Movimento dei Focolari

Spiritualità dell’unità: la Chiesa

Dic 4, 2011

Sin dagli inizi dei Focolari, si ebbe la visione della Chiesa come comunione, affermata successivamente dal Concilio Vaticano II. Da qui l’amore per essa e l’impegno a viverla nell’attuazione del comandamento nuovo.

Ancora negli anni quaranta, agli albori del Movimento, un giorno il vescovo mandò a chiamare le ragazze di Trento. Chiara Lubich era in pensiero, non conoscendone il motivo. Le giovani si erano perciò presentate nel vescovado, in piazza Fiera, dopo lunghe preghiere. Avevano esposto quello che stavano realizzando nella città. Nei fatti una vera rivoluzione che cresceva nelle loro mani, quasi senza che se ne rendessero conto. Erano tuttavia pronte, per loro esplicita ammissione, anche a distruggere tutto quanto si era costruito in quei mesi favolosi, se egli l’avesse solo desiderato. «Nel vescovo – pensavano – è Dio che parla». E Dio solo importava loro, null’altro. Mons. Carlo De Ferrari, dell’Ordine degli Stimmatini, aveva in quell’occasione ascoltato Chiara e le sue prime compagne, e aveva pronunciato una frase che rimarrà negli annali: «Qui c’è il dito di Dio». La sua approvazione e la sua benedizione accompagneranno il Movimento fino alla sua morte. Come accadde, ad esempio, quando, moltiplicandosi il numero delle ragazze e dei ragazzi che volevano far parte del focolare, lasciando casa e beni, il vescovo vide bene che ciò poteva avvenire solo con l’accordo dei genitori. E ciò consentì di mettere a tacere tante dicerie. La Chiesa, per Chiara e le sue prime compagne, era una realtà sulla cui esistenza e importanza si aveva solo certezza. Nel tempo, la Spiritualità dell’unità portò a concepire la Chiesa essenzialmente e fondamentalmente come comunione. Scriverà Chiara nel 2000: «Una parola del Vangelo ci colpisce in modo particolare. È sempre di Gesù: “Chi ascolta voi (gli apostoli), ascolta me” (Lc 10,16) (…). Il carisma ci introduceva in modo tutto nuovo nel mistero stesso della Chiesa, vivendo noi stessi da piccola Chiesa. Anticipando di molti anni la definizione conciliare di Chiesa-comunione, la spiritualità dell’unità ci faceva sperimentare e capire cosa significa essere Chiesa e viverla con maggior coscienza. E capivamo che era logico che fosse così, per la stessa presenza di Cristo fra noi. A forza di stare col fuoco diventiamo fuoco, e a forza di avere Gesù in mezzo a noi diventiamo altri Cristo. San Bonaventura ha detto: “Dove due o tre sono uniti nel nome di Cristo, lì è la Chiesa”; e Tertulliano: “Dove tre [sono riuniti], anche se laici, lì è la Chiesa”. Per Cristo in mezzo a noi, che ci fa Chiesa, ecco nascere in tutti noi una vera passione per essa. E dall’amore nasceva una nuova comprensione di essa dove tutto per noi prendeva vita: comprendevamo i sacramenti come nuovi. Si illuminavano i dogmi. Questo nostro essere Chiesa, in forza della comunione d’amore che ci unisce fra noi e dell’innesto nella sua realtà istituzionale, ci faceva sentire a nostro agio e ci faceva sperimentare anche nei momenti più difficili la sua maternità».

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