


Dal sogno all’impegno: le proposte di Loppianolab
Oltre mille partecipanti, di cui un quarto nella fascia di età dei giovani, ragazzi e bambini; tre focus centrali su lavoro, educazione, partecipazione, a partire dall’eredità del ’68; quasi cinquanta laboratori per grandi e piccoli; decine di relatori. Sono queste le cifre dell’edizione 2018 di LoppianoLab, il laboratorio per l’Italia che si è svolto, il 29 e 30 settembre, nella Cittadella internazionale di Loppiano e il cui titolo richiamava l’anniversario della contestazione: “Dal sogno all’impegno, educazione, partecipazione, lavoro a cinquant’anni dal’68”. «Ci sono le cifre di LoppianoLab 2018, e c’è la “cifra” di questa manifestazione,» spiega Aurora Nicosia, Direttore della rivista Città Nuova «cioè qualcosa di forte che la caratterizza in generale e quest’anno in particolare, come è stato rilevato da tanti: la capacità di mettere in dialogo identità ben definite e diverse fra di loro, tutte orientate però a costruire legami sociali forti, relazioni umane improntate al rispetto e alla giustizia, insomma un mondo più abitabile per tutti con lo stile della partecipazione». Ciascuno dei tre temi – educazione, partecipazione, lavoro – è stato al centro di una plenaria, cui hanno fatto seguito una serie di laboratori aperti al contributo di tutti. La mattinata di sabato 29 settembre è stata dedicata al tema del lavoro con il focus “Perché il lavoro non finirà”, che ha messo in dialogo Carlo Petrini, fondatore e anima di Slow food, con l’economista suor Alessandra Smerilli e don Antonio Loffredo della Cooperativa sociale La Paranza, moderati dall’avvocato Flavia Cerino. Intorno all’eredità consegnataci dal ’68, in ambito culturale, politico, sociale ed ecclesiale, ha ruotato il confronto tra Mario Capanna, politico e saggista, il teologo Brunetto Salvarani, l’ex parlamentare Rosy Bindi con la moderazione di Marco Luppi (storico, Ist. Univ. Sophia) e Federico Rovea, (dottorando in Scienze dell’educazione, Univ. di Padova) nel focus dal titolo: Dal sogno all’impegno: Oltre la rivoluzione e la contestazione del ’68.
La mattina di domenica 30 settembre, invece, si è incentrata sul tema dell’educazione, con il focus “Dal sogno all’impegno: parliamo di educazione 4.0 Tra memoria e futuro… una questione di senso”. Il confronto, moderato dallo scrittore Paolo Di Paolo, ha coinvolto l’insegnante e scrittore Eraldo Affinati, Emma Ciccarelli, vice presidente del Forum Associazioni Familiari, e Michele De Beni, pedagogista e docente dell’Istituto Universitario Sophia. Tra i temi toccati, la situazione che oggi vive il mondo della scuola e, più ampiamente, il mondo dell’educazione. «LoppianoLab, è stato importante per rimettere a fuoco alcune priorità: il lavoro, il bisogno di partecipazione nei molti luoghi condivisi, tra società e politica, il ruolo centrale dell’educazione…» commenta Marco Luppi, docente di Storia Politica Contemporanea presso l’Istituto Universitario Sophia. «Passando dal sogno all’impegno, io riparto da una “sottolineatura”, che ho trovato un po’ in tutti i focus e i laboratori, quella di un lavoro comune che ci attende tutti, credenti e non credenti, verso la costruzione del bene comune, in un dialogo non solo possibile, ma urgente».
