Apr 26, 2015 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità
«La cosa cominciò, come la cose di Dio, da umile germe. Silvia Lubich era figlia di un commerciante di vino, ridotto dalla crisi economica della seconda guerra mondiale a modesto impiegato del Comune, e di una massaia di Trento che da giovane aveva lavorato alla tipografia di Cesare Battisti. Due cristiani di tipo trentino: semplici, diritti, senza tante storie. Essi avevano messo al mondo quattro figli, un maschio, il primogenito, e tre ragazze, di cui Silvia, nata il 22 gennaio 1920, era la maggiore; a tutti avevano impartito un’educazione cristiana, la quale forgiò Silvia a una pietà lineare sin dall’infanzia. Lineare, perché non consentiva compromessi: non consentiva che si dividesse il desiderio tra Dio e il mondo, che si pensasse al bene e al male, che si mostrasse una cosa e se ne celasse un’altra. C’era Dio: Dio era tutto: e dunque bisognava essere tutti di Dio: fare la volontà di Lui, sempre come un raggio di sole spiccato dal cielo per posare in terra». È l’incipit di Storia di Light, cioè la storia di Chiara Lubich scritta da uno dei protagonisti delle vicende descritte: Igino Giordani, personalità insigne della cultura e della politica italiana, cofondatore del Movimento dei Focolari. «Essere un capolavoro non è mai facile per nessuna opera», scrive Alberto Lo Presti, direttore del Centro Igino Giordani, nell’introduzione alla prima puntata. «Figurarsi per un libro che deve contendersi questo primato con un altro centinaio, tanti quanti ne scrisse Giordani. Storia di Light, invece, non ha mai visto la luce. Non solo: è rimasto pressoché sconosciuto anche a coloro che – in questi anni – lo hanno custodito. Fu lo stesso Giordani a chiedere di attendere, quando – in realtà – qualsiasi autore vorrebbe perfettamente il contrario, cioè essere conosciuto soprattutto per i propri migliori lavori». «Storia di Light non è una ricerca condotta con le regole e il metodo della storiografia. Potremmo definirlo il racconto del prodigioso intervento suscitato dallo Spirito Santo – e visibile nella figura e nell’azione di Chiara Lubich – nella storia del Ventesimo secolo. In altre parole, è costituito da una serie di quadri narrativi in cui il disegno biografico di Chiara è intrecciato al disegno di Dio su un’umanità afflitta idealmente e sconvolta socialmente dalle divisioni e dalle guerre mondiali. Ecco perché, nella trama sottile della Storia di Light, riconosciamo alcuni elementi di base della complessa personalità di Giordani. Egli visse, da protagonista, tutti i principali drammi del Ventesimo secolo, ricevendone le ferite di guerra, subendo le persecuzioni ideologiche, accettando l’emarginazione civile. Fu uomo di fede, operante nella Chiesa e nella cultura, consapevole che il male radicale sarà sconfitto da un nuovo spirito cristiano, di cui si mise alla tenace ricerca. Incontrò Chiara Lubich, nel settembre del 1948, e colse in lei la luce (light) che era andato cercando. La seguì mettendo a disposizione della fondatrice del Movimento dei Focolari tutta la propria intelligenza e l’intera volontà. Non ebbe mai dubbi sulla forza e sulla preminenza della figura di Chiara per la Chiesa, per la società, per la storia contemporanea e in avvenire. Giordani, perciò, non poteva, neanche volendolo, scrivere una storia compiuta e distaccata, metodologicamente inappuntabile, di Chiara Lubich. Il suo coinvolgimento umano e spirituale non glielo poteva concedere». «L’Autore aveva scritto numerosi volumi sulle più grandi figure spirituali: Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Maddalena di Canossa, Contardo Ferrini, Francesco di Paola, Vincenzo de’ Paoli, Francesco di Sales, Francesco d’Assisi, solo per citare alcuni lavori monografici. Si tratta di una galleria di personalità straordinarie, di epoche e contesti differenti. Il posto d’onore, in questa ricca sequela, è assegnato a Chiara Lubich, della cui storia egli fece il suo “capolavoro”. Quando, a 54 anni, la storia lo chiamò all’appuntamento con Chiara, non si recò spiritualmente disarmato. Sapeva misurare la grandezza religiosa di un ideale, così come aveva gli strumenti per saggiare la magnitudine di un’intuizione mistica. Per tale ragione […] è verosimile che Giordani avvertì una sorta di supremo dovere affinché egli rendesse testimonianza