5 Ott 2012 | Cultura, Famiglie, Focolari nel Mondo
«Abitiamo da quindici anni in un condominio. Quattro scale, centoventi appartamenti. Appena sposati, desideravamo impostare rapporti di buon vicinato e magari anche trasmettere con gioia il nostro stile di vita, improntato sul Vangelo vissuto. Ma, lavorando tutto il giorno, non riuscivamo nemmeno a vederli, i nostri vicini. Dopo la nascita dei bambini, abbiamo conosciuto altri genitori con i loro figli al parco o nel cortile condominiale. È nata l’idea di invitare qualcuno di loro a cena, cui sono seguite altre occasioni di festa e scampagnate. L’atmosfera condominiale finalmente cominciava ad acquistare un certo calore. Alle volte i rapporti decollano quando, superato il naturale riserbo, non solo si cerca di dare, ma si trova anche il coraggio di chiedere. Marco un giorno stava passando dei cavi nel nostro appartamento, ma si accorge che da solo non ce l’avrebbe fatta. Con un po’ di umiltà chiede aiuto al dirimpettaio, che accorre con gentilezza inaspettata. Un sabato di agosto particolarmente torrido e afoso rientriamo a mezzanotte. I bambini addormentati sono a peso morto tra le nostre braccia. Davanti alla luce rossa dell’ascensore due coppie sono già in attesa. Non sembrano avere la minima intenzione di lasciar salire prima noi, nonostante il “carico”. Con loro c’erano state discussioni, circa l’inopportunità – a detta loro – di far giocare i bambini – i nostri – nel cortile condominiale. Entrano nell’ascensore. Mentre aspettiamo di salire a nostra volta, l’ascensore si blocca e suona l’allarme. La scala è praticamente deserta, con questo caldo sono tutti fuori città. Che fare? Chiamare i vigili del fuoco o l’assistenza, e poi portare a letto i bambini e stare tranquilli? In fondo non ci hanno trattato molto bene. Però l’aria starà diventando infuocata dentro la cabina dell’ascensore… Marco corre nel locale del motore e con molta fatica riporta l’ascensore al piano, liberando i malcapitati. Una sera siamo a cena fuori con dei nostri vicini. A un certo punto i loro genitori, pure nostri condomini, li chiamano per avvertirli che dal loro appartamento sta uscendo acqua. Ci precipitiamo tutti a casa. Lo sportello della lavatrice si era aperto e l’acqua continuava a caricare all’infinito. Risultato: due centimetri di acqua dappertutto, senza contare quella che stava defluendo giù per le scale dalla porta d’ingresso. La situazione appariva tragica pensando ai possibili danni per i vicini del piano di sotto, che avevano appena messo il parquet. Ci offriamo di far dormire da noi i bambini. Gli uomini cominciano a spingere l’acqua fuori dalbalcone, le donne a raccoglierla nei secchi con gli stracci. Il peggio è evitato, per fortuna. Una sera, mentre riordino il salone, sentiamo urla terribili provenire dal piano di sotto. Sulle prime pensiamo di non immischiarci. Ma poi Marco scende. La porta dell’appartamento è spalancata. Marco con trepidazione entra. Il figlio di 18 anni è trattenuto a terra da due condomini. Il padre barcolla, con lo sguardo perso nel vuoto. La madre si dispera e tra i singhiozzi dice che il ragazzo voleva gettarsi dal balcone. Un altro vicino si tampona la faccia perché aveva ricevuto un pugno dal ragazzo, che nel frattempo continua a sussultare e a imprecare con gli occhi sbarrati e la bava alla bocca. Aiutiamo come possiamo, soprattutto consolando i genitori e aspettando insieme l’ambulanza che avrebbe portato il ragazzo all’ospedale, in overdose di cannabis. Anche questo può accadere in un condominio». (Anna Maria e Marco, Italia) Tratto da Una buona notizia. Gente che crede gente che muove – Città Nuova Editrice, 2012
E nel tuo condominio come va?
