21 Giu 2017 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Anche se non lo si dice ufficialmente, anche qui da noi si sta combattendo la “terza guerra mondiale a pezzi”. Il governo di transizione sta cercando di riedificare quanto la recente guerra civile ha demolito ma deve misurarsi con le tante tensioni che spesso sfociano in lotte fratricide». Martial Agoua è un prete cattolico della Repubblica Centrafricana, un Paese a prevalenza cristiana, con il 15% di musulmani. In assenza di un organo di difesa nazionale, l’ONU ha inviato i caschi blu (forza Munisca) di alcuni contingenti esteri, ma gli interessi in ballo sono tanti. Anche perché il perpetrarsi della guerriglia paradossalmente fa da copertura ad accaparratori stranieri, avidi delle preziose risorse minerarie del Paese. Vige così la caccia al nemico, che spesso viene fatalmente identificato nella tribù che sta di fronte, o nel villaggio che pratica un’altra religione. È cronaca recente di un vescovo cattolico, mons. Juan José Aguirre Muñoz che ha aperto la sua parrocchia a Tokoyo per ospitare 2000 musulmani che erano sotto attacco degli anti-Balaka, chiamati anche milizie cristiane, originariamente sorte come gruppi di autodifesa delle bande islamiche Seleka, ma che ultimamente sono spesso diventate formazioni terroristiche. E che non fanno differenza tra i gruppi violenti che avevano acceso la rivolta e i civili musulmani, gente pacifica di commercianti o di peuls (mandriani nomadi). «La mia parrocchia – racconta don Martial –, intitolata alla Sacra Famiglia, è a Sibut, il capoluogo della regione Kemo Inbingu. Qui a Sibut recentemente ha avuto luogo una riunione di tutte le autorità: dal prefetto al sindaco, dai capi dei quartieri alla forza Munisca del contingente burundese, dagli ex-Seleka agli anti-Balaka. Ad un certo punto il capo degli anti-Balaka ha preso la parola per dire ad alta voce che i pastori delle varie chiese, i sacerdoti, religiosi e religiose, non devono più parlare di questioni sociali nelle chiese. Tutti si sono intimoriti e nessuno ha osato contraddirlo. Anch’io in quel momento non sono intervenuto, ma quella minaccia non ha fermato il mio impegno cristiano. Dalla spiritualità dei Focolari ho imparato che si deve amare tutti, che bisogna avere a cuore i diritti di tutti. E mi sono detto: se devo scegliere da che parte stare, sempre sceglierò di stare vicino al più debole, al più indifeso». Due giorni dopo i peuls (chiamati anche Mbororo), sono stati attaccati dagli anti-Balaka nella foresta dove pascolavano i loro bovini, a 18 chilometri sull’asse di Bangui. Quattro uomini sono stati uccisi e sette, tra donne e bambini, feriti. La Munisca ha portato i feriti all’ospedale centrale di Sibut, ma per due giorni essi non hanno ricevuto né cure, né cibo. Tutti avevano paura di avvicinarli e assisterli, comprese le Ong e i servizi umanitari. «Quando sono venuto a conoscenza della situazione – spiega il sacerdote– , mi sono fatto coraggio e sono andato dal capo degli anti-Balaka per chiedergli di accompagnarmi all’ospedale. Vedendo quei feriti musulmani, lasciati a loro stessi in una sala dall’odore insopportabile e in condizioni pietose, sia lui che io ci siamo commossi. Sono corso da alcune famiglie cristiane che abitano vicino all’ospedale per chiedere acqua da bere e per lavarli, e anche del cibo per loro. Ho poi ottenuto dal direttore della Caritas diocesana un mezzo di trasporto che li portasse a Bangui a 200 Km di distanza. Grazie a Dio in tre settimane tutti si sono rimessi in salute e la Caritas li ha potuti riportare sani e salvi dai loro cari». Abbé Martial Agoua – Sibut (R.C.A.) (altro…)
20 Giu 2017 | Centro internazionale
