Movimento dei Focolari
Vangelo vissuto: provare per credere

Vangelo vissuto: provare per credere

Carmen_Catarino_b«Ci sono domande davvero difficili: perché esiste la morte, perché le guerre, la violenza, le separazioni, il divario tra ricchi e poveri…­  Spesso ne parlo con gli amici di università – studio lingue e letteratura all’Università di Porto, nel nord del Portogallo – ma nessuno riesce a togliermi queste inquietudini. Un giorno qualcuno mi parla del Vangelo e mi propone di viverlo. Non posso crederci, obietto, conosco tanta gente che si professa cristiana, ed io con loro, ma dopo duemila anni le cose sono sempre le stesse. Dato che finalmente qualcuno mi sta davvero ad ascoltare, il mio sfogo di dubbi e pregiudizi continua per un bel po’. Quando viene l’ora di lasciarci, a quella persona rimane solo lo spazio per una sola parola: “Prova!” A Porto vivo in un appartamento con altre ragazze. Quel giorno sono l’unica ad essere rimasta  a casa perché dovevo preparare un esame. Una donna povera bussa alla porta. Il primo impulso è di liquidarla in fretta, ma sono trattenuta da quel “prova” che di tanto in tanto affiora e mi interpella. In casa non c’è un granché ma trovo qualcosa da dare a quella donna. Dopo un po’ di tempo telefona mia madre che, essendo in città per un check-up medico, vuole accertarsi che ci sia: ha una sporta di frutta e di carne per noi. Il mio cuore è pieno di gioia, non tanto per quel ben di Dio che ci avrebbe sfamate per l’intera settimana, ma perché è la conferma che il Vangelo è vero. Quel poco che avevo appena dato a quella donna, mi viene restituito centuplicato, secondo la promessa “Date e vi sarà dato”. Inizia così un nuovo rapporto con Gesù, che si consolida ogni volta che provo a riconoscere il suo volto in ogni persona che mi passa accanto. Per il mio compleanno avevo ricevuto un paio di guanti di pelliccia. Me li aspettavo da tempo perché a volte qui si gela. In autobus vedo una donna tremare per il freddo. E se le dessi i miei guanti? Come lo penso lo faccio. Questa volta infatti voglio giocare d’anticipo perché con quel regalo di compleanno, Gesù il centuplo me l’aveva già dato, così posso dare e do i miei guanti a lei che ne ha più bisogno di me. Sto andando a lezione quando mi ferma una signora con un bambino tra le braccia che piange. Non voglio fare tardi, mi giustifico con me stessa tentando di andarmene. Ma dentro un pensiero: “come posso dire di amare Dio che non vedo se non amo il fratello che vedo?”(cf Gv 1,20). Guardo l’orologio e faccio fatica a resistere al pensiero di andarmene, ma poi mi fermo e mi interesso alla sua situazione. Mi racconta di aver appena lasciato un figlio molto debole in ospedale. Col marito e gli 8 bambini vive in due misere stanze. Lì per lì, da sola, non posso fare molto, ma prometto che sarei andata a trovarla. Il giorno stesso ne parlo con altri giovani e famiglie della comunità dei Focolari che avevo iniziato a conoscere, e ognuno di essi si offre di aiutare in quello che può. Insieme provvediamo alle prime necessità (cibo, vestiti, cose per la casa) e predisponiamo dei turni per aiutare i bambini nei compiti e farli giocare finché la mamma sta con l’altro bimbo in ospedale. Nello stesso tempo cerchiamo di capire come far presente la situazione al Comune, chiedendo un’abitazione degna. Trascorrono alcune settimane e, finalmente, arriva l’attesissimo camion del Municipio per il trasloco in un alloggio sociale. A me tocca il privilegio di portare il bambino più piccolo nella nuova casa. Non potrò mai dimenticare quel viaggio in autobus col piccino fra le braccia che dorme sereno, ignaro del cambiamento che avverto da quando mi sono messa a vivere il Vangelo. Ora i grandi interrogativi, che pur ci sono, non rimangono più senza risposta: so che facendo il primo passo non solo si coinvolgono altre persone ad amare, ma si può davvero influire sulla società». (altro…)

