7 Set 2015 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«Spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E questo non è di Dio!». Risuonano in modo forte le parole di papa Francesco all’Angelus del 6 settembre, dove indica un’azione concreta per sostenere il dramma delle centinaia di migliaia di rifugiati costretti a lasciare le proprie case: «In prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi». Maria Voce, a nome del Movimento dei Focolari, esprime «gratitudine per l’appello coraggioso e concreto del Santo Padre», e sottolinea la decisione di fare quanto chiede «aprendo di più le nostre case e luoghi all’accoglienza».

Il Bed & Breakfast aperto ai migranti
Già molte iniziative personali e di gruppo, promosse dai Focolari, sono in atto in varie nazioni del Nord Africa, Medio Oriente, Europa, Sudest Asiatico, America del Nord e del Sud: supporto alle migliaia di persone provenienti dal Myanmar nei campi profughi a Nord della Thailandia, il Bed & Breakfast aperto ai migranti in provincia di Firenze, accoglienza dei rifugiati a Szeged e altre città in Ungheria e in Austria, a Lione con accoglienza di famiglie, lettere al Presidente dell’Uruguay per stimolare l’accoglienza di profughi, per citare alcuni tra le migliaia di esempi raccolti nella piattaforma dello United World Project. Ma non basta. «Bisogna fare di più», afferma Maria Voce, per muovere i vertici della politica, i circuiti del commercio di armamenti, i decisori delle scelte strategiche, le quali – come comincia a dimostrarsi – possono partire dal basso, con la mobilitazione della società civile. La presidente dei Focolari, inoltre, ha richiamato i membri del Movimento «a impegnarsi e a convergere maggiormente» per promuovere, insieme a quanti si muovono in questa direzione, azioni rivolte a smascherare le cause della guerra e delle tragedie che affliggono tanti punti del pianeta, con l’obiettivo di porvi rimedio, «mettendo in gioco le nostre forze, mezzi e disponibilità». Comunicato stampa – Servizio Informazione Focolari (altro…)
6 Set 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Lo scorso mese di aprile si è scoperta un’enorme truffa ai danni dello Stato da parte di funzionari del Servizio di Amministrazione Tributario (SAT) collusi con alti vertici della politica. La stretta collaborazione tra il Ministero Pubblico e la Commissione internazionale contro l’Impunità in Guatemala (CICIG) ha permesso di portare in giudizio per corruzione decine di persone implicate. Tra le più note la Vicepresidente. Questo ha provocato nei cittadini un’onda di indignazione mai vista negli ultimi 60 anni, che è andata crescendo. In coincidenza con questi avvenimenti, Raúl e Cecilia Di Lascio, argentini, hanno incontrato la comunità dei Focolari lo scorso 22-23 agosto. Architetto e imprenditore dell’Economia di Comunione il primo, membro della commissione internazionale del Movimento Politico per l’Unità, la seconda. Con loro si sono approfonditi i grandi temi dell’economia e della politica alla luce del carisma dell’unità. Incontrarsi durante questa effervescenza sociale inedita, ha fatto sì che i momenti di scambio tra cittadini di ogni età sui temi della politica fossero un’occasione di apertura a questo ambiente, generalmente mal visto. È venuta in evidenza la visione di Chiara Lubich quando ha fondato il Movimento Politico per l’Unità: i grandi valori che l’agire politico manifesta quando si vive come servizio e dediti al bene comune. Sia ricoprendo un incarico politico che nell’agire quotidiano del singolo cittadino. Guardare alla politica dall’ottica della fraternità, che libera atteggiamenti coraggiosi e impegnati nelle relazioni sociali, ha riempito di speranza i partecipanti, sostanziata dallo scambio di esperienze che sono in corso in varie parti del mondo. Nei giorni successivi la società guatemalteca si è auto convocata in nuove proteste di massa. Si chiedeva la rinuncia del Presidente – sollecitata anche dalla chiesa cattolica e dalle varie chiese cristiane – dopo i legami emersi con la corruzione. Molte imprese, scuole, università hanno fermato le attività per favorire la partecipazione, e così anche il Centro Mariapoli e il Collegio Fiore. La concentrazione della gente nel “Parque Central” de Guatemala è stata massiccia: più di 100mila persone