
Natale di condivisione
https://youtu.be/3NphCH00FrQ?t=24 “Bel tempo si spera”, trasmissione dell’emittente cattolica TV2000, ha dedicato la puntata del 14 dicembre ai temi del Giubileo. E lo ha fatto accompagnando i telespettatori in un viaggio fra le cattedrali del mondo, all’indomani dell’apertura delle Porte Sante. Maria Voce era in studio, invitata dalla conduttrice Lucia Ascione. Fra una tappa e l’altra di questo simbolico giro, si avvia un dialogo che spazia su temi più vari, a partire dal significato del Giubileo. «L’anno della misericordia – dichiara Maria Voce – riporta al coraggio di credere che Dio è Amore. Penso che in questo momento in cui sembra che tutto sia diventato relativo, ci sia bisogno proprio di un ritorno all’essenziale, di credere all’Amore». E in un altro passaggio: «Purtroppo la cultura attuale parla di rabbia, di rivendicazioni, di diritti lesi, tutte cose che accendono tristezza, avvilimento. Noi vogliamo portare fiducia, perdono, amore reciproco. Vogliamo guardare al mondo come una famiglia, la famiglia dei figli di Dio. E Dio è misericordia, Dio è Amore». «Mi piace ricordare – continua la presidente – che il Papa non ha spalancato ‘la’ Porta Santa, ma tante porte sante. Anche la porta della cella in un carcere, ha detto Francesco, può essere una Porta Santa. È proprio il segno dell’amore misericordioso del Padre che attende il ritorno di tutti, nessuno escluso». Lucia Ascione ricorda le parole di papa Francesco all’Angelus del giorno prima riguardo al dialogo dei Focolari coi musulmani, Maria Voce afferma: «Questa conciliazione tra persone di fedi diverse che noi sperimentiamo non è nata ieri, ma si costruisce giorno per giorno, nel tempo e dappertutto, attraverso rapporti di amicizia; nel rispetto delle differenze». «Se è così semplice per voi – incalza Ascione – perché è così difficile per il mondo? » Maria Voce: «Il papa ha detto che purtroppo c’è tanto amor proprio. Invece occorre saper andare al di là, essere pronti ad accogliere l’altro anche se è diverso. È un amore che si impara esercitandolo, andando incontro all’altro. Certo, la diversità fa paura, fa paura a tutti. Una paura che si può vincere soltanto con l’amore. Impugnare le armi non porta a nessun risultato». «Lei è stata all’ONU – domanda la conduttrice – e se li è visti tutti davanti. Che ha fatto, presidente? ». «Ho detto loro che bisogna convertirsi, ma non a parole. Che occorre considerare il dialogo non come una delle tante vie, ma come l’unica praticabile. E’ difficile accettare questa visione perché non si è capito lo ‘scandalo della croce’. La misericordia ci fa fare la parte dell’altro, come ha fatto Gesù che è morto per ciascuno di noi». «È l’esperienza – spiega Maria Voce a proposito dei rifugiati – che facciamo quotidianamente con tutti quelli che bussano alle nostre porte. Recentemente sono arrivati 170 minori non accompagnati nella nostra cittadella dell’Olanda e sono stati accolti». E ricordando le parole del comunicato che Maria Voce aveva diffuso dopo i fatti di Parigi, Ascione domanda: «Cosa voleva dire interrogandosi se davvero si era fatto tutto quello che si doveva, per evitare reazioni così violente? » «Tante volte siamo toccati dagli eventi più vicini, dimenticandone altri in luoghi dove la tragedia della guerra si vive quotidianamente. Lì abbiamo le nostre comunità e sappiamo che qualcosa è ancora possibile costruire. Abbiamo medici che di fronte ad un ferito non distinguono se sia cristiano o musulmano; se manca l’acqua chi ha un pozzo lo mette a disposizione di tutti, al di là della religione che praticano. Forse non sappiamo farci le domande giuste. Per questo noi per primi ci siamo interrogati. Forse negli anni non ci siamo interessati fino in fondo. Sapersi fare un esame di coscienza è ciò che può aprire alla speranza. E di fronte a chi soffre, a chi è povero, occorre non aver paura di aprire il cuore. Occorre non aver paura di aprire tasche e portafogli e, vivendo nella sobrietà e nel rispetto del creato, vedere gli altri come fratelli di una stessa famiglia». Rivedi la trasmissione (altro…)
