Giu 23, 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Sono passati circa due mesi da quando l’Ecuador è stato colpito da un disastroso terremoto. Il Movimento dei Focolari attraverso un coordinamento emergenze aveva subito lanciato una raccolta fondi, al fine di far fronte sul posto alle richieste di prima necessità, ed ha attivato un gruppo di lavoro coordinato da AMU e AFNonlus. La solidarietà della gente, da ogni parte del mondo, non ha tardato a rispondere e siamo ora in grado di inviare i primi fondi per l’assistenza alla popolazione ecuadoriana sotto il profilo alimentare, sanitario e psicologico. Gli aiuti confluiranno soprattutto a sostegno delle famiglie presenti nelle province di Manabi e Esmeraldas, maggiormente colpite dal terremoto. Le attività di sostegno in questa prima fase avranno una durata di 6 mesi (da giugno a novembre) e durante questo periodo, in partenariato con la ONG locale FEPP (Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio), si studieranno le possibilità di ricostruzione delle infrastrutture danneggiate e di riattivamento delle attività produttive locali. Lo studio dei prossimi interventi di ricostruzione e riabilitazione avverrà anche in collaborazione con la rete internazionale di architettura “Arquitecturalimite”, specializzata nei servizi di progettazione in contesti di esclusione socio-economica. Dal 9 al 13 novembre prossimi, in contemporanea ad una scuola di pace per i giovani, si svolgeranno a Quito una serie di workshop di architettura aventi ad oggetto proprio i possibili interventi di ricostruzione post terremoto. Come aiutare Fonte: AMU – AFN Onlus (altro…)
Giu 4, 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Luigino Bruni
Le Filippine, teatro di un secolare divario tra ricchi e poveri, diventano un ottimo contesto per festeggiare i 25 anni dell’Economia di Comunione. Le celebrazioni prendono il via con un Forum di due giorni nell’Università di Santo Tomas (UST) di Manila, con 200 fra economisti e studenti di diversi Paesi, che si conclude con la firma di un Memorandum d’intesa per rafforzare la solidarietà fra l’Università e l’EdC. Si torna idealmente al 29 maggio 1991, quando 25 anni or sono, nasceva in Brasile l’iniziativa, ideata da Chiara Lubich proprio per concorrere a risolvere le disuguaglianze sociali, mettendo al centro di ogni progetto economico le persone, specialmente i più poveri. Un progetto che coinvolge nel mondo oltre 800 aziende. La celebrazione si sposta poi a Tagaytay City, presso la cittadella dei Focolari Mariapoli Pace, dove ha inizio un Congresso panasiatico con 300 partecipanti dal titolo: Economia di Comunione, un’economia per tutti. È l’occasione anche per la presentazione di alcune aziende che in Asia partecipano al progetto. Come il Bangko Kabayan, una banca rurale che nella provincia di Batangas (Filippine) assegna micro-credito ad oltre 11.000 clienti; la falegnameria dei Focolari a Manila; una ditta di consulenze per lo sviluppo aziendale; la Kalayaan Engineering, impresa costruttrice di condizionatori d’aria con oltre 2000 dipendenti. Si presenta anche il gruppo Sumsimidang che porta avanti uno dei migliori ristoranti e pasticcerie della Corea. Tutte realtà economiche dirette da imprenditori che intendono condurre la propria azienda nel rispetto della legalità e nella crescita sostenibile, mettendo al centro la persona e destinando liberamente parte degli utili ai poveri. A svolgere le varie relazioni sono diversi economisti fra cui la francese Anouk Grevin, Luca Crivelli della Svizzera italiana, Anette Pelksman-Balaoing, filippina che insegna in Olanda, l’irlandese Lorna Gold e altri, preceduti dal prof. Bruni, coordinatore internazionale del progetto, che ha il compito di riflettere sui 25 anni dell’EdC. Egli spiega che ogni carisma per prosperare deve restare fedele alle domande iniziali. Le aziende possono essere strumenti di comunione? Il mercato può essere un luogo di fraternità? Possiamo immaginare una società senza più poveri? Ricordando ciò che Chiara Lubich ha detto nel fondare EdC, Bruni rileva che le esigenze dei poveri non hanno ancora trovato soluzione e che quindi occorre continuare nell’EdC, un cammino che si presenta come una vera e propria vocazione. L’Asia, continua