Marco Tecilla: il primo focolarino

Marco Tecilla: il primo focolarino

MarcoTecillaÈ la fine del 1945, a Trento (nord Italia), appena finita la guerra. Marco ha 19 anni e attraversa una profonda crisi spirituale. Un religioso amico lo invita ad un incontro. Una giovane, poco più grande di lui, “parlava di Dio con un fervore e una convinzione che non lasciavano dubbi”, ricorderà. Quella giovane è Chiara Lubich, circondata da un gruppo di ragazze che, come lei, hanno scelto Dio come l’Ideale della loro vita. In breve, Marco diventa il primo giovane a seguirla: il primo focolarino. La famiglia Tecilla è una famiglia semplice: il papà fornaio, la mamma infermiera, una sorella e tre fratelli. Con la crisi del ‘29 il papà perde il lavoro. «Ricordo che si copriva nei mesi freddi con un mantello – racconta Marco – e io lo accompagnavo da un panificio all’altro dove bussava per avere un lavoro o una sporta di pane da sfamarci. Solo più tardi scoprii che mentre con una mano teneva la mia, con l’altra faceva scorrere la corona del Rosario». Nonostante le carenze materiali, la sua è un’infanzia serena e vivace. Compiuti i 14 anni e terminata la scuola professionale comincia a lavorare come apprendista presso una ditta commerciale. Nel gennaio del ‘43 muore il padre. Scoppia la guerra e arrivano i bombardamenti su Trento. La famiglia Tecilla sfolla sulle montagne. Marco evita la chiamata alle armi svolgendo un servizio civile. Intanto, viene assunto come operaio nella ferrovia Trento-Malè. La sorella Maria comincia a frequentare spesso dei ritiri spirituali e cerca vestiti per i poveri. La famiglia e anche Marco, giudica questo comportamento “esagerato”, finché arriva per lui l’invito dell’amico religioso ed il suo incontro con Dio Amore. MarcoMarco_primi-tempi_3Da quando conosce Chiara e il primo gruppo di ragazze, si reca spesso alla “casetta” di piazza Cappuccini, dove abitano, per fare delle piccole riparazioni. È attirato dall’aria soprannaturale che vi si respira. «Una sera – ricorda – dovetti fare una riparazione più lunga del solito. Chiara lavorava di cucito seduta accanto al tavolo. All’improvviso si rivolse verso di me e disse: “Gesù, se venisse oggi, sarebbe Gesù 24 ore su 24, che lavora, prega, mangia, riposa… oggi sarebbe un Gesù elettrotecnico, come te…”». Marco rimane molto colpito da «questa nuova visione cristiana. Vedevo aprirsi davanti a me un orizzonte nuovo, pieno di luce. Quando uscii dalla “casetta” il cielo era trapunto di stelle. Iniziava per me una nuova vita, dovevo voltar pagina e abbandonarmi tra le braccia di quel Dio che mi si era manifestato AMORE». Marco sente che Gesù lo interpella: «Se vuoi essere perfetto va, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Seguire Gesù, ecco la mia strada». La sera del 27 novembre 1948, nasce il primo focolare maschile, con Livio che, nel frattempo, si è aggiunto. Marco allora non sa che l’aspettano, negli anni che verranno, trenta traslochi! Infatti il Movimento nascente si estende rapidamente in tutto il mondo e Marco si sposterà in tante città di Italia… Nel ‘53 a Innsbruck, nel ‘58 in Uruguay, Argentina, Brasile e Cile; nel ‘60 Trieste e poi, oltre cortina, a Zagabria. Il 22 novembre 1964 viene ordinato sacerdote e riparte per il Brasile fino al ‘67, poi torna ancora fino al ‘71. Quindi, al Sud Italia e poi a Milano, Padova, e infine nella sua Trento dove torna dopo 31 anni. È allora che trova il terreno per il nascente Centro Mariapoli di Cadine e partecipa al progetto che Chiara Lubich lancia nel 2001: Trento ardente. Alla fine di quell’anno Chiara lo vuole al Centro del Movimento, a Rocca di Papa (Roma), dove resterà gli  ultimi anni della sua vita. Marco20-VGGCH-20010601-Marco_016«Era incontenibile la sua gioia quando veniva a Loppiano a fare lezioni di Spiritualità ai membri di tutte le scuole – ricorda Redi Maghenzani, che ha vissuto 20 anni con lui –, con una particolare attenzione per le nuove generazioni di focolarine e focolarini. Ci lascia una scia di luce che non si spegne». Marco, ha seminato amore in tante parti del mondo –ricorda Armando Droghetti, focolarino che l’ha accompagnato negli ultimi anni –; quell’amore che ha fatto nascere l’unità fra gente di ogni condizione sociale e culturale, come testimoniavano le innumerevoli persone che sono passate a trovarlo in questi mesi, in particolare da quando un anno fa circa piccoli ictus hanno portato conseguenze a vari livelli. Ma, mentre tutto cala in Marco (le corde vocali sono sempre più deboli e le gambe sono come bloccate) questa situazione spinge tutti noi, con Marco in testa, ad un supplemento di amore reciproco. Sulla base di una vita spirituale e di unità sempre più intensa in focolare, anche l’inaspettata crisi dell’8 maggio non coglie Marco e anche noi impreparati. In una breve fase di ripresa dice sicuro: “Io devo solo essere purificato”. Accoglie il medico, con quei suoi occhi luminosi che l’avvolgono d’amore. Ed è questa anche l’impressione di tanti venuti a dargli un ultimo saluto. Dicevano che, oltre il senso di orfanezza che provavano per la sua partenza, era più forte la realtà a cui Marco li aveva preparati dicendo sempre che lui è niente e che Dio è tutto e che noi solo in Lui viviamo». Maria Voce, presidente dei Focolari, evidenzia tra l’altro che «Marco lascia in tutti noi l’impronta della radicalità dei primi tempi del Movimento con la sua fortezza e fede nel carisma dell’unità, con la purezza della sua vita evangelica». In un’intervista rilasciata il 31 marzo 2008, pochi giorni dopo la morte di Chiara Lubich, Marco dirà con forza: «Finché ho un po’ di fiato, un po’ di respiro, il mio desiderio è quello di poter donare tutto me stesso per le nuove generazioni. Sono sicuro che chi verrà dopo di noi farà cose maggiori delle nostre, proprio per la ricchezza che viene trasmessa dal carisma dell’unità, che non morirà mai». (altro…)

