Feb 24, 2025 | Centro internazionale, Margaret Karram
Margaret, perché hai scelto la prossimità come tema dell’anno per il Movimento dei Focolari?
Mi sono chiesta in quale mondo viviamo. E mi sembra che in questo momento della storia ci sia tanta solitudine e tanta indifferenza. E poi c’è una escalation di violenza, di guerre che portano tanto dolore in tutto il mondo. Inoltre, ho pensato alla tecnologia che ci ha connesso in modi mai conosciuti prima, ma allo stesso tempo ci rende sempre più individualisti. In un mondo come questo penso che la prossimità possa essere un antidoto; un aiuto per superare questi ostacoli e curare questi “mali” che ci rendono distanti gli uni dagli altri.
Da dove possiamo cominciare?
Da mesi faccio questa domanda a me stessa. Mi sembra che dobbiamo ri-imparare ad avvicinarci alle persone, ri-imparare a guardare e trattare tutti come fratelli e sorelle. Sentivo che prima di tutto dovevo fare un esame di coscienza sull’atteggiamento mio. Le persone che avvicino ogni giorno, sono fratelli, sono sorelle per me? O sono indifferente verso di loro o addirittura li considero nemici? Mi sono fatta tante domande. Ho scoperto che alle volte voglio evitare una persona, perché forse mi darà fastidio o mi disturberà o mi vorrà dire delle cose difficili. Per tutto questo ho intitolato la mia riflessione sulla prossimità che ho presentato a metà novembre ai responsabili del Movimento dei Focolari così: “Chi sei tu per me?”
Potresti dirci alcune delle idee principali che hai sviluppato sotto questo titolo?
Volentieri. Accenno a quattro pensieri. La prima prossimità che la nostra anima sperimenta è quella al contatto con Dio. È lui stesso che si trasmette ai prossimi anche attraverso di noi. Il desiderio di amare l’altro è un movimento che da Dio in me vuole puntare a Dio nell’altro.
Un secondo pensiero: La prossimità è dinamica. Chiede un’apertura completa, cioè accogliere le persone senza riserve; entrare nel loro modo di vedere le cose. Non siamo fatti in serie! Ognuno di noi è unico, con un carattere, una mentalità, una cultura, una vita e una storia diversi. Riconoscere e rispettare questo chiede di uscire dai nostri schemi mentali e personali.
Parlavi di un terzo aspetto …
Sì. Il terzo aspetto che voglio sottolineare è che prossimità non coincide necessariamente con vicinanza, con l’essere simili, con l’appartenenza ad uno stesso orizzonte culturale. La parabola del Buon Samaritano (Luca 10,25-37) lo esprime molto bene. Mi ha colpito l’atteggiamento del Samaritano: L’uomo che era caduto tra i briganti era una persona sconosciuta a lui, persino era di un altro popolo. Era una persona distante sia per cultura sia per tradizione. Però il Samaritano si è fatto prossimo. Questo è il punto chiave per me. Ognuno ha la sua dignità, al di là del popolo e della cultura da cui proviene o del suo carattere. Il Samaritano non si è avvicinato solo per vedere se questa persona era ferita per poi allontanarsi o casomai chiamare aiuto. Si è fatto prossimo e ha curato la persona. Il quarto aspetto …
… sarebbe …
…lasciarci ferire. Affinché la prossimità possa portare frutto chiede a ciascuno di noi di non aver paura e di lasciarci ferire dall’altro.
E ciò significa: lasciarci mettere in discussione, esporci a delle domande alle quali non abbiamo risposte; essere disposti a mostrarci vulnerabili; presentarci forse deboli e incapaci. L’effetto di un tale atteggiamento può essere sorprendente. Pensi che un ragazzo di nove anni mi ha scritto che per lui prossimità vuol dire “alzare il cuore dell’altro”. Non è questo un effetto meraviglioso della prossimità? Alzare il cuore dell’altro.
Cosa cambierebbe all’interno del Movimento dei Focolari se vivessimo bene la prossimità?
