Movimento dei Focolari
Dio è Amore anche nella malattia?

Dio è Amore anche nella malattia?

Mi chiamo Magued e sono cresciuto in una famiglia cristiana. Quando avevo tre anni, a mia mamma è stata diagnosticata la Sclerosi Multipla. Questa malattia, continuando ad evolversi, l’ha resa paralizzata e non vedente. Insieme al babbo, a mio fratello e a mia sorella, ho imparato ad aiutarla. Sognavo, però, che fosse sana come le mamme dei miei amici, che potesse venire a prendermi all’uscita della scuola, o mi preparasse la colazione… ma col tempo ho capito che il mio era un sogno irrealizzabile. Insieme ai miei fratelli, ho imparato ad accettare questa situazione vedendo in essa la volontà di Dio, e a credere che tutto concorre al bene per chi ama Dio. E siamo diventati più uniti tra di noi, sentivamo che la Sua grazia ci accompagnava sempre. Sei anni fa, abbiamo scoperto che mia sorella aveva un tumore. In quel momento, sono andato in crisi, non riuscivo ad accettare che anche mia sorella fosse malata, così ho chiesto a Dio di prendere me al suo posto, perché pensavo che avrei sopportato di più questo dolore. Col tempo, ho accettato anche la malattia di mia sorella che, malgrado le cure, non guariva. Quattro anni fa, mia mamma è andata in Paradiso e in quel momento ho sentito, insieme al grande dolore, un grande vuoto. Era come se un pezzo del mio cuore si fosse staccato e fosse partito con lei. Poi, due anni fa, facendo degli accertamenti, per un disturbo ad un occhio, ho scoperto di avere, anch’io, la sua stessa malattia. All’improvviso, tutto è crollato! Avevo appena finito l’università e pensavo di avere un futuro aperto davanti a me…. Mi angosciava pensare che un giorno mi sarei svegliato paralizzato o che avrei perso la vista, come la mamma. Ho sentito la spinta a buttarmi a fare tutto, anche ciò che è male, perche, poi, non avrei più potuto fare più niente…  Ma presto ho capito che ciò che mi rendeva veramente felice era cercare di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, con un rapporto profondo con Dio. Così, ho cominciato un nuovo lavoro, e ho conosciuto una ragazza, un angelo, pronta a portare con me tutte le difficoltà che potrò incontrare in futuro. Tanti dei miei amici mi dicono che pregano per me, perché io guarisca  ma io rispondo che anch’io prego per loro, perché ognuno di noi è malato in qualche cosa. Una sera di qualche mese fa, mia sorella mi ha chiamato – ero fuori casa con gli amici –  e mi ha chiesto di tornare perché si sentiva male. Sono arrivato e mi sono seduto accanto a lei. Abbiamo cominciato a pregare insieme anche se non eravamo abituati a farlo. Era come se una voce mi dicesse: “Prega con lei, Magued”. Dopo poco si è sentita ancora più male, ha appoggiato la testa su di me ed è spirata. In questi ultimi mesi, ogni tanto ho avuto delle ricadute. Non riuscivo a tenere in mano una penna, o perdevo la sensibilità al braccio e per un periodo non ci vedevo bene, cosa che mi ha creato problemi al lavoro. In questi momenti,  mi ricordo di mia mamma e di mia sorella  che, malgrado il dolore, avevano occhi pieni di gioia e  di pace. È come se mi dicessero: “Non aver paura, ma continua a credere nell’Amore di Dio e a testimoniarlo con la tua vita”.

(M.G. Egitto)

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Medici per la riconciliazione