Come gli anni scorsi, la formula laboratoriale che caratterizza l’evento ha messo in dialogo cittadini, imprenditori, operatori della comunicazione, studenti e docenti, politici, membri dell’associazionismo, giovani, intellettuali, di tutte le regioni italiane e non solo. «A conclusione», sottolinea Aurora Nicosia, «possiamo dire che il titolo di quest’edizione, “Dal sogno all’impegno”, non è rimasto uno slogan, ma è diventato qualcosa di vitale, una spinta a non rinunciare ai “sogni”, come sottolinea spesso Papa Francesco, ma a dare a questi concretezza con un impegno individuale e corale». Tamara Pastorelli
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Inclusiva, equa e sostenibile
Carolina Carbonell è tra gli organizzatori del Congresso dell’Economia di Comunione (EdC) a Rosario, popolosa città nella provincia di Santa Fe, 300 km da Buenos Aires. Lo definisce “una maratona”. Forse perché tutto è cominciato con una corsa. «Eravamo a febbraio 2018. Pochi mesi prima era arrivata la proposta di organizzare il Congresso nella nostra città. Faceva molto caldo. Camminando nell’area pedonale della città, ho visto un mio vecchio amico dell’università, oggi direttore di una serie di alberghi. Di corsa l’ho fermato e gli ho raccontato il nostro sogno: così abbiamo trovato il luogo per il Congresso». Il 6 settembre scorso 70 persone, «non poche, considerando il fatto che sono i giorni in cui le facoltà sono oggetto di proteste da parte degli studenti», sono presenti all’apertura, con una conferenza dal titolo “Cos’è l’Economia di Comunione?”.
Il secondo giorno la “maratona” continua. «Tutta la squadra – è il racconto di Carolina – si alza presto per andare a trovare più di 300 ragazzi del quarto e quinto anno di 12 scuole di Rosario, radunati al “Colegio Natividad del Señor” per partecipare a un workshop. I ragazzi mettono tutta la propria creatività per “creare” aziende e “prendere delle decisioni” su situazioni diverse di concorrenza, crisi, distribuzione degli utili e selezione del personale. La parte più interessante comunque è l’esame a cui sottopongono gli imprenditori EdC presenti, che rispondono con la propria esperienza di vita. Nel pomeriggio andiamo all’After Unplugged “Empresas de un solo tiempo” a La Maquinita Rosario». Si tratta di uno spazio di co–working dove Gonzalo Perrín, Leandro Simeoni e Lucas Longhi raccontano la propria esperienza di imprenditori per un progetto di bene comune. «Sabato 8 abbiamo dato il benvenuto ai 120 partecipanti, venuti da più di 30 città di 8 provincie e 4 nazioni diverse. Un bel gruppo, molto eterogeneo per età e professione. Ad una presentazione innovativa, dall’oggi alle origini, dell’EdC sono seguite le testimonianze dei dipendenti di alcune aziende che fanno parte del progetto. Esperienze diverse, da una azienda familiare che produce panche sostenibili, ad un contact center con 1.200 dipendenti, fino a “Nomines”, una azienda inclusiva che assume soltanto persone diversamente abili».
Dopo il pranzo, l’originale proposta di un gioco, il ballo delle sedie, ma in una versione diversa e anche più divertente: invece di eliminare chi non riesce a trovare posto, vengono eliminate le sedie. «Ci vogliono ingegno ed equilibrio per sedersi sopra gli altri senza farsi male. Il momento più difficile è quando rimane una sola sedia, e tutti devono sedersi senza che nessuno cada. Dello stesso ingegno hanno bisogno anche quelli che lavorano per l’eliminazione della povertà». Con grande profondità vengono quindi presentate alcune tra le realtà più tristi presenti della società, per ricordare i motivi per cui è nata l’EdC. Infine, conclude Carolina, «quando pensi che manchi poco per arrivare alla meta», perché sempre di una maratona si