Movimento dei Focolari
[:es]Trinidad ¿modelo social?[:]

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La originalidad cristiana no consiste en el hecho de afirmar la existencia de Dios, sino de creer que “Dios es Amor”.

Esto implica consecuencias muy importantes respecto de la concepción de Dios, ya que el amor supone relaciones, un yo que se da y un tú que recibe, cuya manifestación más plena se expresa en la reciprocidad de la comunión. Por lo tanto es la dinámica misma del amor que, al mismo tiempo que reconoce que “el Señor es uno solo” (Dt 6, 4), requiere que en Dios se encuentre pluralidad, alteridad, donación, acogida, reciprocidad… Por eso el Dios que presenta el cristianismo es no sólo don de sí, sino don en Sí.

Este es el motivo por el cual no puede soeprender que la fe cristiana afirme un solo Dios en tres Personas. Las relaciones de amor recíproco son constitutivas del ser y de la vida del Dios Uno y Único. ¿Cuáles son las características típicas de tales relaciones divinas unitrinitarias? Y, dado que el ser humano está hecho “a imagen y semejanza” de Dios (Gn 1, 26) y llamado a “participar de la naturaleza divina” (2 Ped 1, 4), ¿cuál es la importancia de vivir en los vínculos humanos y en todos los aspectos de la sociedad, el mismo tipo de relaciones que existen en el Dios unitrino? Intentar ofrecer alguna respuesta a estos dos interrogantes, decisivos no sólo para la fe cristiana sino para el futuro humano, será el objeto de este texto.

Datos del autor:

Cambón, Enrique, sacerdote católico argentino (dióscesis de Avellaneda, Buenos Aires). Doctor en filosofía y teología, y licenciado en Ciencias de la Educación. Docente en instituciones de América Latina y Europa. Autor de numerosos artículos y obras en varios idiomas, sobre temáticas teológicas, ecuménicas, catequísticas y sociales. Reside actualmente en Roma, donde forma parte de un grupo de estudios del Movimiento de los Focolares.

Grupo Editorial Ciudad Nueva – Buenos Aires

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Un panificio originale

Rio Tercero è una graziosa città della provincia di Cordoba, in Argentina. Situata in una zona agricola e di allevamento di bestiame, verso la metà del 900 ha visto un moltiplicarsi di industrie (tra le più importanti la Fabrica Militar Rio Tercero, tristemente famosa per le esplosioni dolose che vi si sono verificate nel 1995) che ha portato con sé un incremento demografico notevole. Non mancano le sfide sociali soprattutto nei quartieri periferici dove la violenza è all’ordine del giorno per mancanza di lavoro e istruzione. Estela, dentista di professione, ha avuto, 6 anni fa, il compito dal suo parroco di occuparsi della Caritas, con la richiesta precisa di far conoscere la spiritualità dell’unità in questa struttura della Chiesa. Ha iniziato chiedendo la collaborazione di persone di buona volontà all’uscita della Chiesa. Se lo faceva lei, che di tempo ne aveva poco, tra lavoro, figli e nipoti…. altre avrebbero potuto farlo. Con l’equipe che si è costituita va a visitare le famiglie dei quartieri più poveri: in genere giovani mamme con figli o mariti alcolizzati o drogati. Si comincia con la “Tienda”, una boutique dove poter prendere capi di vestiario per tutta la famiglia. Arrivato l’inverno, tutte cercavano coperte calde… ma non erano sufficienti. Si decide di fabbricarle. È iniziato così un laboratorio con 28 giovani mamme. I rapporti sono cresciuti, le donne si sentivano valorizzate e stimate. Estela ha proposto a tutte di cominciare a meditare e vivere ogni mese una parola del Vangelo. Finito l’inverno, nessuno voleva andare via. Che fare? «È venuta l’idea di fare del pane, racconta Estela. Abbiamo iniziato con un forno domestico. Ognuna portava la farina, il lievito e si faceva insieme il pane per la propria famiglia, con alcuni pezzi da vendere, il cui ricavato andava a ciascuna di loro. Ma era troppo poco. Ho informato dell’attività il consiglio pastorale della parrocchia e mi hanno incoraggiata, non solo con le parole, ma con una somma di denaro per comperare un forno più grande. L’iniziativa è stata comunicata a tutti i parrocchiani e la gente ha cominciato a portare la farina. Si è costruito così un ponte di unità tra la gente della parrocchia che sta al centro della città e le donne che vengono dai rioni periferici con i figli perché non avevano dove lasciarli». Ma andare a vendere il pane con i figli dietro non era possibile. Sono nate così attività per i bambini, con programma di appoggio extra curriculare e con attività ricreative svolte dai giovani della parrocchia. «Con il tempo, il rapporto tra mamme e figli è cambiato. Cercavamo di fare apprezzare ai figli il lavoro delle mamme e d’altro canto, anche i figli erano spronati a studiare meglio vedendo lo sforzo della mamma per guadagnare qualcosa». Col tempo l’attività è diventata pubblica: il pane si vende a vari negozi in città e il comune si è interessato, volendo partecipare con un progetto di sviluppo. Risultato: un vero panificio, con 4 grandi forni, le attrezzatture necessarie e una grande quantità di farina. Si dà il via a una micro azienda, dove le stesse lavoratrici ne diventano imprenditrici. Attualmente ce ne sono 4 con la responsabilità del panificio, che serve regolarmente scuole, pizzerie e altri panifici. «Anche se si tratta di una piccola attività – commenta Estela – è comunque una fonte di lavoro; ma la cosa più importante è la formazione integrale fatta con ciascuno e con le loro famiglie». Un lavoro che continua a contagiare altri. (altro…)