«Quando sono scoppiate le manifestazioni e sono avvenute le prime sparatorie, hanno portato nel nostro ospedale tante persone ferite. La situazione era caotica e la gente aveva tanta rabbia. Mi sono messo subito a disposizione e nonostante il pericolo sono andato sul posto per curare i feriti passando posti di blocco di gente armata. Dentro di me avevo la sicurezza che non sono da solo, ma sono nel cuore di Gesù. Giorno dopo giorno, ho visto crescere la divisione tra i vari componenti della società ed aumentare la tensione confessionale e le uccisioni in base all’appartenenza religiosa. Ho scelto di andare contro corrente, accettando di curare pazienti di tutte le confessioni, prendendo su di me il rischio di essere frainteso nel mio agire e accusato quindi sia da parte del Governo sia dagli oppositori armati. Per garantire la sicurezza dei pazienti, tante volte, finita un’operazione, aspettavo i malati per ore per trasportarli sicuri a casa loro con la mia macchina. Una notte, mentre accompagnavo una paziente alauita a partorire a Hama, città a maggioranza sunnita, ci siamo imbattuti in una manifestazione di protesta contro il regime. Tutti in macchina erano impauriti e anch’io ero incerto su come procedere, soprattutto quando un gruppo di manifestanti si è avvicinato per sapere chi c’era dentro. Parlando con loro ho detto a voce alta: “Qui in macchina c’è una donna che sta per partorire, abbiate timore di Dio”. Si sono calmati e poi si sono allontanati e così abbiamo potuto entrare in ospedale. La signora era sul punto di dare alla luce il figlio. Poco dopo si sentivano le grida del neonato. Era una vita che nasceva in mezzo alla morte. Ci siamo commossi fino alle lacrime perché quel bambino era il simbolo delle nostre speranze in una nuova nascita. Cercare di amare tutti ha significato anche pensare ai familiari dei feriti e delle vittime, cercando di stare loro vicino e di rassicurali aiutandoli anche a superare la rabbia e la voglia di vendetta. Un giorno è morto un ufficiale musulmano di un villaggio vicino al nostro. Con altri medici cristiani siamo andati a fare le condoglianze alla famiglia. Quando suo padre l’ha saputo si è commosso, e poi si è rivolto a noi dicendo: “Oggi mi avete onorato voi e la vostra gente, e mi avete portato un po’ di pace”. Lo scorso settembre, verso la fine del mese di Ramadan ho pensato di mobilitare i miei colleghi medici per un’azione di riconciliazione. Abbiamo invitato 120 medici della città, di tutte le confessioni, a un Iftar cui era presente anche il governatore della città. Si è creata un’aria molto bella e distesa che ha rassicurato gli animi ed ha avuto un’eco molto positiva a Hama aiutando a rimarginare le ferite. Questa vita per l’unità non è passata inosservata. Sono stato chiamato a lavorare nel comitato di dialogo cittadino dove ho potuto anche portare la visione politica illuminata dalla spiritualità dell’unità. Successivamente sono stato eletto per far parte del comitato di Dialogo nazionale chiamato a riunirsi col Presidente per trovare una soluzione giusta. Purtroppo questa azione pacifica non ha avuto gli esiti attesi ma continuo a sperare e lavorare perché il dialogo e la riconciliazione abbiano l’ultima parola». Y. S. – Siria (altro…)

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Fame di ascolto

«Appartengo all’Ordine delle domenicane di Betania, una congregazione di vita contemplativa fondata nel 1866 da padre Lataste, domenicano francese. Mandato a predicare nel carcere femminile di Cadillac, ebbe l’intuizione di spalancare anche a quelle donne le porte della vita contemplativa, una volta scontata la pena, fondando una comunità in cui ex detenute, insieme a donne dal passato integro, vivono senza distinzione, con la totale discrezione sul proprio passato, una vita di preghiera e di lavoro.

La spiritualità dell’unità e la Parola vissuta e comunicata ci hanno fatto cogliere ancora di più il valore e l’attualità del nostro carisma. Una volta la settimana andiamo nel carcere femminile della nostra città, Torino. Come a Cadillac, cerchiamo di testimoniare la speranza che viene da Dio. Incontriamo molte donne, offriamo loro la possibilità di trascorrere con noi i permessi cui hanno diritto, nel rispetto degli obblighi prescritti dal magistrato, come ad esempio presentarsi ogni giorno alla polizia. Nel carcere ascoltiamo le loro angosce, le loro ansie, i dolori, le gioie inaspettate. Per allargare il nostro carisma alla realtà di oggi, abbiamo cominciato a frequentare il popolo della notte. Tossicodipendenti, barboni, avventurieri senza scrupoli, stranieri e italiani, che vivono a Porta Nuova. Offriamo amicizia disinteressata, possibilità di incontro, senza pretendere in loro alcun cambiamento. “Hai fame?”, chiesi tempo fa ad un giovane marocchino. “Sì, ma di ascolto, di relazione, non di pane. Anche questa è fame”. A Porta Nuova ci conoscono e ci aspettano. Come nel carcere, anche qui siamo spettatori dei miracoli che l’Amore condiviso suscita. Molti fatti potremmo raccontare. Una sera mi sento chiamare. La voce, alterata, proviene da sotto un cumulo di coperte. Il ragazzo è in evidente crisi di astinenza. “Dimmi, suora, Gesù Cristo era alto, biondo e con gli occhi azzurri?”. “Non lo so – rispondo –, non l’ho mai visto di persona”. “Lui – continua – era seguito e amato da tanta gente”. Replico: “Ha avuto anche lui qualche problema con i suoi”. “Fisicamente gli assomiglio, ma la gente mi disprezza”. Cerco di capire da dove proveniva tanta rabbia. Le lacrime rigano il volto scavato. “Potresti farmi un po’ di compagnia?”, sussurra. Seduta sul carrello della stazione, ho ascoltato a lungo la sua storia, un fiume in piena. Passano alcuni anni. Un giorno, mentre cammino per strada, mi sento chiamare. Riconosco subito i suoi occhi azzurri, che ora appaiono limpidi, sanati. “Mi ricordo ancora la frase su Gesù Cristo! Vedi? Ci sono ancora!”. Mentre sono a Porta Nuova, la mia comunità mi accompagna facendo l’adorazione del Santissimo, perché sia Gesù a passare attraverso le mie parole, e io riconosca il suo volto in quello delle donne e degli uomini che incontro».