Il mal di testa di Simplice

Il mal di testa di Simplice

IMG_3378«Da quando i nostri genitori si sono separati, mia sorella ed io viviamo con nostro padre. È una situazione molto difficile per me, anche per via della salute: soffro d’asma e per due anni ho avuto  anche problemi di cuore. Grazie alla vicinanza di tanti giovani che come me cercano di vivere la spiritualità dell’unità, questi limiti fisici non mi hanno impedito di vivere con entusiasmo il mio impegno cristiano. Come studente, invece, le cose non andavano molto bene. Nella struttura pubblica che frequentavo non c’era molta attenzione per studenti nella mia situazione e quando ho saputo di dover ripetere la prima classe superiore ho cambiato scuola. Qui ho capito meglio l’importanza dell’istruzione e il vantaggio di poter raggiungere la laurea. All’inizio dell’anno i voti erano buoni: evidentemente la nuova motivazione stava funzionando. Una sera mi ha preso un terribile mal di testa. Speravo che durante  la notte passasse perché nei giorni a venire mi aspettava una serie di interrogazioni. Effettivamente al mattino il mal di testa non c’era più, ma quando ho preso in mano i libri è ritornato più forte che mai. La stessa cosa si è verificata ogni volta che provavo a concentrarmi in un lavoro intellettuale. Ho fatto il giro di tanti ospedali ma nessuno riusciva a scoprire che malattia avessi. Intanto la media dei voti precipitava, mentre il mal di testa era diventato permanente. Mio padre non aveva più soldi per pagare i medici; così  ho provato a consultare dei guaritori tradizionali, ma senza risultato. Sopraffatto da questa situazione sono stato assalito da forti dubbi di fede. Mi domandavo: perché su sette miliardi di persone questa situazione capitava proprio a me, ora che avevo deciso di impegnarmi a fondo con la scuola?  Nonostante la mia ribellione ho voluto partecipare con i Gen ad un week-end formativo. Ci sono andato soltanto per vedere i miei amici, non perché ci credessi molto. L’incontro è iniziato con un video-discorso di Chiara Lubich, ma ero così arrabbiato con Dio che non l’ho neppure ascoltato, né ho voluto dare il mio contributo alla comunione che ne è seguita e tanto meno mi sono interessato a ciò che dicevano gli altri. La mia mente vagava altrove. Pensavo che Dio mi aveva dimenticato, che nessuno poteva capirmi, che questi incontri non servono a nulla. Ad un certo punto però sono stato colpito da un ragazzo che diceva che nei momenti difficili possiamo dare speranza agli altri valorizzando la nostra sofferenza personale. Anzi, che è proprio nell’immedesimarsi in Gesù crocifisso e abbandonato che si trova la forza per amare gli altri. Queste parole sono state per me come una sfida. Mi sono detto: se Gesù sulla croce si fosse tirato indietro, cosa faremmo noi adesso? Da quel momento ho trovato la forza di accettare la mia situazione e la certezza che Dio è amore anche quando permette la sofferenza. E anche se continuavo ad avere mal di testa, ho ritrovato la gioia di vivere. Per amore di mia sorella e di tutti cercavo di donare gioia intorno a me. Grazie alle preghiere di tanti, oggi mi sento molto meglio e se non ci saranno nuove sorprese, sembra che la salute sia ritornata». (altro…)