(altro…)
28 Set 2012 | Chiara Lubich, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Da quando ho saputo che l’anno appena trascorso sarebbe stato dedicato a vivere la “Parola” – racconta Maria –, il mio pensiero è tornato a quando, conosciuto il Movimento dei Focolari da ragazza, Chiara Lubich ci aveva incoraggiato a riscrivere, con la nostra vita, il Vangelo. Nel mese di marzo si viveva la frase: “Signore da chi andremo?”( Gv 6,68) e nel commento Chiara afferma che le Parole di Gesù vissute cambiano il nostro modo di pensare e di agire. Erano venuti alcuni operai a fare dei lavori in garage. Una persona del condominio, non essendo al corrente del fatto, si era risentita e aveva inveito contro l’idraulico. Per caso, mi sono trovata in mezzo a questa discussione e ho cercato di riportare la pace. Così prima ho parlato con l’uno, spiegandogli il motivo di questi lavori improvvisi e poi, con l’altro, perché capisse la ragione di questo suo sfogo. La tensione è cessata ed è tornata la serenità». «Una delle nostre figlie – continua Luigi –, con il cambio d’insegnante ha manifestato alcune difficoltà in una delle materie dove era sempre riuscita bene. Il problema era esteso a buona parte della classe, tanto che molti genitori sono intervenuti prendendo posizione contro l’insegnante. Abbiamo pensato di fare qualcosa per aiutare a sciogliere la tensione. La frase del Vangelo «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49), dove Chiara ci invita ad amare ciascuno coi fatti, ci ha aiutato ad avere l’atteggiamento giusto sia con nostra figlia, sia con gli altri genitori, sia con il professore. Ci siamo impegnati inviando lettere, partecipando alle riunioni dei genitori e con la preside, parlando con il professore, ascoltando le ragioni di ognuno e cercando di orientare tutti verso un dialogo costruttivo. Apparentemente questa esperienza non ha avuto un lieto fine perché circa la metà degli alunni della classe ha avuto il debito in questa materia. Ci pare, però, sia stata un’occasione per portare uno spirito diverso nella scuola e, soprattutto, abbiamo condiviso con nostra figlia questa “sconfitta”, aiutandola a superare l’ostacolo, pronti con lei a rispettare questo professore e pregando ogni sera anche per lui». «A maggio, ad una delle nostre figlie è stato diagnosticato un grave tumore – racconta Maria –. È stata una sorpresa: perché Dio ci chiede questo? Eravamo confusi… non era facile superare questo dolore. La Parola ci è stata ancora una volta di aiuto e pian piano abbiamo cercato di aderire a quanto Dio ci chiedeva. Il rapporto con Luigi e con i figli è diventato più forte. Abbiamo sentito l’amore di tanti con i quali abbiamo condiviso questa sospensione. L’operazione è andata bene. Nella stanza di Letizia – sono potuta stare accanto a lei tutto il tempo del ricovero – c’era una signora la cui famiglia abitava lontano. Era a digiuno da parecchi giorni per vie delle cure che stava facendo. La Parola di Vita di quel mese era «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6,27). Sentivo che questo cibo potevo offrirglielo attraverso le parole e alcuni piccoli servizi. Un giorno le ho prestato il giornale “Città Nuova”, e dopo poco ho visto che stava leggendo proprio la Parola di Vita». «Con l’estate siamo tornati al nostro paese natale dove ci attendeva una situazione familiare difficile: una zia di Maria bisognosa di tante cure e suo marito malato in ospedale, entrambi anziani e senza figli. Lo zio non conosceva in pieno della gravità del suo male. Gli siamo stati accanto fino al momento della morte. Le ultime notti, poi, le abbiamo trascorse sussurrandogli all’orecchio qualche preghiera. Ci sembra si sia preparato gradualmente all’incontro con Dio». (altro…)
18 Set 2012 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Mi chiamo Magued e sono cresciuto in una famiglia cristiana. Quando avevo tre anni, a mia mamma è stata diagnosticata la Sclerosi Multipla. Questa malattia, continuando ad evolversi, l’ha resa paralizzata e non vedente. Insieme al babbo, a mio fratello e a mia sorella, ho imparato ad aiutarla. Sognavo, però, che fosse sana come le mamme dei miei amici, che potesse venire a prendermi all’uscita della scuola, o mi preparasse la colazione… ma col tempo ho capito che il mio era un sogno irrealizzabile. Insieme ai miei fratelli, ho imparato ad accettare questa situazione vedendo in essa la volontà di Dio, e a credere che tutto concorre al bene per chi ama Dio. E siamo diventati più uniti tra di noi, sentivamo che la Sua grazia ci accompagnava sempre. Sei anni fa, abbiamo scoperto che mia sorella aveva un tumore. In quel momento, sono andato in crisi, non riuscivo ad accettare che anche mia sorella fosse malata, così ho chiesto a Dio di prendere me al suo posto, perché pensavo che avrei sopportato di più questo dolore. Col tempo, ho accettato anche la malattia di mia sorella che, malgrado le cure, non guariva. Quattro anni fa, mia mamma è andata in Paradiso e in quel momento ho sentito, insieme al grande dolore, un grande vuoto. Era come se un pezzo del mio cuore si fosse staccato e fosse partito con lei. Poi, due anni fa, facendo degli accertamenti, per un disturbo ad un occhio, ho scoperto di avere, anch’io, la sua stessa malattia. All’improvviso, tutto è crollato! Avevo appena finito l’università e pensavo di avere un futuro aperto davanti a me…. Mi angosciava pensare che un giorno mi sarei svegliato paralizzato o che avrei perso la vista, come la mamma. Ho sentito la spinta a buttarmi a fare tutto, anche ciò che è male, perche, poi, non avrei più potuto fare più niente… Ma presto ho capito che ciò che mi rendeva veramente felice era cercare di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, con un rapporto profondo con Dio. Così, ho cominciato un nuovo lavoro, e ho conosciuto una ragazza, un angelo, pronta a portare con me tutte le difficoltà che potrò incontrare in futuro.