Bruni, è stata scelta come sede di questo evento internazionale per la presenza nella società degli stessi segmenti che avevano colpito Chiara quando era in Brasile nel 1991. «Fra quindici anni – egli osserva – il PIL dell’Asia sarà il doppio di quello degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale. Il futuro del mondo dipende quindi dal tipo di economia che si svilupperà in Asia. Celebrare qui il 25° anniversario dell’EdC significa riconoscere che la presenza nel continente asiatico di tale forma di economia è fondamentale». «Si tratta di un’economia – scrive Maria Voce nel suo messaggio dal Kenya – che riguarda il rapporto tra le persone, basata sull’amore reciproco per sanare le disuguaglianze». E continua la presidente: «È per questo che sostenuti anche dalla fiducia e dal coraggio di papa Francesco occorre ora risentire nostra l’urgenza che aveva spinto Chiara a costruire insieme una società dove la comunione dei beni nella libertà sia attuata e sempre più condivisa». Il congresso si conclude con tre importanti risoluzioni: 1. stabilire una rete internazionale di “incubatori d’impresa” a sostegno di giovani imprenditori e delle donne; 2. creare un osservatorio sulla povertà, per garantire che la lotta alla povertà sia sempre centrale e coerente con lo spirito dell’EdC; 3. moltiplicare le Lab-school, laboratori tecnici, professionali e imprenditoriali indirizzati particolarmente ai giovani. https://vimeo.com/168297829 (altro…)
Mag 1, 2016 | Centro internazionale, Spiritualità
«Il lavoro fu inflitto all’uomo come castigo; ma anche come redenzione. Mentre ha la finalità immediata dell’acquisto del pane quotidiano concorre anche al fine ultimo dell’ acquisto del Regno eterno. Riguarda perciò tanto l’economia, quanto la teologia; e difatti l’uomo è figlio di Dio, a Dio destinato, anche quando lavora. Se il problema si riducesse a sola economia, il lavoratore vi diverrebbe sola macchina: la dignità sua d’uomo si ridurrebbe a quella d’un utensile. Oggi, di dignità del lavoro si parla tanto che è divenuto un luogo comune. Ma non è detto che la mentalità schiavistica sia estinta, né che manchino imprenditori, magari battezzati, ai quali, perché pagano un salario, non appaia d’essere in diritto d’umiliare chi di quel salario vive, trattandolo con disprezzo e con diffidenza, sia esso un lavoratore intellettuale o sia esso una domestica semianalfabeta. Ma il lavoro non serve soltanto a maturare un salario di danaro. Il lavoro compiuto con un desiderio di redenzione morale, di partecipazione alle sofferenze di Cristo, diventa produzione di santità: entra nell’economia delle cose eterne, da cui deriva una dignità che fa dei costruttori di macchine, degli agricoltori, degli studenti, dei professionisti, degl’impiegati, delle massaie, altrettanti costruttori del Cristo integrale. «Ogni buon operaio – ha scritto sant’ Ambrogio – è una mano di Cristo». E cioè, Cristo lavora nella società con le mani dei suoi operai. Chi ben opera, in altri termini, edifica in terra una costruzione celeste: è l’artefice umano di un’architettura divina. E questo innalza a dignità sconfinata chi fa e ciò che fa, se lo fa nello spirito e sotto la legge di Cristo. Così si vede che il divino opera nella società per mezzo dell’uomo, associato a partecipare al prodigio vivo dell’Incarnazione, la quale, se fu il miracolo dell’umanizzazione del figlio di Dio, importa con sé anche il miracolo d’ogni giorno d’una divinizzazione di tutti i figli dell’uomo e perciò figli di Dio: un movimento che dalla terra va incontro a Cristo che viene dal cielo. Così la vita sulle strade tormentate del pianeta è, sì, tutta umana, ma anche, se vissuta nello spirito della Redenzione, tutta inserita nel divino: tutta divina. Questa dignità non è limitata alle sole opere dello spirito, ma investe l’intera persona umana, corpo e spirito, in tutto quello che fa. II mestiere, la professione, l’ufficio….: queste cose melanconiche e talora tragiche e spesso noiose si trasfigurano, di colpo, in Valori insospettati, in elementi del nostro destino: diventano i mezzi della nostra redenzione. Il lavoro era il nostro castigo; e, per l’umanità di Cristo, si fa nostro riscatto. È il nostro contributo alla Redenzione. Si scala il cielo coi