tratta, «e ormai non possa succedere nient’altro, arriva l’imprevedibile. La domenica, alcuni bambini di 8 anni raccontano le loro esperienze: una piccola impresa per guadagnare soldi da condividere con ragazzi di altre nazioni in guerra, oppure le visite ad un centro per anziani dove imparano a stimarli». Infine l’intervista a Martina, 9 anni: «Le domande, ma sopratutto le risposte mostrano la profezia insita nell’EdC: le persone che vivono la cultura del dare da bambini sono quelle che un giorno potranno cambiare l’economia». Fonte: www.focolare.org/conosur (altro…)

Medicina è incontro
Anni fa, la relazione medico-paziente è stata definita “una storia di silenzio”, nella convinzione che un buon paziente debba seguire le direttive del medico senza fare obiezioni, senza porre domande». Flavia Caretta, medico geriatra presso il Policlinico “A. Gemelli” di Roma e referente di Health Dialogue Culture, è tra gli organizzatori dell’ultimo congresso realizzato dalla rete internazionale a Caruaru, nello Stato del Pernambuco, con il titolo “Dialogo Interdisciplinare nella Costruzione della Salute Integrale” (23-25 agosto). HDC tiene collegati tra loro professionisti dell’area bio-medica che, ispirandosi alla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, hanno avviato una riflessione e una condivisione di pratiche sul tema della cura del malato, considerato nella globalità delle sue dimensioni. Quasi 400 i professionisti presenti al congresso, provenienti da ogni parte del Brasile. «L’insoddisfazione del paziente per la “cattiva” comunicazione – osserva Caretta – risulta superiore a qualsiasi altra insoddisfazione circa le competenze tecniche. La cultura tecnologica ha specializzato i saperi, ma spesso ha “frammentato” l’identità del paziente e le relazioni interpersonali tra chi cura e chi è curato. Il rischio può essere quello di perdere, o di non acquisire mai, la capacità di guardare il malato nel suo insieme […] Ogni domanda di cura contiene anche una esigenza di relazione. Ignorare questa dimensione significa ridurre la medicina ad applicazione di una tecnica, ad una prestazione di servizi, mentre in primo luogo è l’incontro con una persona».
«La qualità del colloquio clinico non dipende solo dall’applicazione di conoscenze scientifiche o dalle “abilità” comunicative dell’operatore, ma anche dalla sua capacità di “entrare” nel vissuto del paziente. Il processo assistenziale non può essere considerato un protocollo da scomporre in procedure, perché vi è implicata una dimensione umana imprevedibile, non standardizzabile, da giocare dentro la relazione personale, reciprocamente. Nessun gesto di cura avrebbe lo stesso effetto senza entrare in relazione con l’altro. […] Tra le nuove tendenze in medicina, oltre alla comunicazione, alla personalizzazione delle cure, si sta dando rilievo agli stili di vita, al ruolo che rivestono la comunità e la società per la salute, e in particolare alla dimensione spirituale». «Vorrei offrire alcune modalità sperimentate e condivise da molti professionisti di varie competenze, provenienze geografiche e culturali, che ispirano la loro vita e quindi anche la loro professione ai valori insiti nella spiritualità del Movimento dei Focolari. […] Nella relazione con il paziente si sono dimostrate efficaci alcune strategie, come l’ascolto, che richiede di spostare preoccupazioni, giudizi, interpretazioni affrettate, per fare posto a quanto l’altro vuole comunicare, con parole, sguardi, silenzi. Anche il silenzio è comunicazione, a volte più eloquente di quanto si possa cogliere in un dialogo. Ancora, l’impegno di riuscire a calarsi nel momento presente libera dalla fretta e da condizionamenti che potrebbero offuscare la decisione da prendere».