Se la viviamo veramente bene cambieranno tante cose. Io lo auguro, lo spero e prego che sia così. Però voglio anche sottolineare che tantissimi nel Movimento dei Focolari vivono già la prossimità. Quante iniziative ci sono, quanti progetti a favore della pace e per l’aiuto ai poveri. Abbiamo addirittura aperto focolari per dare assistenza e accoglienza agli immigrati o per la cura della natura.
E cosa dovrebbe cambiare?
La qualità delle relazioni fra le persone. Alle volte è più facile trattare bene le persone esterne al Movimento e più difficile fra di noi che facciamo parte della stessa famiglia. Rischiamo di vivere tra di noi dei rapporti “di buona educazione”: non ci facciamo del male, però, mi chiedo, è un rapporto autentico questo?
Così mi auguro che, al di là dei progetti, la prossimità diventi uno stile di vita quotidiano; che ci chiediamo più volte durante la giornata: “Sto vivendo questa prossimità? Come la vivo?” Una espressione importante della prossimità è il perdono. Essere misericordiosi verso gli altri – e verso noi stessi.
Quale messaggio contiene per la società?
La prossimità non è solo un atteggiamento religioso o spirituale, ma anche civile e sociale. In qualsiasi ambito è possibile viverla. Nell’ambito dell’educazione per esempio o della medicina, persino nella politica, dove forse è più difficile. Se la viviamo bene, possiamo avere una influenza positiva sui rapporti là dove siamo.
E per la Chiesa?
La Chiesa esiste perché con la venuta di Gesù, Dio si è fatto prossimo. La Chiesa, le Chiese allora sono chiamate a testimoniare una prossimità vissuta. Di recente la Chiesa Cattolica ha vissuto il Sinodo. Ho potuto partecipare alle due sessioni in Vaticano. Eravamo più di 300 persone, ognuno di una cultura diversa. Cosa abbiamo fatto? Un esercizio di sinodalità, un esercizio di ascolto, di conoscenza profonda, di accoglienza del pensiero dell’altro, delle sue sfide e dei suoi dolori. Sono tutte caratteristiche della prossimità.
Il titolo del Sinodo era “Camminare insieme”. Questo cammino ha coinvolto tantissime persone in tutto il mondo. Il logo del Sinodo esprimeva il desiderio di allargare la tenda della Chiesa affinché nessuno si senta escluso. Mi sembra che questo sia il vero senso della prossimità: che non si escluda nessuno; che tutti si sentano accolti, sia chi frequenta la Chiesa, sia chi non si riconosce in essa o chi si è addirittura allontanato per vari motivi.
Vorrei accennare un attimo ai limiti della prossimità. Come viverla bene?
È una domanda importante. Ci sono limiti alla prossimità? Come prima risposta direi che non dovrebbero esserci limiti.
Però?
Non possiamo essere sicuri che ciò che per noi o ciò che per me è vicinanza e solidarietà lo sia per l’altro. E in una relazione non può mai mancare il rispetto della libertà e della coscienza dell’altro. Queste due cose sono essenziali in ogni rapporto. Per questo è importante che quando ci avviciniamo a una persona, sia sempre fatto con delicatezza, e non come una cosa imposta. È l’altro che decide quanta e che tipo di prossimità vuole.
C’è da imparare, vero?
Assolutamente. Abbiamo commesso parecchi errori. Pensando di voler bene all’altro, lo abbiamo ferito. Nello slancio di comunicare la nostra spiritualità abbiamo costruito dei rapporti in cui l’altro non sempre si è sentito libero. Alle volte mi sembra che con la buona intenzione di amare una persona, l’abbiamo schiacciata. Non abbiamo avuto abbastanza delicatezza e rispetto della coscienza dell’altro, della libertà dell’altro, del tempo dell’altro. E questo ha portato a certe forme di paternalismo e anche di abusi.