Tanti dei miei amici mi dicono che pregano per me, perché io guarisca ma io rispondo che anch’io prego per loro, perché ognuno di noi è malato in qualche cosa. Una sera di qualche mese fa, mia sorella mi ha chiamato – ero fuori casa con gli amici – e mi ha chiesto di tornare perché si sentiva male. Sono arrivato e mi sono seduto accanto a lei. Abbiamo cominciato a pregare insieme anche se non eravamo abituati a farlo. Era come se una voce mi dicesse: “Prega con lei, Magued”. Dopo poco si è sentita ancora più male, ha appoggiato la testa su di me ed è spirata. In questi ultimi mesi, ogni tanto ho avuto delle ricadute. Non riuscivo a tenere in mano una penna, o perdevo la sensibilità al braccio e per un periodo non ci vedevo bene, cosa che mi ha creato problemi al lavoro. In questi momenti, mi ricordo di mia mamma e di mia sorella che, malgrado il dolore, avevano occhi pieni di gioia e di pace. È come se mi dicessero: “Non aver paura, ma continua a credere nell’Amore di Dio e a testimoniarlo con la tua vita”.
(altro…)
11 Lug 2012 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«Sono medico e lavoro in un ospedale pubblico. Un giorno la polizia ci porta un uomo con due proiettili nella gamba. È il tipo di paziente che nessuna clinica vuole: un ladro, colto in flagrante. È stato gravemente ferito nello scontro con la polizia che l’ha portato da noi. È quasi immobile nel suo letto, senza nessuno ad assisterlo, neanche i genitori si sono fatti vivi – come sarebbe l’usanza – avendo saputo che ha rubato. Nella maggioranza delle cliniche dell’Africa è compito dei parenti di portare il cibo ai pazienti, lavare i vestiti, aiutarli in qualsiasi bisogno materiale: nell’assenza dei famigliari il paziente è perciò completamente abbandonato. Il personale dell’ospedale è incaricato solo di somministrare le cure mediche. In più, gli altri malati e il personale sanitario, non sono contenti di questo malfattore. Per questo ha molte difficoltà per trovare da mangiare e, costretto a stare immobile a letto, pian piano l’odore diventa insopportabile. Mi lamento con il commissario di polizia che ci ha scaricato una persona senza assistenza. “Questo è il lavoro del personale medico!”, replica con durezza. Mi viene in mente che in altri paesi anche le cure del paziente spettano al personale sanitario. Cerco di spiegare ai miei colleghi che dobbiamo interessarci di questo paziente, ma non riesco a convincerli. Cerco di sensibilizzare i malati che occorre accettare questo paziente. In verità, con poco successo. A un dato punto mi chiedo: “Esorto gli altri, ed io? Che cosa faccio per lui? Sì, gli prescrivo le medicine. Gli do un posto nel reparto. Ma, questo è soltanto il mio dovere. Ora, occorre che faccia io stesso ciò che chiedo agli altri: andare oltre il minimo.”
