Movimento dei Focolari
Emergenza Siria

Emergenza Siria

Emergency Syria

Foto: WFP/Abeer Etefa

Molte città della Siria oggi sono distrutte e l’elettricità manca per buona parte del giorno. Il Consiglio dei capi delle confessioni cristiane ad Aleppo, mentre la città vive un intensificarsi della violenza, si appella alla comunità internazionale per dire «Basta con la distruzione e la desolazione. Basta essere un laboratorio per armi di una guerra devastante». «Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo – aveva detto Papa Francesco all’Angelus del 1° marzo – ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime». «Siamo lì con voi – vorremmo poter dire, riprendendo le parole di un’amica, fino a pochi mesi fa a Damasco – e non ci diamo pace per aiutarvi, per sostenervi, non soltanto con le preghiere, ma con ogni forma possibile di iniziativa. Io so e sappiamo che state vivendo una delle grandi sofferenze anche per il freddo, anche per la mancanza di elettricità, per la mancanza di lavoro! Dobbiamo mobilitarci presto, dobbiamo fare presto. Siamo con voi e vi ringraziamo». In questa mobilitazione, che non è tardata ad arrivare, chi volesse ancora contribuire, può farlo effettuando un versamento di qualsiasi importo su uno dei seguenti conti correnti: Causale: Siria, Emergenza Siria c/c postale n. 81065005 codice IBAN: IT74 D076 0103 2000 0008 1065 005 codice SWIFT/BIC: BPPIITRRXXX c/c bancario n. 120434 presso Banca Popolare Etica – Filiale di Roma codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D Intestati a: Associazione “Azione per un Mondo Unito – Onlus” Via Frascati, 342 – 00040 Rocca di Papa (Roma, Italy) (altro…)

Kenya: il dolore di un popolo

Kenya: il dolore di un popolo

20150415-01  «Il Venerdì Santo è avvenuta la strage di Garissa. Mi sono recata nell’obitorio dove stavano trasportando le salme degli studenti per il riconoscimento, non lontano dalla mia casa a Nairobi, portando con me la macchina fotografica: era impossibile non sentire le sirene. Ho trovato da una parte i genitori degli studenti uccisi che svenivano… dall’altra, i colleghi con le telecamere. Certamente avrei potuto riprendere qualche intervista, ma non ce l’ho fatta; mi sono trovata subito a piangere con quelle famiglie. C’era una forte pressione da parte di tutti, dell’opinione pubblica, che voleva avere notizie, si aspettava qualcosa … io, però, avevo bisogno di tempo per assumere e digerire questa situazione così dolorosa, per essere in grado di dire qualcosa di costruttivo. Sentivo che la mia parte era di stare in silenzio con questo dolore, e resistere alle pressioni». Racconta, non senza commozione, Liliane Mugombozi, giornalista keniota. 20150415-04Sono quasi 150 le vittime dell’attacco da parte di estremisti somali al Garissa University College, nel Nord-Est del Kenya (al confine con la Somalia e a 350 km dalla capitale Nairobi). Nella giornata del 3 aprile, infatti, i terroristi avevano attaccato il college, prendendo di mira gli studenti cristiani. Solo l’intervento delle forze armate governative, che hanno fronteggiato per l’intera giornata gli assalitori, ha evitato che la strage avesse dimensioni ancora maggiori. Ma la paura generale di nuovi attacchi resta così alta che, anche un qualunque incidente può scatenare il panico con pesanti conseguenze, come è successo il 12 aprile al “Kikuyu Campus” (altro college universitario) di Uthiru, a 30 km da Nairobi: un trasformatore elettrico nelle vicinanze è esploso provocando uno boato simile all’esplosione di una bomba. Uno studente è morto lanciandosi dal 5° piano e circa 150 sono rimasti feriti, nell’intento disperato di fuggire. 20150415-02«Già dai primi giorni, con tanti della comunità siamo stati nella camera mortuaria dove sono stati portati i 148 corpi dei giovani uccisi, per consolare le persone che hanno perso i loro figli – racconta Charles Besigye della comunità locale dei Focolari –. Oggi, 11 aprile, insieme ai nostri giovani, abbiamo passato il pomeriggio nell’obitorio. È qualcosa che spezza il cuore! Persone nella sospensione assoluta che, a distanza di una settimana, non sanno ancora dove sono i propri figli. Alcuni corpi sono già stati identificati e li stanno portando via per la sepoltura nei rispettivi villaggi. Il dolore è immenso… scene angoscianti dei parenti. È straziante vederli crollare, dopo tanto tempo di attesa. Siamo rimasti lì per condividere con loro il dolore, per aiutarli a portare questa pesante croce. Per piangere con quelli che riescono ancora a farlo, perché c’è chi non ha più lacrime. Una di noi si è offerta a dare una mano per aiutare a sistemare i corpi dei giovani defunti prima di mostrarli ai parenti. Una esperienza forte! C’è tanto spirito di solidarietà da parte delle varie associazioni e di tutto il popolo keniota: portano pane, latte, bibite, ecc… E tutti i mass-media richiamano all’unità e al dialogo. Commuove anche vedere il clima sacro che si respira nell’obitorio. Le persone che si raccolgono: chi prega Dio, chi consola». Nel corso della Via Crucis al Colosseo di Roma la sera del Venerdì Santo, il Papa ha usato parole durissime: «La sete del tuo Padre misericordioso – ha detto Francesco – che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità ci fa pensare alla sete dei nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice». È un forte monito che ci sprona a non tacere. (altro…)