La coerenza tra i valori spirituali e la loro attuazione nella professione, ha sottolineato Caretta, «non riguarda soltanto il rapporto con i pazienti. Sempre più è imprescindibile interagire strettamente con varie competenze. Le riviste scientifiche, soprattutto negli ultimi anni, nella prospettiva di migliorare l’organizzazione dei servizi e la qualità dell’assistenza, sottolineano sempre più il team di cura, il lavoro in équipe, la multidisciplinarietà. […] Ricordo un’espressione di Vaclav Havel, poeta e primo presidente della Repubblica Ceca: “La speranza non è credere che le cose cambino. Sperare è credere che tu puoi fare una differenza”. La reciprocità può trasformare ogni componente del mondo sanitario, operatore o paziente, ogni componente del mondo accademico, studente o docente, in un protagonista del cambiamento». Per contatti, notizie e approfondimenti: www.healthdialogueculture.org (altro…)

Amare Gesù nell’altro
«Ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40): questa Parola esprime in modo definitivo chi è l’uomo e qual è la sua realtà. Questa interpretazione dell’uomo è certamente uno scandalo, non minore di quello che Gesù suscitava dichiarandosi Figlio di Dio. In nome della propria libertà, identità e peculiarità, l’uomo pensa di poter contestare il fatto che lo si identifichi con Gesù Cristo. L’uomo vuole essere amato per se stesso, per quello che è, non vuole essere degradato ad una sorta di maschera di Gesù. Teme che quel “di più” di amore che egli riceve per amore di Gesù sia qualcosa che non tiene conto di lui, che lo deruba dell’amore che desidera per se stesso, e di cui ha bisogno. Ma chi per amare Gesù nell’altro trascura l’altro come persona, così facendo trascura anche Gesù. E chi ritiene che riconoscere la presenza di Gesù nell’uomo significhi sminuire la sua realtà, in realtà non ha affatto compreso la presenza di Gesù nel prossimo. Dato che Gesù si è identificato con l’uomo, Dio stesso, che è Amore, si è identificato con lui. Ma l’amore non è un’affermazione di sé che consuma l’altro e lo annulla, è qualcosa che si dona, e nel suo donarsi offre all’altro la libertà di poter essere se stesso. Gesù non mi lascia solo. Egli è dalla mia parte, mi accetta così come sono, e ciò che riguarda me riguarda anche Lui. Io rimango me stesso, anzi divento pienamente me stesso, proprio perché non rimango solo. Il mistero di Cristo è il mistero di ogni uomo. Che significa per la persona che incontro, e che significa per me e la mia vita? In riferimento all’altro, significa che non ho mai a che fare con qualcuno che è semplicemente l’anello di una catena, la rotella di un ingranaggio o un semplice numero nella grande quantità di persone esistenti. Ogni qualvolta incontro un volto umano, incontro Dio nella sua realtà incondizionata, incontro quella voce che sopra ogni volto umano pronuncia ancora ciò che disse di Gesù sul monte della Trasfigurazione: “Questi è il mio figlio prediletto!” (Mc 9,7). Senza eccezioni. L’uomo non può derubare se stesso della propria ultima dignità. Che sia un criminale o un mascalzone, io non potrò mai più valutarlo come un caso perduto. In ognuno incontro Cristo, non perché sia buono, o lo meriti, e nemmeno perché abbia attinto alla luce divina nella sua vita, ma perché Dio lo ha adottato in modo irrevocabile come figlio. Certamente l’uomo è immesso nella vita divina per la grazia di Dio che ha lasciato entrare in sé, per la scelta di credere personalmente, avvenuta mediante il battesimo nel nome di Gesù. Appartenere a Gesù non è qualcosa di “automatico”. Quando una persona nasce, Cristo,ha già assunto in sè il suo vivere e il suo morire, la sua colpa e il suo smarrirsi: tutto è assunto nella vita e morte di Cristo, che ha dato la sua vita per ciascuno. Per questo in ogni prossimo incontriamo Gesù. E lo incontriamo in particolare negli ultimi, in chi sembra essere più lontano da Lui, nelle persone in cui il Suo volto sembra essere oscurato. Come mai? Sulla croce, vivendo l’abbandono di Dio, facendosi persino peccato (2 Cor 5,21), Gesù si è identificato con ciò che è più lontano da Dio, che più sembra contrapporsi a Lui. Solo scoprendo Cristo nel prossimo e donando a ciascuno quell’amore umano che si rivolge in modo indiviso a lui e a Cristo stesso, ogni prossimo potrà scoprire la propria identità con Gesù, la sua vicinanza a Lui, l’essere pienamente assunto da Lui». (Tratto da: Klaus Hemmerle, Offene Weltformel, Neue Stadt, 1970, pp 31-33) (altro…)