Movimento dei Focolari
Summit in Vaticano, per un’economia «inclusiva»

Summit in Vaticano, per un’economia «inclusiva»

2014_07_economia_inclusiva_3Un dialogo aperto tra economisti “alternativi”, mondo della finanza e società transnazionali: tra i 50 partecipanti c’erano, infatti, il Nobel per la Pace Yunus (“il banchiere dei poveri”), il segretario generale della Caritas internazionale Michel Roy e Juan Grabois, (l’argentino fondatore del movimento degli esclusi del lavoro), ma anche il segretario generale dell’OCSE José Ángel Gurría e i massimi rappresentati del Fondo Monetario internazionale, della Banca Mondiale, della banca d’affari Goldman Sachs e di aziende multinazionali come Ferrero e Nestlè. E c’erano anche gli economisti Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Luigino Bruni (coordinatore del progetto di Economia di Comunione), tra i sostenitori dell’evento. Una proposta, quella del convegno «Bene comune globale. Per un’economia sempre più inclusiva» nata all’indomani dell’Evangelii Gaudium, così attenta ai temi sociali, in particolare nei punti in cui stigmatizza l’economia globale come una economia dell’esclusione. E così, sulla scia di queste riflessioni, si sono ritrovati in Vaticano, l’11 e il 12 luglio i 50 esperti sotto l’alveo del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, per approfondire il dialogo che ha portato alla firma di un documento per un’economia con al centro l’uomo, firmato da tutti i partecipanti, e dal titolo “Oltre la globalizzazione dell’indifferenza, per una economia più inclusiva”. In esso si sottolinea l’importanza di riportare oggi il mercato alla sua vocazione inclusiva e di creazione di lavoro e ricchezza. Si invitano perciò i responsabili delle istituzioni ad una più decisa azione contro i paradisi fiscali, di salvaguardia della ‘biodiversità’ nelle forme economiche e finanziarie, minacciata oggi da un pensiero unico che appiattisce le specificità locali e territoriali, di dar spazio in particolare a nuove istituzioni finanziarie che garantiscano l’inclusione dei più poveri, di rifondare la teoria economica su ipotesi antropologiche più umane e realistiche, di “combattere la discriminazione delle donne, il traffico di esseri umani, la criminalità internazionale, la corruzione e il riciclaggio di denaro”. L’evento ha suscitato l’attenzione del noto quotidiano economico Wall Street Journal, che in un articolo sottolinea come “il dibattito interessa oltre la chiesa. I cattolici costituiscono il 17% della popolazione mondiale e una grande parte in America Latina e vaste zone dell’Europa. Quindi gli insegnamenti della Chiesa in campo economico possono influenzare la finanza a livello mondiale”. 2014_07_economia_inclusiva_2«Riflettere senza paura, riflettere con intelligenza» è stato l’invito di Papa Francesco ai partecipanti. E ancora ha puntato l’attenzione al cuore del problema che la crisi ha messo in evidenza: «il riduzionismo antropologico». L’uomo che perde la sua umanità «diventa uno strumento del sistema, sistema sociale, economico, sistema dove spadroneggiano gli squilibri» che conducono all’ «atteggiamento “dello scarto”: si scarta quello che non serve, perché l’uomo non è al centro». «Di Papa Francesco mi hanno colpito molte cose – commenta Luigino Bruni -. Innanzitutto il suo ascolto, come se fosse lì tutto per noi, dimentico anche del pasto. E poi la sua gratitudine: la parola che più ha pronunciato è stata ‘grazie’. “Non ci sono al mondo oggi persone più autorevoli del papa”, mi ha detto Carney, il governatore della Bank of England, seduto accanto a me. È vero, e in questa ‘Davos dei poveri’ il Papa ci ha insegnato a scegliere il punto di osservazione sul mondo. Lui ha scelto quello di Lazzaro, che sta sotto il tavolo con i cagnolini, e da lì guarda verso l’alto, e vede il ricco epulone sopra, ma vede anche il cielo. Il suo invito è a guardare il mondo, e il cielo, insieme ai Lazzari di oggi. Ho proposto al termine di rendere biennale questa “Davos dei poveri”, un invito che ha buone probabilità di essere accolto». Leggi anche Francesco e i dogmi traballanti dei professori (altro…)

Summit in Vaticano, per un’economia «inclusiva»