Con Alessandro De Carolis, giornalista di Radio Vaticana, in qualità di moderatore, hanno dialogato con l’autore don Julián Carrón (presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione) e Maria Grazia Vergari (vice presidente del settore adulti di Azione Cattolica). La giornalista Giorgia Bresciani di “Radio InBlu”, ha intervistato Jesús Morán il 30 maggio. Ecco alcuni stralci: G. B. – La presentazione del suo libro è stata l’occasione per vivere un momento di dialogo e fraternità tra movimenti ecclesiali. Nella Pentecoste del 1998, Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Ratzinger vollero un cammino di comunione tra i movimenti. Le chiedo di aiutarci a capire cosa è accaduto quel giorno e a che punto siamo di quel cammino. J. M. – Penso che la giornata del 29 maggio è stata proprio benedetta dallo Spirito Santo, una grazia per noi. Ricordo molto bene la Festa di Pentecoste del 1998: penso sia stata la più bella della mia vita. Mi sembrava che si attualizzasse la prima Pentecoste, per la presenza di tante persone, per la giornata, che era bellissima! Arrivavo dal Cile, dove allora abitavo. Effettivamente è stato un momento storico, un evento ecclesiale, perché, per la prima volta, i nuovi movimenti erano radunati in piazza San Pietro tutti insieme. Un incontro fondamentale tra il Carisma di Pietro ed i carismi suscitati dallo Spirito Santo in questo tempo. È stato uscire a vita pubblica, dare visibilità ai carismi ecclesiali, un momento di “riconoscimento” di questa realtà. Da allora il cammino è andato avanti, con momenti alterni. Questa esperienza si è estesa anche a livello ecumenico ed è nata “Insieme per l’Europa”. Ci siamo impegnati, quindi, nell’unità di tutti i cristiani. Ma ci sono stati tanti altri momenti di incontro tra i movimenti. In questi anni, però, sono scomparsi alcuni dei fondatori e questo, ovviamente, ha rallentato un po’ il cammino: la partenza di don Giussani, di Chiara Lubich ed altri, ovviamente ha avuto un influsso perché questa realtà di unità e di comunione dei movimenti è stata decisamente voluta da loro.
Un’occasione come quella del 29 maggio ci dice che dobbiamo continuare. Adesso, in una fase diversa, post-fondazionale; dobbiamo riprendere quella “profezia”. Ed il momento della presentazione del mio libro è andato in quella linea direzione. G.B. – Lei ha accennato alla scomparsa di alcuni fondatori. Proprio lei, Maria Voce, don Carrón, siete tra quelli che state vivendo il “dopo –fondazione”, la “seconda fase”, che è una fase delicata: il vostro è un compito complesso e appassionante. Alla luce di ciò che è emerso dal vostro confronto, cosa serve in questa fase ad un movimento ecclesiale? J.M. – Credo che la fase “post –fondazionale” è anche una fase carismatica. Ci sono delle grazie diverse da quelle vincolate alla fondazione, più nella prospettiva dell’incarnazione: la grande sfida è che il carisma, nella scia del fondatore, diventi sempre più “storia”. Quindi è una tappa di servizio alla Chiesa ed all’umanità. Ci vuole una maturità diversa. Dobbiamo lavorare più insieme, mettere in luce tutti i talenti personali e comunitari. Perché quando c’è il fondatore la luce del carisma è fortissima, lo “incarna” quasi da sola. Ora Dio ci chiede di mettere in moto la nostra intelligenza del carisma, le nostre forze. E dobbiamo farlo insieme! Questa è la grande sfida. È ciò che ho cercato di dire con quel concetto (già usato da Giovanni Paolo II) di “fedeltà creativa”: fedeltà al carisma e, al contempo, capacità di innovazione, di creatività, sempre frutto dello Spirito. Ed un inserimento maggiore nella Chiesa e nella società. Ascolta l’intervista integrale (altro…)
19 Giu 2017 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Che tutti siano uno. Siamo nati per queste parole, per l’unità, per contribuire alla sua realizzazione nel mondo». Le parole di Chiara Lubich, commentate dal vescovo Felix Liam, Presidente della Conferenza Episcopale del Myanmar, il primo giorno dell’incontro dei Vescovi asiatici amici del Movimento dei Focolari (1- 4 giugno 2017), ben evidenziano lo scopo del convegno, svoltosi quest’anno a Yangon, nel Myanmar, Paese dell’Asia Sud-Orientale, sul versante occidentale dell’Indocina. Questi convegni, iniziati circa 40 anni fa su iniziativa di Chiara Lubich e di Klaus Hemmerle (1929-1994), allora vescovo di Aquisgrana (Germania), si svolgono ogni anno a livello internazionale, ecumenico e regionale. A Yangon, con una forte presenza dell’episcopato del Myanmar (19 vescovi), si respira