(Suor Silvia, Italia)

Tratto da Una buona notizia. Gente che crede gente che muoveCittà Nuova Editrice, 2012

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Una storia dalla Siria

«Quando sono iniziate le difficoltà nel Paese, sono stato chiamato nell’esercito per fare il servizio militare. Nonostante la paura sentivo che anche questo faceva parte del progetto di Dio su di me. Ciò che mi ha dato forza è stata la Parola di vita, l’unico cibo spirituale che potevo avere. Ogni tanto, riuscivo a telefonare ai miei per dare notizie e subito dopo chiamavo il focolare e i gen – altri giovani con cui condivido il cammino – per condividere con loro le mie esperienze. La mia truppa, in cui ero l’unico cristiano, era composta da 50 ufficiali, provenienti da tutti gli angoli del Paese e di tutte le confessioni. Tra noi è nato un rapporto sincero che non tiene conto delle diversità, costruito con sacrifici e con atti di altruismo e di generosità da parte di tutti. A fine Novembre 2011, ci hanno informato che saremmo stati trasferiti ognuno in una parte diversa del Paese e questo ha creato sospensione in tutti. Anch’io mi chiedevo come sarebbe andata a finire per me. Pian piano ho cominciato ad avvertire in cuore una voce che mi diceva: “Affida tutta la tua vita a Dio”, e questo mi dava pace. Prima di lasciarci ci siamo incontrati per un’ultima serata di addio nella quale, con mia sorpresa, ognuno ha espresso che cosa aveva imparato dall’altro e alla fine ci siamo abbracciati come veri fratelli. Dal mese di marzo 2012 sono stato destinato ad occuparmi delle nuove reclute oltre che ad andare dalle famiglie dei soldati uccisi per dare loro la notizia del decesso. Sono momenti drammatici nei quali cerco di vivere il dolore con loro. Nel lavoro di ufficio cerco di fare in modo che le cose siano fatte con trasparenza e immediatezza e che ogni decisione risponda al bene della persona. Per esempio, una recluta doveva essere dimessa per motivi di salute, ma le carte erano state dimenticate. Ho fatto di tutto, appena me ne sono accorto, per sveltire la pratica, rimanendo in ufficio oltre il tempo dovuto, in modo che il giovane potesse ritornare a casa sua, come è successo. Fin dall’inizio mi sono proposto di vivere come un vero cristiano, di portare l’amore anche in questo ambiente. Ho sempre delle occasioni per vivere questa scelta in modo concreto, anche rischiando la vita. Per esempio, una volta un collega doveva andare a prendere di persona le nuove reclute in una città molto lontana. C’era il pericolo di essere attaccati durante il viaggio e aveva paura. Mi sono proposto di andare al suo posto, come è avvenuto. All’ultimo momento, la direzione ha deciso di mandarmi in aereo. Un giorno, tornando da Messa, ho avuto la notizia che un soldato mio collega era morto in un attentato alla stazione degli autobus. È stato uno choc che mi ha accompagnato per giorni. Ricordarmi che la mia vita è tutta donata a Dio mi ha dato la forza di credere di nuovo nel Suo amore e ha riacceso la speranza che Dio potrà tramutare in un bene tutto questo dolore. In questa situazione c’è il rischio di abituarsi alla morte. Un giorno mi hanno comunicato per telefono una lista di soldati uccisi. L’ho scritta meccanicamente, ma di colpo mi sono accorto che dietro ogni numero c’era una persona e questo mi ha spinto a cominciare a pregare per ognuna e per le loro famiglie come l’unico modo utile per intervenire in questa tragedia. Ogni giorno è una conquista, la mia fede e il mio Ideale è messo alla prova, l’unica arma che ho è di vivere pienamente nell’amore ogni attimo, aiutato solo dal pensiero che tanti pregano per me». (Z. M.– Siria) (altro…)

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Saggio di ginnastica artistica: fare bella figura?

È la mamma a scrivere: «Alle prove generali del saggio di ginnastica artistica, A. stava facendo il suo pezzo, alla presenza di tante persone che erano venute a vedere. Ad un certo punto ad una sua compagna è scappato il cerchio. A. le ha subito dato il suo ed è andata lei a riprenderlo, poi ha ripreso  la coreografia. Le maestre sono rimaste a bocca aperta. Una mi ha detto: “In tutti questi anni non ho mai visto una cosa del genere: un’atleta che lascia il suo posto per coprire lo sbaglio dell’altra.” Allora le ho risposto che “è l’amore che ti spinge ad andare oltre alla bella figura; pensare agli altri fa fare queste cose”. Tutte le maestre si sono complimentate con lei. Poi, parlando con mia figlia, lei mi dice: “Mamma, a me non interessava fare bella figura. C’era una mia compagna in difficoltà ed io dovevo aiutarla.” Ho pensato che è il Vangelo che pian piano entra in lei  la fa essere testimone del suo sì a Gesù. Questo episodio è accaduto poco dopo il suo rientro dal congresso gen4 “Un amore che vuole abbracciare il mondo”. (A. F. – Italia) (altro…)