Senz’altro è una situazione dolorosissima che stiamo affrontando e dove le vittime hanno una importanza unica, veramente unica. Perché da soli non riusciamo a capire sufficientemente cosa è successo. Sono le vittime ad aiutarci a comprendere gli errori che abbiamo commesso e fare i passi necessari perché queste cose non accadano più.
Un augurio conclusivo?
Mi auguro che questo tema ci possa riportare all’essenza di quello che Gesù stesso ci ha donato nel Vangelo. Lui ci ha dato tantissimi esempi di che cosa vuol dire vivere la prossimità.
C’è un pensiero di Chiara Lubich che mi è risuonato molto forte pensando a questa tematica. Dice così: “C’è chi fa le cose ‘per amore’, c’è chi fa le cose cercando di ‘essere l’Amore’. L’amore ci stanzia in Dio e Dio è l’Amore. Ma l’Amore che è Dio, è luce e con la luce si vede se il nostro modo di accostare e servire il fratello è conforme al Cuore di Dio, come il fratello lo desidererebbe, come sognerebbe se avesse accanto non noi, ma Gesù.”
Grazie di cuore, Margaret, della tua passione per una prossimità vissuta con decisione e rispetto.
Peter Forst
(Pubblicato nella rivista Neu Stadt)
Foto: © Austin Im-CSC Audiovisivi
Giu 20, 2017 | Centro internazionale
Con Alessandro De Carolis, giornalista di Radio Vaticana, in qualità di moderatore, hanno dialogato con l’autore don Julián Carrón (presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione) e Maria Grazia Vergari (vice presidente del settore adulti di Azione Cattolica). La giornalista Giorgia Bresciani di “Radio InBlu”, ha intervistato Jesús Morán il 30 maggio. Ecco alcuni stralci: G. B. – La presentazione del suo libro è stata l’occasione per vivere un momento di dialogo e fraternità tra movimenti ecclesiali. Nella Pentecoste del 1998, Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Ratzinger vollero un cammino di comunione tra i movimenti. Le chiedo di aiutarci a capire cosa è accaduto quel giorno e a che punto siamo di quel cammino. J. M. – Penso che la giornata del 29 maggio è stata proprio benedetta dallo Spirito Santo, una grazia per noi. Ricordo molto bene la Festa di Pentecoste del 1998: penso sia stata la più bella della mia vita. Mi sembrava che si attualizzasse la prima Pentecoste, per la presenza di tante persone, per la giornata, che era bellissima! Arrivavo dal Cile, dove allora abitavo. Effettivamente è stato un momento storico, un evento ecclesiale, perché, per la prima volta, i nuovi movimenti erano radunati in piazza San Pietro tutti insieme. Un incontro fondamentale tra il Carisma di Pietro ed i carismi suscitati dallo Spirito Santo in questo tempo. È stato uscire a vita pubblica, dare visibilità ai carismi ecclesiali, un momento di “riconoscimento” di questa realtà. Da allora il cammino è andato avanti, con momenti alterni. Questa esperienza si è estesa anche a livello ecumenico ed è nata “Insieme per l’Europa”. Ci siamo impegnati, quindi, nell’unità di tutti i cristiani. Ma ci sono stati tanti altri momenti di incontro tra i movimenti. In questi anni, però, sono scomparsi alcuni dei fondatori e questo, ovviamente, ha rallentato un po’ il cammino: la partenza di don Giussani, di Chiara Lubich ed altri, ovviamente ha avuto un influsso perché questa realtà di unità e di comunione dei movimenti è stata decisamente voluta da loro.
