Movimento dei Focolari
Pasqua anche a Saigon

Pasqua anche a Saigon

«Pasqua è ormai passata: oggi, giorno di pasquetta, è un normale giorno lavorativo. Fa davvero caldo e la pioggia minaccia il cielo. Solo i cristiani fanno ancora festa. Qua e là si possono udire i brindisi e gli ‘alleluia’ trapelare dalle case. Eppure sono in un paese comunista. Ma qui le strade, all’uscita dalle chiese, si riempiono di motorini fino all’inverosimile, intasando il traffico. I poliziotti, di fronte alla cattedrale, devono dirigere il traffico. Per assistere ad una delle funzioni del triduo pasquale bisognava arrivare almeno 30 minuti prima, per trovare posto. In chiesa, lascio la borsa sulla panca e nessuno la tocca. Guardo la gente, tantissimi bambini, giovani, coppie anche anziane, con volti raccolti e sorridenti. Penso all’Europa, alle chiese semivuote finanche nei giorni di festa. Da queste parti, anche alle 5 del mattino di un giorno qualunque, bambini anche piccoli, insieme ai grandi, sono in prima fila a cantare. Tutti qui conoscono a memoria le preghiere e le canzoni. Saigon pullula di vita sregolata, quasi selvaggia, ad ogni angolo. Eppure c’è tanta fede, come forse in nessun’altra città dell’Asia. Perché qui la fede ‘costa’. Tutto costa in Vietnam. Tempo fa ho fatto un viaggio in autobus, cinque ore in mezzo alla calca, nel caldo. Ad un certo punto alcuni quintali di granturco sono stati caricati tra i viaggiatori, sotto i loro piedi, nel bagagliaio. La gente ha iniziato a gridare, mentre l’autista e il suo aiutante, a loro volta, gridavano per zittirli. Una signora accanto a me, imbarazzata nel vedermi in quella confusione, mi ha detto: “La vita qui è dura. Non dimenticarlo se vuoi vivere qui”. Non conosco il nome di quella donna e forse non la rivedrò mai più. Ma quelle parole hanno aperto una dimensione nuova dentro me. La vita, la loro come la mia, deve passare anche attraverso il dolore, la fatica, la sofferenza, per sfociare nella gioia. Io l’ho capita così. Da quel giorno tutto in me si è semplificato. Come tutti, sperimento gioie, ma anche dolori e fatica. Sono uno di loro. Nemmeno in quanto straniero sono speciale. Uno tra tanti. La storia di quell’Uomo appeso ad una croce, simile a quella di tanti uomini che incontro ogni giorno, mi ha ricordato le parole di quella donna. La posso ritrovare in chi è povero e non ha nulla, in chi è ammalato di tumore e non ha i soldi per curarsi, con le ossa che spuntano da sotto la pelle. O in quella della signora Giau, 64 anni, povera, ma che ha “adottato” una bambina down, letteralmente gettata via dai genitori. Eppure anche qui, in Asia, è Pasqua. Anche in mezzo ai profughi Rohingya, tra Myanmar e Bangladesh. È Pasqua tra le truppe di alleati che si stanno preparando all’ennesima esercitazione. È Pasqua per i bambini di Xang Cut, nella zona del delta del Mekong, con l’acqua ancora infetta dall’agente orange, scaricato dagli alleati 40 anni fa. Ed è Pasqua anche per i bambini di Saigon, raccolti dalla strada e istruiti dalle maestre di Pho Cap. Avranno qualcosa da mangiare, grazie al loro amore eroico. Anche qui, in mezzo a molte sfide, tra i pericoli, l’inquinamento alle stelle e le sopraffazioni, qualcuno continuerà a sorridere, perché amato e curato da una mano amica. Questo è Pasqua: prendersi cura dell’altro, lenire il suo dolore, condividere il suo pianto. Il mondo, l’altro, mi appartiene. E la mia felicità passa attraverso quella degli altri, di tanti altri». (altro…)