un clima di famiglia e di reciproca accoglienza. Tra i 31 partecipanti un buon numero proviene dalle Filippine, dall’India, dalla Malesia e dalla Corea del Sud. Comunicando l’esperienza del suo incontro con la spiritualità dell’unità, il Card. Francis Xavier Kriengsak di Bangkok, moderatore dei vescovi amici dei Focolari, invita i vescovi a scoprire e ad approfondire uno dei punti fondamentali della spiritualità dell’unità: Gesù crocifisso e abbandonato. E di metterlo al centro della propria vita per essere strumenti di comunione nella Chiesa e nell’umanità. Di questo parlano le testimonianze di membri della comunità locale dei Focolari, che si è preparata per accogliere nel migliore dei modi i presuli. Ma anche le esperienze di alcuni vescovi, come quella dell’irlandese mons. Brendan Leahy, che vede nel mistero di Gesù abbandonato “il volto della misericordia, la chiave del dialogo e dell’unità e la via per una santità di popolo”. Viene presentata attraverso un PowerPoint la vita di mons. Klaus Hemmerle. Brevi video fanno vedere la sbalorditiva fecondità dell’amore all’Abbandonato anche nei contesti più “caldi”. Molto attuale il tema su “Evangelizzazione e Inculturazione nella Spiritualità dell’unità”, che suscita particolare interesse in una nazione a maggioranza buddhista.
La storia di Chiara Lubich e del Movimento da lei nato, insieme alle esperienze dei membri della comunità del posto, suscitano grande commozione. Il Cardinale Carlo Bo, arcivescovo di Yangon: «Sono stato molto colpito dal racconto della vita della fondatrice carismatica e profetica del vostro movimento. Più che mai la Chiesa ha bisogno di movimenti come il Focolare. Quando l’arroganza del potere divideva le persone per il colore e la razza, Chiara ha creato una comunione a livello mondiale, per la pace globale». Il Vescovo Matthias (Myanmar) commenta: «Di solito, quando si partecipa a incontri di vescovi, si ascoltano molte cose, ma sono a livello intellettuale. Qui invece si parla della vita e si vedono persone felici». E il Vescovo Isaac (Myanmar): «La vita di un vescovo non è facile, spesso noi stessi ci sentiamo abbandonati. Conoscendo Gesù Abbandonato avrò la forza e la luce per andare avanti». Dalla Corea, mons. Peter aggiunge: «È la prima volta che partecipo ad un incontro di vescovi. Sono felice di aver conosciuto e approfondito il mistero di Gesù abbandonato. Qui ho visto persone che cercano di amarlo in ogni difficoltà; persone che sono dietro le quinte, che cercano di servire tutti noi», in riferimento ai membri della comunità locale del Movimento. L’apertura al dialogo culturale e interreligioso assume i colori dorati della Pagoda di Shwedagon, la più importante e conosciuta della capitale. La visita di questo luogo sacro, in cui sono gelosamente custodite le reliquie dei quattro Buddha, sulla collina di Singuttara, ad ovest del Lago Reale, simboleggia il rispetto per l’anima buddhista e per la cultura del posto. In cima alla Pagoda, tempestata di pietre preziose, un anemoscopio a banderuola mostra la direzione del vento. Se sufficientemente sostenuto, lo sventolio è accompagnato dal suono di decine di campanelli. Verso dove soffi il vento i vescovi di Myanmar ne sono certi: in direzione dell’unità, verso una Chiesa sempre più “comunione”. (altro…)
18 Giu 2017 | Chiesa, Spiritualità
«Un pezzo di pane, in cui Gesù si trasforma per saziare la fame di tutti i cuori: questa è la biografia di Gesù ridotta all’osso. È la nostra: la via piccola del suo amore, amore forte nella debolezza». (da un articolo del maggio 1980) «Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, ciò che avviene non è soltanto una piacevole comunione con gli altri in uno Spirito di Gesù inteso come semplice idea o sentimento; no, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia viene abbattuta la barriera più radicale della realtà, la barriera della morte; ciò che vi avviene è dono, dono che realmente viene a noi; è prossimità – prossimità in cui le distanze reciproche, interiori ed esteriori, vengono annullate. Nell’Eucaristia non solo diventiamo un unico corpo gli uni