Faccio uscire il paziente dal letto e lo lavo. “Oh! È da quasi due mesi che non mi sono lavato!”, esclama con gioia. “Com’è piacevole sentire ancora i raggi del sole sulla pelle!” Chiedo poi a uno dei lavoratori di lavare i panni del paziente e gli offro una piccola ricompensa. Poi, con un altro collega sostituiamo il suo materasso che era in cattive condizioni. Infine, lascio una piccola somma al paziente stesso, in caso abbia bisogno di qualcosa. Questo gesto porta frutti. I lavoratori, ad esempio, cominciano a gettare regolarmente i suoi rifiuti. Suscita compassione negli altri pazienti, che ora condividono il loro cibo con lui. Dopo qualche tempo egli può andare via dall’ospedale. È allegro. Mi dice che non ruberà più. Persino segue il mio consiglio di non andar via prima di presentarsi alla polizia per sottoporsi alle azione giudiziarie del caso. Sente che deve assumere la responsabilità delle sue azioni.» Dott. H.L. (Burundi) (altro…)
8 Lug 2012 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria
«La nostra storia – racconta Lucia – comincia 42 anni fa quando abbiamo deciso di condividere il nostro cammino. Frequentandoci, però, abbiamo scoperto di non pensare allo stesso modo, soprattutto nel campo religioso: io avevo la fede, lui no. All’inizio, non mi sono preoccupata; non credevo che questo avrebbe influenzato la nostra vita futura insieme. Invece, il primo scontro lo abbiamo avuto quando, rimasta incinta, bisognava decidere se portare avanti la gravidanza o no. «Ero troppo giovane – continua Tonino – per pensarmi come padre e marito; ero ancora studente, avevo tanti progetti per il futuro, ed ora mi ritrovavo a dover prendere una decisione che ti cambia la vita! A malincuore ho accettato la determinazione di Lucia di tenere il nascituro e di celebrare il matrimonio in Comune. Durante la gravidanza tutto è andato bene ma, appena è nata la bambina, mi sono sentito di nuovo schiacciato da un’enorme responsabilità tanto da fuggire da tutto e tutti. «All’improvviso mi sono ritrovata sola – anche se i miei genitori non mi hanno mai abbandonata -, con una bambina da crescere. Gli anni successivi furono all’insegna della sofferenza, soprattutto quando lui decise di chiedere la separazione. «Volevo vivere la mia vita – conferma Tonino –. Ottenni la separazione e, successivamente, il divorzio. Ero nuovamente libero. Molto spesso, però, mi ritrovavo a pensare a loro, e fu così che maturai la decisione di ritornare sui miei passi. Ricominciai a corteggiare la mia ex moglie e a vedere mia figlia. Ben presto sentimmo il bisogno di una nostra casa, della nostra intimità, per ricostruire la famiglia. Accettai anche di celebrare il nuovo matrimonio in chiesa. «Quegli anni pieni di sofferenze e tormenti ormai facevano parte del passato – ricorda Lucia. Avevamo una nuova vita e anche una seconda figlia, Valentina. Con la sua nascita è cominciato un periodo di maggiore serenità, dovuto sia ad una conquistata sicurezza lavorativa ed economica sia al fatto che, pian piano, cominciavo ad accettare di vivere la mia vita accanto ad una persona così diversa da me. Dopo qualche anno all’improvviso, nella nostra famiglia, a stravolgere tutto, è arrivato il Movimento dei focolari! Valentina, invitata da un’insegnante, aveva conosciuto le Gen4, le bambine dei Focolari. E’ iniziato per lei, e successivamente per noi, un cammino diverso.
«Mi toccava accompagnare Valentina agli incontri delle Gen4 – spiega Tonino. Quando andavo a riprenderla era sempre contenta e, appena entrata in macchina, si scusava del ritardo (mi faceva aspettare sempre almeno mezz’ora) e cominciava a raccontarmi la sua bella serata. Contaminato da questo suo entusiasmo e dalla festosa accoglienza che tutti nel Movimento – pur non avendo io nessun riferimento religioso -, mi riservavano, sono diventato anch’io un componente di questa famiglia. Inizialmente mi sono inserito nel gruppo degli “amici del dialogo”, formato da persone di convinzioni diverse. «Qualche tempo dopo anch’io – incuriosita che un movimento cattolico accettasse mio marito non credente –, cominciai a frequentarlo, e man mano che approfondivo la conoscenza della spiritualità focolarina tante domande trovavano risposta. Di strada insieme ne abbiamo fatta; tante barriere sono state abbattute. Ho imparato ad ascoltare, senza la paura di perdere me stessa, e a dare spazio al silenzio interiore ed esteriore per accogliere e capire l’altro. «La nostra diversità, non solo religiosa – sottolinea Tonino –, non ha affatto ostacolato il nostro percorso di vita insieme. La scelta di Valentina, di diventare focolarina, non mi ha trovato impreparato, avendo condiviso tanto con lei; il rapporto tra noi non si è minimamente scalfito, anzi, si è maggiormente consolidato, a differenza di Lucia che, seppur all’inizio, non l’ha accettata di buon grado. «Per me, non è stato subito facile accettare la scelta di Valentina – confessa Lucia. Avrei voluto che facesse prima altre esperienze, come per es. avere un fidanzato, un lavoro, in modo da poter confrontare le due realtà e decidere serenamente. Lei invece sentiva fortemente che quella era la sua strada. Ormai sono otto anni che è in focolare, sempre più convinta. Ora sono contenta di averla assecondata: pur essendosi consacrata a Dio, non trascura mai il suo rapporto con tutta la famiglia. «Ringrazio Chiara Lubich e tutta la comunità di cui faccio parte – conclude Tonino –, per aver dato a me e a tutti coloro che condividono il mio stesso pensiero, l’opportunità di rafforzare questo desiderio di unità per seguire un cammino basato sui valori fondamentali della fraternità e dell’amore verso il prossimo.» A cura del Centro internazionale per il dialogo tra persone di convinzioni non religiose (altro…)