione del pilota su ciò che è importante per guidare un aereo. Mi ha detto che, per un viaggio diretto e sicuro, occorreva anzitutto fissare la bussola sul punto di arrivo. Poi, lungo il cammino, si sarebbe dovuto vigilare perché l’aereo non deviasse mai dalla rotta stabilita. Seguendo questa spiegazione, feci immediatamente nel mio animo un parallelo fra quello che è un viaggio in aereo in questo mondo, e quello che è il viaggio della vita: oggi direi il “Santo Viaggio”. Mi parve di capire che occorreva anche qui fissare in partenza, con precisione, la rotta, la strada della nostra anima, che è Gesù Abbandonato. Poi, lungo tutto il tragitto, far solo una cosa: rimanergli fedele. Sì, la via a cui Dio chiama tutti noi è solo questa: amare Gesù Abbandonato sempre. Ciò significa abbracciare tutti i dolori della propria esistenza. Significa praticare l’amore, adeguando sempre la nostra volontà alla sua. […] Amare Gesù Abbandonato vuol dire conoscere la carità; sapere come si fa ad amare i propri prossimi (come Lui, fino all’abbandono). Amare Gesù Abbandonato sempre significa mettere in pratica tutte le virtù, che Egli in quel momento ha vissuto manifestamente in modo eroico. […] Penso di poter affermare che puntare l’ago della nostra anima su Gesù Abbandonato è quanto di meglio possiamo fare per continuare e finire il viaggio santo e per percorrerlo anche con una certa facilità. Se il pilota, che ho osservato tutto libero nei movimenti, non usa redini come per guidare un carro, né volante come per un’automobile, anche noi se sistemiamo l’ago della nostra bussola spirituale su Gesù Abbandonato, non avremo necessità di altro espediente per arrivare sicuri alla meta. E come nel viaggio in aereo non si conoscono le sorprese delle curve perché si corre in linea d’aria, né si conoscono montagne perché ci si pone immediatamente su grandi altezze, anche nel nostro viaggio, con l’amore a Gesù Abbandonato ci si mette subito in alto, non ci spaventano gli imprevisti, né si sentono tanto le fatiche delle salite, perché, per Lui, sorprese e fatiche e sofferenze sono già tutte previste e attese. Fissiamo dunque la bussola su Gesù Abbandonato e rimaniamogli fedeli. Come? Al mattino, al primo risveglio, puntiamo l’ago su Gesù Abbandonato col nostro “Eccomi”. Poi, durante il giorno, di tanto in tanto, diamogli un’occhiata: vediamo se siamo sempre in linea con Gesù Abbandonato. Se così non sarà, con un nuovo “Eccomi” riassestiamoci nuovamente e il viaggio non sarà compromesso. […] Se faremo il viaggio della vita in compagnia di Gesù Abbandonato, potremo anche noi alla fine ripetere la famosa frase di santa Chiara: “Va’ sicuramente [sicura] anima mia, imperocché buono compagno hai tu nel tuo cammino. Va’ che Colui che t’ha creata, t’ha sempre guardata e t’ha santificata”. […]
Chiara Lubich
(in una conferenza telefonica, Rocca di Papa, 5 gennaio 1984) Tratto da: “Fissare la bussola”, in: Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova Ed., 2019, pag. 139. (altro…)
Mar 14, 2021 | Chiara Lubich
Oggi, 14 marzo ricorre il tredicesimo anniversario dalla scomparsa di Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari. Da quel 14 marzo 2008 in questa stessa data, le comunità dei Focolari sparse in tutti i continenti si ritrovano per ricordarla e per pregare insieme, ricordandosi della consegna che lei ha affidato al Movimento: “siate una famiglia”. «Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: “Siate una famiglia”». https://youtu.be/QKwgvxsUU2E (altro…)
Mar 13, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Dall’impegno di una piccola comunità dei Focolari verso i più vulnerabili, nasce, in un paese della selva peruviana, un Centro per gli anziani intitolato alla fondatrice del Movimento.