con gli altri, ma diveniamo il Suo corpo per il mondo. A chi è davvero permeato dall’Eucaristia, questo mondo e questa società non possono restare indifferenti; egli ha in sé questa dinamica e la dynamis del Dio, che si offre, che si dona, che porta con l’umanità, come cosa a lui propria e intima, tutto ciò che l’umanità porta, tutto ciò che essa fa». (Da una conferenza del 31.8.1977) «Importante non è solo che abbiamo l’Eucaristia qui, nella nostra comunità. Serbiamo lo spirito di Gesù solo se e quando amiamo concretamente la comunità altrui come la nostra, se e quando le nostre comunità si aprono al di là delle barriere che le separano, e se al centro delle comunità vive il Signore». (Da un articolo del maggio 1979) Da “La luce dentro le cose”, Klaus Hemmerle, Città Nuova, Roma 1998, pagg. 190, 186, 187, 192. (altro…)
17 Giu 2017 | Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Il mio percorso comincia l’ultimo giorno del calendario ruandese in cui si ricorda il massacro avvenuto nel 1994. So che Gesù abbandonato può dare un senso a tutte le sofferenze umane, specialmente a quelle che lasciano profonde ferite nel cuore. Avverto un forte legame tra il sacrificio di Gesù e quello sofferto dal popolo ruandese. Sotto la guida di don Telesphore, sacerdote del posto, conosco la capitale Kigali, nota per la sua pulizia. I segni dello sviluppo economico, però, si vedono soprattutto in centro città, che sembra una capitale europea. Ma non lontano dai moderni palazzi c’è la gente comune, legata all’agricoltura, e che si sposta per vendere i loro prodotti al mercato: frutta, verdure, galline … A causa della pelle chiara e alto come sono, la mia presenza non passa inosservata. Spesso scopro sguardi sorpresi, ma basta un gesto di saluto, «muraho», o un sorriso, ed il ghiaccio si rompe con un bel sorriso come risposta. Le visite alle principali città del Paese le facciamo in macchina. Ogni tanto ci fermiamo per offrire un passaggio a qualcuno. Tra le tante persone a cui diamo un passaggio, mi colpisce una giovane di circa 20 anni. Dietro il suo bel sorriso c’è una dolorosa storia. Don Telesphore mi racconta che i suoi genitori sono stati uccisi nel genocidio degli anni ’90. Lei si recava a pregare presso la loro tomba. Da bambina, assieme a suo fratellino, venivano da don Telesphore. Lì hanno trovato una famiglia che li riempie d’amore. E come loro, incontro tante situazioni simili. Il sabato l’abbiamo trascorso nel seminario teologico che accoglie seminaristi di tutto il Paese: circa 130. Nella messa, intrisa dalla cultura ruandese, rimango molto colpito dall’azione della Grazia dopo la comunione, con canti che coinvolgono tutto il corpo. È una specie di ritmo sacro, non sincronizzato tra tutti, ma incredibilmente armonico. Scuola Gen’s. In uno dei seminari facciamo una “scuola” per i seminaristi che vogliono conoscere la spiritualità dell’unità. Don Telesphore chiarisce dall’inizio che “questa scuola non si fa con i libri, ma con la vita” e che “siamo qui per costruire l’unità voluta da Gesù attraverso il nostro amore reciproco”. Durante l’incontro, infatti, l’amore evangelico si sentiva in modo molto concreto tra tutti. Dopo la partita di basket, infatti, chiedo: “Chi ha vinto?”. La risposta: “Tutti”. Dove regna l’amore la competizione diventa una buona occasione per vivere il Vangelo. Approfondiamo il punto della spiritualità dell’unità che tocca il mistero di Gesù abbandonato. Ci colpiscono la testimonianza di due sacerdoti, uno del Ruanda e l’altro del Burundi, paesi carichi di incomprensioni vicendevoli. Ma le differenze, per l’amore a Gesù nel suo abbandono, danno luogo all’unità cresciuta tra di loro. Uno dei seminaristi esprime tutti: “Quando si parla con il cuore, siamo toccati nel cuore”. Gli ultimi giorni sono dedicati all’incontro con le famiglie e i giovani, ma anche alle altre persone che condividono lo stesso ideale di fraternità. Infine, un pellegrinaggio al santuario della Madonna, non lontano dal seminario. Vogliamo ringraziarla per questo viaggio e per i numerosi doni che abbiamo ricevuto. (Armando A. – Brasile) (altro…)