della verità su chi fosse realmente Chiara. D’altronde, questo ruolo fu da lui assunto fin dai primi istanti della sua frequentazione con Chiara e il primo nucleo di focolarine. Con la sua erudizione, era in grado di svelare l’importanza e la novità della figura di Chiara alle giovani che la seguivano». «Giordani visse i momenti difficili in cui Chiara Lubich e i Focolari erano sotto la lente d’ingrandimento della Congregazione del Sant’Uffizio. Da tale periodo – siamo negli anni Cinquanta – e ancora per molti anni a venire, si produsse un diffuso atteggiamento prudenziale che induceva alla massima discrezione attorno alla figura di Chiara. Se era necessario contenere i sentimenti di affetto e di stima per Chiara, per Giordani non v’erano tuttavia dubbi che la verità su di lei andava scritta e tramandata. Di qui, Storia di Light, il suo “capolavoro”. Introduzione a Storia di Light (testo integrale) – pubblicato su Nuova Umanità, gennaio-marzo 2015 (altro…)
Apr 18, 2015 | Centro internazionale, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Non si può dire qui chi è stato Igino Giordani per il Movimento dei Focolari. Basti pensare che egli è un cofondatore del Movimento stesso. Ora essere fondatori o anche cofondatori di un’Opera che la Chiesa riconosce sua, comporta un’azione così molteplice e complessa della grazia di Dio, impulsi così vari e validi dello Spirito Santo, comportamenti, da parte del soggetto, così decisivi per l’Opera ed il più delle volte imprevisti perché suggeriti dall’Alto, richiesta di sofferenze spesso penetranti e prolungate nel tempo, elargizioni di grazie di luce e di amore, non ordinarie, che è meglio affidare alla storia della Chiesa e dei Movimenti spirituali che l’abbelliscono di secolo in secolo, la rivelazione di questa figura. Si può dire qualcosa, anche se non è facile, di Igino Giordani focolarino. Il focolarino fa ogni cosa, prega, lavora, soffre, per arrivare a questo traguardo: esser perfetto nell’amore. Ebbene ci sembra proprio di dover affermare che Giordani ha raggiunto questa mèta. Per quanto noi possiamo giudicare, egli è stato perfetto nell’amore. Ha impersonato quindi il nome di battaglia col quale era chiamato nel Movimento: Foco, fuoco, e cioè quel amore verso Dio e il prossimo, soprannaturale e naturale, che sta alla base ed al vertice della vita cristiana, contribuendo in maniera unica a mantener viva in mezzo a tutti noi la realtà della “parola di vita” che gli era stata indicata al suo ingresso nel Movimento: “Amatevi a vicenda come io ho amato voi”. Quelli che hanno conosciuto a fondo Igino Giordani, sono concordi nel costatare e nell’affermare che egli ha vissuto le beatitudini. “Puro di cuore” in maniera eccezionale, ha aperto a persone coniugate di ambo i sessi, di varie parti del mondo, la possibilità d’una originale consacrazione a Dio, pur nello stato matrimoniale, mediante una verginità spirituale, effetto della più ardente carità. Questa purezza di cuore gli affinò i sentimenti più sacri e li potenziò. Aveva un tenerissimo amore per la sua sposa. Ed alla fine della vita commuoveva ed impressionava l’intensità dell’affetto verso i suoi quattro figlioli. Così per i suoi nipoti. Era un padre perfetto, un nonno perfetto e un uomo tutto di Dio. E’ stato “povero in spirito” con un distacco completo non solo da tutto ciò che possedeva, ma soprattutto da tutto ciò che era. Era carico di misericordia. Vicino a lui anche il più misero peccatore si sentiva perdonato ed il più povero si sentiva re. Una delle caratteristiche più spiccate, come documenta anche la sua storia di uomo politico, è stata quella di “operatore di pace”. Ed era arrivato a possedere tale mitezza da far capire come il Vangelo dica che chi ha questa virtù possiede la terra: egli con la più nobile gentilezza, con quel modo di trattare, con quelle parole tutte sue che aveva per ognuno, conquistava tutti quelli che avvicinava. Chiunque si sentiva a suo agio, considerato con dignità, anche i giovani riuscivano a stabilire con lui un rapporto da pari a pari. E si costatava come, soprattutto negli ultimi anni, irradiasse, parlando, qualcosa di soprannaturale. “Aveva fame e sete della giustizia” per la quale ha combattuto tutta la vita. Ed ha subìto persecuzioni per il nome di Dio, per cui oggi lo crediamo in possesso del Suo Regno. Ma molte