Quattro anni fa, io Jenny con mio marito Javier e le nostre 3 figlie, arrivammo dall’Argentina con l’intenzione di abitare nel profondo Perù. Portavamo dentro di noi l’Ideale dell’Unità. Appena arrivati a Lámud, paese immerso nell’Amazzonia, sapendo che il Vescovo della Diocesi vi si trovava di passaggio, corremmo a salutarlo e ci presentammo come membri del Movimento dei Focolari. “Che bello che i focolari sono arrivati in Amazzonia!”, ci disse e ci diede la sua benedizione, con l’augurio di andare avanti. Allora ci mettemmo d’accordo con il parroco, il quale ci chiese di farci carico della Pastorale Sociale e della Catechesi Familiare dei paesi che fanno parte della parrocchia. Quindi, andammo in periferia per prendere contatto con la realtà sociale del posto, alcune volte accompagnati anche dalle nostre figlie. Scoprimmo una Lámud nascosta, piena di tanta sofferenza.
Decidemmo di cominciare dagli ultimi e ci accorgemmo che erano gli anziani, della terza età. Alcuni di loro non avevano nemmeno un letto degno, dove morire. Avevamo presente la meditazione di Chiara Lubich: “Una città non basta”. Facemmo il giro delle periferie del paese cercando quelli che erano soli, abbandonati, per portare loro una carezza, una parola di speranza, alimenti, vestiti e chiedevamo loro di pregare per noi, poiché iniziavamo la nostra avventura in questi luoghi, del tutto nuovi, per noi. Trascorso un po’ di tempo, abbiamo cominciato a sognare di poter dare agli anziani una casa degna, un pasto caldo e, la cosa più importante, che si sentissero accompagnati e non più da soli. Un sogno che, se da una parte sembrava lontano, dall’altra ci sembrava quasi a portata di mano, tanto che ci dicevamo: “Sì, noi possiamo! Dobbiamo fare qualcosa di più concreto che una semplice visita”. Insieme elaborammo un progetto: poche linee, ma ogni frase ci incoraggiava di più ad andare avanti. Pensammo anche al nome da dare alla casa. Ci guardammo negli occhi e decidemmo che si sarebbe chiamata: “Hogar y Centro de Día para Adultos Mayores, Chiara Lubich” (“Casa e Centro diurno per anziani, Chiara Lubich”).
Intanto, il nostro sogno prendeva forma. Ci sono stati tanti fatti e contatti con alcune persone che erano entusiaste del progetto. Jenny, intanto, aveva fatto diverse esperienze di volontariato in Argentina. Per lei si offrì l’opportunità di essere assunta dal Comune del Distretto di Lámud, per lavorare proprio per gli anziani della terza età! Infine, ci sentimmo animati dalle parole del Papa che invitava noi laici a lavorare in favore dei più vulnerabili, ancor di più in questo tempo di pandemia. Ci furono, insomma, tante belle coincidenze che ci fecero pensare che Gesù sarebbe stato contento di vedere nascere un’Opera per gli ultimi, nella Selva Peruviana. Cioè una casa degna, per gli anziani della terza età di questa provincia amazzonica. Nel frattempo, vedemmo che tutto avveniva in modo vertiginoso. Così, confidando pienamente nella Provvidenza di Dio e nella forza della preghiera, fummo sempre più consapevoli che Gesù non ci avrebbe lasciato da soli e fummo certi che, insieme alla nostra piccola comunità, non saremmo stati mai soli. In quei giorni, firmammo il contratto di affitto per la casa e portammo avanti le pratiche legali per costituirci in un’Associazione senza fini di lucro. Un gruppo di persone della comunità volontariamente si era già unita al progetto. Avevano risposto con un “Sì” fortissimo, all’impegno di lavorare per il bene delle persone più vulnerabili del paese di Lámud e della Provincia di Luya (Dipartimento di Amazonas). Preparammo subito il luogo per poter cominciare ad offrire agli anziani un pasto caldo al giorno, fornito dal Comune. E così ora, pian piano, valutiamo ogni passo da fare per raggiungere la meta, e cioè offrire agli anziani, a rischio di solitudine e abbandono, non solo gli alimenti ma anche la possibilità di risiedere stabilmente, nel Centro. Ma più che titoli, nomi e statuti, il nostro desiderio è che nella casa regni quel clima di unità, di armonia e di famiglia che Chiara Lubich ci ha lasciato come eredità, ed è per questo motivo che il Centro porta il suo nome. https://youtu.be/bqRSzfxmLS8 Jenny e Javier, con la comunità di Lámud (Dipartimento Amazonas, Perù)
Esperienza raccolta e tradotta da Gustavo E. Clariá
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Mar 12, 2021 | Chiesa, Dialogo Interreligioso
La categoria imprescindibile del pontificato di papa Francesco, confermata anche in Iraq, è la fraternità. La sua testimonianza personale ed ecclesiale, il suo magistero e le sue relazioni con il mondo musulmano, fanno ormai della fraternità una cifra geopolitica. Lo storico incontro con al-Sistani.