Un’occasione come quella del 29 maggio ci dice che dobbiamo continuare. Adesso, in una fase diversa, post-fondazionale; dobbiamo riprendere quella “profezia”. Ed il momento della presentazione del mio libro è andato in quella linea direzione. G.B. – Lei ha accennato alla scomparsa di alcuni fondatori. Proprio lei, Maria Voce, don Carrón, siete tra quelli che state vivendo il “dopo –fondazione”, la “seconda fase”, che è una fase delicata: il vostro è un compito complesso e appassionante. Alla luce di ciò che è emerso dal vostro confronto, cosa serve in questa fase ad un movimento ecclesiale? J.M. – Credo che la fase “post –fondazionale” è anche una fase carismatica. Ci sono delle grazie diverse da quelle vincolate alla fondazione, più nella prospettiva dell’incarnazione: la grande sfida è che il carisma, nella scia del fondatore, diventi sempre più “storia”. Quindi è una tappa di servizio alla Chiesa ed all’umanità. Ci vuole una maturità diversa. Dobbiamo lavorare più insieme, mettere in luce tutti i talenti personali e comunitari. Perché quando c’è il fondatore la luce del carisma è fortissima, lo “incarna” quasi da sola. Ora Dio ci chiede di mettere in moto la nostra intelligenza del carisma, le nostre forze. E dobbiamo farlo insieme! Questa è la grande sfida. È ciò che ho cercato di dire con quel concetto (già usato da Giovanni Paolo II) di “fedeltà creativa”: fedeltà al carisma e, al contempo, capacità di innovazione, di creatività, sempre frutto dello Spirito. Ed un inserimento maggiore nella Chiesa e nella società. Ascolta l’intervista integrale (altro…)
Dic 17, 2015 | Centro internazionale, Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità
https://youtu.be/3NphCH00FrQ?t=24 “Bel tempo si spera”, trasmissione dell’emittente cattolica TV2000, ha dedicato la puntata del 14 dicembre ai temi del Giubileo. E lo ha fatto accompagnando i telespettatori in un viaggio fra le cattedrali del mondo, all’indomani dell’apertura delle Porte Sante. Maria Voce era in studio, invitata dalla conduttrice Lucia Ascione. Fra una tappa e l’altra di questo simbolico giro, si avvia un dialogo che spazia su temi più vari, a partire dal significato del Giubileo. «L’anno della misericordia – dichiara Maria Voce – riporta al coraggio di credere che Dio è Amore. Penso che in questo momento in cui sembra che tutto sia diventato relativo, ci sia bisogno proprio di un ritorno all’essenziale, di credere all’Amore». E in un altro passaggio: «Purtroppo la cultura attuale parla di rabbia, di rivendicazioni, di diritti lesi, tutte cose che accendono tristezza, avvilimento. Noi vogliamo portare fiducia, perdono, amore reciproco. Vogliamo guardare al mondo come una famiglia, la famiglia dei figli di Dio. E Dio è misericordia, Dio è Amore». «Mi piace ricordare – continua la presidente – che il Papa non ha spalancato ‘la’ Porta Santa, ma tante porte sante. Anche la porta della cella in un carcere, ha detto Francesco, può essere una Porta Santa. È proprio il segno dell’amore misericordioso del Padre che attende il ritorno di tutti, nessuno escluso». Lucia Ascione ricorda le parole di papa Francesco all’Angelus del giorno prima riguardo al dialogo dei Focolari coi musulmani, Maria Voce afferma: «Questa conciliazione tra persone di fedi diverse che noi sperimentiamo non è nata ieri, ma si costruisce giorno per giorno, nel tempo e dappertutto, attraverso rapporti di amicizia; nel rispetto delle differenze». «Se è così semplice per voi – incalza Ascione – perché è così difficile per il mondo? » Maria Voce: «Il papa ha detto che purtroppo c’è tanto amor proprio. Invece occorre saper andare al di là, essere pronti ad accogliere l’altro anche se è diverso. È un amore che si impara esercitandolo, andando incontro all’altro. Certo, la diversità fa paura, fa paura a tutti. Una paura che si può vincere soltanto con l’amore. Impugnare