Nel contesto attuale parlare di unità può sembrare assurdo, anacronistico. Eppure la spinta che anima i vescovi presenti al Convegno ecumenico nell’isola di Heybeliada (Halki) è tutt’altro che un’utopia. L’impegno a vivere l’amore scambievole tra di loro e con le loro chiese è già una testimonianza vitale per chi ha perso la speranza nel dialogo e nella pace. Il 25 novembre Maria Voce, nel suo discorso programmatico, ha parlato ai vescovi di unità. Una realtà che oltre ad essere un dono dall’alto, diventa anche un impegno impellente che – assicura – ci permette di “inserirci in questa storia sacra dell’umanità”. Una storia sacra in cui i cristiani hanno un ruolo imprescindibile. L’unità diventa una risposta alle sfide di oggi. “Di fronte all’impotenza, che talvolta anche oggi ci assale, – continua Maria Voce – forse dobbiamo fare un unico primo passo: ridonarci a Dio come strumenti nelle Sue mani, perché Lui, sul nostro nulla, operi l’unità. Questo è il nostro primo impegno, il primo passo che occorre fare singolarmente e insieme”. Oggi con una realtà sociale così drammatica molti, soprattutto i giovani, sentono la spinta ad essere presenti e visibili accanto a chi soffre. Ma il compito dei Focolari non si esaurisce qui. È necessario comprendere che l’unità è un traguardo verso il mondo unito, quindi “siamo chiamati all’unità con tutti – sottolinea ancora Maria Voce – nessuno escluso”. E citando dei brani di Chiara Lubich, svela ai vescovi la strada scoperta dalla fondatrice dei Focolari. “La porta che ci apre all’unità è per noi Gesù Crocifisso e Abbandonato” che “ha operato la riunificazione del genere umano col Padre e degli uomini fra loro ed è Lui crocifisso e abbandonato causa, chiave dell’unità, che la opererà anche oggi”.
Portare la ricchezza dell’unità in ogni angolo della terra, è il compito che si pone il Movimento dei Focolari, suscitare cellule vive ovunque. “Nei campi profughi, – continua Maria Voce – negli ospedali dei feriti di guerra, nelle manifestazioni in piazza, nelle file di chi cerca lavoro e non lo trova, nei porti affollati di immigrati… dappertutto, dappertutto, Dio ci chiede di accendere fuochi sempre più vasti”. Nel dialogo successivo alcuni vescovi raccontano delle loro azioni in contesti difficili, la vicinanza dei fedeli delle diverse chiese là dove c’è la guerra e la sofferenza. In loro è forte la certezza che è la croce ad accomunare tutti e a far fiorire nei posti più impensati comunità vive. Il programma apre poi uno sguardo particolare sulla realtà delle chiese locali nel Medio Oriente, il ruolo dei cristiani e le loro difficoltà. Il vescovo Sahak Maşalyan nonostante la complessa situazione della Chiesa Armena in Turchia, trasmette ottimismo, e asserisce: “Quando i cristiani perdono il senso dell’ottimismo, alla fine emigrano da qualche altra parte”. Un appello arriva anche dal vescovo Simon Atallah della chiesa maronita del Libano. Chiede di pregare con fervore per sconfiggere la guerra, per far sì che i cristiani non abbandonino le loro terre e possano ritornare a vivere in pace e armonia. A conclusione della giornata Angela Caliaro e Carmine Donnici, rappresentanti del Movimento, raccontano dello sviluppo e dell’influsso dei Focolari in tutta l’area mediorientale; un seme di speranza che coinvolge cristiani, musulmani ed ebrei a continuare sul cammino della riconciliazione e della pace. Dall’inviata Adriana Avellaneda (altro…)