si sono radunate nell’arco della giornata. «Si sente che nel cuore del Guatemala c’è un vuoto che non è stato riempito. Dobbiamo unirci perché avvenga un cambiamento», dice Willy. Si apprezza che tanta gente riesca a manifestare in forma pacifica: «Il bello è che anche le ditte hanno chiuso per permettere alla gente di partecipare – spiega Saturnino -. Come guatemalteco vibravo quando si gridava “Guatemala, Guatemala” o si cantava l’inno nazionale». «Mi è sembrato di vedere una nuova coscienza di responsabilità – assicura la maestra Lina -. Non vogliamo lasciar passare l’opportunità di cambiare le cose, sapendo che questa volta è possibile». Per molti è stato incoraggiante vedere famiglie intere che non hanno avuto paura di portare i bambini. «Famiglie, ricchi insieme a poveri – commenta Sandra – popolazione indigena, giovani insieme ad adulti e bambini, studenti disposti a superare la violenza per raggiungere l’obiettivo comune!». Sì, quell’obiettivo che Alex definisce “un Paese migliore”. È notizia dell’ ultima ora che il Presidente della Repubblica ha perso l’immunità, si è dimesso “per il bene della società”, e si trova ora in arresto. Il 6 settembre i cittadini saranno chiamati alle urne e tutto fa supporre che questo passaggio avverrà in modo pacifico e democratico. Di Filippo Casabianca, Città di Guatemala (altro…)
5 Set 2015 | Cultura, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
7 kilometri addentrandosi nella foresta, dove si arriva a piedi o con un furgoncino (il baka) che supera tutte le buche di acqua e fango scavate durante la stagione delle piogge. Nel villaggio di Glolé, uno dei 18 del Cantone (nella regione del Tonkpi, a Man, nordovest della Costa d’Avorio), non c’è l’elettricità, di conseguenza neanche la televisione, non c’è internet, non ci sono negozi. Molti dei suoi abitanti sono stati toccati dall’ideale di fraternità di Chiara Lubich. Lo vivono nel quotidiano a partire dalla parola del Vangelo messa in pratica, e anche la struttura sociale e politica che li tiene insieme, viene gradualmente arricchita e illuminata da questa esperienza. Gilbert Gba Zio, è un leader comunitario naturale, catechista, capo di una delle famiglie: «Un giorno ci siamo chiesti cosa fare per il nostro piccolo villaggio», racconta nel recente convegno dell’Economia di Comunione a Nairobi (Kenya). «Vedevamo che la Parola del Vangelo vissuta poteva darci delle indicazioni». Ed ecco alcune delle concretizzazioni che sono seguite a quella domanda.
Casa dello “straniero” (ospite) – L’espressione locale “Kwayeko”, “Da noi c’è posto”, a Glolé non è un modo di dire. «Qui di frequente arrivano persone di passaggio – racconta Gilbert – gente che fa chilometri a piedi, costretta a dormire per strada prima di arrivare nei propri villaggi. Ogni volta si cede il proprio letto all’ospite. Anche questo è Vangelo, ma ci siamo detti: “Non possiamo fare di più? Perché non costruiamo piccole casette, così, quando qualcuno arriva, possiamo offrirgli un tetto per dormire?”. Abbiamo iniziato, tra canti di gioia, a fabbricare mattoni. Nel gruppo c’erano dei muratori e abbiamo costruito 12 piccole case composte da una stanza e un piccolo salone. Adesso agli stranieri che arrivano possiamo dire: “Abbiamo la casa, venite a dormire”. Il cibo non manca, siamo contadini. Così abbiamo fatto i primi passi». Casa della salute – La difficoltà di accesso alla strada asfaltata durante la stagione delle piogge, e i successivi 30 km per raggiungere la città di Man, il centro urbano più vicino, rendono impossibile un soccorso tempestivo in caso di necessità medica. «Un giorno una donna doveva partorire d’urgenza – racconta ancora Gilbert – L’abbiamo trasportata con la carriola fino alla strada asfaltata per trovare un veicolo. Grazie a Dio, la donna è stata salvata; ma farcela è stata dura. Dunque, occorreva costruire una casa della salute e mettere al lavoro alcune “ostetriche tradizionali”. Ma dove trovare i soldi? Da noi c’è la mezzadria: il proprietario di un campo lo può dare a un altro che lo coltiva per una stagione. Il frutto del raccolto è diviso a metà. La nostra comunità ha preso una piantagione di caffè: gli uomini hanno pulito il terreno, le donne hanno raccolto il caffè. Con questi soldi abbiamo acquistato il cemento e costruito la casa della salute».