le armi non porta a nessun risultato». «Lei è stata all’ONU – domanda la conduttrice – e se li è visti tutti davanti. Che ha fatto, presidente? ». «Ho detto loro che bisogna convertirsi, ma non a parole. Che occorre considerare il dialogo non come una delle tante vie, ma come l’unica praticabile. E’ difficile accettare questa visione perché non si è capito lo ‘scandalo della croce’. La misericordia ci fa fare la parte dell’altro, come ha fatto Gesù che è morto per ciascuno di noi». «È l’esperienza – spiega Maria Voce a proposito dei rifugiati – che facciamo quotidianamente con tutti quelli che bussano alle nostre porte. Recentemente sono arrivati 170 minori non accompagnati nella nostra cittadella dell’Olanda e sono stati accolti». E ricordando le parole del comunicato che Maria Voce aveva diffuso dopo i fatti di Parigi, Ascione domanda: «Cosa voleva dire interrogandosi se davvero si era fatto tutto quello che si doveva, per evitare reazioni così violente? » «Tante volte siamo toccati dagli eventi più vicini, dimenticandone altri in luoghi dove la tragedia della guerra si vive quotidianamente. Lì abbiamo le nostre comunità e sappiamo che qualcosa è ancora possibile costruire. Abbiamo medici che di fronte ad un ferito non distinguono se sia cristiano o musulmano; se manca l’acqua chi ha un pozzo lo mette a disposizione di tutti, al di là della religione che praticano. Forse non sappiamo farci le domande giuste. Per questo noi per primi ci siamo interrogati. Forse negli anni non ci siamo interessati fino in fondo. Sapersi fare un esame di coscienza è ciò che può aprire alla speranza. E di fronte a chi soffre, a chi è povero, occorre non aver paura di aprire il cuore. Occorre non aver paura di aprire tasche e portafogli e, vivendo nella sobrietà e nel rispetto del creato, vedere gli altri come fratelli di una stessa famiglia». Rivedi la trasmissione (altro…)
Ago 21, 2013 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Video intervista http://vimeo.com/69074075 Trascrizione Erik Hendrik: Quale, secondo lei, il segreto dell’amore vero? Chiara Lubich: «Il segreto dell’amore vero è questo, sta in questo: che l’amore di cui noi parliamo è quello colto proprio dal Vangelo. Ora il Vangelo è la buona nuova che Cristo ha portato sulla terra, quindi è un amore così come è concepito in Dio, non sulla terra. Un amore perciò che si vede vivere dalle persone della Santissima Trinità, per esempio; il Padre ama tutti e fa cadere la pioggia e fa sorgere il sole per i buoni e per i cattivi, ama tutti; quindi è un amore che ci mette noi nella disposizione di amare tutti i fratelli, quindi non soltanto i parenti, gli amici o quelli che ci piacciono, ma bisogna amare tutti. Quindi durante il giorno noi dobbiamo prendere di mira, per amarli, ogni persona che incontriamo. Una seconda esigenza di questo amore, che poi non c’è sulla terra perché, appunto, viene dal Cielo, è che bisogna amare per primi, non aspettare di essere amati. In genere si aspetta di essere amati per amare, mentre invece così: bisogna amare per primi e lo dimostra Gesù, la seconda divina Persona fatta uomo, il quale è morto per noi quando noi eravamo ancora peccatori, il che significa che certamente non amavamo. E’ un amore, poi, concreto come quello di Gesù, appunto, che ha dato la vita, non un amore sentimentale, platonico, ma proprio che arriva alla concretezza, un amore che si fa uno con l’altro, con chi soffre e con chi gode e partecipa della sofferenza e porta un aiuto a quella sofferenza o partecipa della gioia. Questo amore se si pratica nel mondo – è il segreto del Movimento, l’ha praticato in tutte le nazioni del mondo -, in genere è corrisposto perché le persone si sentono amate e si trovano bene con noi, allora ci chiedono: “Ma perché?” E noi spieghiamo il perché amiamo. E allora ecco che avviene il dialogo fra noi e gli altri, che sono persone non tutte cristiane, non tutte cattoliche, ma tante volte di altre religioni, ma anche non credenti; che però anche i non credenti hanno nel DNA l’idea dell’amare, la forza di amare perché sono creati da Dio che è Amore. Ecco questo un po’ l’amore». (altro…)