L’amore vince la povertà

MarcoTecilla«Nel cuore di Chiara Lubich c’era un sogno» – a parlare è Marco Tecilla, passato alla storia come il “primo” focolarino. Ha davanti una platea di qualche centinaio di persone provenienti da 50 Paesi, in rappresentanza delle comunità locali dei Focolari sparse nel mondo. Spontaneo è guardare alla vita della città dove il carisma dell’unità ha mosso i primi passi, Trento, per avere una luce anche per i nostri giorni. «Guardando dalla sua finestra che dominava la città di Trento, Chiara avrebbe voluto risolvere il problema sociale della città. Ma ancora non avevamo le forze. Ed ecco che nel dicembre del 1947 ci convocò tutti nella sala Cardinal Massaia per comunicarci qualcosa. Aveva notato che in seno a questa nostra comunità vi erano delle persone costrette a vivere in grandi ristrettezze economiche. E questo per lei era inconcepibile. Nelle prime comunità cristiane sorte a Gerusalemme nei primi tempi della Chiesa, – come ci dicono gli Atti degli Apostoli – “tutto era in comune e non c’erano tra loro indigenti” perché il Vangelo era vissuto alla lettera. Chiara, appunto, decise di parlarci della comunione dei beni e lanciare a tutti noi, che formavamo questa prima comunità trentina tale sfida. Simile e dissimile da quella dei primi cristiani». Ognuno doveva quindi vendere tutti i suoi beni? «No. Pur raggiungendo, infatti il medesimo scopo della comunità cristiana, non si domandava che ciascuno vendesse quanto aveva e lo portasse alla comunità, ma che ciascuno donasse quel tutto che di proprio possedeva e di cui poteva privarsene senza recar danno a se stesso o alla famiglia». 20111030-02Come funzionava questa forma di carità “organizzata”? «Ognuno portava quanto aveva in soprappiù, soprattutto in denaro, e si impegnava a donare una cifra fissa da lui stabilita, mese per mese. Il donatore e la cifra promessa rimanevano segrete. Col denaro ricevuto una focolarina incaricata da Chiara stessa, avrebbe aiutato, mensilmente e segretamente, famiglie della comunità nell’indigenza, regolando tale delicato compito con tutta la carità e la discrezione. Lo scopo era: arrivare a far sì che fra noi non ci fosse più alcun indigente, ma tutti avessero il necessario per vivere. Il risultato della somma ottenuta e dell’impegno mensile furono impensati e riuscirono, già nel primo mese, a sistemare una trentina di famiglie». Cosa pensava Chiara a riguardo? «Guardando a questo nostro mondo lei diceva: “Sembra una cosa impossibile al giorno d’oggi, così avido ed egoista…eppure è così. Di fronte a questi fatti, commossi e riconoscenti, gridiamo: La Carità è Dio! E Dio è l’Onnipotente. Nello spirito di carità e di unità (che non è la semplice elemosina, ma il dono totale di sé alla volontà di Dio) tutti troverebbero qualcosa da dare. Ma occorre, prima di chiedere il proprio, formare i cuori, perché – a differenza dei primi cristiani – aleggia fra essi troppo spirito di mondo e regna la disunità e l’indifferenza. Solo una solida e profonda formazione evangelica può mantenere viva una società ideale di fraterna carità. Questo lo sarà certamente fra noi, perché, finché siamo uniti, Cristo è in mezzo a noi, e ciò che Lui edifica, rimane”. Infatti, ciò che veniva molto in rilievo nei primi tempi del Movimento dei Focolari era l’importanza del vivere il Vangelo». Esperienza, questa della comunione dei beni, che non si è fermata alla prima comunità di Trento, ma è continuata negli anni, sia nelle scelte di vita dei membri dei Focolari, sia in azioni concrete (come le “reti fagotto”) in cui si fanno circolare i beni in una forma che ricorda l’antico baratto, con una forte dose di solidarietà e giustizia sociale. (altro…)

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Loppiano: Primo “Week-end del Dare”

“Erano i tempi di guerra e tutto crollava… solo Dio restava”, così inizia spesso il racconto della nascita del Movimento dei Focolari. Era l’anno 1943, nel furore della Seconda guerra mondiale. Di quelli anni si ricordano tanti episodi che poi sono diventati emblematici e si sono ripetuti e diffusi dappertutto dove sono presenti le comunità dei Focolari. Uno di questi episodi fu “il fagotto”. Sentiamo come lo ricorda Vittoria (Aletta) Salizzoni, una delle prime giovani che intraprese con Chiara Lubich “l’avventura dell’unità”: «Ricordo un fatto. Penso che sarà avvenuto nel 1946. “Diamo tutto il nostro superfluo di vestiti per la nostra comunità”, propose Chiara; e così cominciammo a fare quello che abbiamo chiamato “fagotto”. Eravamo povere. Immaginarsi! Nel dopoguerra non c’era più niente. Avevamo solo abiti vecchi e usati, ma tutte arrivammo con qualcosa. Ricordo un bel mucchio lì, in mezzo alla stanza della “casetta”, che poi andò distribuito». Questo fatto, che ricordava le prime comunità cristiane dove “nessuno mancava del necessario, perché quelli che possedevano (beni)… li mettevano a disposizione di tutti… e poi veniva distribuito a ciascuno secondo le sue necessità” (Atti 4,34-35), divenne una prassi nelle comunità dei Focolari sparse nel mondo. Gli abitanti della cittadella internazionale di Loppiano hanno deciso, l’8 e 9 febbraio, di lanciare un’analoga proposta ma coinvolgendo il proprio territorio, e seguendo anche le indicazioni di papa Francesco che invita appunto alla condivisione, nel suo Messaggio per la prossima Quaresima. Il papa ricorda, tra l’altro, che “occorre che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione”. L’iniziativa solidale è stata titolata “Week-end del Dare”. «Una “full immersion nella cultura del dare” – spiegano gli organizzatori – che ha promosso l’apertura di uno spazio di scambio e di richieste di oggetti in buone condizioni senza limitazioni o restrizioni di sorta; senza dimenticare la bacheca delle necessità e la “banca del tempo” da mettere a disposizione degli altri». Il salone della cittadella è stato destinato come punto di raccolta. «È arrivato proprio di tutto: dagli abiti usati di ogni taglia, per tutte le età, a libri, elettrodomestici, mobili, giocattoli, oggetti di arredamento. Sono passati più di 500 persone, con una media di 5.000 pezzi trafficati», raccontano. Durante la domenica, si sono svolti anche spazi di dialogo ed approfondimento sulle motivazioni che stanno alla base della “cultura del dare”, in contrapposizione a quella del possedere, e la sua diretta applicazione nella vita di tutti i giorni. Infine, è stata inaugurata la cosiddetta “Rete fagotto permanente”, e cioè un punto di raccolta e di ridistribuzione degli oggetti donati. Anche la Diocesi ed il Comune hanno messo a disposizione altri 3 punti in 3 diverse città del territorio, per renderlo permanente. Luoghi aperti alla solidarietà e pensati come punti di transito di beni verso chi è in necessità. (altro…)