Da più parti, in questi giorni, si cerca di fare un bilancio del viaggio di papa Francesco in Iraq. Penso che sia difficile, se non impossibile, tentarne uno esauriente. Troppi i temi coinvolti e, soprattutto, siamo troppo vicini, a ridosso immediato di un evento globale articolato, che solo con il passare del tempo si potrà comprenderlo in tutte le sue valenze. Ovviamente alcuni elementi più di altri hanno colpito l’immaginario di chi ha seguito i vari avvenimenti in un contesto che, per certi versi, nella sua cruda realtà rischiava quasi di apparire surreale. Se pensiamo ai viaggi papali inaugurati da Woityla a partire dal 1979, eravamo abituati a ben altri scenari e sfondi: folle oceaniche, preparazione coreografica che spesso rasentava la perfezione e, soprattutto, eventi che lasciavano l’immagine, soprattutto nei primi anni dell’era del papa polacco, di una fede forte, al centro della storia, in contrapposizione con il mondo ateo da cui il papa polacco veniva. Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha introdotto l’idea di una Chiesa incidentata e paragonata ad un ospedale da campo, in questi anni è impegnato a trasmettere questa immagine di Chiesa e lo ha fatto praticamente dovunque è andato. Fin dal suo primo viaggio ufficiale a Lampedusa, porto e cimitero di migranti, passando per Bangui, dove ha voluto inaugurare il suo Giubileo inatteso e straordinario, per arrivare a Mosul, dove il palco aveva come sfondo macerie e muri ancora perforati da proiettili di vario calibro. E non possiamo dimenticare Tacloban, dove ha sfidato un imminente tifone per stare accanto ai sopravvissuti di un altro evento catastrofico; Lesbo dove ha passato senza fretta tempo prezioso ascoltando le storie inenarrabili di profughi di varie provenienze. Ma la lezione di Francesco non riguarda solo l’impegno a mostrare che il volto più prezioso della Chiesa è quello incidentato. È piuttosto il modo con cui mostra la prossimità, il calore necessario per far sentire a chi soffre la comunità cristiana. Soprattutto è impegnato a proiettare queste comunità sul palcoscenico mondiale, per dire che quella è la Chiesa vera, che tutti dobbiamo avere a cuore e che testimonia in modo reale Cristo. Come ha detto sul volo di ritorno, Bergoglio respira in questi frangenti, perché è questa la sua chiamata petrina, quella per la quale il conclave lo ha eletto pur senza sapere ed immaginare dove avrebbe condotto la barca di Pietro. Lo stiamo tutti vedendo e sperimentando in questi anni. Ed i viaggi ne sono lo specchio probabilmente più veritiero, che non tradisce e non lascia adito alcuno a malintesi. D’altra parte non è nulla di nuovo. Come i suoi predecessori, il papa argentino dimostra di saper leggere e decodificare i segni dei tempi ed offre testimonianza credibile al fatto che la Chiesa è testimone nel tempo, intercettandone le problematiche ed i nodi-chiave, offrendo risposte spesso contro corrente rispetto a quelle che il mondo politico, internazionale e, oggi, finanziario impongono. Di fronte alla realtà che Francesco si è trovato a vivere, compresa quella senza precedenti (almeno in questi termini) della pandemia, la categoria imprescindibile del suo pontificato, confermata anche in Iraq, è la fraternità. La testimonianza personale ed ecclesiale di Bergoglio, il suo Magistero e le sue relazioni, soprattutto ma non solo, con il mondo musulmano, ne fanno ormai una cifra geopolitica. Lo ha dimostrato anche il suo incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani. Le implicazioni di quei quarantacinque minuti sono fondamentali. Tutti sappiamo, infatti, che il grosso nodo che l’islam