Sono le ore 9 del 25 novembre. Una lieve brezza passa sopra l’isola: Heybeliada (Halki), una piccola oasi di pace nel Mar di Marmara, a poche miglia da Istanbul. Sulla sommità della collina sopra il porto si erge il Monastero ortodosso Aya Triada (SS. Trinità), che ospita quest’anno il 34° Convegno di vescovi di varie chiese, promosso dal Movimento dei Focolari. Fondato nel IX secolo, è stato più volte devastato da incendi e terremoti. L’edificio attuale risale alla fine del XIX secolo e fu già sede della prestigiosa Accademia teologica greco-ortodossa. Ospita una biblioteca che conserva preziosi manoscritti antichi e un totale di 120 mila volumi. All’ingresso del Monastero un insolito scenario: 35 vescovi di 16 Chiese e provenienti da 19 nazioni conversano fraternamente. Sono con loro anche Maria Voce e Jesús Morán, presidente e copresidente dei Focolari, e altri partecipanti al Convegno. Giunge dal porto il Patriarca ecumenico Bartolomeo I: «Sono contento di stare insieme a voi», afferma con semplicità e si dirige assieme a tutti verso l’interno. Sarà lui, infatti, a tenere la conversazione d’apertura dell’incontro: «Insieme per la casa comune: l’unità dei discepoli di Cristo nella diversità dei doni».
Il Card. di Bangkok Francis Kriengsak, a nome di tutti, saluta il Patriarca e lo ringrazia per aver voluto ospitare il Convegno. «Siamo qui nel cuore dell’Ortodossia, composta da Chiese antichissime e non di rado martiri» afferma, e introduce i partecipanti. Si fa presente al Convegno anche il Primate della Comunione anglicana, l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby, con un suo messaggio. «Continuo a considerare il Movimento dei Focolari – scrive – come uno dei fari di speranza nel nostro mondo diviso. Col suo impegno per l’unità attraverso il rispetto mutuo e il dialogo offre un caratteristico cammino verso la riconciliazione oltre le differenze e le inimicizie». Bartolomeo I ricorda la sua recente visita a Loppiano per il dottorato honoris causa conferitogli dall’Istituto Universitario Sophia. Un incontro – dice – in cui abbiamo sperimentato l’amore sincero, senza “se” e senza “ma”. Passa quindi a parlare del Convegno. «Come possiamo giungere ad armonizzare le diversità dei carismi delle nostre Chiese oggi, con l’unità dei discepoli di Cristo ed essere “typos” (modello) per l’unità del mondo?», si chiede e osserva: «Troppe volte le diversità appaiono come elemento fondante e non come carisma e questo lo assaporiamo ogni giorno di fronte alle difficoltà,che il genere umano vive come esclusività e conflittualità».
Nel panorama mondiale in cui dominano lo scoraggiamento, l’incertezza e la diffidenza, accentuati dagli avvenimenti degli ultimi giorni, lo sguardo del Patriarca è rivolto alla speranza.«Sono salito qui ancor più felice perché ho trovato voi ad accogliermi… come una famiglia». Come cristiani – sottolinea – «dobbiamo recuperare velocemente il senso dell’unità come ricapitolazione dei doni», la «ricchezza delle diversità … da offrire e ricevere in cambio». «L’unità del mondo, il rispetto del Creato di Dio, dono del suo amore – spiega –, sarà dato dalla capacità di accogliere l’esperienza altrui come ricchezza per tutti, come un cammino di unità, di rispetto e di reciprocità», «libero da ogni tipo di condizionamento ideologico, politico ed economico». Infine lancia un appello ai vescovi presenti e al popolo loro affidato: se come cristiani faremo questa esperienza, «saremo veramente il “sale del mondo” ed il mondo comincerà a vivere una profonda metamorfosi». Dall’inviata Adriana Avellaneda (altro…)