altre parole del Vangelo fanno ricordare la sua figura. Da lui si comprende cosa significhi quella conversione che Gesù chiede, per cui occorre farsi bambini. Cristiano di prim’ordine, dotto, apologeta, apostolo, quando gli è parso d’incontrare una polla d’acqua genuina, che sgorgava dalla Chiesa, ha saputo “vendere tutto” per seguire Gesù che lo chiamava a dissetarsi di quell’acqua. Avendo molto sofferto per quell’emarginazione spirituale in cui gli sembrava di scorgere ai suoi tempi il laicato, ambiva con tutto il suo grande cuore ad abbattere pareti divisorie fra persone che stavano nello stato di perfezione ed altri – aggiungeva scherzando – in quello di imperfezione. In pratica, egli era sensibilissimo ai segni dei tempi, anzi era lui stesso un segno dei tempi, di questi tempi in cui lo Spirito Santo chiama tutto il popolo di Dio alla santità. Quando Igino Giordani aveva incontrato il Movimento era formato soltanto da persone vergini. È stato lui a spalancarlo ai coniugati, che al suo seguito hanno avvertito la fame di santità e di consacrazione, mandando ad effetto quel progetto, prima soltanto intravisto, d’una convivenza di vergini e coniugati, per quanto è a questi consentito, sull’immagine della famiglia di Nazareth. Giordani è stato uno dei più grandi doni che il cielo abbia fatto al Movimento dei Focolari». (tratto da: Chiara Lubich, Igino Giordani focolarino, «Città Nuova» n. 9-10 maggio 1980) (altro…)
Apr 1, 2015 | Centro internazionale, Chiesa, Spiritualità
«Nella liturgia pasquale, si ringrazia Dio per aver fatto splendere, «in piena luce, Cristo, il quale, dopo aver salvato gli uomini col suo mistero pasquale, riempì la chiesa di Spirito Santo e l’arricchì mirabilmente di doni celesti», tra questi il sacerdozio regale conferito a tutti i fedeli. La chiesa dunque è santa, perché piena di Spirito Santo; è il corpo di Cristo che è la santità totale. Cristo l’ha istituita per continuare con lei a redimere e ne ha fatto lo strumento di liberazione dal male e di attrazione al bene. Il Vangelo realizzato, l’umanità recuperata, la convivenza con Dio in unità perenne, la grazia comunicata ininterrottamente: questa é la chiesa. E la chiesa siamo noi, compaginati, coi sacramenti e la dottrina, attorno al papa e ai vescovi, componendo un corpo sociale, le cui arterie portano il sangue di Cristo, la cui anima è lo Spirito Santo, principio di santificazione. Così, la chiesa è la degna stanza della Trinità divina in terra. Manzoni la chiama «madre dei santi, immagine della città superna». Suo compito è la nostra santificazione. E il mistero pasquale riassume lo scopo per cui siamo su questo pianeta e lo scopo per cui sul pianeta è disceso, a essere crocifisso, lo stesso Figlio di Dio». Giordani continua sottolineando come l’uomo ha sete di santità e di verità e rifiuta di trascinare un’esistenza insulsa e senza colore: vuole vivere, non languire. È per questo che sbagliamo se proponiamo un cristianesimo illanguidito, ambiguo, illudendoci di attirare così le persone. «Quel dire e non dire genera una “no man’s land”, una zona desertica. Non é un servizio al Signore, la cui parola fu sempre esplicita; non serve a Dio e provoca il disgusto di quelli stessi, a cui si pensa di rendere più appetibile l’idea religiosa. Chi ha ammorbidito la verità, chi ha camuffato la croce a decorazione, ha sottratto al popolo la bellezza e la potenza del comandamento divino, che invita a dare a Dio il corpo, l’anima, tutto, prendendo posizione per Cristo, sino a farsi Lui. Sì, sì, no, no, insegna il Vangelo ed esige la chiesa. Il ni sfiacca la fede e nullifica la chiesa. Santificali nella verità; la tua parola è verità! Chiese Gesù al Padre mentre stava per consumare il sacrificio supremo dell’amore. Nella verità, non nella neutralità o nella mediocrità o nella banalità… Se si accoglie Cristo intero, allora tutta la giornata, qualunque lavoro si faccia, viene spesa a professare la fede. La vita allora diventa un’operazione meravigliosa, quasi una liturgia ininterrotta, dove ricchi o poveri, malati o sani, uomini o donne, vecchi o giovani, tutti si ha da fare; tutti si può edificare. Edificare un destino eterno con materiali del tempo. Questa è la santificazione. La quale non è una diserzione dalla vita. È un viverla, la vita, intera e sana, eliminando le tossine. Cristo chiede a tutti, anche a te e a me, di seguirlo rompendo i ponti col passato, con ciò che è morto, ritrovandoci in una giovinezza perenne. Questa è la libertà. Cosi riguardata, la chiesa, con la quale il Salvatore seguita a donare la salute, appare un divino ministero della sanità: sacramento che risolve la morte in resurrezione». Da Igino Giordani, Il mistero pasquale, Città Nuova, Roma, n.6 del 25.3.1977, pp.24-25. (altro…)