oggi deve sciogliere è interno al suo mondo: la tensione mai sopita ma ora pericolosamente acuita fra la sfera sunnita e quella sciita. È qui che si devono ricercare le radici di molti dei problemi che i musulmani vivono e per i quali, anche, molti muoiono. Bergoglio ha mostrato grande tatto politico nel voler incontrare al-Sistani, il rappresentante più significativo dello sciismo spirituale, ben distanziato dalla teocrazia iraniana che dalla rivoluzione khomeinista degli anni Ottanta del secolo scorso, ha spinto il mondo iraniano ad essere paladino di questa frangia del caleidoscopio musulmano. Al-Sistani ha sempre preso le distanze dalla scelta teocratica degli ayatollah iraniani, ed è da decenni un leader spirituale e religioso riconosciuto. Fra l’altro è nato in Iran. L’incontro fra i due è avvenuto a porte chiuse, ma come lo ha descritto papa Francesco nel volo di ritorno, è stato un momento di spiritualità, «un messaggio universale. Ho sentito il dovere, […] di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio. E solo ascoltandolo si percepisce questo. […] E lui è una persona che ha quella saggezza … e anche la prudenza. […] E lui è stato molto rispettoso, molto rispettoso nell’incontro, e io mi sono sentito onorato. Anche nel saluto: lui mai si alza, e si è alzato, per salutarmi, per due volte. È un uomo umile e saggio. A me ha fatto bene all’anima, questo incontro. È una luce». Bergoglio ha poi azzardato un apprezzamento che forse nessun papa aveva avuto il coraggio di esprimere in passato: «Questi saggi sono dappertutto, perché la saggezza di Dio è stata sparsa per tutto il mondo. Succede lo stesso anche con i santi, che non sono solo quelli che stanno sugli altari. Sono i santi di tutti i giorni, quelli che io chiamo “della porta accanto”, i santi – uomini e donne – che vivono la loro fede, qualunque sia, con coerenza, che vivono i valori umani con coerenza, la fratellanza con coerenza». Tutto questo non è passato inosservato. I commenti positivi sono piovuti da più parti, cominciando proprio dal mondo musulmano. Sayyed Jawad Mohammed Taqi Al-Khoei, segretario generale dell’Istituto Al-Khoei di Najaf, esponente di spicco del mondo sciita iracheno e direttore dell’Istituto Al-Khoei che fa parte dell’Hawza di Najaf, un seminario religioso fondato quasi mille anni fa per gli studiosi musulmani sciiti, è stato molto chiaro nei suoi apprezzamenti. «Sebbene questo sia il primo incontro nella storia tra il capo dell’establishment islamico sciita e il capo della Chiesa cattolica, questa visita è il frutto di molti anni di scambi tra Najaf e Vaticano e rafforzerà senza dubbio le nostre relazioni interreligiose. È stato un momento storico anche per l’Iran». Al-Khoei ha affermato l’impegno a «continuare a rafforzare le nostre relazioni come istituzioni e individui. Presto ci recheremo in Vaticano per assicurarci che questo dialogo continui, si sviluppi e non si fermi qui. Il mondo deve affrontare sfide comuni e queste sfide non possono essere risolte da nessuno stato, istituzione o persona, da soli». L’agenzia AsiaNews riporta anche alcuni commenti positivi apparsi sulla stampa iraniana, che ha dato ampio risalto e celebrato come “opportunità per la pace” lo storico incontro. La notizia è stata il titolo di apertura di quotidiani e organi di informazione della Repubblica islamica. Sazandegi, una storica pubblicazione vicina all’ala riformista, sottolinea che i due leader religiosi sono oggi «i portabandiera della pace mondiale». E ha definito il loro faccia faccia nella casa del leader spirituale sciita «l’evento più efficace [nella storia] del dialogo tra le religioni».