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Vangelo. Generosamente verso l’altro

Il sangue «L’auto davanti a me sbanda, urta un muro e si capovolge. Riesco a frenare. C’è chi si ferma per soccorrere i feriti: una anziana, un bambino e un giovane. Ma nessuno vuole trasportarli in ospedale per timore di essere accusato di aver provocato l’incidente. Quanto a me, anche se la vista del sangue altre volte mi ha fatto perdere i sensi, mi faccio forza e li carico sulla mia macchina. L’ospedale per accettarli chiede un pagamento, ma loro sono senza soldi. Firmo un assegno e mi assicuro che i feriti siano ben sistemati, felice di aver vinto la mia emotività, ma soprattutto di aver fatto qualcosa per dei fratelli». M. S.-Argentina Al di là della stanchezza «Molte volte, arrivando a casa, sento il vuoto lasciato dalla morte di mia moglie e preferisco stare solo, tranquillo, ma sento che devo scordarmi di me stesso e alimentare il rapporto con i miei figli. È difficile essere padre e madre insieme. L’altra sera, tornando a casa, mi sono accorto che tutti erano ancora alzati:  avrei voluto riposare, invece mi son messo a giocare con loro, dimenticando la stanchezza. Con mia sorpresa, uno di loro, col quale il rapporto era stato sempre difficile, mi si è avvicinato con affetto e si è seduto sulle mie ginocchia. Non l’aveva mai fatto». S. R.-Usa Cioccolatini «Ad alcuni carissimi amici avevo portato in dono una scatola di cioccolatini. A loro volta avevano voluto donarmene una più grande: «Per le tue figlie!». Sull’autobus, mentre me ne tornavo a casa, è salita una coppia rom con una bambina di forse cinque anni. La piccola fissava con grande desiderio la mia scatola. All’inizio ho fatto finta di non guardarla. Ma non ero tranquillo. «Gesù, fammi capire cosa devo fare». Proprio in quel momento la bambina si è avvicinata a me tendendo la manina verso i cioccolatini. Non potevo rifiutargliela e glieli ho dati. Ma scendendo dall’autobus mi dispiaceva un po’ tornare a mani vuote. Senonché, appena arrivato a casa, mia moglie mi annuncia che un’amica, passata a salutarla, ha lasciato in dono un grosso cesto pieno di dolciumi. Sono rimasto senza parole, felice». W.U. – Roma Tratto da: Il Vangelo del giorno, Città Nuova Editrice (altro…)

Haiti. Verso una cultura dell’incontro

Desde la vida de la Palabra la urgencia de comunicar. Hacia una verdadera cultura del encuentro”. Con este lema, del 17 al 23 de febrero se desarrolló en la diócesis de Anse à Veau- et Miragoane, Haití, el Seminario Interdiocesano de Comunicación, organizado por el Departamento de Comunicación del CELAM (Consejo Episcopal Latinoamericano). Los participantes, 79 en total, llegaron de ocho de las diez diócesis haitianas: Les Cayes, Gonaïves, Cap-Haitien, Jeremie, Hinche, Port-aut-Prince, Port-de-Paix y de la diócesis sede. El Seminario, que había sido pedido por Mons. Pierre A. Dumas, obispo de Anse à Veau et Miragoane, fue desarrollado por un equipo de 5 comunicadores de distintos países de América Latina y el Caribe (Argentina, Perú y Cuba) pertenecientes a Netone de América Latina. Los profesores, después de un año de trabajo a distancia para preparar juntos el programa y cada uno de los temas, llegaron a Haití con algunos días de anticipación, lo que les permitió sumergirse en la realidad del pueblo y la Iglesia local.

“Visitamos Radio-Tele Soleil -cuentan- que está funcionando en una sede provisoria en Puerto Príncipe ya que el edificio del Arzobispado donde tenía sus estudios, fue destruído durante el terremoto y murieron varios de sus colaboradores. Es la más importante emisora de la Iglesia católica con cobertura nacional. También pudimos recorrer el centro de Puerto Príncipe, con la Catedral destruida por el terremoto del 2010, casi como un símbolo del dolor de este pueblo”.

El seminario superó todas las expectativas: en 5 jornadas intensas se partió desde la visión trinitaria de la comunicación con la propuesta de la vida de la Palabra, aún antes del hecho comunicativo. Así cada mañana se iniciaba con intercambio de experiencias sobre cómo cada uno había tratado de vivir la frase del Evangelio propuesta el día anterior y la meditación de una nueva frase para ese día. Cada día eran muchos los que contaban a todos cómo habían tratado de poner en práctica el Evangelio. Después se fueron afrontando los distintos medios de comunicación con exposiciones teóricas y talleres: radio, prensa escrita, teatro, televisión e internet. El diálogo, las preguntas, los talleres contaban con muchísima participación e integración de todos. El idioma (se exponía en castellano, las diapositivas y los temas escritos estaban en francés y la traducción era en créole) no significó una barrera para nadie. La Eucaristía final, presidida por Mons. Pierre Dumas, fue un momento de mucha alegría y emoción. Se había construido entre todos un espacio de humanidad renovada.

“Para nosotros –dice el equipo de Netone– fue la posibilidad de cambiar la mirada sobre este pueblo maravilloso, que muchas veces no es reflejado así en los medios de comunicación de nuestros países. Nos hemos enamorado de la sencillez, la alegría, el entusiasmo y la esperanza de los haitianos. Constatamos ser una misma Iglesia, que comparte como hermanos la reciprocidad entre América Latina y el Caribe. Nos llevamos de Haití mucho más de lo que fuimos a dar”.

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