Mar 12, 2015 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Cultura, Spiritualità
Da Montecitorio al mondo: questo percorso di Igino Giordani ha inizio verso la fine degli anni Quaranta, quando Igino è arrivato a un punto della vita un po’ problematico. Il mondo lo riconosce come un grande intellettuale cristiano, un fulgido studioso dei Padri della Chiesa, uno scrittore apologeta e coerente, ma lui avverte di vivere una certa “noia dell’anima”. A risvegliare la sua fede e la sua carità è l’incontro con Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari. L’incontro fra i due fu qualcosa di straordinario e lo dicono le circostanze speciali in cui avvenne: Igino Giordani era un uomo sposato, aveva 54 anni, 4 figli già grandi. Chiara era una giovane che aveva più o meno la metà dei suoi anni e chiedeva udienza per una necessità concreta: trovare un appartamento a Roma. Giordani, già membro dell’Assemblea costituente, era anche un deputato della Democrazia cristiana, di quelli “storici”, perché fu tra i primi – già negli anni Venti – a lavorare per il neonato Partito Popolare, il partito d’ispirazione cristiana fondato dal sacerdote Luigi Sturzo. Chiara era una giovane laica, e l’incontro avvenne ben prima del Concilio Vaticano II, quando normalmente non era frequente che alle signorine laiche venisse riconosciuto qualche ruolo nella Chiesa. Eppure, nonostante queste enormi differenze, l’incontro con Chiara trasformò Giordani, e da quel momento egli porterà in politica l’Ideale dell’Unità. Il suo annuncio giunse in un parlamento dove il contrasto ideologico era fortissimo. Il 16 marzo 1949 c’è in ballo il Patto Atlantico. «Giusto quando conoscevo da pochi mesi Chiara, – sono parole di Giordani – c’era una discussione sul Patto Atlantico, c’era la formazione dei due blocchi: uno che faceva capo all’America, agli Stati Uniti, uno che faceva capo alla Russia; si preparavano i preliminari per fare una nuova guerra, un massacro, la guerra definitiva. E un giorno si discuteva alla Camera nella discussione più aspra; mi ricordo: eravamo così arrabbiati quella sera nella Camera, che io temevo che qualcuno tirasse fuori una rivoltella e sparasse, tanto odio c’era tra i due gruppi. Io avevo chiesto di parlare ed ecco che prima di parlare si viene a mettere a sedere vicino a me un deputato cristiano, cattolico: Pacati, l’onorevole Pacati. Dunque mi disse: ‘Mettiamo Gesù in mezzo adesso che parli’. E io prendo la parola. Sul principio chiasso, urla, ecc.; piano piano si fa il silenzio, alla fine la Camera pareva diventata una chiesa, c’era un silenzio perfetto e io esprimevo le idee che noi impariamo nel nostro Movimento, cioè che la guerra non serve a niente, la guerra è la più grande stupidità, la guerra serve per la morte; noi non vogliamo la morte, noi vogliamo la vita e la vita sta nell’amore, nel cercare l’accordo. (…) Noi tutti quanti dobbiamo reagire, di qualsiasi parte del paese, di qualsiasi partito o fede noi siamo, perché si tratta veramente, sotto tante lacrime, sotto le brutture accumulate dalla guerra e dal fango, si tratta veramente di riscoprire il volto dell’uomo, in cui si riflette il volto di Dio». Lo stenografo parlamentare conclude il suo resoconto della discussione descrivendo gli applausi e le congratulazioni che da ogni parte dell’emiciclo giunsero all’indirizzo di Giordani. Ben presto, attorno a Igino si radunano numerosi parlamentari desiderosi di seguire l’ideale dell’unità. Ricordiamo solo qualche nome: Gaetano Ambrico, Palmiro Foresi, Tarcisio Pacati, Enrico Roselli, Angelo Salizzoni e Tommaso Sorgi, colui che diverrà il principale biografo di Giordani. Con loro, Giordani fa delle cose controcorrente, rispetto al clima dell’epoca. Per esempio, nel 1951 lavora all’«Intesa interparlamentare per la difesa della pace», insieme ad altri 40 parlamentari provenienti dal partito liberale, da quello repubblicano, socialdemocratico e