Roberto Catalano
fonte: Città Nuova (altro…)
Mar 11, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Microcredito e microfinanza comunitari per sostenere la crescita dei progetti in espansione. La testimonianza di Rose sull’importanza dell’iniziativa sostenuta dall’Amu. BIRASHOBOKA in kirundi significa “SI PUÒ FARE”. È da questa convinzione che è nato in Burundi (Africa) il progetto di Microcredito e Microfinanza comunitari. Nonostante le grandi difficoltà in cui versa ancora il Paese – è il secondo più densamente popolato in Africa ed è uno dei cinque Paesi con gli indici di povertà più alti al mondo – l’Amu, Azione per un Mondo Unito-Onlus, organizzazione non Governativa di Sviluppo che si ispira alla spiritualità del Movimento dei Focolari, sostiene da diverso tempo le capacità delle comunità locali. Dal 2007 infatti, in piena sinergia con l’organizzazione senza scopo di lucro CASOBU (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi) aiuta le famiglie locali in un percorso di formazione e miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Con il progetto “Si può fare!” mira a creare gruppi di microcredito comunitario i cui membri possano auto-sostenersi per la creazione di attività lavorative e, nella seconda fase, creare un gruppo di microfinanza comunitaria per sostenere la crescita dei progetti in espansione. “Nel mio gruppo abbiamo iniziato 13 anni fa – racconta Rose -. Con il primo credito ottenuto, ricordo benissimo di non aver fatto niente di particolare, ho comprato vestiti e beni che mi servivano, ma il resto l’ho sprecato. All’inizio non sapevo come intraprendere un’attività e quello che succedeva spesso era di avere difficoltà a ripagare i crediti ricevuti. Poi ho capito che non potevo continuare a prendere un prestito senza un progetto concreto e ho finalmente deciso di avviare il progetto del ristorante con i primi 300.000 Fbu (150 €). Ho iniziato a comprare le pentole, i piatti e poco a poco ho aperto il ristorante. Era il 2009, non avevo ancora nessun lavoratore. A quel tempo i miei figli mi aiutavano in cucina e io prendevo l’autobus per portare il cibo in città dove avevo i miei clienti.
Quando hanno iniziato a conoscermi e sono aumentati i clienti, ho potuto assumere i lavoratori. Sono orgogliosa che attraverso lo stipendio che ricevono anche io partecipo alla realizzazione dei loro sogni.” Rose, felice di aver intrapreso questo percorso, oggi riesce ad assicurare uno stipendio ad altre 5 famiglie oltre la sua. Ora vorrebbe migliorare e far crescere la sua attività, prendendo ad esempio in affitto una casa più grande, dove potrebbe cucinare e ridurre i costi del ristorante e degli spostamenti. È una decisione molto coraggiosa perché c’è da sostenere un investimento importante e Rose non ha i requisiti e le garanzie necessarie per accedere ad un prestito da una qualsiasi banca. E proprio per Rose e per molte altre persone che come lei vorrebbero far crescere le loro attività, è nato il progetto di AMU e CASOBU, che sostiene l’avvio di un’istituzione di Microfinanza comunitaria per offrire servizi di risparmio e credito alle persone con grandi sogni ma ancora oggi non bancabili. Per sostenere il progetto clicca qui
Lorenzo Russo
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