Mar 9, 2013 | Centro internazionale, Chiesa, Dialogo Interreligioso, Spiritualità
La decisione di papa Ratzinger dello scorso 11 febbraio mi sembra ci abbia offerto un distillato della sua riflessione teologica e spirituale. Anzitutto l’evidenziare il primato di Dio, il senso che la storia è guidata da Lui. E ancora, l’indirizzarci a cogliere i segni dei tempi e a rispondervi con il coraggio di scelte sofferte, ma innovative. Con una chiara nota di speranza per “la certezza che la Chiesa è di Cristo”. Ma a quale Chiesa Benedetto XVI guardava? Per amore di quale Chiesa ha fatto un passo di simile portata? Penso di non sbagliare additando la “Chiesa-comunione”, frutto del Vaticano II ma anche prospettiva, “sempre più espressione dell’essenza della Chiesa”, come ha sottolineato papa Ratzinger anche alla fine del suo pontificato. Un “sempre più”, per dire che ancora non ci siamo appieno. Quale allora la direzione? La Chiesa, si sa, è per il mondo. Per questo, di fronte alle esigenze di riforma ad intra, mi sembra debba privilegiare il guardare fuori di sé, intensificare il dialogo con la società. Tale contatto vitale le permetterebbe di far sentire la sua voce chiara nella fedeltà al Vangelo e nel contempo ascoltare le istanze degli uomini e delle donne di questo tempo. Col risultato di trovare nuove risorse e insospettata vitalità anche al suo interno. Occorrerà insistere certamente sul dialogo ecumenico, sul grande tema dell’unione visibile tra le Chiese, cercando di arrivare a definizioni della fede e della prassi ecclesiale accettabili da tutti i cristiani. Auspicherei poi una Chiesa più sobria, sia in rapporto al possesso di beni che nelle espressioni liturgiche e nelle sue manifestazioni; proporrei una comunicazione più fluida e diretta con la società contemporanea, che consenta alla gente di rapportarsi con essa con più facilità, e un atteggiamento di maggiore accoglienza anche nei confronti di chi la pensa diversamente. Universalità e apertura ai dialoghi saranno perciò due note che dovranno essere raccolte dal nuovo Papa. Affinché possa rispondere a queste enormi sfide, lo immaginiamo uomo di profonda spiritualità, unito a Dio per cogliere dallo Spirito Santo le soluzioni ai problemi, nell’esercizio costante della collegialità, coinvolgendo altresì i laici, uomini e donne, nel pensare e nell’agire della Chiesa. A noi quindi spetta lavorare con nuovo senso di responsabilità. Si tratta di suscitare stimoli creativi su diversi livelli. Penso all’economia, che uscirà dalla crisi solo se si porrà al servizio dell’uomo; alla politica, che deve ritrovare credibilità tornando ad essere “vita comune nella polis”; alla comunicazione, che ha da essere fattore di unità nel corpo sociale; penso anche alla giustizia, nell’apertura verso chi sbaglia, chi patisce le piaghe dello sfruttamento, verso chi ha sofferto per gli errori di altri uomini e altre donne anche di Chiesa. Penso a coloro che si sentono esclusi dalla comunione ecclesiale, come le “nuove unioni”. Anche questo è Chiesa, perché il Cristo che l’ha fondata è morto sulla croce per sanare ogni divisione. Si tratta di far brillare il suo vero volto. Per questo ho invitato quanti aderiscono allo spirito del Movimento in tutto il mondo a un nuovo “patto” che accresca ovunque l’ascolto, la fiducia, l’amore reciproco in questo tempo d’attesa, affinché nell’unità e nella collegialità la Chiesa possa scegliere quel papa di cui anche l’umanità ha bisogno». Fonte: Zenit Altri articoli: Radio Vaticana Comunicati stampa del Servizio Informazione Focolari (altro…)