democristiano. Sempre controcorrente, in pieno clima di guerra fredda, il suo pacifismo lo porta nel 1949 a promuovere con un parlamentare socialista, Calosso, la prima legge sull’obiezione di coscienza. Figurarsi le difficoltà che incontrò Giordani quando, come relatore, presentò la proposta alla Camera! Ma le sue convinzioni erano inossidabili: uccidere l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, significa commettere deicidio. «Nasce una nuova coscienza civica, – scrive Giordani – la quale abbatte le divisioni di partiti o fazioni o correnti e di privilegi di casta, di razza, di classe, e, dilatandosi, supera i confini statali. L’impulso comunitario suscitato dall’amore cristiano e spinto sino ad inserirvi Gesù, è un risveglio religioso e sociale, che, se, come noi crediamo, riesce, muta la storia dell’umanità». Certo, proclamare oggi gli ideali di amore e di comunione in politica sembra quanto mai spericolato… ma era spericolato (e forse di più) pure ai tempi di Giordani. Sì, Giordani viveva nella profezia; e pur vivendo con profondo impegno le sfide del tempo, non vi rimaneva intrappolato. La sua era una profezia forte di un Ideale immenso, quello dell’unità, sorretto da una spiritualità moderna e avvincente, che Chiara Lubich ha donato al mondo, e che Igino Giordani ha vissuto anche in politica. Alberto Lo Presti (Direttore del Centro Igino Giordani) (altro…)
Feb 22, 2015 | Cultura, Spiritualità
«In un mondo razionale lo scrittore dovrebbe situarsi al centro della vita collettiva: come colui che dirige e interpreta l’anima del popolo. Ma il mondo è per una frazione retto dalla razionalità: per più frazioni è retto dall’istinto, da passioni irrazionali: per esempio dalla paura, e allora lo scrittore in tanto diviene popolare in quanto raccoglie e magari esaspera gli istinti della massa. Oggi imperano la tecnica, la meccanica, lo sport, il cinema da una parte, la demagogia, l’affarismo, la politique d’abord dall’altra: e lo scrittore – se non vuol ridursi alla funzione marginale – deve mettersi al servizio di interessi materiali e passionali; scrivere per un giornalismo spesso necessariamente asservito, per il suo enorme costo, a gruppi industriali, a partiti politici, a ideologie ed a professioni redditizie. Cala la libertà di stampa, poiché la stampa libera si rarefà sotto la pressione finanziaria; e cala la libertà dello scrittore. Questo aiuta a spiegare il diradarsi del tipo di grande scrittore; e aiuta a spiegare perché più d’uno trasferisca il suo esercizio nell’agone politico o cerchi sfogo su altri piani. Peraltro, se è la decadenza razionale dei popoli a produrre la rarefazione dello scrittore e il suo ridursi ai margini, è pur vero che è anche la decadenza spirituale, morale e intellettuale di chi scrive a produrre l’allontanamento dei lettori. La verità è che lo scrittore è causa ed effetto del suo ambiente sociale. Occorrerebbe che fosse più causa o meno effetto. Che se fosse quel che ha da essere: un maestro, o, quasi direi, un apostolo o un profeta, il popolo lo seguirebbe o lo lapiderebbe: insomma mostrerebbe un interesse vivo alle manifestazioni del suo spirito. Il posto dello scrittore è di avanguardia: quasi di avanscoperta: in tutti i casi di rischio. Difatti per adempiere una missione apostolica, di formazione e di elevazione, lo scrittore rischia povertà e incomprensione. La posizione dello scrittore è relativa al valore del messaggio che porta e alla forza e ai modi della espressione artistica con cui lo porta. In un mondo, dove la tecnica e l’organizzazione, la pianificazione e l’accentramento, il gregarismo e la stanchezza della libertà, hanno sopraffatto l’anima dell’uomo, oberandola di rumori e di comandi, uno scrittore libero che concorresse alla liberazione spirituale – alla redenzione dell’uomo -, aiutando a superare lo «scompenso» tra mondo esterno immane e mondo interno esiguo, svolgerebbe un compito più grande di quello degli statisti più in voga. In un mondo logorato dalle scissioni e tremebondo per la paura, fruttata dall’odio, una parola di fraternità e umanità, cioè di carità, detta con chiarezza, bellezza e potenza, consacrerebbe alla gratitudine dei popoli il suo autore, conferendogli una situazione di centro nell’orbita della civiltà». (Da: Igino Giordani, Il compito dello scrittore, «La Via», 2.2.1952, p. 3) (altro…)