Bambini malnutriti – «C’erano dei bambini che morivano nel villaggio e non sapevamo come poterli salvare. Alla cittadella Victoria del Movimento dei Focolari, c’è un Centro nutrizionale che si sarebbe potuto occupare di loro. Abbiamo spiegato il problema e iniziato a portare i bambini. Eravamo sorpresi nel vedere che da loro i bambini guarivano senza medicine. Ci hanno insegnato come dargli da mangiare. Un giorno la responsabile ci ha detto: «Se volete, possiamo venire da voi». Eravamo d’accordo. Nella nostra cultura il bambino appartiene all’intero villaggio! Ci hanno spiegato come evitare e curare questa malattia. Abbiamo iniziato a cambiare le nostre abitudini alimentari e imparato come conservare gli alimenti, per nutrire i nostri bambini in tempo di carestia». Banca del riso – «Conserviamo il riso in piccoli granai, ma spesso è visitato da ladri e topi. Abbiamo allora costruito un magazzino e ciascuno ha inviato ciò che aveva. Eravamo all’inizio 30 persone. Oggi anche i contadini che non sono del gruppo si sono associati e 110 persone portano i loro sacchi di riso per conservarli in questa banca. Nei mesi di marzo e aprile, durante la semina, vengono a prendere quello che serve per arare; mettono da parte il necessario per i propri figli. Al momento opportuno, quando i prezzi sono buoni, prendono il riso per la vendita. Ognuno, secondo la propria coscienza, dona una parte del raccolto e lo deposita nella banca come contributo per i bisogni della comunità e per i guardiani della banca». Un villaggio non basta – «Non potete venire da noi con il “vostro affare”?», chiedono dai villaggi vicini. Oggi sono 13 i villaggi che vivono come a Glolé. «L’unità è la nostra ricchezza», afferma Gilbert. «Un giorno qualcuno dall’esterno voleva aiutarci a costruire un pozzo nel villaggio. Ma non siamo arrivati ad un accordo. Se avessimo insistito, questo pozzo avrebbe portato la divisione nel villaggio. Abbiamo preferito non accettare questo dono e mantenere l’unità fra di noi». Cfr. “Economia di Comunione – una cultura nuova” n.41 – Inserto redazionale allegato a Città Nuova n.13/14 – 2015 – luglio 2015 Cfr. Nouvelle Cité Afrique Juillet 2015 Costa d’Avorio (Nairobi): Congresso di Economia di comunione 2015 (altro…)
4 Set 2015 | Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Sull’autobus che mi porta ad Harefield (Gran Bretagna) – l’ospedale dove studio infermieristica – mi colpisce il modo di fare di una collega. L’approccio non è dei più semplici, dato che sono timida e spesso attorniata da amici altrettanto “selvaggi” come me. Ma lei non disdegna la mia compagnia, anzi, un giorno mi propone di fare colazione assieme. Diventiamo amiche. Da un po’ di tempo il mio cristianesimo non mi soddisfa: frequento la chiesa per un senso del dovere, per mettere a posto la coscienza. Lei invece mi parla di una fede gioiosa, autentica, che condivide con altri giovani come lei, una fede illuminata dall’amore. Un giorno arriva in ospedale con la chitarra: è per far festa ad un’infermiera con la quale notoriamente non è facile andare d’accordo. Ma allora, mi dico, se questa ragazza arriva a tanto, forse vale la pena di sapere che cosa la spinge ad agire in questo modo. Mi racconta della spiritualità dell’unità che la anima. Così, anch’io come lei, comincio a frequentare le persone del Focolare e ogni volta scopro sempre nuove occasioni per donarmi: mettere in comune del vestiario o del cibo con chi ha bisogno, offrirmi per cure o altri servizi, ecc. Questi piccoli gesti, frutto del Vangelo che anch’io inizio a mettere in pratica, mi danno tanta gioia. Anche se non so ancora bene cosa sia il Movimento dei Focolari, sento di aver trovato la mia casa. Ma posso io fare la scelta radicale delle focolarine ? Loro sono cattoliche, io anglicana… Dentro mi risuona una voce: «Perché no? Basta che tu dica il tuo sì a me». Mi sento come una che sta facendo un salto nel vuoto, ma ugualmente dico il mio si a Dio, felice di volerlo seguire per sempre. Ero diventata infermiera, specializzata in ostetricia, per un profondo desiderio di portare un cambiamento nella società. Pensavo che con questo diploma avrei potuto lavorare all’estero e già avevo messo da parte dei soldi per il viaggio. Quando sono entrata in focolare, ho dato quei soldi a chi ne aveva bisogno e ho iniziato la mia formazione per diventare focolarina. La mia prima destinazione è stato il focolare di Leeds per 5 anni. Lì ho lavorato in un quartiere a rischio. Venendo da un ambiente agiato, dei poveri avevo un’idea romantica: non sapevo come davvero la gente vivesse “dentro” la povertà. Avevo in cura una giovane madre. Ogni volta che veniva ai controlli notavo che aveva sempre gli stessi vestiti e i collant pieni di buchi. Ho cercato di stabilire un rapporto, affinché potesse dirmi la sua situazione, dove abitava, ecc. Così una volta sono andata a farle visita a casa sua. Sulla porta c’era il suo partner, una persona aggressiva e scostante. Scioccata da quell’uomo e dalla sporcizia e disordine di quel luogo, non sapevo da dove incominciare per avviare un rapporto. Poi mi sono accorta di un grande serbatoio per l’allevamento del pesce che era lì dentro. Ho iniziato a parlare di pesci, così la tensione si è rasserenata. La volta successiva ho portato dei vestiti e l’altra volta ancora la donna si è fatta trovare con gli abiti indossati per farmeli vedere. Ora vivo nel focolare di Welwyn Garden City (nei pressi della capitale) e continuo a lavorare per il Servizio Sanitario Nazionale (NHS). In questi ultimi anni qui da noi c’è stato un grande sconvolgimento nelle politiche sanitarie e non è così facile portarvi quel cambiamento che animava l’inizio della mia carriera. Ma anche in questo sconvolgimento cerco di fare ogni cosa come un atto d’amore a Dio nei fratelli. Vivere in comunità con persone che hanno fatto la mia stessa scelta di vita è una chance molto importante, anche per il mio lavoro. Ma anche per crescere insieme nell’unità fra di noi e nella fede in Dio Amore, donandoci agli altri al di là di essere cattoliche o anglicane». (altro…)
2 Set 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Nel 1998, Chiara Lubich inaugura il “Centro per l’Educazione al Dialogo”, con sede nella Mariapoli Luminosa, cittadella dei Focolari vicina a New York. In quell’occasione scrive: «Che tutti i partecipanti alle sue attività si sentano ugualmente costruttori di questa nuova realtà collaborando con amore, pazienza, mutua comprensione e solidarietà a creare un’isola di pace e un segno di unità per il mondo di oggi … che sia soprattutto una scuola dove si impara a vivere quest’amore che solo può fare degli uomini e donne di questa terra un’unica famiglia». Questo augurio di Chiara era ben presente nell’incontro che si è svolto il 15 e 16 agosto scorsi, nella cittadella statunitense, intitolato “Il Dialogo e le domande difficili”. Una sfida accolta da un centinaio, circa, di partecipanti e «centrata – come scrivono gli organizzatori – su come possiamo dialogare e comunicare quando si affrontano tematiche importanti e quando a farlo ci sono persone con profonde differenze di pensiero».
Il programma si è svolto con il contribuito di quattro esperti in teologia morale e teorie politiche, provenienti dalle Università di Fordham (New York), Providence College (Rhode Island) e Georgetown (Washington). «Abbiamo iniziato – raccontano – con pensieri di Chiara Lubich sul dialogo, dove emerge la specificità della spiritualità dell’unità che, se vissuta, aiuta a trasformare i rapporti tra le persone».
Charlie Camosy (Fordham) ed Amy Uelmen (Georgetown), hanno approfondito «i motivi per i quali la società negli USA è tanto polarizzata su posizioni opposte e come si potrebbero rompere questi muri tra le persone, sapendo ascoltare e avendo un atteggiamento aperto ad imparare dall’altro». Dana Dillon (Providence College) ha affrontato il delicato rapporto tra “amore e verità”, a partire da uno dei punti forza della spiritualità dell’unità: Gesù abbandonato. La teologa l’ha presentato come il vero modello per il dialogo in quanto «Lui che – nel momento in cui si sente abbandonato dal Padre – è entrato nella disunità, unificando la più grande divisione possibile, quella tra cielo e terra».
Nel pomeriggio un momento interattivo: Claude Blanc, leadership coach (consulente che promuove il lavorare a squadra), ha guidato i presenti a realizzare alcuni esercizi «per imparare ad ascoltare fino in fondo e senza pretese». Una riflessione su “Diversi modi di comunicare” (imporre, discutere, cercare di convincere l’altro, oppure puntare al bene comune), svolta da Bill Gould (Fordham), ha completato l’argomento. Alla tavola rotonda della domenica, nelle domande ai professori veniva in evidenza la necessità da parte dei presenti di essere preparati ad affrontare tematiche scottanti quali la procreazione artificiale, matrimoni omosessuali, e altre sfide che si presentano nella vita di ogni giorno. «Il workshop sull’ascolto mi ha aiutato a capire quanto esso possa essere fecondo nei rapporti quotidiani»; «Sono partito molto arricchito da questa esperienza». Due impressioni, tra le tante. (altro…)