Igino Giordani fu un precursore dell’ecumenismo. La sua sensibilità ecumenica nacque quando, nel lontano 1927, si imbarcò su una nave per gli Stati Uniti d’America, per andare a studiare la Biblioteconomia per conto del Vaticano. Qui scoprì ciò che ancora non conosceva: i cristiani di varie denominazioni, e rimase colpito dalla loro religiosità. In molti scritti posteriori Giordani affermò che il dialogo, e quindi il dialogo ecumenico, ha il suo modello nelle relazioni trinitarie, perciò pone tutti sul medesimo piano di amore. La comunione chiama tutti al dialogo, nella stessa misura bisogna donarsi per creare l’unità. «Per eliminare le divisioni, in passato si polemizzava; oggi si preferisce il confronto rispettoso delle idee, si cerca la convergenza, la riconciliazione. Oggi si è meglio compreso che l’unità non è statica, ma dinamica, e cresce in quantità e qualità. Perciò col dialogo, che segna una “svolta storica” innovatrice, finisce la polemica, l’urto, la scomunica, viceversa comincia la comprensione, e l’acquisto delle verità e virtù degli altri. Il dialogo, per il quale si incontrano esponenti di due o più chiese, non è propaganda né accademia. Il possesso della verità non impedisce la penetrazione inesauribile dei misteri, né il reale progresso dei dogmi. Il dogma va approfondito, reinterpretato. «Il dialogo ecumenico non nasce dalle differenze dottrinali che ci sono tra i due (o più), ma dall’unità che già esiste tra loro, dal patrimonio comune a tutti. Il clima psicologico del dialogo è la simpatia, o meglio, la carità. Dice Maritain: “Una perfetta carità verso il prossimo e una perfetta fedeltà alla verità sono non soltanto compatibili, ma si richiamano a vicenda”. Per la funzione profetica del Popolo di Dio, il cristiano deve comunicare le verità che possiede e lasciarsi comunicare le verità possedute dall’altro. Per tale funzione profetica, il cristiano non deve limitare il dialogo all’aspetto teologico (e farne un lavoro da specialisti). L’unità non è solo un problema tecnico e teologico, è problema di carità. «Gli interlocutori devono trattarsi alla pari. Stima reciproca, niente sottintesi o furberie, niente parole offensive. Tale parità non significa confusione o conguaglio di dottrine. Significa coscienza di appartenere entrambi al Corpo Mistico di Cristo. Devono accettare il pluralismo, riconoscendo ogni legittima diversità. Sono più forti le cose che uniscono i fedeli che quelli che li dividono (Gaudium et spes, 92). Diversamente il dialogo si riduce a monologhi alternati. Tutti i cristiani sono chiamati all’esercizio del dialogo. Possono giovarsi per questo d’ogni incontro (lavoro, turismo, studio, ecc.). Non si ammettono steccati tra una confessione e l’altra: ma si aprono tutte le porte per arrivare all’incontro e al dialogo. L’opera è lunga e difficile, ma Dio la vuole».
Essere operatori di pace
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