materiali della terra. Nulla si perde: né una giornata mal pagata, né una parola detta, né un bicchier d’acqua donato per Cristo. Di queste semplici cose si edifica, dai più, il Regno di Dio. Ché i più non vanno in missione, né si chiudono in eremi, né scrivono trattati di teologia: ma tutti lavorano, tutti servono. Ora servendo gli uomini, se si agisce nello spirito di Cristo, si serve Dio. Il quale non ci si presenta ancora nella sua luce, che fulminerebbe lo nostra vista, ma in quella sua effigie, che sono gli uomini, sua rappresentanza e fattura». Igino Giordani, La società cristiana, Città Nuova, Roma (1942) 2010, pp. 72-82 (altro…)
Apr 10, 2016 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Pur intuendo che il fondamento del Vangelo è la carità, non è che capissimo subito come fare a viverla, con chi dovesse essere messa in pratica e su quale scala. All’inizio, portate soprattutto dalle circostanze dolorose della guerra, indirizzammo il nostro amore ai poveri, sicure di ravvisare sotto quei volti macilenti, ributtanti a volte, il volto del Signore. E fu una scuola. Noi non eravamo abituate ad amare in senso soprannaturale. Il nostro interesse era arrivato, al più, fino ai nostri cari o agli amici, in quell’ottimo rispetto o sana amicizia naturale. Invece ora, sotto la spinta della grazia, fidando in Dio e nella sua Provvidenza, che pensa agli uccelli dell’aria e ai fiori dei campi, dedicavamo la nostra premura a tutti i poveri della città. Cercavamo di farli venire nelle nostre case e sedere alla nostra mensa. (…) Se a casa non potevano essere accolti, venivano incontrati per strada, in punti precisi, e si lasciava ad essi quanto era stato raccolto. Li visitavamo nelle stamberghe più squallide, e cercavamo di confortarli anche con medicine. I poveri erano realmente l’oggetto del nostro amore, perché per essi e attraverso di essi si poteva amare Gesù, e costituivano anche l’interesse di quant’altre persone erano state attratte dal comune ideale. Crescendo la comunità attorno al primo nucleo di focolarine, aumentavano anche le possibilità d’aiuto, di soccorso per chiunque soffrisse. Ed era uno spettacolo, che non si sa se mano di uomo o di angelo avesse composto, veder arrivare i viveri, il vestiario e i medicinali: insolita abbondanza che, negli ultimi anni della guerra, dava palesemente a chiunque l’impressione di un particolare intervento della divina Provvidenza. (…) Piccoli fatti che succedono a chiunque, seguace di Gesù, conosce il “chiedete e vi sarà dato” (Mt 7, 7), ma che ci facevano rimanere ammirate, mentre ci incoraggiavano quegli altri, straordinari, successi ai grandi fratelli che ci precedettero e conobbero anch’essi – allorché non erano ancora santi – le difficoltà dell’ascesa a Dio, sgelando la cristallizzata personalità umana al fuoco della divina carità. Non aveva santa Caterina amato tanto i poveri da dare ad uno il suo mantello e ad un altro la crocetta del suo rosario? E non era forse venuto Gesù, le notti seguenti, in visione a ringraziarla dei doni fatti a Lui nei poveri? E san Francesco non aveva per trenta volte circa donato il suo mantello ai poveri? Cos’era per noi levarci i guanti d’inverno per darli a chi per ore doveva elemosinare sotto la neve per vivere? (…) Ma, pur nella più estrema generosità dei singoli, (…) si capiva che forse non era questo lo scopo immediato per cui il Signore ci aveva spinte alla carità concreta. Più tardi, ci parve di capire che Egli ci aveva suscitate in quella direzione anche per un suo preciso intento: è nella carità, vivendo la carità, che si comprendono meglio le cose del Cielo, che Dio può liberamente illuminare le anime. E fu forse per questo amore esercitato che più tardi capimmo come il nostro cuore non doveva rivolgersi soltanto ai poveri, ma a tutti gli uomini indistintamente. C’era sì chi doveva essere sfamato, dissetato, vestito, ma anche chi doveva essere istruito, consigliato, sopportato, chi aveva bisogno di preghiere… Le opere di misericordia corporale e spirituale si aprirono a ventaglio di fronte al nostro spirito: erano esse, oltre tutto, le domande concrete che il Giudice della nostra esistenza ci avrebbe rivolto per determinare la nostra eternità: considerazione questa che ci inabissò nell’adorazione, costatando l’amore infinito di Gesù, il quale ce le aveva rivelate con la sua venuta per rendere più facile il nostro ingresso in Cielo. (…) Dio non domandava soltanto l’amore ai miseri, ma l’amore del prossimo, chiunque esso fosse, così come si ama se stessi. E allora, se qualcuno piangeva, si cercava di piangere con lui, e la croce si raddolciva, e se qualcuno godeva, si gioiva con lui, e il gaudio aumentava: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12, 15)». Fonte: Chiara Lubich, Scritti Spirituali/3, Roma 1996, pp. 35-39. (altro…)