Le mie vacanze ad Aleppo

Le mie vacanze ad Aleppo

18-1 «Settembre è volato. Prendo il taxi, insieme a altre due persone, che risiedono qui. Lasciamo la città che mi ha accolto: Aleppo. Sono tra i pochi stranieri (forse l’unico?) che hanno scelto questa città per un periodo di vacanza. Il tassista attraversa la città, una distesa di quartieri completamente distrutti. Quanti morti ci saranno ancora sotto quelle macerie? Lui sembra non pensarci, guida ad una velocità incredibile percorrendo strade che portano verso sud, in direzione di Homs. Da lì proseguirò alla volta di Beirut. Dopo due ore e mezza intravediamo, tra le macerie, la prima casa rimasta ancora in piedi! Difficile da credere. Sono stato accolto per un mese nel focolare di questa comunità. Al mio arrivo qualcuno alle porte di una chiesa mi ha detto: “Qui incontrerai dei veri cristiani”. Una affermazione che non avevo mai sentito. Ma ora la capisco. Sono stato testimone di come il focolare sia quel luogo in cui si condivide tutto: la “provvidenza” che arriva da tutto il mondo, con tavoli pieni di vestiti, ecc., ma soprattutto i dolori e le gioie, la vita di ogni giorno. Qui, per anni, l’unico sostegno è stato la Parola del Vangelo, Dio. Come mi risuonava l’inizio, sentito tante volte, della storia del Movimento dei Focolari, quando Chiara Lubich raccontava: “Erano tempi di guerra e tutto crollava”!

Bernard (centro), con due popi del focolare di Aleppo: Fredy (sinistra) e Murad (destra)

Bernard (centro), con Fredy (sinistra) e Murad (destra) nel focolare di Aleppo.

Qui ad Aleppo, mentre ancora infuriava la guerra, con le bombe che esplodevano intorno, i focolarini andavano a visitare ogni giorno due famiglie. Per tre volte, a causa delle bombe cadute sui palazzi accanto, i vetri del focolare sono andati in frantumi. Ho conosciuto tante persone della comunità del Movimento, una comunità viva, una vera famiglia, che ha attraversato prove terribili. Hanno perso tutto, l’attività professionale, i parenti, le case, gli amici. Ma hanno trovato nella fede e nell’unità la forza per rialzarsi e cominciare a cercare nuove opportunità. Una sera, anche se in lontananza si sentivano ancora le bombe, in città è tornata l’elettricità. Non succedeva da cinque anni. Samir aveva le lacrime agli occhi: «È la prima volta che vedo il mio negozio illuminato!». Georges invece deve ancora portare le bombole di gas fino al terzo piano, perché l’ascensore in quell’edificio non funziona. Quando deve entrare nel condominio dalla strada si annuncia, gridando, e dall’alto gli buttano le chiavi. Con Maher ho fatto regolarmente jogging. Tante altre persone, come noi, affollavano il bellissimo parco centrale della città. C’era aria di speranza. Nabla mi diceva che tra alcuni mesi le cose potrebbero andare meglio in questo Paese, dal grandioso passato. Nell’antica cittadella, emblema della città di Aleppo, sulla collina, un giorno si è tenuto, dopo tanti anni, un concerto di musica, con danze e poesie della tradizione. 4000 mila persone hanno cantato insieme in un’aria di festa. IMG_7442-768x512Durante la guerra il prezzo pagato dalla popolazione è stato molto, troppo alto: tantissimi morti, e poi malattie, depressione, traumi, isolamento, mancanza di istruzione, di formazione al lavoro, e poi tanti bambini abbandonati … la lista è lunghissima. Ho rivolto spesso una domanda alle persone del posto: “Cosa ritieni importante per affrontare il futuro?”, pensando che la risposta sarebbe stata “la ricostruzione delle case, la ripresa delle attività produttive”. Invece, con mia sorpresa, la risposta che ho sentito più spesso è stata “una grande forza spirituale, capace di far rinascere anche qui una nuova vita”. Grazie Robert, Pascal, Fredy, Murad. Grazie Ghada, Lina, Chris, Maria Grazia, Maria, Zeina, per la vostra vita e la vostra testimonianza. Ora avete un posto speciale nel mio cuore».   A cura di Gustavo Clariá (altro…)