Mar 7, 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Abbiamo conosciuto una famiglia di Burundesi che – per la terribile e per lo più sconosciuta situazione attuale di quel Paese – si sono rifugiati come tante altre famiglie, qui a Kampala dove noi abitiamo», ci scrivono dall’Uganda. Il padre è tornato in Burundi per mantenere il posto di lavoro che permette di pagare il non proprio economico affitto della casa ugandese, e il cibo per i loro figli ancora piccoli e per l’ultima nata di appena tre settimane. La madre non ce l’ha fatta a rimanere lì quando hanno ricominciato a sparare in città. Troppo forte è il ricordo di quello che in prima persona lei ha vissuto negli anni ‘90, quando scoppiò un’altra crisi in Burundi. È scampata alla morte miracolosamente, dopo che per due giorni consecutivi il preside della scuola che frequentava è riuscito a rimandare i soldati venuti a cercare lei e altre ragazze, dando loro un po’ di soldi. Ora alle prime avvisaglie di orrori, con tutta la famiglia ha deciso di fuggire lasciando tutto quello che avevano a Bujumbura. Con loro abitano anche altri parenti: in tutto 8 persone. Abbiamo saputo però che l’affitto della casa non comprende l’arredamento e che nel soggiorno avevano solo quattro sedie: che fare? Ci è venuto in mente che forse quattro delle nostre sedie pieghevoli, che usiamo saltuariamente quando a casa siamo tanti, potevano essere sicuramente impiegate in maniera più proficua in quella casa: che almeno ognuno potesse avere una sedia su cui sedersi e mangiare un po’ più comodo. Uscendo di casa abbiamo preso anche 2 zucche dall’orto: piantate quasi per caso, alcuni mesi fa, si sono autorinvigorite dopo l’ultima stagione secca, e si sono più volte rivelate molto utili in varie occasioni in questi mesi! Proprio il giorno prima, inoltre, abbiamo ricevuto in regalo qualche provvista: la Provvidenza in questi mesi non manca mai, ma è proprio condividendo ancora, che quella promessa – “Date e vi sarà dato”- scritta nel Vangelo, si realizza ancora e si moltiplica. E allora aggiungendo due Kg. di zucchero, due di riso, uno di sale e un litro di olio, siamo andati a trovarli. La casa è nuova e pulita, ci sono anche alcune inusuali rifiniture sul soffitto oltre a un bel lampadario, ma nelle stanze non ci sono i letti, solo qualche materasso. Nel soggiorno un piccolo tavolo rotondo di plastica e quattro sedie, una piccola TV nell’angolo, appoggiata a terra, con il cavo antenna che sovrasta, volante, le teste degli ospiti. Non vediamo giocattoli in giro, nè altri mobili. Entriamo con le nostre sedie e trascorriamo due ore molto piacevoli conoscendoci più in profondità, condividendo il passato e le speranze per il futuro. I ragazzi hanno per il momento interrotto gli studi: i più grandi vorrebbero fare l’università, ma in Uganda i costi sono molto alti rispetto al Burundi. Qui è impossibile per loro, almeno per ora. Trovare lavoro inoltre è difficile, la disoccupazione è alta ed essendo stranieri, se non si conosce qualcuno, è praticamente impossibile. Inoltre non parlano il luganda, la lingua locale, e anche l’inglese non è la loro lingua madre. Ma, mi dicono: “…Noi confidiamo in Dio!”. Sono ormai le 7,30 del pomeriggio, dobbiamo rientrare. Ci si saluta. Sono felicissimi di questa visita, ma appena gli diciamo di tenere le sedie, che ce le potranno restituire quando lasceranno la casa, i loro volti si illuminano: tornano a salutare e ringraziare ancora! Prima di salire in macchina, vogliono darci anche la loro benedizione! Tornando a casa, penso che anche 4 semplici sedie e 2 zucche, se donate, possono contribuire a riempire di gioia il cuore di chi riceve e di chi dà…». (S.M. Uganda) (altro…)